Sulla forma della rivoluzione
proletaria
Incominceremo dalla forma della
rivoluzione proletaria, dal modo in cui la classe operaia prepara e attua la
conquista del potere, da cui parte poi la trasformazione socialista della
società.(10)
Alla fine del secolo scorso, all’inizio
dell’epoca imperialista del capitalismo, i partiti socialdemocratici nei paesi
più avanzati avevano già compiuto la loro opera storica di costituire la classe
operaia come classe politicamente autonoma dalle altre. Avevano posto fine
all’epoca in cui molte persone di talento o inette, oneste o disoneste,
attratte dalla lotta per la libertà politica, dalla lotta contro il potere
assoluto dei re, della polizia e dei preti, non vedevano il contrasto fra gli
interessi della borghesia e quelli del proletariato. Costoro non concepivano
neanche lontanamente che gli operai potessero agire come una forza sociale
autonoma. I partiti socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui molti
sognatori, a volte geniali, pensavano che sarebbe bastato convincere i
governanti e le classi dominanti dell’ingiustizia e della precarietà
dell’ordine sociale esistente per stabilire con facilità sulla terra la pace e
il benessere universali. Essi sognavano di realizzare il socialismo senza lotta
della classe operaia contro la borghesia imperialista. I partiti
socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui quasi tutti i socialisti
e in generale gli amici della classe operaia vedevano nel proletariato solo una
piaga sociale e constatavano con spavento come, con lo sviluppo dell’industria,
si sviluppava anche questa piaga. Perciò pensavano al modo di frenare lo
sviluppo dell’industria e del proletariato, di fermare la “ruota della storia”.(11) Grazie alla direzione di Marx ed
Engels i partiti socialdemocratici avevano invece creato nei paesi più avanzati
un movimento politico, con alla testa la classe operaia, che riponeva le sue
fortune proprio nella crescita del proletariato e nella sua lotta per
l’instaurazione del socialismo e la trasformazione socialista dell’intera
società. Iniziava l’epoca della rivoluzione proletaria. (12) Il movimento politico della classe operaia era il
lato soggettivo, sovrastrutturale della maturazione delle condizioni della
rivoluzione proletaria, mentre il passaggio del capitalismo alla sua fase
imperialista ne era il lato oggettivo, strutturale.
La classe operaia aveva già compiuto
alcuni tentativi di impadronirsi del potere: in Francia nel 1848-50 (13) e nel 1871 con
Il processo della rivoluzione
socialista è complesso, ha le sue leggi, si svolge nel corso di un certo tempo.
Chi dice che la classe operaia non
può vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere,
sbaglia (i pessimisti e gli opportunisti sbagliano). I successi raggiunti dal
movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (1914-1949)
hanno confermato praticamente ciò che Marx ed Engels avevano dedotto
teoricamente dall’analisi della società borghese.
Chi dice che la classe operaia può
facilmente e in breve tempo vincere, rovesciare la borghesia imperialista e
prendere il potere, sbaglia (gli avventuristi sbagliano: da noi abbiamo visto
all’opera i soggettivisti e i militaristi). Le sconfitte subite dal movimento
comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (tra cui in Italia
quella del “biennio rosso” di cui ricorre quest’anno lo 80° anniversario), le
rovine prodotte dal revisionismo moderno dopo che negli anni ‘50 ha preso la
direzione del movimento comunista e la sconfitta subita in Italia dalle Brigate
Rosse all’inizio degli anni ‘80 hanno confermato praticamente anche questa
tesi.
La classe operaia può vincere,
rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, ma attraverso un
lungo periodo di apprendistato, di dure lotte, di lotte dei tipi più svariati e
di accumulazione di ogni genere di forze rivoluzionarie, nel corso del processo
di guerre civili e di guerre imperialiste che durante la crisi generale del
capitalismo sconvolgono il mondo fino a trasformarlo. Per condurre con successo
questa lotta, per ridurre gli errori che si compiono, bisogna capire la natura
del processo, le contraddizioni che lo determinano, le leggi secondo cui si
sviluppa.
Non per nostra scelta ma per le
caratteristiche proprie del capitalismo, il processo di sviluppo dell’umanità
si è posto in questi termini: o guerre tra masse popolari dirette da gruppi
imperialisti o guerre tra classe operaia e borghesia imperialista. È un dato di
fatto, un fatto a cui non possiamo sfuggire per forza dei nostri desideri o
della nostra volontà se non ponendo fine all’epoca dell’imperialismo; (17) è un fatto reso evidente dallo studio dei 100 anni
dell’epoca imperialista già trascorsi e dallo studio delle tendenze attuali
della società. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che nella
sua guerra contro la borghesia imperialista la classe operaia deve sfruttare le
contraddizioni tra gruppi imperialisti. I due tipi di guerre (la guerra della
classe operaia contro la borghesia imperialista e le guerre tra gruppi
imperialisti) in sostanza si sviluppano entrambi e si intrecciano. (18) Il problema è quale prevale. I comunisti devono
fare in modo che gli antagonisti nella guerra siano la classe operaia e la
borghesia imperialista in modo che alla sua conclusione la classe operaia possa
emergere come nuova classe dirigente, come la classe che ha vinto la guerra.
D’altra parte devono condurre la guerra in modo tale che i gruppi imperialisti
si azzuffino tra loro onde non uniscano e concentrino le loro forze, all’inizio
prevalenti, contro la classe operaia. Questo è un problema della relazione tra
strategia e tattica nella rivoluzione proletaria.
In contrasto con la tesi di Engels (che
la classe operaia può arrivare alla conquista del potere solo attraverso un
graduale accumulo delle forze rivoluzionarie), alcuni presentano la rivoluzione
russa del 1917 come un’insurrezione popolare (“assalto al Palazzo d’Inverno”)
nel corso della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In realtà
l’instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917 è stata preceduta
da un lavoro sistematico di accumulazione delle forze diretto dal partito che a
partire dal 1903 si era costituito come forza politica libera, che esisteva e
operava con continuità in vista della conquista del potere nonostante che
l’avversario mirasse a distruggerla e quindi come forza politica
indistruttibile dall’avversario; è stata preceduta dal lavoro più specifico
fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917 ed è stata seguita da una guerra civile
e contro l’aggressione imperialista conclusa nel 1921 e conclusa solo in un
certo senso perché lo sforzo della borghesia imperialista per soffocare
l’Unione Sovietica è proseguito nelle lunghe e molteplici manovre
antisovietiche degli anni ‘20 e ‘30 e nell’aggressione nazista del 1941-1945.
La rivoluzione russa del 1905 aveva avuto più la forma di un’esplosione
popolare non preceduta dall’accumulo delle forze attorno al partito comunista;
ma non a caso non aveva portato alla vittoria. (19)
Una conferma esemplare della giustezza
e della profondità della teoria di Engels è data dalla storia del “biennio
rosso” (1919-1920) in Italia. La mancata accumulazione delle forze
rivoluzionarie nel periodo precedente, la “insufficienza rivoluzionaria” del
PSI come venne chiamata, impedirono di trasformare in rivoluzione socialista la
mobilitazione delle masse che pure era in larga misura orientata dal PSI
(aderente alla Internazionale comunista) e dalla Rivoluzione d’Ottobre e nella
quale molti erano gli uomini che nel corso della Prima guerra mondiale, appena
finita, erano stati addestrati all’uso delle armi e alla guerra. Alcuni
sostengono che la colpa del mancato successo va attribuita ai capi riformisti
(Turati, Treves, Modigliani, D’Aragona, ecc.) presenti nel PSI e alla testa
della CGL. Altri sostengono che in generale mancarono i capi rivoluzionari.
Altri ancora sostengono che la mobilitazione delle masse non era
sufficientemente ampia e rivoluzionaria ... da poter fare a meno di capi. Il
fatto è che tutto il movimento socialista e sindacale italiano si era
sviluppato in tutti e solo in quei campi a cui i revisionisti e riformisti
anche teoricamente e nei fatti il grosso della maggior parte dei partiti della
Seconda internazionale riducevano il lavoro socialista e non aveva sviluppato
negli altri campi che grandi e generose aspirazioni e magniloquenti
dichiarazioni e programmi. Era un movimento capace di moltiplicare e migliorare
i voti nelle elezioni, il numero dei rappresentanti eletti, i periodici, le
cooperative, le organizzazioni sindacali, le associazioni culturali, ecc. ma incapace di avere anche un solo distaccamento di uomini
armati o alcuni degli altri strumenti di potere di cui la classe dominante si
avvale per il suo dominio e di cui tutela per legge il monopolio. Tutto
il movimento socialista e sindacale italiano era ricco di esperienze nelle
lotte rivendicative e nelle iniziative consentite dalla legge, ma incapace di
accumulare qualsiasi esperienza nei campi di cui la classe dominante si
riservava il monopolio. Esso fuoriusciva dai limiti delle leggi dello Stato
borghese solo per iniziative episodiche, estemporanee, istintive e
circoscritte, nei tumulti e negli scontri di piazza prodotti dall’indignazione
delle masse o dalle provocazioni delle forze della repressione, episodi che
coinvolgevano parti più o meno ampie del movimento socialista, ma a cui restava
estranea la sua direzione che così non veniva educata a svolgere il suo compito
specifico né sul piano strategico né sul piano tattico. I riformisti non
volevano la rivoluzione e cercavano di evitarla con tutte le loro forze e i
massimalisti (G. Menotti Serrati, ecc.) non sapevano cosa fare per passare
dalla rivendicazione alla rivoluzione e più volte si mostrarono disposti a
farsi da parte. Ma neanche i comunisti (Gramsci, Bordiga, Terracini, Tasca,
ecc.) sapevano cosa fare. Questi alimentavano e spingevano avanti il movimento
delle masse e chiedevano che “il partito”, che essi non dirigevano né
aspiravano a dirigere, desse il via a una rivoluzione di cui nessuno aveva mai
pensato e tanto meno sperimentato i passaggi attraverso i quali doveva
svolgersi e approntato gli strumenti. (20) Quando nella
riunione del 9-10 settembre
La mancanza di una accumulazione delle
forze rivoluzionarie, di un processo nel corso del quale la classe operaia
avesse preparato fino ad un certo punto già all’interno della società borghese
gli strumenti e le condizioni del suo potere, risalta evidente come causa della
sconfitta anche nelle rivoluzioni tedesca, austriaca, finlandese, ungherese del
1918-1919: rivoluzioni popolari che portano alla dissoluzione del vecchio
Stato, ma non portano all’instaurazione di un nuovo Stato fino a quando non lo
fa la borghesia. Lo stesso confermano le vicende delle altre acute crisi
politiche (Polonia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Turchia,
USA, Inghilterra, Francia, ecc.) che segnano la fine della Prima guerra
mondiale e gli anni immediatamente successivi.
Anche la successiva storia europea di
questo secolo conferma l’indicazione di Engels. Fondamentalmente è la storia
della guerra tra classe operaia e borghesia imperialista. Tutte le crisi
politiche borghesi e i contrasti tra gruppi e Stati imperialisti sono
condizionati da questa guerra sottostante. Ma i partiti comunisti non
affrontano la situazione in questi termini.
Negli anni ‘30 e ‘40 “Meglio Hitler che
i comunisti” fu la parola d’ordine dei gruppi imperialisti francesi di fronte
al sorgere del nazismo in Germania e alla sua espansione in Spagna, in
Cecoslovacchia, ecc. “Meglio Hitler che il bolscevismo”, “meglio i giapponesi
che i comunisti” fu la regola dei gruppi imperialisti inglesi e americani. Lo
schieramento degli “Stati democratici” (USA, Inghilterra, Francia) contro il
governo repubblicano durante la guerra civile spagnola (1936-1939) fu
determinato dallo stesso motivo. La borghesia imperialista infine, nonostante
la guerra in corso tra gruppi imperialisti, condusse
Se cerchiamo oggi una risposta alla
domanda: “Perché durante la prima crisi generale del capitalismo i partiti
comunisti dei paesi imperialisti non sono riusciti a guidare le masse popolari
fino alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo?”, la
risposta che ci viene dal bilancio dell’esperienza è: “Perché non compresero
che la forma della rivoluzione socialista era la guerra popolare rivoluzionaria
di lunga durata”. A causa di questa incomprensione essi o dispersero le loro
forze in insurrezioni sconfitte (Amburgo - ottobre 1923, Tallin - dicembre
1924, Canton - dicembre 1926, Shangai - ottobre 1926, febbraio 1927, marzo
1927) o subirono l’iniziativa della borghesia e le sue provocazioni (Germania
1919, Ungheria 1919, Italia 1920, Austria 1934, Asturie 1934) o ebbero una
linea incerta e contraddittoria (Germania 1933, Spagna 1936-1939).
I limiti dei partiti comunisti nei
paesi imperialisti durante la prima crisi generale (1910-1945) in sintesi si
riducono alla incomprensione della forma della rivoluzione socialista, a non
aver compreso (e tradotto in azione politica la comprensione) che la guerra
civile tra classe operaia e borghesia imperialista era la forma principale
assunta dalla lotta di classe in quegli anni. I partiti comunisti dei paesi
imperialisti non si posero mai su questo terreno come loro terreno strategico
principale, dal quale e in funzione del quale sviluppare tutto il loro lavoro,
anche quello pacifico e legale. Affrontarono con forza e con eroismo la
clandestinità e la guerra quando l’avversario le impose (in Italia e in
Jugoslavia nel
Il crollo dello Stato francese del
maggio-giugno 1940, la liquefazione di vari Stati nazionali davanti
all’avanzata di Hitler dopo il 1938 (Cecoslovacchia, Austria, Polonia, Belgio,
Olanda, Danimarca, Norvegia, Jugoslavia, Grecia, ecc.), il crollo del fascismo
nel luglio
Persino nel settembre
Facendo il bilancio dell’esperienza
della guerra civile spagnola (1936-1937), il Partito Comunista di Spagna (ricostruito)
è arrivato alla conclusione di “indicare la via della guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata come la via verso la quale conduceva
l’esperienza del PCE, ma che il PCE non scoprì”. E in questo limite, che il PCE
non riuscì a superare, il PCE(r) vede la causa principale della sconfitta delle
masse popolari spagnole.(23)
Perché il crollo di uno Stato porti
all’instaurazione della dittatura del proletariato occorre che essa sia
preceduta da un periodo di “accumulazione delle forze rivoluzionarie attorno al
partito comunista” e che il crollo dello Stato borghese avvenga nel corso di un
movimento diretto dal partito (l’avanzata dell’Armata Rossa in Europa Orientale
nel 1944-45;
Mao Tse-tung ha sviluppato in modo
approfondito gli aspetti universalmente validi dell’accumulazione delle forze
rivoluzionarie attorno al partito comunista nel partito stesso, nel fronte
delle classi rivoluzionarie e nelle forze armate rivoluzionarie e ha chiamato
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata questo processo in cui le forze
che il corso della vita sociale gradualmente suscita, vengono via via
raccolte dal partito comunista che le educa impiegandole nella lotta (secondo
il principio di “imparare a combattere combattendo”), le organizza, le unisce
in modo che crescano fino a prevalere sulle forze della borghesia imperialista.(24)
Mao ha studiato e indicato anche le
grandi fasi attraverso cui si sviluppa la guerra popolare rivoluzionaria di
lunga durata.
La fase della difensiva strategica: le
forze della borghesia sono preponderanti, le forze rivoluzionarie deboli; il
compito del partito è quello di raccogliere, addestrare e organizzare forze
impiegandole nella lotta evitando però di essere costretto a uno scontro
frontale e decisivo e mirare a preservare e accumulare le sue forze; la
borghesia cerca lo scontro risolutivo, il partito lo evita mantenendo
l’iniziativa sul piano tattico.
La fase dell’equilibrio strategico: le
forze rivoluzionarie hanno raggiunto le forze della borghesia imperialista.
La fase dell’offensiva strategica: le
forze rivoluzionarie hanno raggiunto la superiorità rispetto alle forze della
borghesia; il compito del partito è quello di lanciare le forze rivoluzionarie
all’attacco per eliminare definitivamente le forze della borghesia e prendere
il potere.
Ovviamente sta a noi comunisti italiani
trovare, con la riflessione e con la verifica nella pratica, i passaggi e le
leggi concrete della rivoluzione nel nostro paese. Ma noi troviamo illustrate
nelle opere di Mao Tse-tung le leggi universali della guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata, elaborate sulla base dell’esperienza della
prima ondata della rivoluzione proletaria e confermate dai vari episodi che la
compongono.
Il maoismo non è il marxismo-leninismo
applicato alla Cina o alle semicolonie o alle colonie e semicolonie. È la
terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo
(Marx-Engels) e il leninismo (Lenin-Stalin). Giustamente Stalin in Lezioni
sul leninismo (1924) aveva mostrato che il leninismo non era l’applicazione
del marxismo alla Russia o ai paesi arretrati, ma era il marxismo dell’epoca in
cui la rivoluzione proletaria incominciava. Non era più possibile essere
marxisti senza essere leninisti. Analogamente oggi non si può più essere
marxisti-leninisti senza essere maoisti: vorrebbe dire non tenere conto
dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, di cui
ovviamente Lenin non ha potuto fare il bilancio. Ma tutti i tentativi di
affermare il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista si
impantanano in discorsi e riflessioni fumosi se non poggiano sulla tesi che “la
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la forma universale della
rivoluzione proletaria”. Questa tesi emerge chiaramente dagli articoli Per
il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo e Sulla situazione rivoluzionaria
in sviluppo pubblicati in Rapporti Sociali n. 9/10 (1991) a cui
rimandiamo per alcuni sviluppi particolari.
Mao Tse-tung non ha criticato negli
anni ‘30 e ‘40 la concezione della rivoluzione proletaria prevalente nei
partiti comunisti dei paesi imperialisti, anzi ha indicato la loro linea di
“allargamento della democrazia” (per la quale rimandiamo all’affermazione di J.
Duclos sopra riportata) come linea normale nelle loro circostanze (salvo
criticare quei comunisti cinesi che volevano adottare anche in Cina la parola
d’ordine del PCF “Tutto attraverso il Fronte” negando così l’autonomia del
Partito comunista cinese nel Fronte antigiapponese). Ciò attiene allo stesso
ordine di questioni per cui Lenin ha difeso l’organizzazione strategica
clandestina del partito russo in nome della particolarità russa fino a quando
il crollo della Seconda internazionale nel 1914 dimostrò praticamente la
necessità universale di essa. Il marxista trae dalla pratica gli insegnamenti
che essa contiene, non inventa teorie. Le idee devono dar prova di sé nella
pratica, al negativo e al positivo, prima di poter essere rigettate le une e
valorizzate le altre. I partiti comunisti dei paesi imperialisti durante la
prima crisi generale del capitalismo hanno compiuto grandi opere, hanno
mobilitato grandi masse e hanno dato un contributo importante alla vittoria
contro il nazifascismo. Bisognava che i limiti di tutto questo grande lavoro
fossero mostrati dall’incapacità di valorizzare i frutti della vittoria sul
nazifascismo e di assumere il potere, perché essi potessero essere compresi e
criticati e la teoria maoista sulla forma universale della rivoluzione
proletaria assurgesse a parte del patrimonio teorico del movimento comunista.
La realtà dello svolgimento della
rivoluzione proletaria nel periodo 1914-
Ma allora forse che noi comunisti
dobbiamo proclamare una guerra che non esiste, per affermare nel corso di essa
la direzione della classe operaia? Quando noi diciamo che la crisi generale
attuale ha la sua soluzione nello scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e
mobilitazione reazionaria delle masse, noi diciamo che lo scontro tra le classi
e lo scontro tra i gruppi imperialisti si spostano sempre più sul terreno della
guerra. Oltre alle guerre dichiarate, è in corso una guerra non dichiarata tra
da una parte la borghesia imperialista che vuole e deve valorizzare il suo
capitale e che a questo fine deve schiacciare e torturare milioni di uomini e
donne e dall’altra le masse popolari che si difendono come possono e in ordine
sparso. La borghesia la combatte a suo modo, usando gli strumenti di cui
dispone (il denaro, le leggi “oggettive” dell’economia, i “normali” rapporti
sociali, l’autorità morale dei padroni e dei preti, la pressione delle
abitudini e della cultura corrente, le armi, i corpi ufficiali dello Stato, i
corpi extralegali, le istituzioni dello Stato, ecc.) per cacciare milioni di
uomini e donne nello stato di “esuberi”, per privare delle condizioni
elementari di vita - il cibo, la casa, il vestiario, l’istruzione, le cure
mediche, ecc. - milioni di uomini, per spogliare milioni di uomini di quanto
avevano conquistato, per stroncare i tentativi di emancipazione e di
organizzazione, per eliminare quei loro dirigenti che cercano di promuovere,
organizzare e dirigere la resistenza. A livello mondiale le vittime di questa
guerra diffusa e non dichiarata sono innumerevoli, maggiori di quelle di tutte
le guerre dichiarate che si svolgono nello stesso tempo, se è vero che solo i
morti per fame sono dell’ordine di 30 milioni all’anno. Anche nei ricchi paesi imperialisti
le vittime di questa guerra sono le migliaia di uomini e donne emarginati come
esuberi, distrutti moralmente e fisicamente, abbrutiti, depravati, prostituiti,
in mille modi angariati e umiliati. È la famosa “lotta di classe che non esiste
più” nelle interessate dichiarazioni della borghesia imperialista e dei suoi
portavoce. Una lotta che noi comunisti dobbiamo assumere come nostra,
riconoscere, scoprirne le leggi, attrezzarci per combatterla con successo
portando sul campo di battaglia le forze che il corso della vita sociale e lo
sviluppo stesso della lotta suscitano. A nostra volta dobbiamo combatterla a
nostro modo: in conformità alla classe che la deve dirigere, alle classi che la
devono combattere e da cui provengono le nostre forze, alle condizioni
complessive dei rapporti tra le classi del nostro campo e alle influenze
reciproche tra il nostro campo e il campo nemico.
Il problema quindi è di essere presenti
e protagonisti sul terreno di questa guerra, di non farsi sorprendere dagli
eventi, di orientare il nostro lavoro di oggi in vista di questo corso
inevitabile, di avere l’iniziativa in mano anche se il rapporto delle forze
oggi è largamente a favore dei nostri avversari e di capire le leggi
particolari di questa guerra (che non sono quelle della guerra in generale né
quelle delle guerre passate né quelle della guerra imperialista). Questo è il
terreno di scontro reale. Su questo terreno si decidono le sorti. In funzione
di questo terreno vanno condotte tutte le operazioni. Occorre stabilire una
giusta gerarchia strategica tra le nostre operazioni e poi di passaggio in
passaggio definire la gerarchia tattica. Non si tratta oggi principalmente di
propagandare la guerra, di convincere con la nostra propaganda la classe
operaia e le masse popolari a prepararsi alla guerra.
Non si tratta di “elevare la coscienza” delle masse con la nostra propaganda.
Si tratta principalmente di creare un partito che lavori e sia capace di
lavorare in funzione della guerra e che da questa posizione diriga e promuova
anche la lotta delle masse a favore della pace contro la guerra imperialista
verso cui la borghesia imperialista, con tutte le sue misure concrete, ci sta
trascinando anche se la teme e se ne ritrae, resa timorosa dalle esperienze
passate. Ovviamente per riuscire in questo compito bisogna tra l’altro che noi
impariamo a vedere che effettivamente la borghesia imperialista, con le sue
misure concrete in campo economico, politico e culturale, sta portando verso la
guerra imperialista (la mobilitazione reazionaria delle masse) e sta conducendo
una guerra di sterminio contro le masse popolari. Chi non vede questo
chiaramente, o ripiega su illusioni opportuniste e conciliatorie (“non ci sarà
alcuna guerra”) o “proclama lui la guerra” .
A scanso di equivoci e visti i
precedenti delle Brigate Rosse che dalla propaganda armata per riunire le
condizioni per la ricostruzione del partito comunista sono passate a una
“guerra dispiegata” che esisteva solo nella fantasia dei militaristi (dove
quindi si sono trovate sole, abbandonate dalle masse, fino alla disgregazione e
alla corruzione anche delle forze che avevano già accumulato), occorre dire che
la guerra, in quanto forma principale della rivoluzione proletaria, è una
guerra particolare, differente dalle guerre che l’umanità ha conosciuto nei
secoli precedenti. Essa è una guerra di tipo nuovo perché ha un obiettivo
diverso da tutte le guerre precedenti: la conquista da parte della classe
operaia della direzione delle masse popolari nella loro mobilitazione contro la
borghesia imperialista per l’instaurazione del potere della classe operaia e
del socialismo. Essa si svolge in forme sue proprie. La comprensione delle
forme particolari di questa guerra nel nostro paese, l’elaborazione e
l’applicazione di linee e metodi conformi ad esse e la sua direzione
costituiscono il compito specifico del nuovo partito comunista.