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  Lavoro esterno

Per la crisi attuale la soluzione è solo politica!

 

Le OO e le OP devono costituire un governo d’emergenza che faccia fronte alla crisi!

I comunisti devono essere i promotori della costituzione del Governo di Blocco Popolare!

 

Oggi la nostra forza principale è la forza dei nostri argomenti. Tutti quelli che non accetteranno di subire la crisi, faranno quello che noi diciamo perché quella che noi indichiamo è l’unica via per far fronte alla crisi. L’unica via realistica, alternativa alla costituzione del GBP, è la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

La lotta perché le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari costituiscano un governo d’emergenza è sempre più l’aspetto centrale della nostra attività politica, del lavoro esterno del Partito.

Il nostro Partito oggi ha due obiettivi:

1. accumulare forze rivoluzionarie (rafforzare il Nuovo Potere),

2. creare le condizioni perché le OO e le OP costituiscano un governo d’emergenza con il programma di far fronte alla crisi del capitalismo (“le sei misure generali”), quello che chiamiamo Governo di Blocco Popolare (GBP).

 

Dei due obiettivi, il primo è quello dirigente, strategico: quello che orienta tutta la nostra attività. È l’obiettivo della intera prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che stiamo conducendo, che è la nostra strategia per instaurare il socialismo in Italia e contribuire così alla rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo (MP pag. 203).

Ma il secondo obiettivo è oggi quello principale, quello in cui impieghiamo il grosso delle nostre forze. Perché è realizzando questo obiettivo che la rivoluzione socialista avanza e perché è perseguendo questo obiettivo che raccogliamo nuove forze e miglioriamo qualitativamente le forze che già abbiamo: quindi realizziamo il primo obiettivo.

Non tutti quelli che hanno capito che la crisi attuale per sua natura ammette solo soluzioni politiche, non tutti quelli che sono favorevoli alla costituzione di un governo d’emergenza che abbia come suo programma “le sei misure generali” da noi indicate, non tutti quelli che lottano perché le OO e le OP costituiscano un simile governo, sono comunisti.

Ma ogni comunista deve lottare perché le OO e le OP costituiscano un governo d’emergenza con il programma di far fronte alla crisi del capitalismo. Chi non lotta per questo obiettivo non può far parte del nuovo Partito comunista italiano. Ogni comunista deve essere all’avanguardia nella lotta per la costituzione del GBP. Ogni proposito di diventare un buon comunista prescindendo da questa lotta porta fuori strada, è indice di una deviazione metafisica, idealista: infatti essere comunisti non è aderire a una teoria e nemmeno aderire a una setta che la professa, ma applicare la concezione comunista e costruire il nuovo mondo. Noi dobbiamo conoscere il mondo, ma per trasformarlo.

Noi reclutiamo principalmente tra gli operai e gli altri esponenti delle masse popolari conquistati all’obiettivo di mobilitare le OO e le OP a costituire un loro governo d’emergenza per far fronte alla crisi.

 

La nostra attività per promuovere la costituzione del GBP, per indurre le OO e le OP a costituire un loro governo d’emergenza, si dispiega su due terreni:

1. la propaganda,

2. il lavoro pratico, organizzativo con le OO e le OP.

 

1. La propaganda per promuovere la costituzione del GBP

Oggi la grande maggioranza delle OO e delle OP propongono e avanzano rivendicazioni, sono organizzazioni rivendicative, sono componenti di un movimento rivendicativo. Chiedono al governo in carica, alle autorità, ai padroni, agli “altri” di fare questo o quello. Ognuna recluta sulla base delle rivendicazioni che sostiene. Mobilita per ottenere che qualcuno soddisfi le sue rivendicazioni.

Però già oggi molte OO e OP incontrano difficoltà a reclutare e a mobilitare, benché le loro rivendicazioni corrispondano a interessi ben definiti delle masse popolari e il corso della cose leda sempre più gravemente questi interessi. Le campagne di mobilitazioni puramente rivendicative perdono di partecipazione man mano che viene meno la fiducia di ottenere risultati. Le organizzazioni che si limitano a una attività rivendicativa, sempre più subiscono l’iniziativa del nemico, sono sulla difensiva e sono messe con le spalle al muro. È la situazione in cui si è trovata la FIOM a Pomigliano. Qui sta la contraddizione promotrice della trasformazione delle attuali organizzazioni puramente rivendicative in organizzazioni che costituiranno il GBP.

 

Questa trasformazione avviene sia attraverso un percorso consapevole, un elevamento della coscienza, sia attraverso un percorso per così dire spontaneo. Il primo percorso è alimentato dalla nostra propaganda e dal bilancio dell’esperienza che essa e le circostanze della lotta generano nelle stesse OO e OP e nei loro esponenti più avanzati.

 

Quale è l’oggetto della nostra propaganda?

 

Noi dobbiamo spiegare che nessun governo padronale, nessun governo designato dal Vaticano, dalle Organizzazioni Criminali, dalla Confindustria, dagli imperialisti USA, dai gruppi sionisti e dagli altri minori padrini dei governi della Repubblica Pontificia, nessuna autorità della Repubblica Pontificia, nessun governo di gradimento di questa gente, nessun padrone può porre fine alla crisi.

Perché la crisi attuale supera l’ambito delle forze di quella gente, di quello che dipende dalla loro volontà, dalle loro decisioni, dalla loro coscienza. Perché la crisi attuale nasce proprio da attività che per i padroni, per i loro governi e per le loro autorità sono normali, naturali e doverose: usare i soldi per fare altri soldi, usare le aziende per arricchirsi, fare un’attività solo se rende, chiudere le aziende che non danno profitti, trasferire le aziende dove possono saccheggiare di più l’ambiente e sfruttare di più i lavoratori, aprire aziende dove possono fare profitti maggiori, far lavorare il più possibile gli operai e pagarli il meno possibile. Marchionne per la borghesia è diventato “un eroe dei nostri tempi”: basta considerare le sue attività e le sue pretese per aver chiaro di cosa parliamo. Chiedere che i padroni pongano fine alla crisi è come chiedere alle puzzole di non puzzare, chiedere a ladri e rapinatori di proteggere un tesoro. Chiedere al governo di criminali, fascisti, ladri e clericali della banda Berlusconi “un impegno straordinario triennale per creare posti di lavoro”, come ha fatto Epifani a conclusione del 16° Congresso della CGIL, è menare i lavoratori per il naso: i posti di lavoro dobbiamo crearli noi, costituendo un governo d’emergenza.

 

Dobbiamo spiegare che porre rimedio anche solo agli effetti più gravi della crisi (come tenere in attività Pomigliano, Termini Imerese, le mille aziende che i padroni minacciano di chiusura, ridimensionamento o delocalizzazione) richiede una serie di provvedimenti concatenati e coerenti, una mobilitazione di persone e di risorse tale che la può fare solo un governo d’emergenza, costituito appositamente e animato da una volontà di finalizzare tutta la vita del paese all’obiettivo principale, deciso per realizzarlo a passar sopra sistematicamente anche agli interessi dei ricchi e del clero, alle loro abitudini, a relazioni che sono per loro naturali perché in effetti corrispondono alla loro natura e al sistema di relazioni sociali che ereditiamo dalla storia ma che oramai soffoca l’umanità. Può essere un governo che la borghesia e il clero tollerano temporaneamente per causa di forza maggiore. Non può essere un governo che gode della loro fiducia, che nasce per il loro gradimento e tanto meno per loro iniziativa.

Il sistema imperialista mondiale ha portato tutta l’umanità, e il nostro paese tra i tanti, in una situazione disastrosa. Per farci fronte occorre una volontà e una forza che i padroni e i loro governi non hanno. Ci vuole un governo deciso a fare, tutte insieme e ben combinate tra loro, cose che i padroni e i loro governi al massimo fanno una a una e solo con difficoltà (è evidente quando adottano ammortizzatori sociali), solo saltuariamente, quando sono tirati per i capelli, quando non ne possono fare a meno, che fanno il meno possibile e che smettono di fare appena possibile. Come il governo Obama che si occupa delle imprese petrolifere solo dopo che la marea nera provocata dalla loro incuria ha invaso il Golfo del Messico.

Occorre un governo che abbia autorità presso la massa della popolazione e la forza anzitutto morale ma anche materiale di farsi ascoltare da tutti e obbedire anche da signori e preti abituati a fare i comodi loro, che sia in condizioni di raccogliere la volontà e sintetizzare l’iniziativa di una vasta massa della popolazione, di tradurle in provvedimenti governativi, politici e di mobilitare la massa della popolazione ad attuarli.

Ci vuole un governo che è forte perché le stesse OO e OP lo appoggiano e agiscono come suoi agenti locali.

Cosa vuol dire concretamente?

Che le OO e le OP, quelle che oggi già esistono numerose e quelle che si formeranno man mano che il movimento per creare un governo di emergenza diventerà obiettivo diffuso tra le masse popolari in ogni angolo del paese, assumeranno il compito di

1. proporre caso per caso quali provvedimenti particolari e concreti il GBP deve prendere in quel momento per realizzare nel caso particolare e concreto le sei misure generali,

2. vigilare che i funzionari dell’Amministrazione Pubblica applichino lealmente, prontamente e senza riserve i provvedimenti che il GBP ha preso e intervenire ad applicarli direttamente se i funzionari recalcitrano,

3. stroncare senza esitazioni e con fermezza ogni manovra che i gruppi e personaggi più reazionari e più criminali certamente metteranno in opera per boicottare e sabotare l’attività del GBP.

Certo, anche oggi i lavoratori riescono a indurre i padroni, il loro governo e le loro autorità a soddisfare qui una rivendicazione, là un’altra. Dobbiamo anzi farlo in ogni caso in cui abbiamo la forza sufficiente per imporci. Riusciremo a farlo tanto più quanto più vasto e forte crescerà il movimento per instaurare un governo d’emergenza. Basta mettere loro abbastanza paura, con manifestazioni, proteste, scioperi, minacce, passando a vie di fatto, non tollerando che impediscano alle masse popolari di usare i prodotti disponibili per soddisfare bisogni universalmente riconosciuti, mobilitando le masse a prendere quello di cui hanno bisogno (spese proletarie, occupazioni di case, invasioni di società di riscossione, ecc.), imponendo direttamente tutto quello che abbiamo la forza di imporre. Tutto quello che è conforme agli interessi delle masse popolari è legittimo, anche se è vietato dalle leggi che la Repubblica Pontificia ci ha imposto, quelle che la banda Berlusconi peggiora di giorno in giorno per strozzarci ogni giorno un po’ più. Ma i padroni, il loro governo, ogni loro autorità in ogni caso faranno il meno possibile, smetteranno appena allentiamo la pressione. Alcune rivendicazioni i padroni addirittura le rivolteranno contro di noi, le useranno per mettere una parte delle masse popolari contro un’altra. Cosa facilissima perché l’ordinamento borghese è fatto di interessi contrapposti e ogni volta che si modifica isolatamente un’attività, si lede l’interesse costituito di qualcuno. In una società borghese, perfino ridurre i morti, fa star male gli addetti alle pompe funebri; ridurre gli ammalati, fa star male gli infermieri e i dottori!

 

Dobbiamo spiegare che un paese non può vivere a lungo e su grande scala di ammortizzatori sociali. È un argomento che abbiamo già ampiamente illustrato su La Voce, nel n. 34 dello scorso marzo. Rimandiamo i nostri lettori all’articolo di Umberto C. La lotta per strappare ammortizzatori sociali è inseparabile dalla lotta per costituire il Governo di Blocco Popolare e a quello di Ernesto V. Capacità del sistema monetario mondiale, pagg. 31-38.

 

Dobbiamo spiegare che la crisi in corso non è una crisi ciclica, una di quelle crisi che hanno cominciato a manifestarsi più di due secoli fa, già nel secolo XVIII, quando il capitalismo aveva esteso la produzione mercantile tanto da renderla l’attività produttiva principale in intere regioni e paesi. Non è cioè una di quelle crisi che sono determinate dal carattere per sua natura anarchico della società borghese: un sistema produttivo in cui da una parte tutti i suoi attori dipendono l’uno dall’altro per l’acquisto e la vendita di merci, ma, in antitesi con questo, ognuno agisce come se fosse indipendente dagli altri e tutti agiscono senza alcuna intesa tra loro su cosa ognuno deve produrre, come, quando e per chi.

Quelle crisi erano un prodotto della contraddizione tra la natura collettiva della società borghese (persone e aziende che dipendono l’una dall’altra per la loro attività produttiva) e il carattere privato dell’iniziativa economica e della proprietà dei mezzi di produzione (persone e aziende che si considerano indipendenti l’una dall’altra). Il carattere anarchico beninteso continua a esserci, anzi viene accentuato dalle privatizzazioni, dalla abolizione di quelli che per i padroni sono lacci e laccioli che limitano la loro libertà d’iniziativa (la campagna di Tremonti e Marcegaglia per abolire l’articolo 41 della Costituzione è un caso esemplare di quello di cui parliamo). Il carattere anarchico della società borghese fa sì che anche nella crisi generale in corso, gli affari procedono tra alti e bassi, a zig zag. Per cui ogni tanto con qualche argomento reale il Berlusconi di turno annuncia che la crisi è finita perché gli affari vanno meglio rispetto al mese, al trimestre o all’anno precedente. Il sistema economico moderno inoltre è abbastanza variegato e frammentato, e i rilievi statistici abbastanza esposti a manipolazione di vario genere, che senza mentire chi vuole può sempre trovare un indice che “prova” che le cose vanno meglio: se l’occupazione e i redditi scendono, i discount vendono di più, quindi l’indice delle loro vendite segna buon tempo!

No, la crisi attuale non è una crisi ciclica, non è una crisi che “prima o poi finisce da sola, come da sola è arrivata”. Finirà quando e come ci porremo fine noi e solo se ci porremo fine noi: se no ci distruggerà.

In realtà persino molte delle misure prese dalle autorità per colmare un buco che sta a cuore dei loro padrini e mandanti, aprono altri buchi e aggravano la crisi. Considerate la manovra finanziaria appena disposta da Tremonti: per ridurre la differenza tra entrate e uscite annue dello Stato e così sottrarre l’Amministrazione Pubblica alle pretese degli speculatori senza però eliminare la loro libertà di speculare, taglia posti di lavoro, pensioni e servizi. Quindi riduce la domanda di merci, mentre d’altra parte mille esponenti della borghesia e lo stesso Tremonti auspicano e invocano l’aumento della domanda, l’aumento delle esportazioni, la diminuzione delle importazioni!

 

Spesso, e giustamente, noi denunciamo che le autorità tolgono soldi ai lavoratori, tagliano spese per servizi destinati alle masse popolari (scuola, asili, assistenza sanitaria, viabilità e trasporti normali, ecc.), aumentano spese a carico delle masse popolari (trasporti, autostrade, benzina, IVA, multe e tasse), invece di prendere i soldi ai ricchi. Addirittura spesso tolgono soldi ai lavoratori che li spenderebbero e li danno ai ricchi che li accumulano: quindi riducono la domanda di merci. Questo è quello che effettivamente fanno le autorità della Repubblica Pontificia. Giustamente lo denunciamo perché questa condotta mostra che le autorità della Repubblica Pontificia sono al servizio dei ricchi, del clero, dei capitalisti. Ma, a differenza degli economicisti e della sinistra borghese, noi dobbiamo fare queste denunce in modo da non far credere e neanche lasciar pensare che se le autorità i soldi li prendessero dalle tasche dei ricchi e li distribuissero ai lavoratori (azioni che in un caso o nell’altro riusciamo persino a fargli fare, se adoperiamo metodi convincenti e dobbiamo farlo ogni volta che riusciamo a raccogliere le forze necessarie per imporglielo) porrebbero fine alla crisi, invertirebbero stabilmente e su scala generale il corso delle cose. Chi ha una mentalità borghese e non riesce a superare con le idee l’orizzonte delle relazioni borghesi, il superficiale che non va a fondo nella scoperta dell’origine della situazione attuale, è portato facilmente a pensare: “Non si spende abbastanza? Basta dare più soldi a chi li spende”. Ma la società borghese non funziona così. Non funziona per soddisfare i bisogni della massa della popolazione: sono i capitalisti che devono essere soddisfatti perché è da loro che dipende ogni iniziativa economica. Chi ha una visione comunista del mondo, lo capisce bene: condizione indispensabile perché la società borghese funzioni, non è che la massa della popolazione sia soddisfatta, ma che i capitalisti facciano alti profitti. La crisi in corso non la si elimina accrescendo la domanda delle masse popolari, con misure che gli economisti chiamano keynesiane in memoria dell’economista inglese J.M. Keynes (1883-1946) che autorevolmente aveva formulato proposte simili di fronte alla crisi di 80 anni fa.

La crisi attuale è la fase terminale della crisi generale iniziata grossomodo a metà degli anni ’70 proprio perché già allora il capitale accumulato era oramai troppo perché, facendo produrre e vendendo merci, i capitalisti riuscissero a valorizzarlo tutto (“valorizzare il capitale” vuol dire farlo crescere, usarlo per produrre profitti). Anche per questo tema rimandiamo i nostri lettori a La Voce n. 34, all’articolo di Nicola P. L’interpretazione della natura della crisi in corso decide dell’attività dei partiti comunisti, pag. 26-30.

In realtà la crisi del capitalismo compie il suo corso e si aggrava irresistibilmente. Il numero di disoccupati, di lavoratori precari, di emarginati, di proletari che vivono di espedienti, di sussidi pubblici o privati e della solidarietà di altri lavoratori familiari e no, di proletari che arrivano a gesti folli o disperati, cresce continuamente in tutti i paesi imperialisti. La riduzione di reddito per i salariati, i pensionati e i lavoratori autonomi, l’aumento del costo della vita, la riduzione dei diritti, l’insicurezza, le difficoltà ad assicurare a sé e alla famiglia assistenza sanitaria e istruzione, l’abbassamento del livello di vita e altre ristrettezze, le preoccupazioni per il domani, il diffuso marasma intellettuale e morale, l’inquinamento e le “calamità naturali”, rendono via via più difficile la vita di una parte crescente della popolazione.

La manovra finanziaria di Tremonti, il ricatto che Marchionne fa gravare sugli operai di Pomigliano e della Campania, la condanna che Marchionne e il governo Berlusconi hanno pronunciato contro gli operai di Termini Imerese e della Sicilia, sono manifestazioni esemplari della crisi che si aggrava.

Dal 2008 a questa parte nella crisi del capitalismo oramai si combinano permanentemente crisi economica e crisi finanziaria. Consideriamo separatamente da una parte il capitale accumulato e dall’altra l’insieme delle attività in cui i capitalisti impiegano lavoratori salariati per valorizzare il loro capitale producendo merci (beni e servizi), detta anche “economia reale”. Orbene è grossomodo a partire dalla metà degli anni 70 del secolo scorso che queste due grandezze non crescono più di pari passo: il capitale accumulato cresce sistematicamente in maniera molto più rapida dell’insieme delle attività produttive.

Come è proprio della natura del capitalismo, l’economia reale ha continuato a procedere tra alti e bassi, accelerando e frenando. Questo procedere a zig zag è un tratto tipico e permanente dell’economia capitalista in tutti i paesi, da quando essa è diventata la parte predominante delle attività produttive. Deriva dal carattere anarchico della società borghese. Il procedere a zig zag, le oscillazioni tra alti e bassi è quanto resta nelle società imperialiste delle crisi cicliche delle società capitaliste, quando ancora predominava la concorrenza tra molti capitalisti indipendenti. Le crisi cicliche che Marx ha analizzato, descritto e spiegato nel I libro di Il capitale. Solo che nelle società imperialiste le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale hanno ridotto l’ampiezza delle loro oscillazioni e le crisi cicliche sono diventate più frequenti, succedono l’una all’altra a una cadenza meno regolare e sono spesso sfasate da un paese all’altro. (1)

Ma il tratto caratteristico più importante dell’economia reale lungo questi decenni non è più stato il fatto che procedeva tra alti e bassi. È stato il fatto che l’economia reale è stata tenuta in piedi in misura crescente dalle operazioni finanziarie, dalla speculazione, dalle bolle speculative, dalla spesa pubblica, dall’indebitamento privato, dagli investimenti connessi con la globalizzazione, la privatizzazione, la delocalizzazione, la esternalizzazione: cioè da investimenti tesi principalmente ad aumentare il plusvalore relativo, non ad aumentare la quantità prodotta.

A sua volta il capitale finanziario, divenuto gran parte del capitale accumulato, ha raggiunto dimensioni tali che la sua crisi è diventata cronica. Oramai le procedure seguite da finanzieri e speculatori per valorizzare il capitale finanziario determinano uno stato convulsivo cronico delle istituzioni finanziarie, delle istituzioni monetarie e delle relazioni che legano queste tra loro. Lo sconvolgimento sistematico delle istituzioni finanziarie e monetarie e delle rispettive relazioni si riversano nell’economia reale. Per motivi interni al meccanismo messo in essere dal capitale finanziario, la crisi finanziaria del 2008 ha cambiato il ruolo che il capitale finanziario dagli anni ’70 in qua aveva svolto rispetto all’economia reale. A partire dal 2008 il capitale finanziario è diventato un fattore che, anziché impedire il collasso dell’economia reale, lo favorisce. La combinazione di queste due crisi, della crisi finanziaria e della crisi economica, caratterizza la fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo, che ha la sua fonte originaria nella sovrapproduzione di capitale. Per questo non è vero che l’attuale crisi “comunque prima o poi finirà da sé, misteriosamente come è comparsa”. È un’illusione crederlo. Un’illusione in cui si cullano ingenui e disperati e quelli che rifuggono dall’azione. Una delle illusioni che la classe dominante alimenta.

Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, se ne vogliamo uscire. Altrimenti si mena il can per l’aia e si resterà travolti dagli avvenimenti che altri determineranno.

 

Questa crisi non è una cosa misteriosa: è quello che può fare il capitale finanziario che domina l’economia reale che a sua volta, nella società borghese moderna, da oltre cento anni a questa parte, oramai non può fare a meno del capitale finanziario. I progetti di ritornare a una economia capitalista senza capitale finanziario non sono che utopie reazionarie, usate persino da gruppi fascisti per abbindolare persone arretrate e oppresse. Forza Nuova organizza manifestazioni pubbliche “contro l’Europa delle banche”.

L’umanità non è diretta da un dio misterioso. È dominata da una classe di finanzieri, banchieri e speculatori (spesso la stessa persona è tutte e tre le cose) a cui sono subordinati i capitalisti imprenditori (industriali, produttori di merci (beni e servizi) che spesso sono personalmente anche finanzieri e speculatori - vedi gli Agnelli e la storia della FIAT negli ultimi 30 anni) e dalla corte di preti, ricchi ed esponenti della criminalità organizzata che sguazza attorno a questa classe e la serve in varie mansioni. Questo è il loro mondo e la loro civiltà. Il corso della cose che subiamo è quello che corrisponde alla loro direzione, alle loro abitudini, alle loro relazioni, agli imperativi della loro natura. Essi non concepiscono altro mondo all’infuori di questo. Chi vuole abolire questo mondo, per questo solo fatto per loro è un matto o un terrorista.

Da parte delle masse popolari, cioè di quei loro esponenti che più o meno professionalmente riflettono sulla situazione e hanno un pubblico (chiamiamoli genericamente intellettuali), è inutile continuare a dirsi l’un l’altro che bisogna avere una prospettiva, che bisogna indicare una prospettiva. La prospettiva c’è ed è una sola: è il socialismo.

La borghesia e il clero vi si oppongono con le unghie e con i denti: non la vogliono, lede i loro interessi e la loro concezione del mondo, è contro la loro natura. Gli esponenti della sinistra non comunista o addirittura francamente anticomunista a forza di non osare contravvenire al “pensiero unico”, esporre e proclamare quella prospettiva, non riescono neanche più a concepirla.

Molti intellettuali semplicemente sono oramai corrotti moralmente e intellettualmente dal lungo periodo di soggezione al revisionismo moderno e alla sinistra borghese. A forza di non assumersi le loro responsabilità sociali, cioè l’impegno di promuovere, organizzare e dirigere i lavoratori organizzati a realizzare il socialismo che pure proclamavano, sono ridotti a parlarne ognuno solo quando a lui garba e infine anche a immaginarselo ognuno come a lui garba.

Altri sono spaventati dalle difficoltà del socialismo che sono emerse nell’esperienza dei primi paesi socialisti. Non hanno ancora capito (e forse non capiranno mai più) che erano i problemi del nuovo ordine delle cose, i problemi particolari o concreti che l’umanità deve imparare ad affrontare per instaurare un nuovo sistema sociale e farlo progredire: gli uomini non possono vivere diversamente restando intellettualmente e moralmente quelli di prima. Ma non possono neanche trasformarsi prima di incominciare a vivere diversamente. Le due trasformazioni si combinano contraddittoriamente. Dobbiamo imparare a trattare bene questa nuova contraddizione. Il nuovo mondo deve via via imparare a svolgersi sulla sua propria base, cioè comprendendo e risolvendo i suoi propri problemi, man mano che viene meno il suo ruolo di base rossa della rivoluzione perché questa si è estesa a tutto il mondo. Noi comunisti dobbiamo da subito smettere di pensarlo confrontandolo con il vecchio mondo e di trattarlo con i criteri sviluppati per questo. Non è possibile comprendere ne trattare un essere superiore con le categorie di un essere inferiore, ragionare del socialismo con le categorie del capitalismo.

Nella nostre condizioni oggi il primo passo su questa strada, che non richiede ancora una radicale trasformazione della concezione del mondo, ma solo iniziative di lotta dettate dal buon senso e dalle necessità immediate, è “promuovere la costituzione di un governo d’emergenza che prenda misure d’emergenza adatte alla situazione (GBP e Sei misure)”. Al di fuori di questo non c’è che l’agitarsi a vuoto e essere travolti nel si salvi chi può della mobilitazione reazionaria o essere coinvolti e trascinati da chi promuove la costituzione del GBP.

 

Bisogna assimilare questa visione del corso delle cose e bisogna in ogni ambiente popolare propagandare le parole d’ordine e la linea politica che ne conseguono. Ma partendo, in ogni situazione e per ogni gruppo, organismo e individuo, dal suo interno anziché dal nostro interno, dalle sue problematiche ed esperienze anziché dalle nostre. Un dirigente è tale perché non si fa portavoce delle sue idee, ma delle idee del gruppo che dirige, forma il gruppo che dirige a una concezione che egli estrae dalla condizione sociale in cui il gruppo è posto e in cui è coinvolto, una concezione attuando la quale il gruppo “si realizza”.

Piangere sulla situazione in cui la borghesia e il clero ci hanno ridotti, non serve a niente. Possiamo uscirne. Il compito di ogni comunista è mobilitare le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari a costituire un governo di emergenza e tramite questo andare verso l’instaurazione del socialismo.

 

Tutte queste cose devono entrare a far parte della nostra propaganda. Ogni nostro propagandista deve conoscerle, deve impratichirsi di esse, capirle bene fino a riuscire a leggerne autonomamente la conferma nelle notizie correnti dei giornali e della TV, nei fatti che avvengono attorno a lui e al suo pubblico. Deve diventare capace di sgomberare le teste dei suoi interlocutori dalle panzane che gli apologeti della borghesia, giornalisti, preti e professori, spandono in lungo e in largo per alimentare speranze senza fondamento, per impedire la concentrazione delle volontà nell’azione, se non altro per confondere quando e chi non riescono a convincere. La realtà, le notizie correnti, ciò che passa sotto gli occhi delle persone a cui ci rivolgiamo, confermano le nostre teorie e quindi ogni nostro propagandista può e deve servirsi dell’esperienza corrente del proprio pubblico per convincerlo.

Se incontra un’obiezione o un avvenimento che non riesce a spiegare, che a prima vista contrasta la nostra teoria e il nostro obiettivo, ogni nostro propagandista lo deve considerare con cura: finirà col capire un aspetto della realtà che non aveva ancora capito, arricchirà la nostra teoria di un nuovo aspetto.

 

Ogni nostro compagno, quando parla si deve capire che crede in quello che dice. Se non ci crede lui, non riuscirà a convincere chi lo ascolta. Se ci crede, deve farlo sentire. Se non ci crede, deve andare più a fondo della questione e venirne a capo! Con quello che noi proponiamo, se non ne siamo più che convinti, è inutile che lo andiamo a dire! “Le parole non cambiano la realtà”, si dice. È un principio. Come ogni principio, in alcune circostanze è vero in altre no. Quando si tratta di influire sulla volontà, sullo slancio, sulla coscienza di chi ti ascolta, di destare la sua attenzione e suscitare i suoi sentimenti, quel principio non vale. Le parole che adoperi, come le dici, l’atteggiamento che assumi e la convinzione che ci metti, possono fare la differenza.

 

La verifica che un propagandista del Partito ha realmente capito la concezione e la linea del Partito e che è deciso a realizzarla, è che egli si basa sull’esperienza di ogni lavoratore avanzato con cui parla (e oggi solo con lavoratori avanzati noi riusciamo a parlare) e sulla base di essa riesce a convincerlo che se per lui vi è una soluzione positiva della crisi attuale, essa consiste nella costituzione di un governo d’emergenza da parte dei lavoratori e delle masse popolari organizzate, cioè delle OO e delle OP coalizzate in un unico movimento su scala nazionale.

 

Ogni nostro propagandista deve essere in grado di convincere (e dipende da lui diventare capace di convincere) i suoi interlocutori

- che per far fronte anche solo ai danni più gravi per le masse popolari prodotti dalla crisi corrente, occorre costituire un governo che abbia la volontà e la forza di andare controcorrente, di andare contro le abitudini, le relazioni, le pratiche della borghesia, del clero e dei ricchi;

- che un simile governo non può che essere un governo straordinario, un governo d’emergenza;

- che le OO e le OP riusciranno a instaurare un simile governo, a farlo ingoiare alla borghesia, al clero, ai ricchi, ai loro ufficiali e poliziotti solo come misura straordinaria, temporanea, per far fronte a una situazione d’emergenza, di straordinario turbamento dell’ordine pubblico;

- che le OO e le OP, pur perseguendo ognuna la sua particolare rivendicazione, deve combinarla con la mobilitazione che crea una situazione d’emergenza per l’ordine pubblico: senza giustizia sociale non ci deve più essere pace sociale. Senza giustizia sociale, la pace sociale diventa disgregazione sociale: la società di disgrega.

Non a caso in questo numero di La Voce diamo risalto al 50° anniversario del Luglio ’60: per illustrare una situazione di grave turbamento dell’ordine pubblico suscitato dall’iniziativa ribelle delle masse popolari che indusse la borghesia a cambiare di colpo colore al governo. Ovviamente nel nostro caso, nel caso attuale, si tratta di portare le cose più a fondo di quanto vennero portate nel 1960. Allora non vi era una crisi come quella di oggi, la borghesia aveva maggiori margini di manovra e i revisionisti moderni già dirigevano il Partito comunista: godevano e abusavano della fiducia delle masse popolari, in particolare degli operai e aiutarono la borghesia e il Vaticano a non lasciarsi sfuggire completamente  di mano la situazione, a riprenderla in pugno. Oggi la borghesia e il clero ingoieranno l’amaro boccone del GBP consci di non avere soluzioni alla crisi e turbati dalla gravità dei suoi effetti e solo perché convinti di riuscire a riprendere in mano la situazione e che il GBP gli serva a calmare le acque.

Starà a noi fare in modo che le loro speranze vadano deluse.

 

2. Il lavoro pratico, organizzativo per portare le OO e le OP a costituire un governo d’emergenza

Abbiamo già detto che oggi la grande maggioranza delle OO e delle OP e dei lavoratori avanzati praticano una linea rivendicativa: “oggi la grande maggioranza delle OO e delle OP propongono e avanzano rivendicazioni”.

Possiamo noi comunisti, benché le nostre forze attuali siano deboli, benché la nostra propaganda, il nostro prestigio, la nostra influenza siano ancora ridotti come sono, indurre e condurre le OO e le OP a costituire un governo d’emergenza di cui al presente esse ancora non concepiscono la necessità e tanto meno la necessità inderogabile? Un governo d’emergenza che la maggior parte di esse non vede ancora come sia possibile costituirlo?

Noi possiamo portarle passo dopo passo a compiere questa impresa se pratichiamo la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD) perché nella guerra si avanza verso la vittoria passo dopo passo, campagna dopo campagna, battaglia dopo battaglia. Non si pretende di vincere la guerra in un colpo. E gli avvenimenti mostreranno passo dopo passo che abbiamo ragione. Questa è anzi precisamente la strada che il nostro Partito deve seguire, il ruolo che deve svolgere nella fase che sta attualmente attraversando il nostro paese, nell’attuale contesto mondiale. Cosa vuol dire più in concreto?

 

Abbiamo già più volte spiegato ai lettori di La Voce che la strategia della GPRdiLD riconosce che la rivoluzione socialista non è, come invece credeva la parte migliore, la sinistra dei vecchi partiti comunisti, un evento che scoppia perché si combinano alcuni o tutti questi quattro fattori (due oggettivi e due soggettivi): 1. il peggioramento delle condizioni economiche e politiche generali (cioè la classe dominante non riesce più a dirigere la società con le istituzioni e i procedimenti in vigore), 2. l’aumento della miseria e delle costrizioni a cui la borghesia sottopone la masse popolari, 3. la propaganda rivoluzionaria (del comunismo e del socialismo) svolta dai partiti comunisti, 4. una vasta organizzazione delle masse popolari attorno al partito comunista e nelle sue organizzazioni di massa.

Per sua natura la rivoluzione socialista è una guerra che il Partito comunista conduce campagna dopo campagna costruendo e rafforzando il Nuovo Potere contrapposto al vigente e tradizionale potere della borghesia e del clero, conquistando passo dopo passo il cuore e la mente delle masse popolari, organizzandone una vasta parte in organizzazioni legate al partito o almeno influenzate dal Partito, allargando tra le masse popolari la propria direzione a spese di quella della borghesia, del clero e dei loro portavoce in ogni campo della produzione e della lotta di classe, fino a rovesciare il rapporto di forza rispetto alla borghesia e al clero, instaurare il Nuovo Potere come unico potere in tutto il paese, escludendo definitivamente e completamente la borghesia e il clero dal potere.

Nella concezione dei partiti del vecchio movimento comunista, che non avevano ancora elaborato gli insegnamenti della prima ondata della rivoluzione proletaria e assimilato il maoismo, il Partito comunista nei paesi imperialisti si limitava a fare propaganda rivoluzionaria (propaganda del comunismo e del socialismo e denuncia delle malefatte della borghesia), a partecipare alla lotta politica borghese, a organizzare sindacati e altre organizzazioni di massa e a promuovere lotte rivendicative. Il Partito contava che prima o poi sarebbe scoppiata una rivolta delle masse popolari e che il partito comunista ne avrebbe potuto approfittare per prendere il potere e guidare le masse popolari a instaurare il socialismo. Con la sua azione e la sua propaganda il Partito mirava a convincere le masse popolari, la parte maggiore che era capace di convincere, che per porre fine alle sofferenze, alle contraddizioni e alle assurdità della società borghese occorreva rovesciare il potere della borghesia e instaurare il socialismo. La direzione del Partito sulle masse popolari significava che le masse seguivano le sue indicazioni elettorali, partecipavano alle lotte rivendicative (sindacali o affini) e alle manifestazioni di protesta che il Partito promuoveva o appoggiava, partecipavano alle iniziative culturali che il Partito organizzava.

In realtà in determinate circostanze le cose spontaneamente andavano più lontano. Nei momenti di crescita della lotta di classe, il Partito si occupava di una gamma più ampia di attività delle masse popolari sia nella produzione sia nella lotta di classe o comunque vi era coinvolto. L’azione dei membri e dei seguaci del Partito andava oltre le lotte sindacali e rivendicative, oltre le manifestazioni di protesta, le iniziative culturali e le attività relative alla partecipazione alla lotta politica borghese. Ma il Partito non progettava le attività che andavano oltre i suoi normali campi di attività, vi partecipava trascinato dalle masse, non imparava dalla esperienza che le masse popolari facevano sui terreni inabituali, non elaborava da questa esperienza concezione e linee, non dirigeva le masse in queste nuove attività, considerava l’attività in questi campi inabituali come straordinaria, temporanea, secondaria: a differenza di quanto faceva rispetto alle attività connesse alla partecipazione alla lotta politica borghese, alle lotte sindacali e rivendicative, alla attività culturale. (2)

La strategia della GPRdiLD ci insegna che non dobbiamo aspettare che le masse siano convinte dalla nostra propaganda. La propaganda è un’attività importante, anzi essenziale, in un certo senso preliminare e basilare di ogni azione politica di massa. Per questo ne abbiamo trattato nella prima parte di questo articolo. Ma la propaganda ha i suoi limiti e i suoi tempi, insiti nella sua natura. Nella società borghese le masse popolari sono sottoposte all’oppressione della borghesia e del clero; sono ammesse solo marginalmente a usufruire del patrimonio intellettuale e morale più avanzato elaborato dalla umanità. Quindi esse imparano principalmente dalla loro esperienza diretta. La conoscenza inizia dalla pratica e, in particolare ai livelli più elementari, all’inizio, si sviluppa istintivamente, principalmente tramite le sensazioni, principalmente dalla pratica e dal bilancio della pratica. È quindi principalmente con l’attività organizzativa che mobiliteremo le OO e le OP a costituire in loro governo d’emergenza.

La strategia della GPRdiLD ci insegna che non dobbiamo limitarci a organizzare la partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese né a promuovere lotte rivendicative. Sono attività importanti, dobbiamo farle entrambe e meglio, ma su ambedue i terreni, sebbene in modo diverso, le masse popolari restano dipendenti dalle classi dominanti. La loro iniziativa non può dispiegarsi pienamente. Non permettono alle masse popolari di mettersi alla testa del movimento politico della società, di dettare esse la musica e il ritmo della danza.

Noi con le poche forze che oggi abbiamo possiamo invece già portare la sinistra delle masse popolari a prendere iniziative e a compiere attività che accresceranno a valanga il movimento di trasformazione dello stato presente delle cose, costringeranno la borghesia e il clero ad adeguarsi agli avvenimenti, fino a sfociare nella costituzione del GBP.

 

Come avverrà questo movimento? In cosa consiste l’opera che possiamo svolgere già a partire dalle forze di cui disponiamo oggi?

Detto in sintesi, prima di trattarne più dettagliatamente, si tratta non di sognare forze che ancora non abbiamo, ma del modo in cui usiamo le nostre forze attuali, di quello che facciamo noi. Dobbiamo capire più a fondo quello che già esiste, capirlo guidati dal materialismo dialettico, capire la dinamica che ha in sé e farla sviluppare in senso favorevole alla costituzione del GBP. Alcuni di noi si ostinano a immaginare una guerra che si conduce con armi che ancora non abbiamo. Non arriveranno mai a impadronirsi delle armi che sognano. Dobbiamo invece concepire e fare la guerra che si conduce con le armi che già abbiamo. In questo modo arriveremo a impadronirci anche di armi che oggi ancora non abbiamo.

Alcuni di noi quando pensano al potere, pensano ai fucili, a corpi armati e ad altri mezzi di intimidazione e di costrizione. Ma il potere è anzitutto capacità di progettare le azioni delle masse popolari, di indicare alle masse popolari cosa fare e avere con esse una relazione tale che esse effettivamente fanno quello che noi indichiamo.

Oggi questo potere nella nostra società lo hanno la borghesia, il clero e le autorità che agiscono per loro mandato. Marchionne ha progettato il futuro degli operai, dei tecnici e delle risorse della FIAT e sta cercando di farlo realizzare ai lavoratori con manovre e ricatti, forte del fatto che lui decide delle risorse della FIAT, la FIAT è lui.

Cosa limita il potere di noi comunisti? La nostra capacità di progettare cosa le masse devono fare per arrivare a instaurare il socialismo e di stabilire con le masse relazioni tali che esse effettivamente lo facciano. Quindi in questa fase dobbiamo

1. costruire la nostra capacità di progettare sia in generale (a livello nazionale e internazionale e per la fase) sia in ogni situazione particolare e concreta (a livello di regione e zona e sul momento), cosa le OO e le OP devono fare, cosa ognuna di esse deve fare per avanzare verso la costituzione di un loro governo di emergenza;

2. stabilire con le OO e le OP in generale e con ognuna in particolare relazioni tali che effettivamente facciano quello che esse devono fare per realizzare l’obiettivo di cui hanno bisogno (la costituzione di un loro governo d’emergenza) quale che sia la coscienza che ognuna di esse e ogni loro singolo esponente ha della necessità e della possibilità di costituire un governo d’emergenza delle OO e delle OP - fermo restando quello che abbiamo già detto sulla necessità di elevare questa coscienza con la nostra attività di propaganda.

 

1.

Di questi due aspetti, il primo consiste nella costruzione del Partito, nell’opera di formazione che facciamo degli organismi e dei membri del Partito, nell’insieme di attività in cui consiste il consolidamento e rafforzamento del Partito. L’autonomia ideologica e politica, quindi anche organizzativa del Partito, è la premessa e la sintesi di questa capacità del Partito. Per questo il Partito comunista di tipo nuovo è anzitutto unito sulla concezione del mondo, ha a suo fondamento l’unità sulla concezione del mondo. (3)

Noi possiamo essere, con profitto per la nostra causa, tanto più spregiudicati e flessibili nella operazioni tattiche, possiamo condurre manovre anche in campo nemico tanto più spregiudicate, quanto più forte è l’autonomia ideologica e politica del Partito dalla borghesia e dal clero, cioè quanto minore è la loro influenza nelle nostre file. Quanto meno forte è la nostra autonomia ideologica e politica dalla borghesia e dal clero, tanto più la sinistra del Partito, la parte che più rifugge dal sottomettersi all’influenza della borghesia e del clero, tende a deviare nel dogmatismo e nel settarismo: essere rigidi per non farsi manovrare dal nemico. Quanto meno forte è la nostra autonomia ideologica e politica dalla borghesia e dal clero, tanto più la borghesia e il clero riescono a sfruttare a loro vantaggio l’attività del Partito.

Quanto più il Partito ha chiaro dove dobbiamo arrivare e in quale contesto agiamo, quanto più il Partito ha praticamente assimilato la concezione comunista del mondo ed è dedito in tutte le sue articolazioni di organismi e di singoli dirigenti e membri e a ogni livello, dal livello nazionale fino alle singole zone, alla realizzazione della sua linea, tanto più spago possiamo dare ai nostri nemici, fino a succhiare loro tutto quello che ci serve e ridurli come limoni spremuti. Il gradualismo con cui gli opportunisti confondono le masse, le distolgono dall’obiettivo di instaurare il socialismo e le subordinano alla borghesia, diventa una successione di passaggi tattici della nostra azione lungimirante per instaurare il socialismo. Le mille piccole attività in cui gli opportunisti disperdono le energie e le aspirazioni delle masse popolari, diventano componenti tattiche e particolari della nostra azione strategica. Infatti anche la più lunga marcia è fatta di tanti passi. Anche le vette più alte si raggiungono per tappe.

Se consideriamo gli argomenti con cui i dogmatici (l’esponente più significativo ed eloquente è Bob Avakian, presidente del RCP-USA e già autorevole esponente del MRI) condannano il Partito comunista unificato (maoista) del Nepal (NCP(m)U), vediamo che essi si riducono sostanzialmente all’unico argomento che il NCP(m)U non continua la lotta armata. Perché secondo i dogmatici è la forma di lotta che garantisce la fedeltà del Partito all’obiettivo rivoluzionario. In realtà la lotta di classe è una guerra in cui si combinano molte forme di lotta e la loro combinazione cambia da posto a posto e nel corso del tempo perché deve conformarsi alle condizioni particolari e concrete che la lotta di classe attraversa.

I dogmatici oppongono alla subordinazione e collaborazione degli opportunisti con la borghesia, il dogmatismo e il settarismo. Ma non trasformano la realtà, nella pratica non arrivano più lontano degli opportunisti. Quanto un partito comunista ha assimilato praticamente, in termini operativi, il marxismo-leninismo-maoismo lo si misura, in definitiva, dai risultati che ha raggiunto nella rivoluzione che sta conducendo nel suo paese. Come dalle case che costruisce si vede quanto un’azienda edile padroneggia la sua arte. Questo criterio vale per il NCP(m)U, per il RCP-USA e vale anche per noi.

In nome della conquista del potere, i dogmatici condannano i singoli passi con cui raggiungiamo il risultato. Essi giudicano le cose sulla base di una concezione pretesca (dichiarata o sottintesa) per cui gli uomini per natura tendono al male e se distolgono lo sguardo dalla meta, si disperderanno e si perderanno per strada.

I dogmatici non concepiscono che ogni partito comunista deve dirigere la classe operaia e, tramite essa, le masse popolari, quelle organizzate e tramite esse quelle meno o per niente organizzate, a compiere uno dopo l’altro ognuno dei passi necessari per arrivare a instaurare il socialismo ed estromettere completamente la borghesia dal potere.

L’elemento chiave e decisivo della vita di un vero partito comunista è l’unità sulla concezione del mondo, che è anche bilancio del passato e direzione di marcia.
(La Voce n. 19, pag. 18)

 

I dogmatici dicono che “una rivoluzione non può aver luogo senza o contro la volontà delle masse e il potere della borghesia non può essere rovesciato solo tramite un’azione cosciente delle masse popolari”. Non si rendono conto che restano ancora sulle generali: il partito comunista può e deve suscitare, mobilitare, concentrare e organizzare la volontà delle masse popolari a liberarsi dalla borghesia. La volontà delle masse di liberarsi dalla borghesia non piove dal cielo né nasce e tanto meno si dispiega e diventa una forza politica spontaneamente.

Analogamente i dogmatici non concepiscono che il socialismo è una società in cui vi è ancora divisione di classe: vi sono ancora grandi differenze sociali. (4) Quindi vi è ancora una classe dirigente (divisione tra dirigenti e diretti). Ma rispetto alle classi dirigenti del passato, essa è costituita in modo diverso, ha con il resto della popolazione relazioni diverse, adempie a ruoli sociali diversi, opera con procedure diverse. È su queste diversità e sul loro sviluppo che bisogna concentrare l’attenzione quando esaminiamo l’esperienza dei primi paesi socialisti nelle tre fasi della loro esistenza, per imparare da essa. I dogmatici ragionano con il criterio della logica formale: è o non è. Noi ragioniamo con i criteri della dialettica: è e non è, quanto è una cosa e quanto è il suo opposto (la quantità fa la qualità), come sta trasformandosi. Si tratta di una classe dirigente che può portare o al comunismo o alla reintegrazione nel sistema imperialista mondiale, a seconda di come dirige lo sviluppo politico, economico e culturale della società e le sue relazioni internazionali.

I dogmatici concepiscono la realtà come se fosse costituita da cose nettamente divise l’una dall’altra da una muraglia cinese. Nella realtà le cose antagoniste sono anche connesse tra loro. Cose che sono nettamente distinte e contrapposte e che quindi bisogna considerare e analizzare ognuna nella sua individualità, nella realtà non sono divise da muraglie cinesi. Spesso sono combinate tra loro, si condizionano e influenzano a vicenda e si interpenetrano in mille modi diversi. Il Partito deve districarsi, quindi deve imparare a districarsi in questa realtà. Ogni azione, ogni iniziativa, ogni fatto acquista il suo significato reale dalla concatenazione di cui fa parte, dal contesto in cui è compiuto. Lo stesso fatto ha significati diversi a seconda di quello che ho fatto prima, di quello che faccio dopo, del contesto in cui lo faccio.

Solo se assimiliamo questa visione della realtà, riusciamo a individuare ad ogni livello, a livello nazionale e nel particolare di ogni zona e situazione, dove e come attaccare per modificare la realtà. Riusciamo a tradurre il generale nel particolare e a dirigere i particolari in modo che si combinino a costituire il generale. Riusciamo a individuare e a compiere uno dopo l’altro o combinati tra loro i passi necessari per determinare salti di qualità e tappe della trasformazione della società che ci porta alla meta di instaurare il socialismo e poi al comunismo.

La GPRdiLD è il materialismo dialettico applicato nella lotta di classe nell’epoca imperialista. Cioè in un’epoca dell’evoluzione dell’umanità in cui la coscienza e la materia si sono avvicinate, perché più che non sia mai successo nel passato, oggi l’uomo trasforma il resto della natura e se stesso tramite la sua azione cosciente usando le forze produttive che ha accumulato. La coscienza determina l’essere, benché la coscienza sia un risultato dell’evoluzione della materia e in definitiva possa sempre ridursi alla materia, scomparire nella materia. La coscienza può essere distrutta, resta una sovrastruttura della materia: la specie umana può scomparire. Ma il soggetto determina l’essere e le capacità creative della specie umana sono cresciute a un livello che comporta un salto di qualità nella relazione tra oggetto e soggetto, tra essere e coscienza, tra il resto della natura e la specie umana. Le stagioni si succedono ancora, ma sempre meno eguali a quelle del passato. Le generazioni si succedono ancora, ma sempre meno eguali a quelle del passato.

Tutto questo si riflette nella GPRdiLD che stiamo conducendo, in forme specifiche alla natura della GPRdiLD, del suo obiettivo e della fase in cui si trova. Quindi si riflette nella nostra lotta per portare le OO e le OP a costituire un loro governo di emergenza che faccia fronte alla crisi attuale, il GBP.

Ovviamente tutto questo non esclude il rischio che il Partito degeneri nell’opportunismo, nell’idealismo e in altre deviazioni che la storia del movimento comunista ha già messo in evidenza. Ma è proprio il caso di dire che “chi non risica non rosica”. Per avanzare dobbiamo correre il rischio. Solo chi non fa, non sbaglia: ma ha già sbagliato tutto! Il marxismo-leninismo-maoismo ci fornisce concezioni, principi e criteri per far fronte al rischio. Non c’è però garanzia: se non ci fosse rischio, non ci sarebbe lotta. La lotta tra le due linee nel Partito è in definitiva l’arma che ci permette di tenere il Partito fermo nella strategia, pur essendo flessibile nella tattica. Noi abbiamo bisogno sia di fermezza nella strategia sia di flessibilità nella tattica. Solo con queste caratteristiche il Partito può adempiere con successo il proprio ruolo nella lotta del proletariato contro la borghesia e il clero, per dirigere le masse popolari verso il socialismo e il comunismo.

 

2.

Il secondo aspetto oggi lo possiamo svolgere tramite 1. la linea di massa, 2. il metodo delle leve, 3. il lavoro su due gambe.

 

1. La linea di massa.

Noi abbiamo più volte e da più lati illustrato in cosa consiste la linea di massa (vedasi ad esempio MP pagg. 186, 215, 296; La Voce n. 10 pagg. 33-35). Quindi ci limitiamo qui a una esposizione sintetica, nella forma che ci interessa ai fini dell’azione che dobbiamo svolgere per portare le OO e le OP a costituire il GBP. Il metodo consiste nell’individuare in ogni ambiente, in ogni organismo e in ogni individuo la sinistra, il centro e la destra; mobilitare e rafforzare la sinistra in modo che conquisti il centro e isoli la destra e conduca quindi l’intero organismo a svolgere il ruolo che deve svolgere nel movimento per costituire il GBP.

Come individuare la sinistra?

La sinistra è quella che per un motivo o l’altro (e l’esperienza, in definitiva solo l’esperienza ci insegna a vederlo e capirlo, quindi ad individuare in modo giusto la sinistra), per come è, per la sua storia e la sua formazione, per la sua natura noi oggi possiamo mobilitare a farsi promotrice del movimento per costituire il GBP.

La destra è la parte che per sua natura e formazione è ostile alla costituzione del GBP, si oppone alla sua costituzione, noi non riusciamo a trasformare.

Il centro è la parte ancora indifferente alla costituzione del GBP.

In questa fase, dopo la distruzione e corruzione prodotta da tanti anni di predominio del revisionismo moderno e della sinistra borghese, dobbiamo adeguare la nostra azione alla “morte delle ideologie”. Cosa significa nel concreto la “morte delle ideologie”? Significa che sono venute meno nella classe operaia e nelle masse popolari quelle convinzioni, quei principi, quell’adesione alla rivoluzione socialista e al comunismo, quella solidarietà di classe organizzata come forza politica che si erano formate in milioni di individui nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria e che, maturando nel corso di lotte acute, si erano radicate profondamente nella personalità degli individui fino a renderli incrollabili. Quindi oggi gli individui sono più fragili moralmente e intellettualmente e l’adesione di ogni singolo individuo all’organismo di cui fa parte è più precaria. Quindi l’unità di ogni organismo è precaria, piuttosto superficiale. Tenere conto di questo, significa dare molta importanza al lavoro sull’individuo. È più spesso l’individuo (con la sua personalità, la sua mentalità, la sua concezione) che caratterizza l’organismo, che non l’organismo che forgia e trasforma l’individuo. Quindi dobbiamo individuare negli organismi gli individui decisivi e lavorare su di loro. Individuare i loro aspetti positivi (la sinistra in loro) e mobilitarli contro i loro aspetti negativi (la destra in loro).

A prima vista pare un lavoro “disperato”, che deve trattare milioni di casi diversi. Ma non lo è. Anche nella GPRdiLD la quantità fa la qualità. Quando il nostro lavoro sarà giunto a un certo grado di sviluppo, poi “procederà da solo”. Non solo noi avremo imparato meglio la scienza e l’arte della rivoluzione. Ma le forze che avremo accumulato moltiplicheranno la nostra azione. Gli organismi che avremo mobilitato ed elevato, si riprodurranno, forgeranno individui e si moltiplicheranno. Noi destiamo alla lotta per instaurare il socialismo individui, gruppi, classi che ne hanno bisogno. Noi lavoriamo su un terreno sano. Far crescere le prime erbe è difficile e abbiamo poca esperienza. Ma una volta che le prime erbe avranno attecchito, poi produrranno semi e il terreno si coprirà rapidamente di un manto erboso. Strategicamente noi siamo forti, imbattibili. Deboli e destinati alla sconfitta, vacillanti, in una situazione disperata sono la borghesia, il clero e le altre classi dominanti.

Come mobilitare e rafforzare la sinistra? Gli strumenti sono vari e spesso si combinano tra loro.

- Concentrare l’azione di propaganda su di essa, in modo da accrescere in essa la comprensione delle sue ragioni e di quello che occorre fare.

- Rafforzare nella sinistra la coscienza o anche solo la sensazione della sua contrapposizione alla destra, delle linee di demarcazione. “Le opinioni sono tante”, dicono alcuni. Noi diciamo che la regola generale è che “l’uno si divide in due” (non in tre o in cento). Vi sono due classi, due vie e due linee, non cento. Ridurre le cento opinioni, iniziative, tendenze, alla reale e pratica contrapposizione tra due, è già un passo importante.

- Far balenare alla sinistra la possibilità di vittoria sulla destra.

- Appoggiarla in modo che riesca a prevalere nella lotta che già la oppone alla destra.

- Fare in modo che si coalizzi con la sinistra di organizzazioni affini.

- Indicare l’esempio di una sinistra che ha fatto il suo stesso percorso.

- Individuare e agire in modo concentrato sui suoi elementi più avanzati.

L’esperienza suggerirà e mostrerà molti altri strumenti. Ovviamente caso per caso bisogna applicare lo strumento o la combinazione di strumenti più efficace, metterli in opera e regolarsi sulla base dei risultati. Il collettivo del Partito farà conoscere a tutti e generalizzerà quello che l’esperienza ha insegnato in un punto e in un caso particolare e concreto. L’organizzazione e il collettivo fanno la forza.

 

2. Il metodo delle leve.

Questo metodo è una scoperta più recente (La Voce n. 31 pagg. 47-50). Abbiamo visto che nella realtà le OO e le OP e in generale tutte le organizzazioni di massa sono legate tra loro e si condizionano a vicenda, perché tutte dipendono dall’adesione delle masse popolari. È un metodo di lavoro da verificare e collaudare, mettere a punto.

In che cosa consiste?

Un organismo più piccolo, ma con una maggiore capacità di comprensione della realtà (quindi che ha acquisito a più alto livello il materialismo dialettico e più esperto nel suo uso) e di concentrazione delle forze, fa leva su questa sua capacità per mobilitare la sinistra di un organismo più grande. La sinistra una volta mobilitata dirige l’azione dell’intero organismo. Questo, con la sua azione mobilita la sinistra di un organismo ancora più grande e così via.

Con il metodo delle leve noi sfruttiamo il fatto che in ogni OO e in ogni OP il gruppo dirigente dipende dalle masse che dirige ed è alimentato dalle masse popolari. Quindi per quanto forte sia in esso l’influenza della borghesia, alla borghesia stessa serve solo nella misura in cui riesce a mantenere seguito tra le masse popolari. Quindi le masse popolari lo condizionano e in definitiva (in pratica, in determinate condizioni che si tratta di creare se non ci sono) possono, momento per momento, in ogni singolo passo, imporgli la direzione da prendere. In una società divisa in classi, esiste sempre una contraddizione tra gruppo dirigente e masse popolari. Si tratta di farla valere. Noi a determinate condizioni lo possiamo fare. Dobbiamo imparare a farlo.

 

3. Il metodo della seconda gamba.

Uno strumento importante per il lavoro di cui stiamo parlando, tanto che ci conviene trattarlo a parte e lo indichiamo come terzo metodo, consiste nell’usare il prestigio di esponenti della sinistra borghese, la loro capacità di azione sociale e di comunicazione, a favore dell’iniziativa delle masse, per scatenare il processo tra le masse, per dare il via alla mobilitazione di una OO o di una OP. Lo chiamo metodo della seconda gamba perché nel nostro gergo parliamo di due gambe su cui avanza il nostro lavoro e la prima è costituita dagli operai o dalle masse popolari.

In Italia vi sono molti intellettuali che si occupano del movimento comunista o comunque della lotta di classe. Per intellettuali intendo quella vasta schiera di persone che per la loro posizione e il loro ruolo nella società hanno un pubblico che li ascolta e quindi quando parlano e scrivono formano opinione. Stante la storia che abbiamo alle spalle, alcuni di essi non sono anticomunisti per mestiere, non traggono né danaro né vantaggi dalla loro professione di anticomunismo. Sono anticomunisti solo o principalmente perché scoraggiati dalla sconfitta della prima ondata della rivoluzione proletaria, dal crollo dei primi paesi socialisti, dalla disgregazione e dissoluzione dei partiti comunisti, dalla eliminazione delle conquiste che la classe operaia dei paesi imperialisti ha subito. Sono anticomunisti solo o principalmente per smarrimento, debolezza o viltà. Perché troppo deboli per far fronte personalmente alla sconfitta. Si sono sbandati quando il fronte è crollato. Sono stati la massa degli attivisti della sinistra non comunista (della sinistra borghese). Il crollo della sinistra non comunista (della sinistra borghese), la fase terminale della crisi, il fallimento di tutti i progetti politici e sociali patrocinati dalla sinistra borghese, l’opera sfrontata della banda Berlusconi li hanno messi in agitazione. Alcuni si sono meschinamente chiusi nel loro particolare, altri sono alla ricerca di una prospettiva. Non c’è in giro un loro scritto in cui non ci sia almeno un frammento di noi, disperso tra molta ganga: molti pregiudizi e molti luoghi comuni.

Gli ultimi comunicati della CP e del CC

 

reperibili sul sito

http://www.nuovopci.it

Ovviamente noi dobbiamo lottare contro gli intellettuali post-comunisti e anticomunisti. Perché molti di loro non si sono  limitati a ritirarsi dalla lotta, ma montano sulla tribuna della pubblicistica che a loro è accessibile grazie al loro stato di intellettuali e da lì presentano il loro abbandono della lotta non come una manifestazione della loro debolezza o viltà, ma come un merito perché il movimento comunista, il marxismo, ecc. sono inconsistenti. Proclamano non che loro hanno abbandonato una lotta giusta, necessaria e possibile, ma che è la lotta che è sbagliata, impossibile, ecc. Quando questi intellettuali montano in cattedra e spacciano la loro depressione per analisi della realtà, vantano la loro rassegnazione e il loro anticomunismo, noi dobbiamo nettamente denunciarli. Al loro pubblico, con i mezzi più efficaci di cui siamo capaci, bisogna portare la nostra concezione del mondo, la nostra spiegazione della crisi del movimento comunista e delle basi e delle vie per la sua rinascita. Spiegare che la rinascita del movimento comunista è indispensabile per il progresso dell’umanità ed è possibile.

Ma principalmente si tratta di indurre questi personaggi a smettere di proclamare di essere disposti a dare il proprio contributo se altri fanno ... e di convincerli ad assumersi la responsabilità di fare loro stessi.

Proprio quelli, tra gli intellettuali depressi, che non si sono ritirati dalla lotta politica e non hanno abbandonato l’impegno politico, noi li possiamo mobilitare a nostro favore. Il loro elettoralismo (porre come obiettivo quello di trovare il modo per riconquistare voti, riuscire a rientrare in Parlamento, trovare la combinazione elettorale di successo) e il loro economicismo (piattaforme rivendicative, articolo 18, ecc.) non sono solo un indice della loro arretratezza, della loro estraneità alla concezione comunista del mondo. Denotano anche il persistere del loro impegno politico, della loro passione per un mondo nuovo. Solo noi abbiamo una risposta adeguata, esauriente, sistematica, scientifica alle questioni che essi si pongono e che la fase terminale della crisi generale rende più pressanti e pratiche. Su questa base possiamo mobilitarli per la costituzione del GBP e oltre, nella lotta per instaurare il socialismo.

Questi intellettuali sono preziosi per la nostra lotta. Sono un lascito contraddittorio della prima ondata della rivoluzione proletaria. Sono una componente importante della seconda gamba che cerchiamo di muovere per le nostre iniziative. A loro dobbiamo portare l’interpretazione giusta della crisi del movimento comunista, illustrata nel nostro MP, l’interpretazione che mostra la via della rinascita e la collega alle contraddizioni laceranti del capitalismo. Una visione del mondo che non lascia spazio alla depressione. È su questa base che possiamo mobilitarli.

Oggi noi non portiamo in modo efficace la nostra propaganda in questi ambienti, anche quando la portiamo. Qui non è principalmente una questione di quantità: essere presenti in più ambienti e in più occasioni. Principalmente è questione di qualità. Dobbiamo imparare ad essere presenti in modo più efficace. Ovviamente questo implica compagni che hanno assimilato la concezione comunista del mondo tanto da saperla maneggiare con disinvoltura come metodo per conoscere il mondo delle persone a cui parlano (interpretazione dei processi storici e dei processi in corso) e come metodo per trasformarlo (parole d’ordine e mosse: linee).

 

Sia il metodo della linea di massa, sia il metodo delle leve, sia il metodo della seconda gamba implicano che siamo capaci di conoscere le OO, le OP, gli individui, gli ambienti in cui operiamo. Per questo dobbiamo usare il materialismo dialettico come metodo di conoscenza.

 

Cosa vuol dire usare il materialismo dialettico come metodo di conoscenza?

Che dobbiamo esaminare e indagare ogni cosa chiedendoci e cercando 1. la sua storia (l’origine, il percorso fatto): ogni cosa è in movimento, si trasforma; 2. i suoi legami con il resto della realtà (le sue relazioni): ogni cosa è componente di un insieme più vasto. Ogni rete (filone di lavoro, ambito di intervento, sindacato, ecc.) ha una storia. Ogni rete ha collegamenti (di influenza, di solidarietà, di condivisione o contrasto, ecc.) con altre reti, con istituzioni, con gruppi sociali, ecc.

Che ogni cosa è divisibile, è fatta di parti componenti (ogni cosa è divisibile) - fare analisi di una cosa vuol dire individuare le sue componenti; ogni cosa è infinitamente divisibile, il che vuol dire che la analisi (che potrebbe procedere all’infinito) deve fermarsi quando è arrivata a una profondità sufficiente ai fini dell’attività per cui abbiamo bisogno di conoscere.

Ad esempio: una cosa è fatta di 5 componenti. Ogni componente è fatta di 6 sottocomponenti (e fanno 30 cose); ogni sottocomponente è fatta di 4 sottosottocomponenti (e fanno 120); e così via all’infinito. Nella pratica, ai fini pratici ci si ferma quando se ne ha abbastanza, si è andati abbastanza a fondo. Ad esempio una rete contiene 10 organismi locali. Ogni organismo locale è fatto di individui. In ogni individuo (nella sua concezione, nella sua mentalità, nella sua personalità) operano tendenze positive e tendenze negative; ogni individuo subisce influenze e ha relazioni positive e negative. Per cui nel profilo di quella rete, confluiscono i profili di ognuno degli organismi locali. Nel profilo di ognuno degli organismi locali confluiscono i profili di ognuno dei suoi membri.

L’insieme di organismi e individui e delle relazioni tra loro ricostruito nella nostra mente è il “concreto di pensiero” che ci occorre per dirigere con successo: “con scienza e coscienza”.

L’individuazione delle componenti non è arbitraria, ma non è neanche fissa (oggettiva). Le componenti di una cosa si distinguono tra loro per il ruolo diverso, la natura diversa che esse hanno, la funzione diversa che esse svolgono nella cosa di cui sono componenti: quindi la divisione non è arbitraria. Ma a secondo di quello che tu cerchi, di quello che tu vuoi fare, valgono (sono importanti) alcune divisioni e non altre. Un raccoglitore di legna da ardere, un falegname, un botanico, un farmacista non fanno le stesse distinzioni tra gli alberi e le specie di un bosco.

Fatta l’analisi, bisogna fare la sintesi. Individuare le relazioni che legano le componenti tra loro e ne fanno le componenti di una sola cosa. Ogni cosa è in relazione con altre, le influenza e ne è influenzata. Ricostruire la cosa come quel “concreto di pensiero” che Marx descrive in Il metodo dell’economia politica.

A questo punto abbiamo gli elementi di conoscenza necessari per definire obiettivi e linea per raggiungerli: il piano tattico, le battaglie e le operazioni tattiche sulla base della nostra strategia e della nostra concezione del mondo.

Quanto alla relazione tra individuo e organismo, vale quanto ho detto sopra: non sto a ripeterlo.

 

Una volta conosciuto un contesto, un organismo, un individuo, bisogna adoperare il materialismo dialettico come metodo d’azione.

Cosa vuol dire usare il materialismo dialettico come metodo per agire, per trasformare?

Vuol dire che nell’azione (nello scegliere quali parole d’ordine lanciare, nel decidere quali mosse fare), bisogna

- far leva sulle contraddizioni che determinano il movimento della cosa (ambiente, organismo, individuo) che noi vogliamo trasformare;

- sfruttare la sinergia (chi altri sta agendo, può agire sullo stesso terreno: per neutralizzarlo se contrasta la nostra azione o potenziarlo se favorisce la nostra azione) e il metodo delle leve (effetto del catalizzatore),

- lavorare sulla base della concatenazione: un’attività ne genera un’altra (un’attività che si chiude e si esaurisce in se stessa, è un’attività mal condotta: è frutto di una concezione metafisica),

- combinare trasformazione della coscienza e trasformazione materiale, trasformazione della concezione del mondo e lotta, teoria e pratica, coscienza e organizzazione, propaganda e raccolta, interno ed esterno, avanguardia e massa.

 

A coronamento di tutto quanto fin qui detto, occorre aggiungere che dobbiamo usare la nostra concezione comunista del mondo, per l’essenziale esposta nel MP, come guida per conoscere e trasformare il mondo.

Cosa vuol dire usare la nostra concezione del mondo come guida in tutta la nostra attività?

Per stabilire quali sono le questioni cruciali o quale è la crisi principale nell’ambito in cui interveniamo, bisogna tener conto sia del terreno su cui interveniamo (oggetto), sia della analisi della situazione che abbiamo fatto e degli obiettivi che perseguiamo (soggetto).

Tener conto solo del primo aspetto vuol dire deviazione verso il meccanicismo, il determinismo o il codismo: trascurare il ruolo trasformatore del soggetto, che sono gli uomini che fanno la loro storia.

Tener conto solo del secondo aspetto vuol dire deviazione verso il soggettivismo o l’idealismo: trascurare che gli uomini fanno la loro storia, siamo noi che determiniamo quale sarà il nostro futuro, ma che il nostro futuro lo costruiamo con i presupposti che ci fornisce la storia che abbiamo alle spalle (cioè sulla base del presente che a sua volta è un frutto in sé contraddittorio del passato) e seguendo e sfruttando nella nostra attività le leggi secondo le quali la società presente si trasforma.

Se non partiamo dalla nostra concezione del mondo (se non l’abbiamo quindi assimilata), agiamo alla cieca. Infatti si vede quello che si è capaci di vedere: quello che si è capaci di vedere dipende dagli occhi che si hanno, da quello che si cerca. Se non teniamo conto della concezione del mondo degli altri, agiamo in modo soggettivista. Se non teniamo conto delle relazioni esterne e delle contraddizioni interne dell’organismo, dell’individuo che vogliamo trasformare, agiamo in modo soggettivista. Se nel fare l’analisi del particolare (e del concreto), non teniamo conto dell’analisi generale, se nell’agire sul particolare (e sul concreto) non teniamo conto del movimento generale, non siamo comunisti materialisti dialettici, ma anarchici idealisti. Se ci occupiamo di una regione o di una zona, bisogna partire dalla nostra concezione dal livello nazionale (o regionale) e vedere come si riflette o è contraddetto nella regione (zona) del nostro intervento. Come il movimento nazionale si attua nel movimento regionale o della zona. Insomma come il generale si realizza nel particolare. In questo modo verifichiamo anche il generale e impariamo a trarre dal particolare un arricchimento del generale.

Insomma, la dialettica generale - particolare nei due sensi deve essere una costante della nostra attività conoscitiva e di trasformazione.

 

Tutto questo è complesso? Certamente appare molto complesso, fin quando non si è imparato ad usarlo. Apparirà semplice ed efficace, quando lo avremo imparato. Sarà come quando si è imparato a parlare una lingua, a scrivere con dieci dita, a usare il calcolatore, di fronte a ogni cosa che non conosciamo. Ciò che all’inizio sembrava complesso e faceva perdere un sacco di tempo, una volta imparato apre il campo per un’attività di livello superiore. All’inizio ci sembra complicato e difficile. Una volta che ce ne siamo impadroniti e abbiamo fatto esperienza, le cose ci sono più facili. Lo saranno tanto di più, fino a venirci spontanee, quanto più ce ne impadroniremo e faremo esperienza.

 

Rosa L.

Note

1. Per maggiori dettagli vedere Manifesto Programma pag. 57 e pag. 273. Considerare la crisi attuale come una delle vecchie crisi cicliche della società borghese è un tratto tipico dei dogmatici del movimento comunista attuale.

 

2. A proposito di queste “deviazioni” temporanee e spontanee dell’attività delle masse dai campi abituali di attività dirette dal partito comunista, rimando i lettori

- a quanto scritto in La Voce n. 1 pagg. 26-28 a proposito della lotta di classe all’inizio del secolo scorso fino al biennio rosso,

- a quanto scritto in La Voce n. 26 pagg. 49-51 a proposito della lotta di classe negli anni 1945-1948,

- a quanto scritto in La Voce n. 27 pag. 54 (Scioperi alla riversa) a proposito della lotta di classe nei primi anni ’50.

Alla fine degli anni ’40 la CGIL, diretta da Giuseppe di Vittorio (1892-1957), elaborò il Piano del Lavoro. Esso rientra in questo tipo di attività. Questa iniziativa della CGIL era avulsa dalla concezione generale della rivoluzione come guerra di lunga durata che avanza una campagna dopo l’altra. Essa tuttavia conferma che la pratica spingeva in quella direzione e si trovava stretta in una concezione non adeguata della rivoluzione socialista. L’esito dell’iniziativa della CGIL conferma anche che senza teoria rivoluzionaria, il movimento pratico non riesce a svilupparsi oltre un livello elementare e facilmente degenera in una reale deviazione. Ogni movimento in definitiva serve una delle due classi, a conferma che le classi sono due, le vie sono due, le linee sono due.

In Proletari senza rivoluzione di Renzo del Carria sono descritte molte situazioni della storia del nostro paese che illustrano il contrasto tra il movimento pratico, la teoria inadeguata con cui si è cercato di dirigerlo e la conseguente degenerazione del movimento pratico.

 

3. In proposito vedere Il nuovo partito comunista in La Voce n. 19 (marzo 2005) e Manifesto Programma cap. 3.1.

 

4. Le sette contraddizioni principali che bisogna trattare nel socialismo, vengono dalle sette grandi differenze che ereditiamo dalla società borghese, una volta rovesciato il potere della borghesia e del clero e abolita per l’essenziale la proprietà privata delle principali forze produttive a parte la capacità lavorativa degli individui. Esse sono le contraddizioni

1. tra dirigenti e diretti;

2. tra lavoro intellettuale e lavoro manuale;

3. tra lavoro organizzativo e lavoro esecutivo;

4. tra uomini e donne;

5. tra adulti e giovani;

6. tra città e campagna;

7. tra settori, regioni e paesi avanzati e settori, regioni e paesi arretrati.