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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - luglio 2021

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La lotta tra due linee nel partito e la rinascita del movimento comunista

Le due linee e la lotta tra esse esistono in ogni partito comunista, anche se i comunisti non ne sono coscienti. Esse infatti derivano dalla dialettica proletariato-borghesia (le due classi, le due vie, le due linee), nuovo-vecchio, giusto-sbagliato (concreto di pensiero conforme o meno al concreto reale). La differenza apportata dal maoismo è che la sinistra è consapevole di questo fatto e dirige (si propone e cerca di dirigere) la lotta tra le due linee. In un partito comunista che non riconosce questo apporto del maoismo, le due linee esistono, ma la lotta tra di esse si svolge ‘alla cieca’.

Nella storia del movimento comunista, già a partire dall’epoca di Marx e di Engels, della Lega dei comunisti (1847-1850) e della I Internazionale (1864-1872), l’esistenza delle due linee e la lotta tra di esse sono un dato costante. Prima del maoismo, il principio non era riconosciuto. Quindi nel movimento comunista la lotta tra le due linee è stata condotta istintivamente, in modo più o meno fruttuoso a seconda dei periodi, dei partiti e del grado di assimilazione del materialismo dialettico da parte dei singoli compagni e partiti”(da Lotta tra due linee nel partito comunista, La Voce n. 35, luglio 2010).

La lotta tra le due linee è un principio indispensabile per i comunisti. È uno dei sei principali apporti del maoismo al patrimonio teorico del movimento comunista.(1) Tutti i partiti comunisti e il Movimento Comunista Internazionale (MCI) nel suo insieme hanno bisogno di adottarlo per accelerare la rinascita del movimento comunista e la costruzione di partiti comunisti adeguati ai compiti della fase. L’incomprensione di questo principio è uno dei limiti del vecchio movimento comunista.


1. Vedi La Voce n. 10, marzo 2002 e La Voce n. 41, luglio 2012.


La questione della lotta tra le due linee assume una particolare rilevanza per i comunisti in questa fase in cui

- la seconda crisi generale del capitalismo (accelerata anche dalla pandemia da Covid-19) procede senza sosta nel mondo intero, sconvolge la vita di miliardi di proletari e chiama i comunisti a elevare la loro comprensione del corso delle cose e ad affinare le loro armi nel campo della lotta teorica e nella pratica necessarie ad avanzare nella lotta per instaurare il socialismo,

- in tutto il mondo e in ogni paese sono in corso sforzi per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato,

- nei paesi socialisti costituitisi nel corso della prima ondata (1917-1976), come la Repubblica Popolare Cinese (RPC), la Repubblica di Cuba, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, la Repubblica Socialista del Vietnam, la Repubblica Democratica Popolare del Laos e altri paesi, che hanno mostrato al mondo anche a fronte della pandemia i vantaggi e la superiorità del socialismo e che attualmente sono nella seconda delle tre fasi (2), è in corso la lotta tra le due vie (avanzare nella costruzione del socialismo o restaurare pacificamente e gradualmente il capitalismo).


2. Vedi Le fasi attraversate dai paesi socialisti, pag. 87 del Manifesto Programma del (n)PCI.


Lotta tra due linee ed esperienza del primo PCI

Nel nostro paese il corso disastroso delle cose (crisi economica, sanitaria, ambientale e sociale) crea un vasto dibattito e iniziative per la costruzione o il rafforzamento del partito comunista. Le celebrazioni del centenario della fondazione del PCI di Gramsci, del centenario della fondazione del PCC di Mao Tse-tung, del 150 anniversario della Comune di Parigi (“il primo assalto al cielo”) li alimentano.

Dai bilanci fatti nell’ambito del centenario della fondazione del primo PCI da esponenti di partiti e organismi che si dichiarano comunisti e onestamente si propongono di dedicarsi all’instaurazione del socialismo, la domanda “perché in nessuno dei paesi imperialisti i partiti comunisti sono riusciti a instaurare il socialismo” non solo non ha risposta, ma nella maggior parte dei casi non viene neanche posta. Manca cioè la comprensione di un problema rilevante non solo per l’Italia, ma per il movimento comunista dei paesi imperialisti. Il centenario della fondazione del primo PCI è un’occasione preziosa per il dibattito su quale partito comunista serve e sull’esperienza del movimento comunista del nostro paese (insegnamenti che traiamo dalla sua gloriosa storia per i compiti dei comunisti di oggi). Il grosso dei documenti prodotti dai partiti e organismi che si dichiarano comunisti, in positivo hanno che non indicano la Bolognina e Occhetto come “inizio della fine” ma lo fanno risalire a Togliatti (propugnatore della linea dei revisionisti moderni per il nostro paese) e poi a Berlinguer (che ha eliminato nel PCI ogni riferimento alla lotta per il socialismo). In negativo hanno che collocano poco o per nulla l’esperienza del PCI nel quadro del movimento comunista dei paesi imperialisti, quindi non considerano il filo comune tra il PCI e i partiti comunisti anche solo della Francia, della Germania e della Spagna. Tra quelli che guardano non solo al nostro paese, ma anche al resto del movimento comunista dei paesi imperialisti, alcuni sostengono o almeno pensano che il movimento comunista cosciente e organizzato nel corso della prima crisi generale del capitalismo (1900-1945) non ha instaurato il socialismo in alcun paese imperialista e in definitiva la borghesia è riuscita a prevalere sul proletariato e a dare il via all’epoca di nera reazione, perché i partiti comunisti creati nell’ambito dell’Internazionale Comunisti erano diretti da gruppi “socialimperialisti” analoghi ai gruppi dirigenti dei partiti socialisti della II Internazionale (“i nuovi partiti comunisti derivati dai partiti della II Internazionale hanno solo una infarinatura di spirito rivoluzionario”, diceva Lenin). Nell’articolo Il socialimperialismo e l’aristocrazia operaia (La Città Futura n. 288 - 20 giugno 2020) Renato Caputo (RC) espone questa tesi in modo netto ed esemplare. Nel bilancio della storia fatto da RC è implicita la conclusione (che lui non trae esplicitamente) che la destra è onnipotente e che a sua volta la borghesia può prevalere sulla rivoluzione socialista: basta che sia in grado di fare concessioni a una frazione abbastanza importante dei proletari dei paesi imperialisti. Questa era la condizione in cui la borghesia imperialista si è trovata dopo il 1945, alla conclusione della seconda guerra mondiale (e infatti seguì il periodo del “capitalismo dal volto umano”, detto anche periodo dei “trent’anni gloriosi”): era quindi scontato che la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti era impossibile.

L’errore principale di RC consiste nel fatto che non prende in considerazione la lotta tra due linee (tra destra e sinistra) nel PCI e le rispettive caratteristiche. La direzione era di destra e quindi la vittoria della rivoluzione socialista era impossibile. Perché i partiti dei paesi imperialisti si sono trovati con una direzione di destra? Perché la borghesia aveva creato l’aristocrazia operaia. Così secondo RC sono andate le cose e non potevano che andare così. In realtà la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria si è esaurita perché (partito bolscevico a parte) 1. gli altri partiti della II Internazionale erano certo legati alla borghesia tramite i loro gruppi dirigenti e 2. i partiti comunisti che nei paesi imperialisti da essi si formarono sulla spinta dell’IC, avevano solo una “infarinatura di colore rivoluzionario”. Ma questo corso delle cose non era dovuto al fatto che la borghesia aveva creato un’aristocrazia operaia: nel corso della prima ondata il proletariato dei paesi imperialisti venne sottoposto a condizioni estreme di miseria e di guerra. Era dovuto ai limiti della sinistra di questi partiti (socialisti prima e comunisti poi) nella comprensione delle condizioni (crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale e sistema di controrivoluzione preventiva), della forma (guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata) e dei risultati della lotta di classe (tra borghesia e proletariato).


I comunisti e la lotta ideologica e politica

Il dibattito in corso tra partiti e organismi che si dichiarano comunisti è un avvio positivo da sostenere e incoraggiare. Chi andrà più a fondo usando il materialismo dialettico, ricaverà gli insegnamenti teorici e pratici necessari per avanzare. Il fatto che partiti e organismi presentano ancora oggi i limiti della sinistra del primo PCI e degli altri partiti comunisti dei paesi imperialisti che non è stata in grado di far fronte alla destra interna e impedire il prevalere della linea revisionista, conferma l’importanza che ha per noi comunisti della Carovana, per orientarci e agire in questa fase, avere fatto il bilancio dell’esperienza del movimento comunista della prima ondata (analisi della prima e seconda crisi generale, bilancio della prima ondata, ricostruzione della storia del primo PCI, dei due tentativi falliti di ricostruzione del partito comunista negli anni ’70 del secolo scorso - movimento m-l e Brigate Rosse -, ecc.) condotto alla luce del materialismo dialettico (il metodo dei comunisti per conoscere la realtà e per trasformarla) e del marxismo-leninismo-maoismo (la scienza del movimento comunista della nostra epoca). La sintesi del bilancio e dell’analisi è illustrata nel Manifesto Programma del (n)PCI che abbiamo dal 2008 messo a disposizione per il dibattito e la verifica dei comunisti che vogliono avanzare nella lotta per il socialismo.

In questi anni abbiamo più volte cercato di sviluppare a livello nazionale e internazionale un dibattito con organismi e partiti che si definiscono comunisti, abbiamo indicato I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale,(3) che attengono alla lotta in corso per instaurare il socialismo. Abbiamo cercato in diversi modi (articoli, comunicati, lettere personali) di stimolare un dibattito che entrasse nel merito delle questioni che noi ponevamo all’attenzione dei comunisti e siamo intervenuti sulle questioni che altri ponevano (come facciamo anche con questo articolo) perché siamo convinti, prendendo esempio dai dirigenti del movimento che ci hanno preceduti (Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao Tse-tung e Gramsci) che il dibattito franco e aperto tra comunisti è essenziale per il rafforzamento del movimento comunista. Spesso ci siamo trovati di fronte ad atteggiamenti che andavano dal far finta di nulla, alla tracotanza, al disprezzo e perfino alla denigrazione (invece di entrare nel merito di critiche e osservazioni che ponevamo, si preferiva diffondere sottobanco voci infamanti sulla Carovana del (n)PCI, come in uso nel PCI revisionista negli ’70 del secolo scorso contro esponenti e organismi alla sua sinistra).(4)


3. Il testo è reperibile al link http://www.nuovopci.it/scritti/i4temi/index.html.


4. Il PCI ha avuto un ruolo attivo nell’affiancare polizia, magistratura e padroni nella repressione e persecuzione dei comunisti negli anni ’70: sono rimaste famose le operazioni di schedatura e il lavoro da questurini nelle fabbriche (dalla schedatura fatta dal PCI di Torino sui presunti brigatisti alla diffusione ad arte di notizie infamanti sulle BR e altri gruppi: erano pagati o agli ordini di questo o quel servizio segreto straniero). Alcuni attuali esponenti del movimento comunista che sono stati attivi in queste operazioni (Marco Rizzo è un caso esemplare) continuano ad usare gli stessi sotterfugi invece di promuovere e praticare la vigilanza rivoluzionaria.

Noi siamo per promuovere dibattito franco e aperto su analisi del corso delle cose e linea d’azione, per l’unità d’azione e per la solidarietà di classe. Chi erige steccati e fa insinuazioni, lo chiamiamo a promuovere con serietà la vigilanza rivoluzionaria, denunciando apertamente infiltrati, provocatori, ecc. Muovere critiche aperte, precise e scientificamente fondate (ricordiamo cosa dice Lenin nel Che fare? ai fautori della critica?) ad analisi e tesi, invece di limitarsi a “cassare” analisi e tesi che o non si conoscono o sono volutamente deformate.


La lotta per il socialismo è impossibile senza il confronto franco e aperto (nel campo della teoria e della pratica) tra i comunisti. La lotta politica rivoluzionaria non è uno scambio di opinioni di pari dignità, un dibattito accademico che non riguarda la pratica o un dibattito per addetti ai lavori.

Perché il movimento comunista è debole e frammentato? Perché il dibattito in corso si ferma alla constatazione della debolezza del movimento comunista o all’esposizione di tesi e opinioni senza cercare di definire qual è la linea più avanzata sulla base dell’analisi concreta della situazione concreta applicando il materialismo dialettico? Perché nel movimento comunista fatica a svilupparsi un vero confronto franco e aperto sull’analisi della situazione e sui compiti dei comunisti? Perché tanti a parole dichiarano di voler costruire l’unità dei comunisti, sviluppare il confronto franco e aperto e la solidarietà reciproca, ma nella pratica fanno poco in questa direzione e ognuno è impegnato a (o infognato nel) coltivare il proprio orticello? Perché la critica di tesi e posizioni espresse in articoli e discorsi è vista più come un attacco (personale o al partito) che come contributo per andare più a fondo e come sforzo di applicazione della scienza comunista, come era in uso tra i comunisti che hanno fatto la storia del movimento comunista?

Noi della Carovana del (n)PCI ci siamo domandati più volte il perché di questa situazione e come invertirla, il perché di tanta diffidenza e disprezzo verso il dibattito teorico e l’analisi scientifica.

Noi siamo partiti, circa 40 anni fa, mettendo al centro la riflessione sulle cause della sconfitta subita negli anni ’70 e su cosa fare per risalire la china. In questo lavoro teorico e pratico abbiamo via via trovato delle risposte che illuminavano la nostra comprensione del perché avevamo subito una sonora sconfitta che ci aveva portati ad una situazione di debolezza senza precedenti e di cosa bisognava fare per avviare il percorso di rinascita del movimento comunista, che richiedeva comprendere e superare i limiti ed errori che erano la fonte delle sconfitte.

Studiando l’esperienza dei comunisti che ci hanno preceduto e riflettendo sulla nostra esperienza siamo arrivati alla conclusione che uno dei motivi della debolezza del movimento comunista era la scarsa comprensione del ruolo e dell’importanza che ha la lotta tra le due linee per individuare e superare i limiti e gli errori che avevano portato al declino del movimento comunista e poi alla frammentazione e dispersione delle forze comuniste. Il declino non era dovuto alla scarsa mobilitazione (combattività, spirito rivoluzionario) dei lavoratori e delle masse popolari, ma al basso livello intellettuale e morale dei comunisti, alla nostra insufficiente conoscenza della natura e origine della crisi in cui eravamo immersi e del contesto nazionale e internazionale in cui dovevamo operare.

In questo percorso abbiamo via via usufruito dell’elaborazione avviata da Gramsci sulle caratteristiche della rivoluzione socialista nel nostro paese e sulla trasformazione che devono compiere i comunisti dei paesi imperialisti. Nel 1923 Gramsci esaminava con acume perché i comunisti erano deboli ed erano stati inadeguati di fronte all’avanzata del fascismo.(5) La lezione di Gramsci è preziosa. Deve essere assimilata e tradotta in linea d’azione dai comunisti italiani ed è valida anche per i comunisti degli altri paesi imperialisti: le questioni che pone riguardano tutti noi e sono molto attuali. Solo assimilando e praticando questi insegnamenti riusciremo a superare l’attuale situazione. Per avanzare non alla cieca ma con scienza dobbiamo sviluppare la lotta ideologica e politica e l’unità d’azione tra gli organismi e i partiti che si dichiarano comunisti. “La lotta ideologica attiva è l’arma che assicura l’unità dei comunisti e la sinistra delle organizzazioni rivoluzionarie, ogni rivoluzionario deve impugnare quest’arma” ci insegna il compagno Mao Tse-tung (Contro il liberalismo, 1937).


5. Vedi Gramsci, Che fare?. Il testo è pubblicato integralmente a pag. 58 di questo numero della rivista ed è reperibile anche sul sito del (n)PCI al link http://www.nuovopci.it/classic/gramsci/letaredvocegiov.html.


Il principio della lotta tra due linee fa parte della scienza comunista e ci insegna che in ogni partito comunista (e di riflesso nel movimento comunista internazionale) esistono sempre due tendenze, una che spinge in avanti e una che frena. Esse sono l’effetto combinato della contraddizione di classe (dell’influenza della borghesia e della lotta contro di essa), della contraddizione tra il vero e il falso e della contraddizione tra il nuovo e il vecchio. In certi periodi le due tendenze sono complementari e contribuiscono entrambe al lavoro del partito. In altri periodi diventano antagoniste e incompatibili. La sinistra deve trasformare la destra. Se la destra risulta irriducibile, la deve espellere: il partito epurandosi si rafforza (Stalin).

La lotta tra due linee è la strada per comprendere e superare gli errori e i limiti (6) che hanno impedito ai comunisti di fare la rivoluzione socialista durante le tre crisi rivoluzionarie (Biennio rosso 1919-20, Resistenza 1943-47 e movimento degli anni ’70 del secolo scorso) che ci sono state nel nostro paese.


6. Per errore intendiamo l’applicazione sbagliata (o non applicazione) nel concreto di una linea generale e di una concezione giuste già definite, detto altrimenti: concezione e linea generale giuste e linea particolare e concreta (applicazione) sbagliata; per limite intendiamo la mancata elaborazione (la mancata comprensione) di un qualche aspetto “delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe” indispensabile per definire la giusta linea che si applica e si verifica nella pratica.


Ritornando agli organismi e partiti che si dichiarano comunisti e aspirano al socialismo, alcuni di essi oggi si afferrano al Partito Comunista Cinese (PCC) come partito marxista-leninista. A nostro parere ovviamente è bene che la RPC faccia fronte a USA-UE e che il PCC esalti il socialismo, ma la RPC è nella seconda delle tre fasi attraversate dai primi paesi socialisti: tentativo di restaurazione pacifica del capitalismo (vedi Risoluzione sulla storia del PCC 1949-1981, adottata il 27.06.1981 dal CC eletto dall’XI Congresso del 1977) e lotta tra due vie che imperversa. Ci pare che quelli che si afferrano al PCC e alla RPC (anche se non arrivano all’antistalinismo) non si basano sul ruolo che il PCC e la RPC svolgono nel movimento comunista mondiale, ma su quello che il PCC dice di sé e sugli studi sul marxismo in voga nelle accademie della RPC. Se fossero ai tempi di Kruscev o ai primi anni di Breznev, direbbero del PCUS e dell’URSS di allora quello che dicono del PCC e della RPC oggi.

Il superamento dei limiti ed errori della sinistra dei partiti comunisti, quelli che abbiamo individuato e quelli che individueremo proseguendo nel dibattito franco e aperto tra comunisti, nello studio dell’esperienza del movimento comunista e nell’esperienza della lotta di classe, è fondamentale per avanzare nella costruzione del partito comunista che serve (Stato Maggiore della classe operaia che lotta per il potere) a fare la rivoluzione socialista. Sono benvenute e auspicate critiche o rilievi articolati su questi e altri aspetti della concezione e della linea del (n)PCI perché è la strada per raggiungere una superiore comprensione delle condizioni della nostra lotta e una superiore unità. Le due linee e la lotta tra due linee riguardano di fase in fase il compito che il partito deve svolgere e quale linea il partito deve seguire. Quindi esse sorgono quando il partito si trova di fronte a compiti e problemi nuovi, riguardano il compito e il problema all’ordine del giorno e hanno la loro soluzione definitiva nella verifica pratica. In definitiva è la pratica che dà la prova di cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è conforme agli interessi del proletariato e della rivoluzione e cosa è conforme agli interessi della borghesia e della conservazione del capitalismo.

Sergio F.