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Avanti, per consolidare e rafforzare il (nuovo)Partito comunista italiano!


Il nuovo partito comunista

La decisione presa in autunno dalla riunione allargata della Commissione Preparatoria di fondare il (nuovo)Partito comunista italiano anche se non c’erano ancora le condizioni per convocare il congresso di fondazione che avevamo previsto nel 1998, implica una concezione del partito, un’analisi della situazione e la scelta di una linea.

Nessuno è oggi, né per quanto prevedibile sarà domani, in grado di costituire un partito comunista che sia, già fin dall’inizio, l’effettivo “stato maggiore” della classe operaia, cioè unisca nelle sue fila gran parte degli operai avanzati. Non lo fu all’inizio e per vari anni nemmeno il primo PCI, che pure, grazie all’influenza della Rivoluzione d’Ottobre e della Internazionale Comunista, unì da subito molti operai avanzati. È altrettanto certo che il Partito deve aver aggregato nelle sue fila la gran parte degli operai avanzati per essere in grado di svolgere il ruolo che un partito comunista deve svolgere nella storia: dirigere la classe operaia a prendere e mantenere la direzione del paese. Ogni compagno capisce che noi comunisti abbiamo bisogno di un simile partito. La fondazione del (n)PCI non rende di per se stessa, d’un colpo, il Partito capace di svolgere questo compito. La CP ha deciso la fondazione del Partito, ma non ha preteso dire che il Partito è già all’altezza del suo compito storico. Anzi, ha sottolineato che la fondazione oggi del Partito è semplicemente un passo necessario sulla via per arrivare a quel partito. Perché è un passo necessario?

Il bilancio dell’esperienza del movimento comunista ci ha insegnato che un partito comunista all’altezza dei compiti che la seconda crisi generale del capitalismo pone all’ordine del giorno deve essere costituito a partire da un gruppo di comunisti unito sulla concezione comunista del mondo, cioè sul marxismo-leninismo-maoismo. Questa concezione oggi in Italia si è contrapposta e si contrappone ad un’altra: all’idea di costruire un partito all’altezza di quei compiti unendo, al 100% o anche solo al 70 o al 40%, quanti nell’imperversare della controrivoluzione momentaneamente vittoriosa, si dichiarano comunisti. Questa idea è irrealistica, contraria all’esperienza storica, al bilancio del movimento comunista, ai principi del materialismo dialettico. (1) Quindi sbagliata e sterile.

La punta avanzata della “carovana” che dal 1980 ha portato avanti il lavoro di ricostruzione del partito, ha raggiunto quell’unità sulla concezione comunista del mondo (il m-l-m) e le condizioni organizzative indispensabili per rilanciare a un livello più alto la costruzione del Partito. Era quindi possibile, necessario e giusto dare il via, costituendoci in Partito, alla nuova fase di costruzione: fase di trasformazione e di raccolta nelle fila clandestine del (n)PCI di tutto quanto di adeguato al Partito c’è e si formerà nella classe operaia e nelle altre classi delle masse popolari, contribuendo con il massimo vigore e nelle condizioni più favorevoli alla sua nascita e crescita. Così si opera concretamente per l’instaurazione del socialismo.

1. Nell’umanità già da molto tempo, da millenni, si sogna di far sparire ogni forma di sfruttamento e si aspira a un mondo diverso da quello esistente, a un mondo migliore. È un’aspirazione vecchia di molti secoli: non è nata con il movimento antiglobalizzazione, né con i Forum Sociali, né con i “movimenti”, né con il “movimento dei movimenti”. Già nelle più vecchie società schiaviste sono sorte opere letterarie e filosofie ispirate a questo sogno, che parlavano di un mondo migliore. (2) Ma questi sogni sono rimasti sogni sino a quando in tutto il mondo milioni di sfruttati non hanno incominciato a unirsi in una lotta coerente, tenace e multiforme per trasformare la società capitalista secondo la linea di sviluppo che le è propria. Infatti il capitalismo ha prodotto qualcosa che non avevano prodotto i precedenti modi di produzione, benché basati anch’essi sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Esso spontaneamente, a dispetto dei capitalisti, ha creato e crea le condizioni per il suo superamento e per porre fine una volta per tutte alla divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori che è ben più vecchia del capitalismo. Il capitalismo anzi ha reso questo esito l’unico ulteriore sviluppo possibile per l’umanità. Col capitalismo, ogni altra trasformazione compiuta dall’umanità senza aver posto fine alla divisione in classi di sfruttati e sfruttatori, produce contrasti più acuti e un grado maggiore di costrizione per le masse popolari. Infatti solleva un coro di grida di dolore e suscita, negli uomini e nelle donne migliori, nuove ragioni ed energie per porre fine alla divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori. La strozzatura dell’inquinamento, il disastro ecologico, è uno dei tanti esempi, oramai alla portata di tutti. Dopo l’avvento del capitalismo si tratta per gli sfruttati di portare a compimento, con una loro azione cosciente e mirata (perché senza questa l’evento non può compiersi), il parto della nuova società le cui premesse oggettive e soggettive sono cresciute nel grembo della società capitalista.

Da quando il socialismo scientifico di Marx ha legato le aspirazioni di rinnovamento radicale della società con le lotte di una classe particolare, la classe operaia, i sogni di comunismo si sono trasformati in una lotta di milioni di uomini e donne per il comunismo. Senza la lotta della classe operaia, il comunismo e in generale l’aspirazione a un mondo migliore si riduce a chiacchiere vaghe e confuse, a un sogno puerile o ad agitazioni velleitarie. D’altra parte la classe operaia per emancipare se stessa dai capitalisti, deve emancipare tutta l’umanità dalla divisione in classi di sfruttati e sfruttatori. Se non si pone e non adempie al compito di mobilitare tutto il resto delle masse popolari a costruire il nuovo mondo, la classe operaia non riesce ad emanciparsi dai capitalisti. I propositi più o meno dichiarati di operai che emancipano se stessi pensando solo a se stessi, coltivati ancora oggi in associazioni come l’Associazione per la Liberazione degli Operai (ASLO), appartengono ai primordi del movimento operaio e non hanno futuro. (3)

Il marxismo ci ha insegnato che per costruire un mondo senza più sfruttati e sfruttatori bisogna passare attraverso una fase (che ha chiamato socialismo) in cui gli operai prendono la direzione dell’intera società e dirigono anche il resto delle masse popolari a reprimere implacabilmente i tentativi subdoli o feroci, aperti o camuffati che le vecchie classi sfruttatrici (la borghesia, il clero, i militari e i funzionari del regime borghese, i residui della nobiltà e degli agrari: in breve tutti i ricchi e i parassiti che sono oramai amalgamati nell’oligarchia finanziaria) compiono per restaurare il loro ordine di sfruttamento, che per loro è l’unico mondo possibile, “la civiltà” per antonomasia, il loro “paradiso perduto”. Se non si è decisi a reprimere senza pietà ed esitazione questi tentativi immancabili di restaurare il vecchio ordine delle cose, non vale neanche la pena incominciare l’impresa di costruire il nuovo mondo. Lo conferma tutta la storia dell’Europa Occidentale: dalla Comune di Parigi, alle mezze rivoluzioni della prima metà del secolo scorso in Germania, in Italia, in Spagna e in altri paesi, alle trame e ai crimini della controrivoluzione preventiva che da un secolo appesta l’atmosfera perfino dei più progrediti paesi borghesi (gli USA in testa). Ma non basta che le masse popolari reprimano implacabilmente i tentativi di restaurazione compiuti dalle vecchie classi dominanti. Gli sfruttati devono anche trasformare i propri rapporti di produzione, tutti gli altri loro rapporti sociali e le idee e i sentimenti che corrispondono alla loro condizioni di sfruttati. Devono rendersi capaci di vivere, devono imparare a vivere senza sfruttatori. Devono rendersi capaci di essere un mondo migliore. Il proletariato e le masse popolari devono imparare a dirigere la propria vita sociale. Al livello di grandi masse come si pone oggi, una cosa simile non si è mai avuta nella storia dell’umanità. Solo man mano che si avvicineranno a questo traguardo, il proletariato e le masse popolari cesseranno di essere diretti da una classe dirigente (quale che sia il suo nome, le forme della sua composizione, il tipo del suo ruolo: benché si tratti di cose tutt’altro che secondarie). È un traguardo che non si raggiunge d’un colpo. È il risultato di un processo quantitativo con salti qualitativi. (4) È un lavoro di educazione e di trasformazione che le masse popolari devono compiere su se stesse per levarsi di dosso l’abbrutimento, l’ignoranza, la diffidenza e le barbarie che, nonostante tutti i progressi compiuti e tutte le contraddizioni con le condizioni pratiche che si sono create, sono l’eredità di millenni di sfruttamento e di servitù, su cui le attuali classi sfruttatrici, anche le più progredite e illuminate, basano ancora oggi la conservazione del loro potere. È una trasformazione dolorosa, lenta, tormentosa, complessa, ma necessaria. La teoria e l’esperienza hanno mostrato che tutto questo è possibile, è realistico, che la classe operaia può guidare tutte le masse popolari a compiere questo passaggio. Uno dei grandi risultati della pluriennale esistenza dei primi paesi socialisti è la conferma pratica e su grande scala di questa tesi. La teoria e l’esperienza hanno mostrato che è l’unica via realistica per uscire dal pantano economico, politico, ambientale, morale e intellettuale in cui siamo immersi. In cui la borghesia ci immerge un po’ di più ogni giorno che il suo regime si prolunga. Un pantano che la potenza delle forze produttive materiali e intellettuali raggiunte dagli uomini rende ogni giorno più pestilenziale, mentre rende anche più distruttivo e doloroso l’uscirne. Hanno mostrato che, nonostante tutte le sue difficoltà, per l’umanità il socialismo è la via meno dolorosa e distruttiva possibile per chiudere la vecchia epoca e aprire la nuova. Che questa via sia praticabile e realista lo conferma anche la denigrazione furibonda e senza limite di menzogne e di mezzi con cui la borghesia e le altre classi sfruttatrici cercano di infangare l’esperienza compiuta di essa: l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei primi paesi socialisti. Dopo averla combattuta con ogni mezzo, ora la borghesia la denigra con ogni mezzo: tanto quella via è realistica e praticabile da parte degli sfruttati. Ma la dimostrazione migliore della falsità di tutte le documentate verità e teorie dei suoi “libri neri del comunismo”, sta sotto i nostri occhi: nella vita miserabile, nell’abbrutimento, nella sofferenza e nella disperazione a cui il suo ordinamento sociale costringe miliardi di esseri umani, nella guerra di sterminio con cui essa per sopravvivere miete milioni di vittime, nello slancio con cui, da quando il movimento comunista è declinato, si è lanciata ad eliminare le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari le avevano strappato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. I sinistri che si associano a questa denigrazione (dalle combriccole tipo il Manifesto ai Bertinotti, dai Bernocchi ai Ferrando, a tutto il variopinto mondo dei trotzkisti e dei bordighisti) non hanno saputo né potrebbero indicare alcuna realistica via d’uscita da questo pantano borghese, una via alternativa a quella che come tutto il resto della borghesia denigrano e deformano con fanatico e cieco furore.

Percorrere la via indicata dal marxismo per costruire il nuovo mondo è diventato attuale da quando si sono create alcune condizioni: le condizioni oggettive del socialismo (un certo grado di sviluppo economico) e le condizioni soggettive del socialismo (un certo grado di organizzazione e di coscienza della massa del proletariato). Queste condizioni in Europa Occidentale esistono entrambe a partire dalla metà del secolo XIX. Da più di 150 anni in Europa Occidentale il principale problema della borghesia è diventato “come tenere a bada gli operai”. Le altre classi reazionarie e i loro esponenti, da Cavaignac a Disraeli, da Leone XIII a Bismark, si sono associati a essa in questa “sacra crociata per la difesa della civiltà dall’assalto delle masse dei miserabili intesi solo a soddisfare i loro bisogni animali” (W. Churchill).

Proprio l’esperienza della lotta di classe in Europa Occidentale e nell’America Settentrionale (e quella più ampia che da allora hanno via via fornito tutti gli altri paesi che la borghesia ha sottomesso al suo sfruttamento) ha però mostrato che quelle condizioni sono necessarie ma non sufficienti. Oltre ad esse, occorre un’altra condizione. Per riuscire a instaurare il socialismo la classe operaia deve avere un partito comunista

1. che ha la concezione del mondo più avanzata e rivoluzionaria, oggi il marxismo-leninismo-maoismo,

2. che è l’organizzazione clandestina dei comunisti: coesa, disciplinata e funzionante sulla base del centralismo democratico,

3. che unisce nelle sue fila gran parte degli esponenti d’avanguardia della classe operaia (gli operai avanzati),

4. che ha come metodo principale di lavoro e di direzione la linea di massa, (5)

5. che ha la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come strategia per dirigere la classe operaia alla conquista del potere,

6. che è capace di articolare la sua strategia in tattiche di lotta adatte alle varie situazioni concrete,

7. che è capace di contenere l’influenza che la borghesia cerca di esercitare nelle sue fila, in particolare sui suoi dirigenti, con tanta più forza e iniziativa quanto più inutili si rivelano gli altri mezzi messi in campo per ostacolare l’instaurazione del socialismo (la lotta tra le due linee nel partito).

L’esperienza ha mostrato che il partito comunista deve avere tutte queste sette caratteristiche per essere all’altezza del proprio ruolo storico: dirigere la classe operaia a prendere la direzione del resto delle masse popolari e ad instaurare il socialismo. (6) Quell’esperienza ha mostrato che senza un partito dotato di tutte e sette queste caratteristiche la classe operaia non è in grado di condurre il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo, per quanto grandi siano la sua organizzazione e la forza della sua aspirazione al socialismo. Il malessere e il malcontento che le vicissitudini del regime borghese creano nelle masse popolari diventano azione per instaurare il socialismo solo con un simile partito che indica e apre la strada all’azione delle masse popolari e le dirige fase per fase. La mancanza di un partito di questo genere è la spiegazione razionale di come mai la classe operaia non è riuscita ad instaurare il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti, benché qui esistano da più di 150 anni le sopraindicate condizioni oggettive e soggettive necessarie del socialismo. Questa è la questione con cui ogni comunista degno di questo nome deve misurarsi, a più di 150 dalla nascita del movimento comunista.

2. Nonostante tutti i loro meriti storici, i partiti della II Internazionale (1889-1914) non hanno saputo adempiere al loro ruolo proprio perché né concepirono la necessità di avere le sette caratteristiche sopra indicate né le realizzarono. (7) L’unica eccezione tra i partiti della II Internazionale fu quello che divenne il primo modello di partito comunista dell’epoca della decadenza del capitalismo e delle prime rivoluzioni proletarie: il Partito Operaio Socialdemocratico Russo [POSDR], che nel 1917 assunse il nome di Partito Comunista (bolscevico) Russo [PC(b)R]. Esso si trovò a dover guidare la classe operaia a dirigere la rivoluzione democratico-borghese e il passaggio da questa alla rivoluzione socialista in un’epoca in cui nell’Europa Occidentale, a cui la Russia era legata culturalmente e da mille relazioni economiche e politiche, 1. la rivoluzione democratico-borghese si era già da tempo conclusa con un compromesso della borghesia con le residue classi reazionarie (la nobiltà, il clero, le monarchie, i militari e i magistrati di carriera, i funzionari della pubblica amministrazione) contro la classe operaia, 2. la classe operaia procedeva alla cieca nel suo tentativo di instaurare il socialismo, 3. la borghesia era entrata nella fase imperialista del capitalismo. Questa posizione particolare della Russia fu il brodo di coltura del leninismo. (8)

Che i partiti della II Internazionale non fossero all’altezza dei loro compiti storici fu percepito più o meno chiaramente già da vari esponenti della stessa II Internazionale. Sono noti i dissensi di F. Engels con la direzione del Partito Socialdemocratico Tedesco (che fu il partito modello della II Internazionale, nei suoi lati positivi e nei suoi limiti). (9) La percezione di questa inadeguatezza emerge anche, già alla fine del secolo XIX, dalla polemica di Karl Kautsky e Rosa Luxemburg contro il capofila dei primi revisionisti, Eduard Bernstein. Questa percezione si esprimeva nell’affermazione che “le tesi teoriche del partito sono conformi alle teorie marxiste e opposte a quelle dei revisionisti, ma la condotta politica del partito, la sua tattica e la sua organizzazione sono invece esattamente riflesse nelle tesi teoriche dei revisionisti”. La stessa percezione emergerà più tardi nelle polemiche tra lo stesso Kautsky e Rosa Luxemburg dopo la prima Rivoluzione Russa (1905-1906) e nella polemica di Rosa Luxemburg con Lenin. Kautsky nella sua La via al potere (1909) indicherà come via senza alternativa per arrivare al potere il raggiungimento della maggioranza parlamentare. Ma persino lui aggiungerà la riserva “se la borghesia si atterrà alla sua Costituzione”. Aggiunta e riserva che erano ovviamente una dichiarazione di resa alla borghesia: il successo della classe operai dipendeva dalla borghesia. (10) Rosa Luxemburg, di fronte a una direzione del partito che vedeva priva di una strategia per la conquista del potere, anziché promuovere la trasformazione del partito come faceva Lenin nel partito russo, rimandava all’iniziativa rivoluzionaria delle masse e si batteva per l’autonomia politica delle organizzazioni locali dalla direzione del partito. Nutriva l’ingenua fiducia che le organizzazioni locali, non soffocate dalla direzione centrale, avrebbero risolto il problema che non vedeva come la direzione centrale potesse risolvere. (11) Tolto Lenin, che però fino al 1914 non si occupò della rivoluzione socialista in Europa Occidentale in qualità di dirigente, nessuno dei dirigenti della II Internazionale indicò una strategia realistica per l’instaurazione del socialismo. Anche quelli di sinistra non solo non seppero indicare una via alla rivoluzione che prevenisse la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), (12) ma nemmeno una via alla rivoluzione che traesse profitto dalla situazione rivoluzionaria creata dalla guerra. Questo limite dei partiti europei della II Internazionale è riassunto ed esposto magistralmente da Stalin in Principi del leninismo (1924), per cui non vale la pena entrare qui in maggiori dettagli. Quanto al Partito socialista italiano, la descrizione fattane da Antonio Gramsci nel Programma dell’“ordine nuovo” e della sezione socialista torinese pubblicato nell’aprile del 1920, basta ad illustrare i suoi limiti nel campo di cui stiamo parlando. La posizione espressa da Togliatti e Tasca alla riunione congiunta della Direzione nazionale del PSI e del Consiglio generale della CGL tenutasi a Milano il 9-10 settembre 1920 durante l’occupazione delle fabbriche, conferma che la rovina delle sollevazioni popolari perché i dirigenti dei rivoltosi non sanno cosa fare delle posizioni che le masse hanno conquistato, è cosa più volte ripetutasi nella storia. (13)

I partiti creati dalla Internazionale Comunista (1919-1943) nei paesi imperialisti, nonostante l’insegnamento e l’assistenza dell’Internazionale Comunista e l’esempio del Partito comunista dell’URSS, del Partito comunista cinese e dei partiti comunisti di altri paesi oppressi, sono rimasti per molti aspetti ancorati all’esperienza dei partiti socialisti da cui si erano formati sullo slancio rivoluzionario che la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre avevano suscitato nella classe operaia e in altre classi delle masse popolari. Nessuno di essi riuscì ad elaborare una strategia per la conquista del potere, nonostante la situazione rivoluzionaria in cui svolsero la loro attività e l’avanzamento della rivoluzione proletaria nei paesi oppressi. (14) La direzione revisionista del vecchio PCI conquistò tanto prestigio tra i partiti comunisti dei paesi imperialisti con le sue misere e fallimentari elaborazioni sulla “via democratica al socialismo tramite le riforme di struttura” perché in nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti la sinistra aveva messo in campo alcuna strategia per l’instaurazione del socialismo. I revisionisti presentavano un piano strategico, benché fallimentare. La sinistra non ne presentava alcuno. Mao Tse-tung nel 1957 aveva indicato che la situazione era favorevole ad una offensiva rivoluzionaria a livello mondiale (“Il vento dell’est prevale sul vento dell’ovest”). ma la sua indicazione si perse nel vento. (15)

Per quanto queste verità siano amare, noi comunisti italiani, come i comunisti degli altri paesi imperialisti, dobbiamo confrontarci con esse. Passare sotto silenzio, nascondere, ignorare il singolare contrasto tra l’eroismo con cui centinaia di migliaia di operai, di lavoratori, di studenti, di casalinghe, di intellettuali si sono battuti nei paesi imperialisti per il socialismo prima contro il fascismo, contro il franchismo, contro il nazismo e poi contro i regimi dell’oligarchia finanziaria instaurati dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie all’intervento dei gruppi imperialisti USA e la miseria dei risultati ottenuti, vuol dire non solo cedere alla campagna di denigrazione del movimento comunista che la borghesia conduce su grande scala, ma anche rifiutare di imparare dalle sconfitte e in generale dall’esperienza.

La causa principale per cui nei paesi imperialisti non si sono formati partiti comunisti all’altezza dei loro compiti, sta nell’arretratezza ideologica dei dirigenti degli stessi partiti. (16) Proprio l’arretratezza delle concezioni, delle analisi e delle linee che i dirigenti portavano nei partiti in contrasto con lo slancio rivoluzionario di tanti membri del partito e di tanti lavoratori ed esponenti delle masse popolari, mostra la soluzione del problema. Che non sta nell’idea anarchica o semianarchica di fare a meno di dirigenti, ma nel costruire partiti conformi alle sette caratteristiche sopra indicate. L’arretratezza ideologica dei dirigenti è ovviamente connessa con la forza dei mezzi impiegati dalla borghesia per portare nel suo campo e per influenzare gli intellettuali, cioè con la maturità del comunismo. Ma farvi fronte è un compito del tutto possibile, una volta che il problema è stato individuato.

3. Certamente quelle sette caratteristiche si condizionano a vicenda, sono dialetticamente legate l’una all’altra. Nel concreto, i passi avanti che facciamo in un campo sono in vario modo condizionati dai passi avanti che facciamo in altri. Ma chi si fermasse a questa giusta considerazione, non farebbe passi avanti. Dirigere un processo vuol dire distinguere cose diverse che nella realtà inevitabilmente si presentano intrecciate, capire la natura di ognuna di esse e le relazioni che legano l’una a ognuna delle altre e che legano tutto l’insieme e dirigere sulla base di questa comprensione la propria attività. Come sempre in questi casi, bisogna individuare qual è oggi l’elemento principale, quello da cui partire per “muovere l’intera catena”. Nelle attuali condizioni, dopo la prima ondata della rivoluzione proletaria che portò fino alla costituzione dei primi paesi socialisti e la distruzione di gran parte delle istituzioni che essa aveva creato, l’elemento chiave e decisivo della vita di un vero partito comunista è l’unità sulla concezione comunista del mondo, che è anche bilancio del passato e direzione di marcia. Quindi è l’unità sul marxismo-leninismo-maoismo. Cosa questo vuol dire, il lavoro compiuto in molteplici campi negli anni passati dalla “carovana” e negli ultimi anni dalla CP lo mostra concretamente a ogni compagno interessato a conoscerlo.

È da questa unità che parte oggi il nostro lavoro di partito. Solo compagni che assumono compiutamente e senza riserve il punto più alto del movimento comunista, il marxismo-leninismo-maoismo, possono costituire il punto di partenza per la costruzione di partiti comunisti all’altezza di compiti che la nuova situazione rivoluzionaria pone all’ordine del giorno. La fondazione del Partito è il riconoscimento dell’unità raggiunta e la messa in atto di questa concezione. Da qui riparte il lavoro di reclutamento al partito degli operai avanzati e il resto della costruzione del Partito conforme alle sette caratteristiche. È solo a partire dall’unità sulla concezione del mondo che via via uniremo nel Partito un numero crescente di operai avanzati e consolideremo nella pratica del Partito le altre sue caratteristiche.

 

Nicola P.

Note

1. Chi non ne è convinto, rifletta su cosa è avvenuto e come si è ripreso il movimento comunista dopo la sconfitta della Rivoluzione del 1848, dopo la sconfitta della Comune di Parigi (1871) e lo scioglimento della I Internazionale, dopo il crollo della II Internazionale (1914). E riveda questi eventi storici alla luce delle leggi della dialettica materialista.

2. Da secoli questo mondo migliore è chiamato, dai sognatori del ritorno o dell’avvento di una mitica “età dell’oro”, da Platone a Tommaso Moro a Campanella a Cervantes, comunismo. Solo da quando il comunismo è diventato per gli sfruttatori una minaccia reale e incombente, cioè da quando i tempi per il comunismo sono maturi, questa parola è diventata, nel vocabolario degli sfruttatori alla Berlusconi (e dei loro sciocchi o astuti mimi, alla Bertinotti per intenderci), sinonimo di ogni nefandezza, di ogni “errore e orrore”: il “regno del male” che ossessiona Woityla.

3. L’idea che gli operai possano liberare se stessi dalla soggezione ai capitalisti senza liberare tutte le masse popolari, quindi senza mobilitare e dirigere anche il resto delle masse popolari a liberarsi e quindi liberare tutta l’umanità dalla millenaria divisione in classi di sfruttati e sfruttatori, è la trasposizione in termini di teoria politica generale del corporativismo rivendicativo dei primi gruppi operai, all’alba del movimento comunista. È un’idea che non ha retto e non regge all’urto della pratica. Non è un caso che l’ASLO è passata da una linea improntata a “solo noi operai” (che nella pratica veniva elusa dalla militanza silenziosa di non operai nell’Associazione), all’appello aperto ai “compagni che non vengono dalle fila operaie” ad aderire all’Associazione. Ma la persistente crosta corporativa continua a produrre il suo danno. Da più di vent’anni a questa parte nelle risoluzioni promosse dall’Associazione risuona il ritornello: “Gli operai non hanno un Partito che gli sia proprio, indipendente da tutti gli altri Partiti, capace di lottare per un nuovo modo di produzione sociale, senza profitto e schiavitù salariale. Oggi noi operai riuniti in assemblea lo poniamo come problema, un problema urgente a cui dobbiamo dare una soluzione” (dalla Mozione conclusiva dell’Assemblea tenuta il 12 novembre 2004 a Sesto S. Giovanni - MI). Ma più di vent’anni sono passati dalla prima volta che hanno cantato questo ritornello e l’aspirazione e il proposito non si sono ancora tradotti in un piano di costruzione del partito degli operai indipendente dalla borghesia. Ripetere che bisogna fare una cosa e non farla mai, alla lunga genera demoralizzazione e rassegnazione, genera la convinzione che non si è capaci di farla. Ma non si tratta di incapacità di individui. La reazione indignata all’incoerenza degli “intellettuali comunisti” che negli anni ’70 dirigevano gli “operai comunisti” si è fissata unilateralmente come principio generale della lotta di classe. Ha prodotto una concezione sbagliata che per uscire dall’impotenza bisogna ripudiare.

4. L’emancipazione del proletariato e delle masse popolari dalla borghesia muove i primi passi già nel capitalismo, nell’ambito della dittatura della borghesia: sono i progressi nella mobilitazione, nell’unità e nell’organizzazione contro la borghesia. Essa prosegue, ad un livello nuovo e in forme differenti, nel socialismo, nell’ambito della dittatura del proletariato: sono i progressi nel costruire relazioni e istituzioni che, abolita la proprietà individuale delle forze produttive salvo che per la forza-lavoro, superano la divisione nell’ambito del processo lavorativo tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra esecuzione e direzione, tra donne e uomini, tra campagna e città, tra settori, zone e paesi arretrati e settori, zone e paesi avanzati, ecc. e le divisioni nella distribuzione del prodotto.
I primi paesi socialisti hanno mostrato sia formidabili passi di questo processo sia gli ostacoli che incontra. Il maoismo, analizzando i tre aspetti dei rapporti di produzione, ha indicato la “nuova borghesia”, la classe ostile all’avanzamento verso il comunismo, che inevitabilmente si forma (ma non è inevitabile che prevalga) nel socialismo.

5. “Linea di massa e “lavoro di massa” sono due cose diverse. Per “linea di massa” indichiamo un metodo di lavoro consistente nell’individuare, in ogni aggregato sociale e ad ogni livello di lavoro, la sinistra, mobilitarla e organizzarla perché unisca a sé il centro e isoli la destra. Detta in altre parole, il metodo consiste nel raccogliere le idee, i sentimenti, le sensazioni che nelle masse esistono sparse, confuse e isolate, dividerle ed elaborarle, farne una linea e portarla alle masse perché la realizzino e quindi ricominciare daccapo. Per maggiori dettagli sulla “linea di massa” vedasi La Voce n. 10, pag. 33.

6. Trascuriamo in questo contesto le caratteristiche che l’esperienza ha mostrato necessarie perché il partito sia all’altezza del ruolo che deve svolgere dopo l’instaurazione del socialismo, nella fase socialista, nella fase della transizione dal capitalismo al comunismo sotto la direzione della classe operaia. Per questa questione, rimandiamo a Marco Martinengo, I primi paesi socialisti, 2003, edizione Rapporti Sociali.

7. La Lega dei comunisti (1847-1850) ha permesso la prima formulazione del marxismo. La I Internazionale (1864-1872) ha permesso la diffusione del marxismo tra gli esponenti più avanzati del movimento operaio. Quindi sia la Lega sia la I Internazionale appartengono alla fase in cui nei paesi più avanzati del mondo si sono create le condizioni perché la classe operaia svolgesse un’azione politica autonoma sia dalla borghesia sia dalle altre classi delle masse popolari, alla testa del resto delle masse popolari. È solo con la II Internazionale che la classe operaia inizia in vari paesi dell’Europa Occidentale ad agire come protagonista della lotta politica.

8. Le condizioni oggettive che favorirono la nascita in Russia del leninismo sono chiaramente e sinteticamente esposte da J. Stalin, in Principi del leninismo (1924).

9. Si veda 1. la sua polemica con i dirigenti del Partito Socialdemocratico Tedesco nel 1891 a proposito della pubblicazione (solo nel 1891 e all’estero, per iniziativa di Engels) delle Critica del Programma di Gotha con cui Marx aveva già nel 1875 criticato l’impostazione del partito tedesco; 2. la sua Introduzione del 1895 all’opuscolo di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850; 3. la sua lettera in data 8 marzo 1895 a Richard Fischer in cui difende quella Introduzione dalla censura legalitaria dei dirigenti tedeschi.

10. F. Engels nella sua Introduzione del 1895 aveva già chiaramente detto che la borghesia non si sarebbe attenuta alla sua Costituzione.

11. Da Sciopero di massa, partito e sindacati (1906) ricaviamo la concezione che Rosa Luxemburg aveva della via al socialismo, simile come due gocce d’acqua alla “tattica processo” dei menscevichi contro cui si era battuto e continuerà a battersi Lenin. La rivoluzione consiste in “scioperi di massa, lotte politiche di massa” che farebbero cadere il governo del paese nelle mani delle masse. I primi a loro volta sarebbero l’effetto di “una vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria, che sia in grado di guadagnare e trascinare nella propria scia i grandi settori di masse proletarie non organizzate, ma rivoluzionarie per disposizione e condizione”. E da dove arriva questa “vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria? È “un semplice risultato della diretta azione rivoluzionaria delle masse”, risponde Luxemburg qualche riga dopo. In altre parole: la “diretta azione rivoluzionaria delle masse” dovrebbe produrre una “vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria capace di trascinare all’azione anche le masse proletarie non organizzate” e questo farebbe cadere il governo del paese nelle mani delle masse! Se così è, perché mai il partito dovrebbe occuparsi di strategia e di tattica? Il partito fa propaganda, insegna, organizza sindacati, associazioni culturali, sportive, ecc. Crea coscienza e organizzazione di massa. La rivoluzione è il risultato di un’azione delle masse avanzate che in circostanze favorevoli trascina all’azione anche le masse arretrate. Il partito, l’elemento cosciente, se ha un ruolo nel preparare le condizioni soggettive del socialismo (nel creare “un certo grado di coscienza e di organizzazione della massa del proletariato”), scompare quando si tratta di fare la rivoluzione vera e propria. Il partito prepara il materiale infiammabile, eccita alla rivoluzione, propaganda la rivoluzione, ma non si occupa anche di accendere il fuoco e, quando l’incendio per qualche motivo scoppia, lascia che le cose seguano il loro corso. Di per se stessa, la rivoluzione è un avvenimento troppo complicato e condizionato da troppi elementi imprevedibili perché ci si possa preoccupare di prevedere e organizzare quanto più possibile quello che è prevedibile e organizzabile. Questa concezione sottovalutava il ruolo dell’elemento cosciente e organizzato nella rivoluzione. A somiglianza dei menscevichi, Rosa Luxemburg proponeva come strategia del partito, linea guida del partito, quello che avveniva indipendentemente dal partito ed eludeva i veri compiti di cui il partito deve occuparsi nel corso della rivoluzione e che la rivoluzione russa aveva messo in evidenza: esercito rivoluzionario (operai e altri membri delle masse popolari organizzati e armati in massa, distaccamenti d’avanguardia armati, reparti di militari di professione), fronte rivoluzionario, insurrezione, governo rivoluzionario. Va da sé che questa errata concezione, nulla toglie all’eroismo personale di Rosa Luxemburg che si è ben distinta dalla cattiva compagnia con cui aveva tuttavia fatto tanta strada. Anzi il suo eroismo è la conferma di quale è stato il principale punto debole dei partiti della II Internazionale: la mancanza delle sette condizioni già indicate.

12. L’idea di opporsi alla guerra con un ultimatum ai governi borghesi e alle classi reazionarie, concretizzatasi nel Manifesto contro l’imminente guerra imperialista approvato il 25 novembre 1912 a Basilea dal congresso straordinario della II Internazionale, era un’idea assurda e reazionaria. L’ultimatum è una parola militare che suona come un volgare bluff quando non si dispone di una forza militare già pronta. Nella lotta di classe intimare e lanciare ultimatum senza avere la forza di far seguire l’azione è da avventurieri e chiacchieroni. Addormenta le classi rivoluzionarie e alimenta in esse l’illusione che sia possibile indurre la volpe a difendere le galline dalla volpe. Accresce cioè la credulità delle masse popolari verso la classe dominante, che sempre in qualche misura esiste ed è un freno all’azione rivoluzionaria delle masse popolari.

13. Vedasi La Voce n. 1 (marzo 1999), pag. 27.

14. Più e più volte prima Lenin e poi Stalin ammonirono i dirigenti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti che essi non potevano “fare come in Russia”, che i loro paesi erano formazioni economico-sociali profondamente diverse dalla Russia, con una composizione di classe e una sedimentazione storica di relazioni sociali molto differenti, che nei loro paesi sarebbe stato più difficile che in Russia instaurare il socialismo e, viceversa, più rapida poi l’avanzata verso il comunismo.

Antonio Gramsci si rese ben presto conto dei limiti di capacità rivoluzionaria del gruppo dirigente del vecchio PCI, insiti nel modo in cui il Partito era nato e, negli anni in cui fu a capo del Partito (1923-1926), compì un intenso lavoro di formazione per superarli, documentato dai suoi scritti del periodo (vedi la raccolta La costruzione del Partito comunista (1923-1926), ed. Einaudi).

Per quanto concerne le incertezze dei partiti comunisti dei paesi europei quanto alla strategia da seguire, vedasi L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo in La Voce n. 10 (marzo 2002), pag. 52 e segg. e Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista in La Voce n. 2 (luglio 1999), pag. 31 e segg. Una utile esposizione e analisi delle strategie tra cui oscillò l’IC in Europa sono reperibili nelle due opere di Willi Dickhut, Strategy and Tactics in the Class Struggle (1981) e Trade Unions and Class Struggle (1988), edite, in varie lingue, da Verlag Neuer Weg del Partito Marxista-Leninista della Germania (MLPD) e reperibili anche sul Sito Internet www.mlpd.de.

15. Mao Tse-tung, Agli studenti cinesi a Mosca, 17 novembre 1958, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 15.

16. Lenin ci ha insegnato: “Nella storia nessuna classe è giunta al potere senza aver trovato nelle sue stesse viscere dei capi politici, dei rappresentanti d’avanguardia capaci di organizzare il movimento e dirigerlo”. “I capi influenti e provati del partito si formano lentamente e con difficoltà. Senza di loro però la dittatura del proletariato e la sua unità di volontà sono parole vuote”.