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Per diventare comunisti dobbiamo trasformare la nostra concezione del mondo, la nostra mentalità e la nostra personalità modellate dalla Repubblica Pontificia

 

Il socialismo e il comunismo sono incompatibili con una concezione del mondo, una mentalità e una personalità modellate nella classe operaia e nel resto delle masse popolari dalla società borghese. Tanto meno sono compatibili con la natura umana della borghesia e del clero

 

Per diventare comunisti bisogna essere disposti a trasformare la propria concezione del mondo (la propria filosofia), la propria mentalità, la propria personalità. È la tesi che il compagna Anna M. ha ben illustrato nell’articolo Diventare comunisti, formare il gruppo dirigente del Partito comunista! Moralmente tenaci, intellettualmente acuti del n. 30 di La Voce. Qui mi propongo di arricchire e rafforzare le tesi illustrate dalla compagna e do per scontato che i lettori conoscano quell’articolo.

Concezione del mondo, mentalità, personalità indicano tre ambiti del lato spirituale di ogni individuo umano, tre ambiti in crescendo per ampiezza e profondità: il successivo della serie contiene il precedente. Se, per spiegarci, paragoniamo l’uomo a un calcolatore, ogni individuo ha un hard e un soft. Gli uomini conoscono a fondo l’hard (la macchina) e il soft (sistema operativo e programmi) dei calcolatori, perché gli uomini hanno creato i calcolatori (il loro hard, il loro soft e la combinazione dei due) e li usano. Che in ogni individuo ci sia un hard (una base materiale, oggetto della fisica, della chimica, della biologia, della medicina e di altre scienze naturali e modificabile attraverso procedimenti e tecniche attinenti a queste scienze) è evidente. Che vi sia un soft è altrettanto evidente: anch’esso è da tempi lontani oggetto di studio (la psicologia, la filosofia, le scienze umane, la sociologia e le scienze affini) e di interventi per trasformarlo (l’educazione, l’istruzione, la politica, ecc.). Che i due siano tra loro combinati in un rapporto di reciproca azione e reazione, è reso evidente non solo dalla nascita e dalla morte di ogni individuo (il lato spirituale dell’uomo non esiste senza il lato materiale e viceversa), ma anche dal condizionamento reciproco dei due che è evidente in ogni individuo nel corso della sua vita: la salute fisica e la malattia, certe malformazioni fisiche, l’alimentazione, ecc. condizionano la nostra attività spirituale; la nostra attività spirituale condiziona il nostro stato fisico (psicosomatica, mens sana in corpore sano, ecc.).

La grande differenza rispetto alla coscienza che abbiamo dei calcolatori sta nel fatto che noi uomini, sia come individui sia come società, arriviamo alla coscienza di noi stessi quando siamo già formati a nostra insaputa dal resto della natura, dalla società e dalla storia che abbiamo alle spalle. Come specie umana (ma la cosa si ripete a livello individuale, per ogni individuo) abbiamo incominciato a occuparci di noi stessi, a chiederci perché noi (intesi come individui o come società) ci comportiamo e siamo in un modo piuttosto che in un altro, quando già la nostra formazione inconsapevole come specie (e analogamente come individuo) era giunta ad un certo livello. Non siamo noi, né come individuo né come società, che abbiamo creato noi stessi.

Come specie e come società noi siamo il risultato di un processo di metamorfosi avvenuto in natura sulla Terra, un processo che riguarda anche altre specie animali: l’evoluzione delle specie. Questo processo fu intuito e descritto dagli uomini in qualche misura e in forma più o meno mitica già nell’antichità, millenni fa.(1) Ma fu indicato per la prima volta come un processo di storia naturale e illustrato per la prima volta in modo compiuto, coerente, sistematico e verificabile, in una parola scientifico, nelle opere dello studioso inglese Charles Darwin (1809-1882). Come individui, siamo ognuno il risultato di un processo che parte dall’accoppiamento dei nostri genitori e procede a nostra insaputa fin quando ognuno di noi prende a occuparsi lui stesso consapevolmente della propria formazione.

Ad un certo punto della loro evoluzione, gli uomini hanno incominciato a studiare se stessi come individui e come società e a intervenire in modo consapevole e mirato sulla propria trasformazione fisica e spirituale. In particolare hanno scoperto che l’esperienza pratica delle relazioni sociali influiva sulla formazione di ogni individuo. Non solo sulle sue idee (sulla sua concezione del mondo), ma anche sul suo carattere, sui suoi sentimenti, sulle sue aspirazioni, sulla sua sensibilità, sulle sue tendenze, sui suoi comportamenti: in breve sulla sua mentalità e sulla sua personalità. Le formava e trasformava in una misura che non era scontata e che ancora oggi non conosciamo pienamente. Niente era fisso, tutto era modificabile: restava e in larga parte resta ancora da vedere come e in che misura. Da un certa epoca della storia umana in poi, l’individuo e la società sono diventati per noi uomini due nostri campi di studio (di conoscenza) e di intervento per trasformare.

 

È facile capire perché la lotta tra le classi oppresse e le classi dominanti ha condizionato e non poteva e non può non condizionare lo studio e la comprensione di questi due campi (le scienze umane e in particolare le scienze sociali), come condiziona l’intervento per trasformarli. Le classi dominanti devono far valere il loro ruolo, i loro interessi e i loro privilegi, devono radicarne il rispetto nei propri membri, nella loro personalità, nella loro mentalità e nella loro concezione del mondo, e soprattutto in quelle dei membri delle classi oppresse. Devono forgiare in tutti gli uomini, almeno nella gran massa degli uomini, comportamenti e abitudini coerenti con gli interessi, i privilegi e il ruolo delle classi dominanti e una mentalità secondo cui essi sono naturali, eterni, giusti.

La conoscenza dell’individuo e della società (le scienze sociali) e la trasformazione dell’individuo e della società sono quindi campi mossi dalle contraddizioni di classe e dalla lotta tra le classi.

I reazionari sostengono che vi sono verità eterne, che la verità è eterna. Sostengono che la natura umana e l’ordinamento sociale sono fissi, o almeno che vi è un comportamento umano e un ordinamento sociale che sono quelli di natura (conformi all’ordine naturale delle cose, naturali) e giusti, mentre tutti gli altri o sono aberrazioni (“errori e orrori”, per dirla alla Bertinotti) o sono realizzazioni imperfette, approssimative e graduali dei comportamenti e dell’ordine sociale giusti e naturali. Ovviamente il comportamento umano e l’ordinamento sociale giusti e naturali sono quelli che fissano, riflettono e rispettano il ruolo delle classi dominanti, i loro interessi e i loro privilegi. Preti e filosofi delle classi dominanti si arrogano il privilegio di conoscere quali sono il comportamento e l’ordinamento giusti. Ma ne hanno in realtà dato versioni molto contrastanti da un gruppo all’altro e nel corso della storia: cosa che già di per sé confuta la loro pretesa.

I dogmatici del nostro campo (nel movimento comunista) sono certamente fautori di un ordinamento sociale e di comportamenti diversi da quelli proclamati e difesi dai reazionari, ma anch’essi come i reazionari sostengono che la verità è unica e fissa, eguale per tutte le classi. Anche secondo i nostri dogmatici, come secondo i reazionari di ogni specie, dal Papa in giù, la verità è la verità, le classi antagoniste non hanno verità diverse, la verità non è di classe, la verità è assoluta. Il presidente del RCP-USA (Partito comunista rivoluzionario degli USA), Bob Avakian, ha fatto della tesi che la verità non è di classe, che la verità è la verità, la stessa per tutte le classi, un pilastro portante della sua “Nuova Sintesi”, la concezione e la strategia della rivoluzione socialista che egli sostiene.

Noi materialisti dialettici sosteniamo che la verità che noi formuliamo è la ricostruzione del mondo nel nostro cervello, quella ricostruzione che Marx nello scritto Il metodo dell’economia politica chiama “concreto di pensiero”. La verità è quindi relativa. La verità è relativa alla situazione concreta in cui viene scoperta e usata come guida per l’azione. Noi conosciamo per trasformare. Ogni classe ha la sua verità.(2) A classi contrapposte e antagoniste corrispondono concezioni del mondo, mentalità e personalità diverse. Tuttavia promotori e protagonisti della rivoluzione socialista sono uomini e classi formati nella società borghese. La rivoluzione socialista non consiste nel far finalmente valere una verità eterna, qualcosa che gli uomini avrebbero dovuto far valere da sempre se non fossero stati fuorviati da questo o da quell’accidente. La rivoluzione socialista consiste nell’instaurare e far valere un ordinamento sociale, il socialismo, che corrisponde agli interessi e alle necessità delle classi oppresse e sfruttate di oggi, tramite il quale esse stesse creeranno un nuovo e superiore ordinamento sociale, il comunismo, che darà inizio a una nuova fase della storia della specie umana. A un nuovo superiore ordinamento sociale corrisponderanno necessariamente uomini con comportamenti, concezione del mondo, mentalità e personalità diversi da quelli oggi dominanti: l’uomo nuovo.

Le prime rivoluzioni socialiste si sono poste tutte consapevolmente, benché con diversa energia e consapevolezza, il compito di formare a livello di massa l’uomo nuovo, creatore e protagonista di un nuovo superiore ordinamento sociale. Gli uomini con una concezione del mondo, una mentalità, una personalità e comportamenti da servi, ovviamente non sono in grado di governare con successo se stessi. Per farlo devono abituarsi a comportarsi da uomini liberi e responsabili delle proprie azioni e di se stessi. Quindi devono trasformarsi. Cosa che essi stessi gradualmente e per salti faranno nel corso dell’epoca socialista della loro storia, ogni volta sulla base dei presupposti del futuro esistenti nel presente.

Il socialismo è una fase di transizione: esso implica un ordinamento sociale in via di trasformazione dal capitalismo (e dagli altri più arretrati ordinamenti sociali che ereditiamo dalla storia) al comunismo. Nel socialismo vi è ancora distinzione e contraddizione tra dirigenti e diretti, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, zone e paesi avanzati e settori, zone e paesi arretrati: tutte contraddizioni che oggi ostacolano e frenano l’attività umana e il progresso dell'umanità, che sono residuati del passato, quando per le condizioni generali allora esistenti ebbero una loro ragione di formarsi e di esistere. La lotta di classe nel socialismo consiste nel trattare ognuna di queste contraddizioni con l’obiettivo di eliminare le divisioni e le differenze da cui traggono origine. Questo è di fase in fase nella società socialista il campo della lotta tra le due vie, tra le due classi e tra le due linee. È in questa lotta che si forma l’uomo nuovo.

L’esperienza dei primi paesi socialisti, nella fase della loro costituzione e della loro ascesa (la prima delle tre fasi in cui va divisa l’esistenza dei primi paesi socialisti se si vuole comprenderne la storia - vedi Manifesto Programma pag. 87) ha mostrato i grandi passi avanti che nel socialismo è possibile fare nella formazione su grande scala, in massa, dell’uomo nuovo, tramite l’educazione universale, gratuita e permanente e l’esperienza diretta di partecipazione su larga scala e in misura crescente delle masse popolari alla direzione della vita sociale tramite le organizzazioni di massa e il Partito comunista. L’esperienza degli stessi paesi socialisti, nella fase successiva della loro decadenza fino al crollo (la seconda delle tre fasi sopra ricordate), ci ha mostrato che la proprietà pubblica delle aziende, punto di partenza e base fondante del socialismo, non è compatibile con una direzione che per la personalità dei suoi esponenti, la loro mentalità, la loro concezione del mondo e il loro comportamento scimmiotta la borghesia e le altre classi sfruttatrici.

Quindi entrambe le fasi, quella di ascesa dei primi paesi socialisti e quella della loro decadenza, ci mostrano e confermano che la transizione dal capitalismo al comunismo procede e deve procedere con la creazione su grande scala, a livello di grandi masse dell’uomo nuovo, un uomo che per la sua concezione del mondo, la sua mentalità, la sua personalità e il suo comportamento costituisce una superiore livello dell’evoluzione della specie umana. I passaggi ancora irrisolti (le ostruzioni e gli ostacoli) del percorso di una classe in ascesa, per la natura stessa del percorso hanno tutti una o più soluzioni nel percorso stesso, a differenza di quelli del percorso di una classe in declino. La soluzione esiste: sta ai promotori del percorso (ai comunisti) trovarla. Ovviamente questo non esclude sconfitte e fallimenti: è possibile costruire case, sappiamo costruire case, ma nonostante ciò alcuni cantieri finiscono in un fallimento, alcune case crollano.

E da ogni fallimento c'è da imparare e chi vuole andare avanti impara.

Il crollo dei primi paesi socialisti che ha seguito la loro decadenza ci conferma che il socialismo creerà e deve creare un uomo nuovo, che il socialismo non può svilupparsi che formando uomini nuovi: la transizione al comunismo in sostanza consiste nella trasformazione degli individui e delle loro relazioni.

 

Le nature umane

Quando parliamo di natura umana, ci riferiamo a ciò che distingue gli uomini dalle altre specie animali: il loro comportamento, la loro mentalità, la loro capacità di comprendere, di esprimersi, di relazionarsi e di fare, i loro sentimenti, ecc. Ma per tutti questi aspetti gli uomini si differenziano notevolmente anche tra loro. Quindi se scendiamo più in dettaglio, se dalla distinzione molto generale tra la specie umana e le altre specie animali, passiamo a considerare la specie umana, la sua storia e i problemi e le modalità del suo sviluppo, siamo costretti ad accettare che esistono diverse e irriducibili nature umane che si sono manifestate nel corso della storia e che si manifestano contemporaneamente e distinguono l’uno dall’altro paesi, nazioni e classi.

Quando tutta una genia di persone, che spazia dal Papa a Bertinotti a Preve, ci vengono a dire che il comunismo è incompatibile con la natura umana, essi dicono una verità relativa, solo che la dicono come se fosse assoluta, universale ed eterna. Noi semplicemente rettifichiamo: è vero che il comunismo è incompatibile con le loro nature umane. Persino il socialismo è per loro una cosa contro natura. Le loro nature umane, per quanto diverse, sono tutte modellate alla scuola di una umanità divisa in classi di oppressi e di oppressori, di sfruttati e di sfruttatori, un’umanità che non è ancora uscita dalla fase barbarica della sua evoluzione, la fase in cui essa non domina ancora il proprio ordinamento sociale e non trae ancora il vantaggio possibile dal dominio che ha raggiunto sul resto della natura: anzi sta usandolo in modo tanto primitivo che se persistesse taglierebbe il ramo su cui è posata (la crisi ambientale e la guerra di sterminio non dichiarata).

Durante il periodo di affermazione della società borghese (in Europa fino al secolo XIX), il capitalista si è opposto alla nobiltà e al clero in nome del fatto che il diritto del capitalista alla proprietà era fondato sul lavoro, mentre nobiltà e clero erano un’incrostazione parassitaria ereditata da una storia sorpassata, succhiavano e sprecavano i frutti del lavoro altrui. Nobiltà e clero godevano e pretendevano di continuare a godere di una proprietà che non derivava dal loro lavoro. Beffardamente il cancelliere germanico Otto von Bismarck (1815-1898), di nobili origini, faceva notare alla borghesia che, facendo valere contro nobili e preti che la legittimità del proprietario deriva dal suo lavoro e non da Dio, essa firmava una cambiale in bianco agli operai che prima o poi avrebbero fatto valere che a lavorare erano loro e non il capitalista.

Con le lotte rivendicative gli operai hanno fatto e fanno effettivamente valere in modo radicale la concezione del mondo che la borghesia ha elaborato contro la nobiltà e il clero. Usano contro la borghesia la concezione borghese secondo cui il lavoro dà diritto alla proprietà privata, che la proprietà privata è giusta se è per ognuno proprietà di quello che ha prodotto col suo lavoro. Restano nell’ambito di una società fondata sulla proprietà privata, solo che dovrebbe essere una proprietà che a ognuno deriva dal lavoro che egli ha compiuto. La contesa riguarda la ripartizione della proprietà, che stante la natura della società moderna diventa però semplicemente ripartizione del reddito: e qui, come vedremo, sta la contraddizione che gli operai non possono superare con la lotta rivendicativa. Una contraddizione che gli operai superano solo andando oltre la concezione borghese del mondo.

Nella sua opera Che fare? (1902) Lenin ha ben messo in chiaro che nelle lotte rivendicative gli operai fanno valere a proprio vantaggio, rafforzano e universalizzano la concezione borghese del mondo: non più rapporti di dipendenza personale, paternalismo o servitù, ma “giusta ripartizione del reddito”; l’economia resta fondata sulla proprietà privata, ma questa è legittima solo se viene dal proprio lavoro. È ben evidente che con simile mentalità gli operai possono a pieno titolo rivendicare maggiori salari e migliori condizioni di lavoro dai capitalisti, mobilitarsi, organizzarsi e lottare per ottenerli, ma non arrivano a liberarsi dai capitalisti. Ma vi è di più.

Finché restano alla mentalità borghese, gli operai sbattono contro barriere ben definite e limiti insuperabili con le loro lotte rivendicative, anche se impugnano e fanno valere quella mentalità nel modo più radicale e conseguente. I mezzi di produzione moderni, ogni azienda per non parlare della loro combinazione (indispensabile per la vita di ognuna di esse), per loro natura sono collettivi, non sono individuali. Per loro natura non possono essere suddivisi in pezzi attribuibili ognuno a un lavoratore. Nella società moderna la proprietà dei mezzi di produzione non può quindi essere suddivisa tra i lavoratori.

Neanche la rivendicazione “a ognuno l’intero frutto del proprio lavoro” è attuabile nella società moderna. Ogni operaio esegue una parte di un lavoro collettivo che produce solo uno dei beni o dei servizi di cui egli ha bisogno, ammesso che non produca semplicemente mezzi di produzione. Per applicare la rivendicazione “a ognuno l’intero frutto del proprio lavoro” bisognerebbe regredire a uno stato tanto primitivo (senza divisione del lavoro, con mezzi di lavoro individuali, ecc.) che nessun operaio di buon senso neanche ci pensa.

Non solo non è possibile che ognuno abbia l’intero frutto del suo lavoro nel senso di tutti i beni o servizi che produce. Non è possibile neanche nel senso che ognuno abbia un reddito in denaro equivalente a tutto quello che egli produce. La grande maggioranza degli operai compie un lavoro che non è individualmente quantificabile neanche in termini di valore (inteso nel senso corrente del termine). Ogni bene e servizio prodotto nella società borghese è un merce e il valore di ogni merce è noto solo alla fine del processo sociale di scambio in cui essa entra. Lo stesso vale per la forza lavoro che nella società borghese è anch’essa una merce. Quello che un operaio produce corrisponde a una quantità di denaro che non è possibile fissare a priori, proprio per la natura della società borghese in cui egli produce. La pretesa di introdurre una moneta fondata sul lavoro (il denaro-lavoro) fu avanzata nel secolo XIX da alcuni socialisti utopisti. Ma è stato dimostrato (in particolare da Marx) che equivale a voler restare nell’ambito della produzione mercantile rimediando ai suoi inconvenienti con una misura che nega la produzione mercantile: cioè un non senso.(3)

Di più ancora. Nella società moderna molte attività sono indispensabili, ma di per sé non producono niente. Molte attività sono indispensabili o almeno utili per la continuità e il progresso della società, ma nell’immediato non danno nulla. Molti individui a ragione non lavorano (bambini, studenti, anziani, ammalati, ecc.), eppure devono partecipare al consumo di beni e servizi prodotti dalla società. Una parte del lavoro compiuto oggi diventerà utile solo nel futuro, e solo se le cose andranno come previsto.

Il carattere collettivo dell’attività economica della società moderna, base materiale della civiltà, non si concilia con una ripartizione tra gli individui di tutto il prodotto sociale, neanche nella forma monetaria di tutto il reddito sociale. La società è una realtà che si impone a ogni suo membro, di cui ogni suo membro ha bisogno e di cui nessun suo membro può fare a meno per vivere. La classe dominante oggi impersona questa imprescindibile unità sociale, ne è titolare e la gestisce. È vero che la borghesia, la classe dei capitalisti, non è più in grado di svolgere questo ruolo in modo compatibile con il progresso e oramai neanche con la semplice sopravvivenza dell’umanità, stante la crisi ambientale che il capitalismo ha generato e la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia deve condurre in ogni angolo del mondo per sopravvivere nel suo ruolo. Ma finché non è sostituita in questo ruolo, la borghesia incarna e impersona la coesione sociale senza cui nessuna società e nessuna vita umana oggi può esistere. Non è possibile eliminare semplicemente una classe dominante (la sciocca pensata degli anarchici) senza creare un altro genere di coesione sociale: oggi non è possibile eliminare la borghesia senza creare l’associazione comunista dei lavoratori. Ragion per cui la ribellione degli oppressi e degli sfruttati non si sviluppa, neanche in forma rivendicativa, oltre un livello precario ed elementare o non si sviluppa affatto senza la lotta per instaurare il socialismo. La classe operaia è riuscita a strappare grandi conquiste con la lotta rivendicativa durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, quando lottava per instaurare il socialismo.

In conclusione, la borghesia, la classe dei capitalisti, oggi combina in sé un ruolo sociale che non riesce più a continuare a svolgere, ma può essere eliminata solo se quel ruolo viene assunto da altri, dall’associazione comunista dei lavoratori, dalle masse popolari organizzate. È una verità elementare che è universalmente percepita, anche dagli strati più arretrati dei lavoratori che, proprio perché arretrati e quindi ancora sottoposti alla guida dei padroni e del clero, la formulano al negativo nell’affermazione che “senza padrone non si può vivere”.

Per questo tutti i discorsi e progetti “anticapitalisti” diventano chiacchiere diversive se non sono combinati con l’obiettivo di instaurare il socialismo: organizzazione generale della classe operaia e della altre classi delle masse popolari, dittatu-ra del proletariato, trasformazione delle aziende in istituzioni pubbliche con pianificazione dell’attività economica per soddisfare i bisogni di tutta la popolazione.

Tutti i progetti e propositi di una equa ripartizione del reddito e in generale tutti i progetti che trattano solo della ripartizione del reddito restano campati in aria e campo di azione di demagoghi e arruffapopolo. Certo, la ripartizione del reddito realizzata dalla borghesia è iniqua e in definitiva assurda anche dal punto di vista della borghesia (la formula “ridurre i salari ai lavoratori e aumentare i consumi delle famiglie” formula questa assurdità), come lo è la devastazione dell’ambiente e il saccheggio del pianeta. Ma la ripartizione del reddito è solo un appendice della produzione del reddito e dell’attività economica, quindi del modo di produzione. La crisi generale e in particolare la sua fase terminale sono lì a ricordarlo e a porlo con urgenza sul tappeto.

L’equa distribuzione del reddito senza instaurare il socialismo è il programma utopistico dei lavoratori ancora succubi della concezione borghese del mondo, oltre che la parola d’ordine dei demagoghi e dei politicanti che li vogliono tenere lontani dalla lotta per instaurare il socialismo (Bonnani & C., persino Sacconi e Tremonti).

Per liberarsi dalla distribuzione capitalista del reddito gli operai devono liberarsi dai capitalisti e per liberarsi dai capitalisti gli operai devono abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione (delle aziende) e fare di essi una istituzione pubblica, una proprietà della società, con i mezzi e il contesto che sono a tal fine necessari. Solo la concezione comunista del mondo apre la strada alla liberazione degli operai, e dei proletari in generale, dalla borghesia ed essa contemporaneamente comporta la fine di ogni divisione dell’umanità in classi sociali, la fine di ogni relazione sociale che scaturisce da questa divisione e la fine dei sentimenti e delle idee prodotti da queste relazioni sociali. La sua realizzazione è necessaria all’umanità attuale, ma nello stesso tempo comporta che gli uomini trasformino in massa la loro concezione del mondo, la loro mentalità e la loro personalità: che si trasformino da massa di manovra per i capitalisti, il clero e gli altri ricchi, in membri della libera associazione comunista dei lavoratori.

 

Come è nata la concezione comunista del mondo?

A volte tra noi si dice che la concezione comunista del mondo è la concezione dei proletari. Questo in un certo senso è vero e in un altro senso è falso. Parafrasando Lenin (Che fare? cap. 2), diremo che la storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia colle sue sole forze, spontaneamente, cioè con la mentalità e le conoscenze con cui viene formata dalla società borghese, è in grado di arrivare in massa solo a una coscienza rivendicativa, cioè alla convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, di condurre una lotta politica nell’ambito della società borghese per ottenere dalle autorità un trattamento migliore, ecc.

La concezione comunista del mondo è sorta nel secolo XIX da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali riflettendo sia sui contrasti di classe della società moderna (borghese) sia sull’evoluzione compiuta dall’umanità nel corso della sua storia plurimillenaria. Per la loro posizione sociale, gli stessi fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli intellettuali borghesi. Storicamente la concezione comunista del mondo è stata portata agli operai dall’esterno della loro esperienza diretta e dalla mentalità in cui la società borghese li formava: è stata portata dai comunisti. Di per se stessi, nell’ambito della società borghese, con la mentalità e le concezioni che la società borghese forma in essi e per le relazioni in cui li relega, gli operai come massa erano arrivati alla lotta rivendicativa, che corrisponde ancora alla concezione del mondo elaborata dalla borghesia contro la nobiltà e il clero (proprietà privata fondata sul lavoro).

 

Questa è incontestabilmente la storia. A noi però interessa capire come stanno le cose oggi, ai fini della lotta che oggi conduciamo per instaurare il socialismo. Quando Lenin parla della spontaneità degli operai, parla della spontaneità degli operai del suo tempo, dell’Europa alla fine del secolo XIX e della Russia in particolare. Gli operai con cui abbiamo a che fare noi comunisti oggi, in Italia, sono operai che in un modo o nell’altro hanno alle spalle la prima ondata della rivoluzione proletaria, l’esperienza e, sia pure a qualche modo e in qualche misura, la conoscenza dei benefici che la direzione borghese della società e l’ordinamento sociale borghese hanno comportato e dei disastri che essi comportano. Ci fu un periodo, solo alcuni decenni fa, in cui nel nostro paese praticamente tutti gli operai avanzati si dichiaravano comunisti o almeno pensavano che il comunismo per gli operai era una buona cosa. In qualche misura avevano una concezione comunista del mondo e la lotta di classe che essi conducevano in qualche modo rifletteva la loro concezione del mondo.

Per motivi spiegati in altra sede quel movimento comunista non ha portato a compimento la sua opera e quindi è entrato in una fase di declino che è proseguita fino al suo disfacimento. Che gli operai non abbiano oggi in massa una concezione comunista del mondo è un comune dato d’esperienza. La questione è come dobbiamo agire noi comunisti perché essi come massa acquisiscano nuovamente una concezione comunista del mondo, nel modo e nella forma per cui essa diventi la guida della loro azione pratica nella lotta di classe. Che per noi comunisti italiani è, vista da un altro lato, la questione di come fare in modo che il Partito comunista diventi l’effettivo Stato Maggiore della classe operaia: l’elaboratore dei piani della sua guerra contro la Repubblica Pontificia e il dirigente della esecuzione di questi piani di guerra fino alla vittoria, fino all’instaurazione del socialismo.

 

Già nel secolo XIX i comunisti avevano preso atto che, contrariamente a quanto pensavano molti socialisti utopisti (Robert Owen (1771-1858) e altri) che si rivolgevano alle classi colte e addirittura ai monarchi, ai nobili e ai borghesi perché riformassero la società, la classe operaia era in grado di assimilare e fare propria in massa la concezione comunista del mondo più e meglio di ogni altra classe, perché questa concezione è la sola che implica e definisce le condizioni della sua emancipazione che le lotte rivendicative non possono darle e questo limite delle lotte rivendicative è tanto più evidente quanto più largamente esse sono sviluppate. I periodi di crisi rendono ancora più evidente questo limite. Finché le aziende sono proprietà dei capitalisti, gli operai dipendono dall’iniziativa economica dei capitalisti e questi la dispiegano, aprono aziende e tengono aperte aziende solo se esistono buone prospettive di fare profitti, cioè di aumentare i propri capitali. Per i capitalisti le aziende sono principalmente “macchine per fare soldi”. Il capitalista ha creato aziende per moltiplicare il suo denaro e per il capitalista ha senso tenere aperta un’azienda solo se tramite essa aumenta il suo denaro, se essa è il mezzo più adatto e più veloce per moltiplicare il suo denaro. Che non possa e non debba esistere un’azienda se non produce profitti, è per il capitalista più evidente che una verità di fede per un fervente religioso; che se poi qualche capitalista se ne dimenticasse, il fallimento arriverebbe a ricordarglielo più velocemente e più sicuramente di quanto arriva l’inferno per il credente che cede alla tentazione del diavolo. Gli operai in base alle sole lotte rivendicative si trovano legati mani e piedi alla sorte dei “loro” capitalisti. Le due guerre mondiali dell’epoca imperialista, la guerra di sterminio non dichiarata che da tre decenni cresce in ogni angolo del mondo e la crisi ambientale mostrano a cosa questo porta.

Inoltre gli operai, a differenza delle altre classi delle masse popolari, non solo non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare dall’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, anche di quella borghesemente “fondata sul lavoro”, ma per la condizione in cui la borghesia li pone a lavorare e in conseguenza anche solo delle lotte rivendicative, pur conformi alle relazioni e alla mentalità della società borghese e rese agli operai indispensabili dalle relazioni della stessa società borghese (perfino i regimi terroristici della borghesia, come il fascismo e il nazismo, non hanno potuto fare a meno di organizzazioni sindacali degli operai), si trovano ad avere in massa livelli di coscienza e di organizzazione di regola superiori a quelli di qualunque altra classe delle masse popolari. Quindi sono la forza principale e più affidabile per tradurre in realtà la concezione comunista del mondo

Contemporaneamente gli operai si trovano ad essere una classe esposta in massa alle vicissitudini, agli alti e ai bassi della società borghese come e di regola in misura maggiore delle altre classi delle masse popolari. In particolare in periodo di crisi, la speculazione produce danaro più rapidamente e in quantità maggiore della produzione di merci. Quindi le aziende chiudono e lasciano il posto alla speculazione. L’uomo modello è Maddof, non Borghi o Ferrari.

Sono tutte condizioni che predispongono gli operai in massa ad assimilare con maggiore facilità la concezione comunista del mondo e ad essere la forza materiale che sulla base di essa trasforma la società e crea un nuovo mondo.

Resta confermato però, anche dall’esperienza attuale dei paesi imperialisti, dopo l’esaurimento della forza propulsiva che la prima ondata della rivoluzione proletaria e la creazione dei primi paesi socialisti avevano impresso al progresso umano, che la concezione comunista del mondo deve essere portata agli operai dai comunisti. Anzi oggi proprio a causa di questi precedenti i comunisti oggi la devono elaborare ad un livello superiore che un secolo fa, a un livello adeguato alle esperienze storiche positive e negative della prima ondata della rivoluzione proletaria e alle condizioni favorevoli e sfavorevoli alla rivoluzione socialista che la classe operaia dei paesi imperialisti deve compiere. Per noi comunisti italiani, ad un livello adeguato alle esperienze storiche e alle condizioni della classe operaia del nostro paese. Per questo il dogmatismo oggi è, assieme all’economicismo, una delle due principali piaghe del movimento comunista e uno dei due principali ostacoli e freni della sua rinascita.

Neanche nelle condizioni attuali gli operai per conto loro arrivano in massa alla concezione comunista del mondo. La concezione comunista del mondo è una scienza e come ogni scienza deve essere elaborata: ha bisogno di un’istituzione dedicata alla sua elaborazione. Il Partito comunista è questa istituzione. Il Partito comunista è anzitutto l’elaboratore della concezione comunista del mondo. Un Partito che non adempie a questa sua funzione, tanto meno può adempiere alle altre sue essenziali funzioni: portare la concezione comunista del mondo agli operai con la propaganda e usando ogni aspetto, manifestazione e momento della lotta di classe come scuola di comunismo; elaborare una linea politica giusta sulla base della concezione comunista del mondo e dell’analisi delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe a livello internazionale e nazionale; mobilitare, organizzare e dirigere la classe operaia ad attuare la linea che la porterà ad instaurare il socialismo.

 

La formazione dei comunisti

Queste funzioni implicano che i membri del Partito comunista, come collettivo e come individui, assimilino la concezione comunista del mondo per applicarla nella direzione della lotta di classe. Un comunista che oggi va dagli operai semplicemente o principalmente come promotore, propagandista e organizzatore delle loro pur necessarie lotte rivendicative, è destinato a sicuro fallimento. Per questo oggi l’economicismo è, con il dogmatismo, una delle due principali piaghe del movimento comunista e uno dei due principali ostacoli e freni della sua rinascita. Oggi più di ieri per vincere dobbiamo essere portatori della concezione comunista del mondo, elaborata a un livello superiore. È questa concezione che apre agli operai orizzonti nuovi, di gloria e di vittoria che la sola lotta rivendicativa non permette di vedere.

 

La riflessione sulla storia e sull’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei primi paesi socialisti hanno ben messo in luce a grandi linee la concezione comunista del mondo che guiderà la seconda ondata della rivoluzione proletaria, il marxismo-leninismo-maoismo. Per noi comunisti che abbiamo il compito di instaurare il socialismo in Italia, la nostra concezione del mondo è illustrata nel Manifesto Programma del Partito.

Si tratta però delle grandi linee, delle verità universali o comunque di verità generali. Ma la verità che trasforma la realtà è sempre particolare e concreta. Quindi ogni comunista è chiamato a tradurre nel suo particolare e nel suo concreto quello che come movimento comunista internazionale elaboriamo in termini universali e quello che come Partito comunista italiano, reparto del movimento comunista internazionale che ha il compito di instaurare il socialismo in Italia, elaboriamo in termini generali, a livello dell’intero paese o di grandi zone dell’intero paese. Ogni Comitato di Partito, ogni collettivo e infine ogni membro del partito deve diventare capace di tradurre l’universale e il generale nel particolare della sua zona o ambito di attività e nel concreto delle situazioni in cui lotta.

Nel corso della seconda ondata dobbiamo tradurre e tradurremo le verità universali e generali espresse nel nostro Manifesto Programma, nelle risoluzioni dei nostri organismi dirigenti e dei nostri Congressi, nel particolare di ogni zona, ambito e situazione ed elaboreremo passo dopo passo una concezione superiore, criteri, principi e linee superiori. È un processo di cui non si scorge la fine. Contrariamente a quello che pensano i dogmatici, non ci sono limiti alla conoscenza, non ci sono limiti alla trasformazione.

Noi comunisti dobbiamo diventare capaci traduttori nel particolare e nel concreto, abili propagandisti della concezione comunista e dirigenti dell’attuazione della linea che ne consegue nella lotta di classe. In conclusione per potere essere “soggetti della rivoluzione” è indispensabile che noi siamo “oggetto della rivoluzione”: che trasformiamo la concezione del mondo, la mentalità e la personalità che le vicissitudini della vita di ognuno di noi nell’ambito della Repubblica Pontificia ha modellato e con cui iniziamo la nostra attività di comunisti.

Noi comunisti ci distinguiamo dal resto degli operai e delle masse popolari perché compiamo oggi, per nostra decisione e volontà, con uno sforzo particolare e a un livello più alto, quello che gli operai dovranno compiere in massa fino ad un certo livello per nostro impulso, per la nostra propaganda, per l’esperienza pratica di lotta a cui li mobiliteremo, organizzeremo e guideremo, in breve per la scuola di comunismo in cui li coinvolgeremo e che il grosso delle masse popolari compiranno e dovranno compiere principalmente già nel socialismo. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la concezione della rivoluzione socialista come scuola di comunismo che le masse compiono combattendo e diventando così protagoniste, attori via via più consapevoli e creativi della rivoluzione. Il contrario della rivoluzione socialista che scoppia, degli operai che si trovano a dover fare una rivoluzione mentre pensavano di fare rivendicazioni, di masse popolari usate come massa di manovra.

 

Dicevo all’inizio che per diventare comunisti bisogna essere disposti a trasformare la propria concezione del mondo (filosofia), la propria mentalità, la propria personalità. Noi siamo il prodotto della società borghese sopravvissuta alla prima ondata della rivoluzione proletaria. Ognuno di noi per la sua personalità, per la sua mentalità, per la sua concezione del mondo è una delle mille varianti concrete compatibili con questa società, porta il marchio che questa società ha impresso in lui. Dobbiamo prendere atto di questo nostro stato. Quanto più e meglio lo conosciamo e riconosciamo, tanto meglio potremo trasformarlo, con un lavoro che è contemporaneamente individuale e collettivo. Tanto più sarà rapido e su grande scala quanto maggiore sarà il ruolo del collettivo: dei Comitati di Partito e degli altri organismi del Partito. Perché il collettivo accumula un’esperienza e acquisisce un metodo che l’individuo non ha e per sua natura ha una forza conoscitiva e trasformatrice superiore a quella dell’individuo. Le Schede di Autovalutazione, i Profili, i processi di Critica-Autocritica-Trasformazione (CAT) incominciano a costituire una combinazione di strumenti di cui il Partito dispone, che il Partito imparerà a usare sempre meglio, che sosterranno efficacemente il lavoro di consolidamento e rafforzamento del Partito.  

 

Sono quindi ricondotto alle tesi esposte dalla compagna Anna M. ricordate all’inizio di questo articolo: ogni comunista deve trasformare la sua concezione del mondo, la sua mentalità, la sua personalità. Credo utile tuttavia aggiungere tre considerazioni.

1. Dobbiamo essere disposti a trasformarci, dobbiamo chiedere ai compagni che reclutiamo, ai compagni che vogliono arruolarsi nel Partito, ai compagni che sono membri del Partito di essere disposti a trasformarsi, dobbiamo condurre una sistematica opera di trasformazione dei membri del nostro Partito e dei suoi organismi. Il Partito deve mettere a punto strumenti e procedure per la trasformazione della concezione del mondo, della mentalità e della personalità dei suoi membri. È una forza potente. Permette di reclutare e trasformare in comunisti, in combattenti della causa della rivoluzione socialista, anche persone che la società borghese ha deformato e abbrutito intellettualmente o moralmente, ma che per i più diversi motivi individualmente (l’adesione al partito è individuale e volontaria) rispondono con generosità e con forza di volontà al nostro appello alla lotta per la rivoluzione socialista.

Ma quale trasformazione dobbiamo compiere? Quale trasformazione ci è richiesta? Noi non siamo una setta di autoperfezionamento. Nella nostra concezione materialista dialettica la perfezione non esiste. La trasformazione è quella dettata dal lavoro che bisogna svolgere per la rivoluzione socialista, quella necessaria per rendere il compagno o l’organismo capaci di svolgere al meglio il lavoro loro assegnato.

2. Fin dove è possibile trasformare e trasformarci? Quali sono i margini entro cui un compagno o un organismo si possono trasformare è cosa da scoprire nella pratica. Nel corso del lavoro rivoluzionario, si sono visti “miracoli”. Si sono visti compagni giudicati scadenti o incapaci, fare meraviglie, tirar fuori capacità e doti impensate. In linea di massima bisogna “aver fiducia nelle masse”. La società borghese mortifica gli individui, alimenta tra le masse popolari la depressione, malattie di ogni genere e la sfiducia in se stessi. Avviene in questo campo quello che avviene quando si cerca di imprimere un’impronta nell’argilla. Ci sono tre fattori in gioco: lo scultore e la sua abilità ed esperienza, l’utensile, l’argilla e la sua reattività all’utensile. L’uomo è un materiale molto malleabile, in primo luogo da se stesso. Però ovviamente esistono margini oltre i quali un compagno non è capace di andare e sarebbe sbagliato assegnargli compiti e porgli obiettivi che il compagno non può raggiungere per motivi che vanno oltre la sua buona volontà e il livello della nostra direzione. Con l’esperienza ogni compagno, in particolare i compagni che lavorano nel settore organizzazione (è il settore specificamente incaricato della formazione dei compagni e degli organismi), accumuleranno un patrimonio di esperienza. Questo consentirà di lasciare meno margini alla sperimentazione sul campo.

3. Far lavorare ogni individuo anche solo minimamente disposto a partecipare alla rivoluzione socialista, quale che sia il grado di trasformazione che ha raggiunto. La rivoluzione socialista è un’opera vasta, complessa e di lunga durata. C’è posto per tutti quelli che vogliono contribuire ed è possibile far dare qualcosa da ogni persona e organismo. Sta nell’abilità, nell’esperienza e nella passione in primo luogo degli organizzatori, ma anche di ogni compagno e organismo trovare quello che una persona o un organismo possono dare di utile alla causa. Non bisogna  scartare nessuno. Chi non è buono per un ruolo, può essere buono per un altro ruolo. Persino dagli avversari e dai nemici della rivoluzione socialista è possibile trarre vantaggio per la nostra causa: immaginiamoci se non è possibile trarne da chi è in qualche misura disposto a collaborare, vuole partecipare alla rivoluzione socialista. Noi dobbiamo sempre avere fiducia nella trasformazione. Facendo si impara a fare. Ottenendo successi si è incoraggiati a fare di più e meglio. Vale per ogni persona che si avvicina a noi. La società borghese mortifica e distrugge una grande quantità di uomini: molta parte della popolazione dei più ricchi paesi del mondo, i paesi imperialisti, oggi è ammalata, fisicamente e psicologicamente. Per noi comunisti vale invece quello che insegnava il compagno Stalin: l’uomo è la cosa più preziosa che abbiamo. La rivoluzione socialista sarà, oltre che una grande scuola di formazione permanente, anche un grande cantiere di terapia di gruppo per milioni e milioni di uomini e di donne.

 

Umberto C.

 

Note

 

1. Ricordo come esempio il poeta dell’antica Roma, Publio Ovidio Nasone (43aC-17dC), che scrisse il poema Le Metamorfosi.

 

2. Ma allora su ogni questione classi antagoniste hanno verità diverse? Certo che no o almeno, non in assoluto. Ma ogni classe segue un suo percorso,  ha un suo ruolo e compito, cerca, indaga e trasforma in direzioni diverse da quelle della classe antagonista. Quindi ha un suo pensiero, un suo corpo di verità e dottrine diverso da quello della classe antagonista, ha criteri di giudizio, valori, punti di vista diversi perché ha interessi e obiettivi diversi. Uno scultore vede in un legno cose diverse da quelle che vede chi cerca legna per scaldarsi. Il contrasto non è quindi tra vero e falso, tra nuovo e vecchio: è un contrasto di interessi.

 

3. Marx dimostra l’assurdità del progetto di introdurre un denaro-lavoro nella prima parte dei Grundrisse. Egli mostra che è il progetto di correggere un aspetto sgradito (l’incostanza dei prezzi e in generale delle ragioni e condizioni di scambio e l’incertezza dello smaltimento dei prodotti a condizioni “convenienti”) del funzionamento della produzione mercantile pretendendo di mantenere la produzione di merci (la produzione per vendere), ma introducendovi un rimedio (l’intesa universale e a priori tra tutti i produttori indipendenti circa la quantità di lavoro da dedicare alla produzione di ogni articolo) che comporterebbe l’eliminazione dell’essenza della produzione mercantile: la libertà del singolo venditore e del singolo compratore di decidere se lo scambio alle condizioni proposte dall’altro gli conviene o no, se produrre una cosa gli conviene o no.