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Il piano d’azione del (nuovo)Partito
comunista italiano in questa fase
Terminata la
stesura del Manifesto Programma ed entrati nella fase terminale
della
seconda crisi generale del capitalismo, il compito che noi comunisti
dobbiamo
ora assolvere consiste nel mobilitare le masse popolari organizzate del
nostro
paese perché costituiscano un governo d’emergenza, un governo di
Blocco
Popolare, che faccia fronte con misure urgenti e straordinarie agli
effetti più
devastanti della crisi generale. Dobbiamo anzitutto estendere il numero
e
allargare la rete di organizzazioni operaie e di organizzazioni
popolari.
Dobbiamo infondere in ognuna di esse la convinzione che l’instaurazione
del
socialismo è l’unica via positiva per uscire definitivamente dal
marasma creato
dal sistema capitalista in preda alla sua seconda crisi generale, ma
che da
subito con la loro iniziativa le masse popolari possono evitare gli
effetti più
devastanti della crisi generale del capitalismo. Come? Coalizzandosi
tra loro e
costituendo un governo d’emergenza, un governo di Blocco Popolare, che
prenda
il posto del governo della banda di trafficanti, mafiosi, clericali,
avventurieri e speculatori riunita da Berlusconi a cui la Corte
Pontificia, la
Confindustria e le altre associazioni padronali, le Organizzazioni
Criminali,
gli imperialisti USA e i sionisti hanno affidato il governo del paese.
Dobbiamo
suscitare e rafforzare nelle masse popolari la volontà di
evitare
effettivamente gli effetti più devastanti della crisi del
capitalismo e la
convinzione che sono in grado di farlo.
Nella lotta per
creare le condizioni necessarie alla costituzione di un governo di
Blocco
Popolare e poi per fare in modo che esso attui le misure d’emergenza
necessarie
a evitare gli effetti più devastanti della crisi generale, noi
comunisti
proseguiremo la rinascita del movimento comunista e accumuleremo le
forze
necessarie per guidare le masse popolari a far fronte alla seconda fase
della
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, che è la
strategia per
instaurare il socialismo nel nostro paese.
Ecco il piano
d’azione che il nuovo Partito comunista italiano ha elaborato sulla
base
dell’analisi della situazione concreta del nostro paese e della
situazione
internazionale e che esso propone a tutti i comunisti e agli altri
elementi
avanzati delle masse popolari, in primo luogo agli operai avanzati.
Questa
dichiarazione implica alcuni punti fermi che oggi non sono affatto
acquisiti
nel movimento comunista del nostro paese. Dobbiamo avere chiaro quali
sono i
principali. Dobbiamo metterci in condizione di poter spiegare che sono
giusti a
ogni compagno che nutre dubbi, in ogni riunione o assemblea in cui
riusciamo a
portare e spiegare questa dichiarazione. Dobbiamo conformare ad essi
creativamente
ogni nostra iniziativa.
1.
Anzitutto per
instaurare il socialismo, per fare la rivoluzione socialista occorre un
piano
d’azione: una strategia e una tattica. La rivoluzione socialista non
scoppia,
non è un evento che accade. La rivoluzione socialista è
il risultato
dell’attuazione di un piano d’azione da parte del partito comunista, il
risultato di una guerra espressamente condotta a questo scopo dalla
classe
operaia guidata dal suo partito comunista. Già Engels aveva
spiegato che, a
differenza della rivoluzione borghese, la rivoluzione socialista non
può per
sua natura essere il risultato di una insurrezione popolare che scoppia
per un
concorso imprevedibile di circostanze, un’esplosione di indignazione
popolare.(1) Nel 1895 Engels riconobbe apertamente che lui e Marx in
proposito
si erano sbagliati, fuorviati dall’esperienza delle rivoluzioni
borghesi
d’Europa e d’America. Lenin ha sostenuto sistematicamente che il
partito
comunista deve preparare la rivoluzione socialista, organizzarla,
predisporre
un accurato piano d’azione analogo per alcuni aspetti a quelli che lo
Stato
Maggiore di un paese stende per condurre una guerra, un piano preparato
a
tavolino. Lenin ha fatto di questa tesi uno dei punti che distinguono
il
leninismo dalla degenerazione del marxismo prevalsa nella Seconda
Internazionale. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria la
pratica
ha mostrato ripetutamente che le insurrezioni e le rivolte che
scoppiano per il
prorompere e il convergere dell’indignazione popolare, non si
concludono mai
con l’instaurazione del socialismo. Gli esempi sono stati
particolarmente
numerosi in Europa occidentale e centrale nella fase finale della prima
Guerra
Mondiale.
Certo quello di
cui abbiamo bisogno non è un piano arbitrario. Abbiamo bisogno
in ogni paese di
un piano conforme alle leggi di sviluppo della particolare formazione
economico-sociale del paese. Inoltre il partito deve essere capace di
cambiare
il suo piano se sopravvengono eventi interni o esterni che cambiano
l’atteggiamento e la condotta delle masse popolari o il corso delle
cose. Deve
essere capace di adattarlo se sopravvengono eventi non previsti. Deve
essere
capace di concretizzare secondo le condizioni di tempo e di luogo (hic
et nunc)
questa o quella parte del piano man mano che gli eventi si definiscono
in tutti
i loro particolari. Anche per questo i membri del partito comunista si
distinguono dagli altri proletari. Anche per questo il partito
comunista deve
avere assimilato e imparato ad usare con una certa maestria il
materialismo
dialettico come metodo di conoscenza e come metodo di azione.
Ma è
essenziale
comprendere che, come ogni altro evento in natura, anche la
trasformazione del
nostro paese avviene seguendo leggi sue proprie. I comunisti possono e
devono
scoprirle e applicarle. Il partito deve elaborare un piano d’azione che
sfrutta
quelle leggi e deve agire con iniziativa per attuarlo. Il partito non
deve
agire alla cieca, navigare a vista, reagire meglio che gli riesce e di
volta in
volta agli eventi come farebbe un qualsiasi proletario generoso e
intelligente.
Navigare a vista, senza una strategia e una tattica, senza progetti di
lungo,
medio e breve periodo, è uno dei difetti diffusi tra i
comunisti, residuo della
condizione servile (che per sua natura esclude la formazione e
l’abitudine a
progettare e a dirigere) in cui la borghesia, come le precedenti classi
dominanti, relega le masse popolari. “Lei non è pagato per
pensare. Altri sono
pagati per farlo” sfrontatamente dichiarava rivolto agli operai Taylor,
il famoso
teorico del massimo sfruttamento del lavoro degli operai. “È uno
spreco
insegnare filosofia o musica a uno che è destinato a fare lo
spazzino. Basta
che impari a fare bene il suo mestiere”, proclamano con pari arroganza
Berlusconi e la Moratti. A tutti quelli che obiettano che se si fanno
piani, è
possibile anche che si facciano piani sbagliati, dobbiamo contrapporre
che più
che a causa di piani sbagliati, il movimento comunista del nostro paese
ha
sofferto per la mancanza di piani, per la noncuranza dei suoi dirigenti
per la
preparazione di accurati piani d’azione, cioè per l’arretratezza
dei suoi
dirigenti. In proposito la nostra linea si riassume in tre punti: 1.
bisogna
fare piani; 2. bisogna fare piani giusti; 3. bisogna attuare i piani
fatti.
Il piano
d’azione
che noi abbiamo enunciato all’inizio non è ovviamente un piano
d’azione
esauriente. È del tutto insufficiente per guidare l’azione del
partito. Vi sono
solo le grandi linee di un vero piano d’azione. Da esso il partito deve
partire
per definire le linee particolari in ogni campo e per tradurle in
campagne,
battaglie e operazioni tattiche conformi al tempo e al luogo, concrete.
In
breve per dotarsi di una tattica, di un sistematico e organico piano
d’azione.
La lotta contro
la separazione tra pratica e teoria richiede che noi compiamo questo
sviluppo.
2.
In secondo luogo
la crisi attuale, esplosa nel 2008, non cade dal cielo, non arriva
all’improvviso, non deriva da una politica sbagliata (liberismo,
privatizzazione, globalizzazione, ecc.) perseguita dai governi borghesi
e dai
gruppi imperialisti, dagli eccessi della finanza, dalle speculazioni di
dirigenti senza scrupoli, dal non rispetto delle regole da parte di
dirigenti
incompetenti e corrotti o dalla mancanza di controlli da parte degli
organismi
preposti. Essa è la fase acuta, terminale della seconda crisi
generale del
capitalismo iniziata circa 30 anni fa e dovuta alla sovrapproduzione
assoluta
(cioè, non limitata a qualche settore produttivo o a qualche
paese, ma estesa a
tutto il campo d’azione del capitale) di capitale.(2) Il liberismo,
l’eliminazione e la riduzione delle conquiste che le masse avevano
strappato
alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione
proletaria, la
privatizzazione del settore pubblico dell’economia costituito nel corso
della
prima crisi generale del capitalismo (1900 - 1945), la privatizzazione
dei
servizi pubblici e la loro riduzione a merci, la globalizzazione, la
riorganizzazione internazionale della produzione sono state linee messe
in atto
dai gruppi imperialisti per sfuggire alla sovrapproduzione assoluta di
capitale. Questa a sua volta è un evento insito nella natura del
modo di
produzione capitalista. La quantità dell’accumulazione di
capitale fatta
producendo merci, giunta ad un certo punto si traduce in una nuova
qualità:
l’impossibilità di continuare l’accumulazione stessa producendo
merci. K. Marx
nella sua analisi del modo di produzione capitalista (cap. 15 del libro
3 di Il
capitale) aveva individuato e previsto questo evento. Egli ha
mostrato che
lo sviluppo del capitalismo portava e doveva portare prima o poi alla
sovrapproduzione assoluta di capitale e alla connessa crisi generale
(economica, politica, culturale) della società borghese. Come
infatti è
avvenuto per la prima volta alla fine del secolo XIX.
Se allora il
sistema capitalista non viene sostituito dal socialismo, esso supera la
sua
crisi generale distruggendo in un modo o nell’altro una parte adeguata
del
capitale già accumulato. Si ha quindi un nuovo periodo di
sviluppo che termina
con una nuova crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale. È
quello che è
avvenuto nel secolo XX. La prima crisi generale del capitalismo (1900 -
1945)
ha dato luogo a un periodo di convulsioni sociali, di guerre (in
particolare le
due Guerre Mondiali) e di rivoluzioni. Vi furono allora lo sviluppo
mondiale
della rivoluzione proletaria (la prima ondata della rivoluzione
proletaria) e
la creazione dei primi paesi socialisti, a partire dalla Rivoluzione
d’Ottobre
e dalla formazione dell’Unione Sovietica. Ma, per limiti propri del
movimento
comunista, la rivoluzione proletaria non è riuscita a instaurare
il socialismo
in alcun paese imperialista: il movimento comunista non aveva ancora
elaborato
una strategia adeguata all’impresa. Proprio a causa dei suoi limiti il
movimento comunista è anzi entrato in una fase di decadenza (una
crisi di
crescita) e i primi paesi socialisti prima hanno perso il loro slancio
iniziale, poi per lunghi anni sono regrediti scimmiottando sempre
più i vecchi
paesi capitalisti e infine sono crollati. Di contro i gruppi e i
governi
borghesi hanno sviluppato liberamente e su larga scala svariate misure
per
guadagnare tempo e trovare nuovi campi e nuove forme per la
valorizzazione
(ossia l’accrescimento) dei loro capitali, nonostante la nuova crisi
per
sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata negli anni ‘70.
L’eliminazione
delle conquiste, la globalizzazione, la riorganizzazione internazionale
del
sistema produttivo, la finanziarizzazione dell’attività
economica e il grande sviluppo
della speculazione finanziaria hanno fatto guadagnare tempo ai gruppi
imperialisti e hanno ritardato il collasso delle attività
produttrici di merci.
D’altra parte la rinascita del movimento comunista ha proceduto
lentamente e i
comunisti non sono stati in grado di sfruttare a fondo la situazione
rivoluzionaria in sviluppo generata dalla nuova crisi generale del
capitalismo.
L’anno scorso
siamo entrati nella fase terminale della crisi generale. Le misure
finora prese
per rimandare nel tempo il crollo diffuso dell’attività
economica che produce
merci hanno esaurito la loro efficacia. Si sono create le condizioni
che
rendono imminenti la guerra e la rivoluzione. O il sistema capitalista
sarà
definitivamente sostituito dal socialismo e il capitale sarà
eliminato per
questa via. O una massa adeguata di capitale sarà distrutta da
nuove guerre
imperialiste e dopo le distruzioni vi sarà un nuovo periodo di
ripresa e di
sviluppo. La contesa tra le due vie e la loro combinazione formeranno
lo
scenario dei prossimi anni. Noi comunisti naturalmente lottiamo
perché
l’umanità imbocchi la prima via.
Si ripresentano
all’umanità le condizioni che essa ha vissuto all’inizio del
secolo XX. Solo
che si ripresentano su una scala maggiore, ad un livello più
elevato. Infatti
ora
1. tutti i paesi
del mondo (in particolare la Cina, l’India, la Russia, vari paesi
dell’America
Latina e dell’Africa, molti paesi arabi e musulmani) sono entrati in
modo più
profondo a far parte del campo di attività del capitalismo;
2. il
capitalismo
si è impadronito della vita dell’umanità in misura ben
più profonda (una parte
più vasta delle attività umane è diventata
produzione di merci organizzata dai
capitalisti, per lo più produzione di merci-servizi);
3. sia le classi
e i popoli oppressi sia le classi dominanti hanno vissuto l’esperienza
della
prima ondata della rivoluzione proletaria e ne hanno più o meno
largamente
elaborato gli insegnamenti.
Dalla prima
crisi
generale determinata da sovrapproduzione assoluta di capitale (1900 -
1945)
l’umanità non è uscita tramite le misure economiche (New
Deal) prese da
Roosevelt (come molta parte della cultura borghese afferma o lascia
intendere),
né tramite le misure economiche prese da Mussolini o da Hitler
(a cui Roosevelt
si è ispirato, anche se pochi intellettuali borghesi oggi osano
riconoscerlo),
misure che comunque sono rimaste nella costituzione materiale dei paesi
imperialisti fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando iniziò
la seconda
crisi generale. Ne è uscita grazie alla prima ondata della
rivoluzione
proletaria che ha creato il campo socialista e riformato il resto del
mondo e a
seguito delle distruzioni provocate dalle due Guerre Mondiali. Dalla
seconda
crisi certamente l’umanità uscirà: quello che è in
gioco è come ne uscirà e
quali saranno gli sviluppi successivi.
Molte sono le
chiacchiere e i discorsi che gli esponenti della cultura corrente fanno
sul
mondo, ma quello che abbiamo sopra descritto è, nelle sue grandi
linee
generali, il quadro della storia che l’umanità ha percorso e
della situazione
cui l’umanità deve far fronte e su cui noi comunisti dobbiamo
regolare la
nostra azione. Gli sforzi che non si basano su questo quadro sono
dispersione
di forze e deviazioni. Chi li compie lavora a vuoto, chi li promuove
inganna i
suoi seguaci.
3.
L’instaurazione
del socialismo è la via d’uscita dell’umanità dal marasma
economico, morale,
intellettuale, ambientale e sociale in cui la borghesia imperialista
l’ha
condotta. Ma per sua natura l’instaurazione del socialismo richiede un
movimento comunista sviluppato, cioè una diffusa rete di
organizzazioni di
massa aggregate attorno al partito comunista, organizzazione degli
operai
d’avanguardia. Oggi nel nostro paese e negli altri paesi imperialisti
siamo
ancora lontani da questo risultato. La rinascita del movimento
comunista non ha
mosso che i primi passi. Ovviamente noi non escludiamo che, stante
l’esperienza
della prima ondata della rivoluzione proletaria, sotto la spinta degli
avvenimenti la rinascita del movimento comunista diventi tanto rapida
da
prodursi in poco tempo: sarebbe il miglior premio del lavoro che la
“carovana
del (n)PCI” ha compiuto nei due decenni passati. Tuttavia gli
avvenimenti
richiedono misure rapide e d’emergenza per evitare almeno gli effetti
peggiori
della crisi. Esse possono essere prese e attuate almeno in una certa
misura da
un governo d’emergenza creato dalle organizzazioni operaie e dalle
organizzazioni popolari anche non ancora aggregate attorno al partito
comunista. Chiamiamo simile governo un governo di Blocco Popolare.
È un
esercizio
privo di effetti pratici, da perdigiorno, elaborare misure per uscire
dalla
crisi senza la premessa che occorre instaurare un governo e un sistema
di
potere, un’amministrazione pubblica che voglia attuarle e abbia la
forza di
attuarle. Quando Epifani proclama (13 febbraio in p.zza S. Giovanni a
Roma):
“Di sciopero in sciopero porteremo il governo Berlusconi ad attuare le
misure
necessarie”, la destra sindacale difende l’attuale governo e si oppone
ad un
governo d’emergenza. In realtà nessun governo normale,
cioè formato in base
alle attuali procedure costituzionali, può concepire e attuare
le misure
necessarie ad evitare gli effetti peggiori della crisi.
Perché un
governo
normale non è in grado di attuare le misure d’emergenza
necessarie?
Anzitutto, quali
sono le misure d’emergenza per evitare da subito gli effetti più
disastrosi
della crisi?
Occorre
instaurare nel nostro paese un’amministrazione pubblica che attui le
seguenti
sei misure d’emergenza:
1. assegnare a
ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo
un
piano (nessuna azienda deve essere chiusa);
2. distribuire i
prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi
collettivi
secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente
decisi;
3. assegnare ad
ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio
della sua
scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa
e per la
partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore
deve essere
licenziato);
4. eliminare
attività e produzioni inutili e dannose per l’uomo o per
l’ambiente, assegnando
alle aziende altri compiti;
5. avviare la
riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità
alla nuova base
produttiva;
6. stabilire
relazioni di collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a
stabilirle con noi.
Perché un
governo
normale non può prendere queste misure necessarie a evitare le
peggiori
immediate conseguenze della crisi del capitalismo su cui difficilmente
qualcuno
potrebbe dissentire con ragionevoli motivi?
Perché
queste
misure necessarie ledono gravemente interessi costituiti di gruppi che
in ogni
paese capitalista normalmente sostengono un governo o almeno non si
oppongono
attivamente e accanitamente ad esso, su cui ogni normale governo oggi
conta.
Esse lacerano gli interessi e le abitudini di parti importanti delle
classi
dominanti. Nessun governo normale, quindi costituito dall’una o
dall’altra
frazione delle classi dominanti (campo della borghesia imperialista)
con
l’assenso più o meno entusiasta delle altre frazioni, sarebbe in
grado di
prenderle. Barack Obama non farà molta strada, quali che siano
le sue opinioni,
tendenze e aspirazioni personali.
Per loro natura,
le misure d’emergenza indicate, benché difficilmente qualcuno
possa fare
ragionevoli obiezioni, ledono interessi costituiti e violano abitudini,
tradizioni, valori. I processi costituzionali (che in ogni paese
capitalista
presiedono alla formazione dei governi in periodo normale) per la loro
storia,
per la loro origine e per le tradizioni che riflettono, assegnano nella
formazione dei governi un ruolo preponderante a classi, gruppi sociali
e
personaggi che sia per la loro natura sia per la loro cultura sono i
più legati
ad interessi costituiti.
Solo un governo
d’emergenza, formato al di fuori e contro le procedure costituzionali
previste
per la creazione del governo del paese, può avere la
determinazione, la volontà
radicale, la spregiudicatezza, l’autorità e la forza per attuare
le misure d’emergenza
necessarie, che sono le meno abituali che si possano immaginare.
D’altra parte
queste misure per la loro natura necessitano, per essere attuate, del
concorso
sincero, convinto ed entusiasta, creativo e deciso della massa della
popolazione, almeno di una parte importante della massa della
popolazione,
della sua parte più attiva e più avanzata. Solo un
governo d’emergenza
costituito dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari
capillarmente attive nel paese e che ha in esse e nel loro
coordinamento la sua
base morale e politica, può dare all’iniziativa delle masse
popolari
organizzate la forma di autorità politica generale e la forza
necessaria per
imporsi.
Gruppi
illuminati
delle vecchie classi dirigenti (borghesia, clero, ecc.) ce ne possono
essere e
ne possono sorgere, ma non avrebbero mai la coesione, la determinazione
radicale, l’autorità morale e la forza per attuare le misure
d’emergenza che la
situazione d’emergenza richiede. Mentre potrebbero invece dare un utile
concorso, un apprezzabile contributo a un governo d’emergenza formato
dalle
organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari capillarmente
attive nel
paese (questi gruppi e personaggi costituirebbero la borghesia di
sinistra).
Potrebbero inoltre ostacolare e ritardare la coalizione degli
oppositori del
governo d’emergenza e del suo programma d’emergenza attorno alla destra
e
quindi la reazione della destra e il passaggio alla seconda fase della
guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata, alla guerra civile.
La crisi
generale
ci ha portato in una situazione che consente solo due vie, che a grandi
linee
sono le seguenti.
O una frazione
della borghesia instaura (con decisione e schiacciando le resistenze
delle
altre parti) la propria dittatura sul resto della borghesia e sulle
masse
popolari e costituisce un governo d’emergenza che cercherà di
trascinare il
paese in avventure (il protezionismo e l’aggressione sono già
oggi la sostanza
pratica di tutte le misure di una qualche efficacia effettivamente
attuate dai
governi borghesi). Per la natura stessa delle cose, al di là
delle frasi e dei
discorsi con cui ornerà la sua azione, questa frazione
diventerà la borghesia
di destra.
Oppure le
organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari costituiscono un
governo di
emergenza con l’appoggio della sinistra della borghesia (cioè di
quella parte
della borghesia che aderirà alle misure d’emergenza prese da un
simile governo.
Essa per la natura stessa delle cose diventa la borghesia di sinistra).
Questo
governo attua (cerca di attuare) il programma che abbiamo
sommariamente, a
grandi linee indicato.
Nelle lotte a
cui
l’attuazione di simile programma darà luogo, nelle lotte per
attuare simile
programma, il partito comunista e il movimento comunista cresceranno
fino a
diventare la forza dirigente dello schieramento politico e sociale che
sostiene
il governo d’emergenza. Contro questo schieramento la borghesia di
destra ad un
certo punto sferrerà la propria offensiva. Allora entreremo
nella seconda fase
della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.
Questo è
uno
scenario possibile e probabile dello sviluppo degli avvenimenti nei
prossimi
mesi. È lo scenario meno distruttivo e penoso, quello per cui
noi dobbiamo
lavorare.(3)
L’altro scenario
è che il partito comunista e il movimento comunista crescano
nella lotta contro
le avventure in cui il governo d’emergenza costituito dalla borghesia
di destra
cercherà di trascinare il paese.
Ovviamente ogni
sviluppo nazionale sarà condizionato anche dagli sviluppi a
livello internazionale.
In questa fase
noi comunisti dobbiamo sistematicamente indicare e mettere al centro
dell’attenzione ciò a cui nessuno dei nostri ascoltatori
può restare
indifferente se è un sincero combattente o se anche solo
è un politicante che
vuole avere seguito tra le masse, ciò di cui ogni forza politica
e ogni
personaggio deve rispondere alle masse e a se stesso: la gravità
della
situazione e gli avvenimenti in corso (la fase terminale della crisi
generale
in cui siamo entrati). Di fronte ad essi ognuno deve indicare le misure
indispensabili e possibili per le masse popolari. Noi dobbiamo dire e
dimostrare quali sono le misure indispensabili e possibili per le masse
popolari e dire e dimostrare che un governo normale (cioè
formato secondo le
prassi e le leggi abituali) non è in grado di prendere le misure
necessarie.
Così in ogni ambiente e occasione mobilitiamo e rafforziamo la
sinistra.
È un
lavoro
indispensabile, importante e urgente. Il tempo a disposizione per la
mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari non è
illimitato. La crisi
impone che vengano prese misure straordinarie. Nella coalizione di
forze creata
dalla banda Berlusconi si aprono ogni giorno crepe sempre più
grandi. La
pluralità di centri autonomi di potere della Repubblica
Pontificia (Vaticano
con la sua Chiesa, Confindustria e le altre associazioni padronali e i
grandi
gruppi, Organizzazioni Criminali, imperialisti USA, gruppi sionisti,
imperialisti europei) diventa un ulteriore fattore di crisi politica:
non ha
abituato le classi dominanti all’intesa e alla convergenza ma ai colpi
di mano
e alla prassi “ognuno fa gli affari suoi”, ostacola la coesione e
favorisce la
contrapposizione. I centri di potere si paralizzano a vicenda. Il
potere del
Vaticano, reale e decisivo ma irresponsabile e indiretto, diventa
principalmente un fattore di paralisi: la crisi economica è
diventata
l’elemento centrale e il Vaticano non ha una linea sua propria (la
carità e
l’elemosina servono a qualcosa solo quando gli affari vanno bene). Il
ruolo
paralizzante del Vaticano lo si è visto chiaramente nel caso
Englaro: la
confluenza del Vaticano e della parte più reazionaria della
borghesia ha
impedito ogni misura voluta da altri e nello stesso tempo non ha osato
imporre
la propria. In Italia la formazione di governi normali che provino con
forza e
con qualche credibilità e autorevolezza a “governare la crisi”
è più difficile
che in altri paesi, perché la classe dominante è
tradizionalmente divisa in
centri di potere autonomi e irresponsabili. È quindi probabile
che le
condizioni per costituire un governo d’emergenza maturino attraverso
convulsioni di vario genere sempre più forti e che ad un certo
punto anche la
destra eversiva e fascista cerchi di cavalcare la linea del governo
d’emergenza, soprattutto se noi comunisti non sapremo farla valere
tempestivamente con forza tra le organizzazioni operaie e le
organizzazioni
popolari, relegando così la destra eversiva e fascista nella
difficile difesa
di un “governo normale” di “legge e ordine”.
4.
In quarto luogo
deve essere posto ben in chiaro che la creazione di un governo di
Blocco
Popolare non equivale all’instaurazione del socialismo, ma è una
forma di
avvicinamento alla rivoluzione socialista. La formazione di un governo
di
Blocco Popolare non è un’alternativa o un altro nome
dell’instaurazione del
socialismo. È una misura di avvicinamento all’instaurazione del
socialismo, una
via per creare le condizioni necessarie all’instaurazione del
socialismo.
In un paese
imperialista la classe operaia è in grado di prendere il potere
e tenerlo solo
se ha creato un suo partito d’avanguardia che effettivamente raggruppa
tutti o
almeno gran parte degli operai avanzati e se su questa base, con la
propria
iniziativa e con l’influenza che esercita sul resto delle masse
popolari, riesce
a dirigere l’azione delle masse popolari. Solo in queste condizioni
è possibile
procedere all’abolizione della proprietà privata delle grandi
forze produttive
e all’instaurazione di un’economia pianificata a livello nazionale: la
forma
materiale del socialismo. Questa è un tesi fondamentale che il
leninismo e
l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria hanno ben
dimostrato. La formazione di un governo di Blocco Popolare non implica
invece
la universale espropriazione dei capitalisti. Implica solo la loro
sottomissione, anche solo provvisoria, vista la loro incapacità
di far fronte
alla situazione d’emergenza, a una legislazione d’emergenza e alle
misure
d’emergenza attuate sotto il controllo e per iniziativa delle
organizzazioni
operaie e delle organizzazioni popolari.
Alcuni potranno
obiettare che non c’è grande differenza. Ma il problema è
che da una parte la
differenza è sostanziale. Dall’altra, in effetti,
l’instaurazione del governo
di emergenza è una forma di avvicinamento all’instaurazione del
socialismo
nelle condizioni attuali, nella fase terminale della crisi generale del
capitalismo. Non è una soluzione di lungo periodo. Si
tratterà di un periodo di
acutizzazione della lotta di classe che sboccherà
inevitabilmente nella seconda
fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, nella fase
dell’equilibrio strategico, della guerra civile. Ogni illusione al
riguardo da
parte di noi comunisti ci porterebbe alla sconfitta e al disastro.
L’instaurazione di un governo di Blocco Popolare non è un modo
di evitare la
guerra civile. È un modo di arrivarci nelle condizioni
più favorevoli per le
masse popolari, quindi anche per fare in modo che la guerra civile sia
la meno
sanguinosa e la meno distruttiva. Quando la borghesia e le altre classi
reazionarie vedranno che le misure d’emergenza non ristabiliscono una
situazione normale (cioè il loro potere e i loro privilegi), ma
richiedono un
approfondimento e allargamento delle misure stesse, dal loro interno la
parte
più reazionaria di esse cercherà di invertire con ogni
mezzo e ad ogni costo la
marcia verso il socialismo. Allora non resterà altro da fare che
stroncare con
decisione e definitivamente le loro velleità e togliere loro
ogni possibilità e
velleità di ritentare la fortuna.
La fase
terminale
della seconda crisi generale del capitalismo apre grandi prospettive.
Ma sono
prospettive di lotta. Il mondo cambierà certamente. Sta a noi
comunisti
mobilitare, organizzare e dirigere le masse popolari in modo che cambi
in modo
favorevole ad esse e si apra una nuova superiore fase dell’evoluzione
della
specie umana.
Rosa
L.
Note
1 Su questa
differenza tra rivoluzione borghese e rivoluzione socialista vedi la
nota La
rivoluzione borghese scoppia, la rivoluzione socialista è il
risultato
dell’attuazione di un piano di lotta, pagg. 10 e 11
2. In cosa
consiste la sovrapproduzione assoluta di capitale, la sua natura e che
il modo
di produzione capitalista prima o poi incappa inevitabilmente in essa,
i
promotori della “carovana del (n)PCI” lo hanno mostrato e illustrato
più volte,
a partire del n. 0 della rivista Rapporti Sociali (1985),
basandosi sia
sull’analisi della natura del modo di produzione capitalista condotta
da K.
Marx, sia sulla storia delle società borghesi, sia sullo studio
dei fatti
correnti. In particolare rimandiamo ai numeri 0, 1, 5/6, 8, 9/10,
12/13, 16 e
17/18 di Rapporti Sociali (reperibili presso la Casa Editrice
Rapporti
Sociali – rapportisociali@libero.it).
Appartenenti o
meno al movimento comunista, i critici della concezione esposta dal
(n)PCI
anche nel suo Manifesto Programma (pagg. 268-270) non si sono
mai
avventurati in un tentativo di confutazione della nostra concezione. Si
sono
limitati a non parlarne, come se il loro silenzio cancellasse i fatti.
Più
grave ancora è che hanno fondato le loro proposte politiche su
questo o
quell’avvenimento o fenomeno empirico (il liberismo, l’eliminazione
delle
conquiste, la globalizzazione, la riorganizzazione internazionale del
sistema
produttivo, la privatizzazione, la finanziarizzazione, la speculazione
finanziaria, ecc.) ponendolo come l’inizio del corso degli eventi, come
un
evento originario non ancorato alla storia precedente e non collocato
nel suo
contesto di relazioni, come un fenomeno la cui comparsa a sua volta non
richiede
spiegazione, quindi senza preoccuparsi di spiegare la ragion d’essere
del
fenomeno su cui fondavano l’elaborazione delle loro proposte politiche.
Il
risultato di questo approccio non dialettico è che di regola
hanno travisato la
natura del fenomeno a cui si sono unilateralmente appoggiati e ne hanno
tirato
conclusioni sbagliate.
A nostra
conoscenza, l’unico tentativo di confutare la teoria della crisi per
sovrapproduzione assoluta di capitale è stato compiuto dal
Collettivo Comunista
Antonio Gramsci di Trento e Rovereto (TN) in un opuscolo pubblicato nel
2006.
La confutazione si basa sul presupposto che un aumento della
composizione
organica del capitale produca e non possa che produrre un aumento della
massa
del plusvalore e un aumento del saggio del profitto, cioè su un
modello della
realtà che esclude proprio la fonte della sovrapproduzione
assoluta di
capitale: la caduta tendenziale del saggio del profitto. Ovviamente chi
all’inizio del suo ragionamento nelle ipotesi di partenza esclude la
caduta tendenziale
del saggio del profitto, non può trovare alla fine del suo
ragionamento la
sovrapproduzione assoluta di capitale che è l’effetto di quello
che ha escluso
all’inizio di esso.
3. Il
consolidamento e il rafforzamento di un vero partito comunista, fondato
quindi
sul marxismo-leninismo-maoismo, è la chiave risolutiva della
situazione
attuale. È un abbaglio pensare di uscire dal marasma attuale e
instaurare il
socialismo senza la direzione di un simile partito. Ma un vero partito
comunista è possibile costruirlo solo nel fuoco della lotta di
classe. Solo
cercando, senza mai arrendersi alle difficoltà né farsi
travolgere dai propri
errori, di svolgere la propria funzione organizzativa e propagandistica
alla
testa delle masse popolari che si aprono una strada per uscire dal
marasma in
cui la borghesia ci ha condotti, i comunisti concretizzeranno la
propria
concezione, consolideranno la propria organizzazione e faranno di
questa il
vero partito d’avanguardia della classe operaia che lotta per
instaurare il
socialismo nel nostro paese e contribuire così alla nuova ondata
della
rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Chi traduce la
giusta
concezione che per fare la rivoluzione socialista è
indispensabile un vero
partito comunista, in un piano che prevede che prima si costruisce il
partito e
solo dopo questo svolge il suo compito nella lotta di classe, quindi in
sostanza oggi isola il lavoro interno (da fare prima) dal lavoro
esterno (da
fare dopo), alla linea del governo di Blocco Popolare obietta che la
questione
principale oggi è la costruzione di un vero partito comunista
(questa salvo
equivoci è ad esempio l’obiezione di Proletari Comunisti), non
arriverà mai a
costruire un vero partito comunista.
Manchette
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d’emergenza!
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Comunicato 14
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Il numero 30 di La Voce è disponibile sul sito
Internet
del Partito.
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Nessuna azienda deve essere chiusa! Nessun lavoratore
deve essere licenziato! ...
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Appello del (n)PCI a tutti i comunisti e a tutti gli
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Solidarietà con il popolo palestinese che resiste
all’occupazione sionista!
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protesta
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Che il nuovo anno sia l’anno dell’instaurazione nel
nostro paese di un governo di Blocco Popolare che ponga fine alla crisi!
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Comunicato 02/09 – 18 febbraio 2009
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