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Diventare comunisti, formare il gruppo dirigente del Partito comunista!

Moralmente tenaci, intellettualmente acuti

 

La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia della rivoluzione socialista che il bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria nei paesi imperialisti e l’insegnamento di Mao ci hanno permesso di individuare e di cui via via definiamo le leggi particolari per i paesi imperialisti e per il nostro paese (Manifesto Programma, pagg. 197-208). Questa guerra si sviluppa attraverso tre fasi. Noi stiamo conducendo la prima fase: quella della difensiva strategica. L’accumulazione delle forze rivoluzionarie è la sintesi dei nostri compiti in questa fase. Più volte da tempo abbiamo indicato che la rinascita del movimento comunista è un aspetto determinante dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie.

Abbiamo anche indicato chiaramente in cosa consiste la rinascita del movimento comunista (La Voce n. 28 pag. 2 e Comunicato CP 8 settembre 2007). Si tratta di ricreare quel tessuto di organizzazioni operaie e popolari che nel nostro paese è stato formato già due volte, che per due volte non è riuscito ad andare oltre una soglia e che quindi per due volte la borghesia ha stroncato: la prima volta con la forza (il fascismo), la seconda volta con la corruzione (il revisionismo moderno).

Fin qui si tratta di un indirizzo di lavoro abbastanza chiaro. La storia che abbiamo alle spalle ci ha mostrato di cosa si tratta, ci offre esempi e insegnamenti di cosa si tratta e come lo si costruisce. Certo noi oggi dobbiamo tener conto che mentalità, usi, costumi, regime politico e cultura sono in parte cambiati. Dobbiamo tener conto che la classe operaia e le masse popolari del nostro paese hanno alle spalle una loro storia, che ne ha formato gli usi, i costumi e la mentalità e determina le leggi e le contraddizioni proprie della loro trasformazione. Dobbiamo essere creativi: in particolare sta a noi trovare i modi di coinvolgere gli operai e il resto delle masse popolari a costituire nuovamente un tessuto organizzativo, di vincere la sfiducia e la diffidenza che le sconfitte del passato, le condizioni sociali e la propaganda borghese e clericale hanno creato e alimentano. Sono fuori strada sia i compagni che aspettano che le cose si facciano da sé, per effetto della crisi o di qualcosa d’altro, sia i compagni che si lamentano della sfiducia, della diffidenza, dell’indifferenza, della disgregazione, dell’individualismo e della rabbia che ci circondano. A chi dalle difficoltà attuali è spinto a scoraggiarsi, facciamo notare che ben più arretrate erano le condizioni materiali, spirituali e sociali in cui il movimento comunista è nato un po’ più di un centinaio di anni fa. Per due volte abbiamo alzato la testa, pur senza riuscire a raggiungere il nostro obiettivo. La rialzeremo anche la terza e sarà la volta buona, perché abbiamo individuato le cause delle due sconfitte che abbiamo subito e la situazione mondiale è più avanzata.

Quali che siano le difficoltà da superare, per noi si tratta comunque di ricostruire una cosa già costruita a suo tempo. La crisi sconvolge su grande scala le condizioni abituali delle masse e obbliga a cercare nuove strade. Che il mondo cambi e debba cambiare, è evidente a tutti. Noi dobbiamo insegnare che può cambiare in più direzioni e che ogni persona contribuisce a farlo cambiare: in quale direzione lo vuole far cambiare? In quale direzione lo sta facendo cambiare?

Rinascita del movimento comunista è un’indicazione di lavoro che permette a ogni organismo di Partito e a ogni comunista che promuove, orienta o dirige un’organizzazione di massa, di mettersi all’opera. Dalla pratica emergono ed emergeranno poi aspetti del lavoro e compiti che portano a una ulteriore elaborazione di cui qui non ci occupiamo. Si tratta di compiere il processo 1. analisi concreta della situazione concreta (uso del Materialismo Dialettico come metodo di conoscenza), 2. elaborazione delle linee di azione e attuazione (uso del MD come metodo d’azione), 3. bilancio e ripetizione del processo a un livello superiore. Quello di cui qui vogliamo invece occuparci è il seguito o meglio il cuore della rinascita.

 

Secondo la dottrina di un tempo, nel movimento comunista si diceva che le condizioni soggettive della rivoluzione socialista erano due.

1. Un certo grado di organizzazione della classe operaia e del resto delle masse popolari, che le rendeva capaci di intesa e di direzione, faceva di esse un insieme organizzato, i cui membri erano capaci di muoversi insieme e realizzare obiettivi comuni.

2. Un certo livello di coscienza che coinvolgeva, in misura diversa a calare, il partito comunista, le organizzazioni di massa, gli elementi avanzati, la classe operaia, le altre classi delle masse popolari: un livello di coscienza che li rendeva capaci di condividere obiettivi comuni.

L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci ha insegnato che queste due condizioni non bastano. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci ha mostrato che per riuscire a instaurare il socialismo la classe operaia deve avere un partito comunista dotato di particolari caratteristiche (La Voce n. 19 pag. 15).

 

Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria non abbiamo instaurato il socialismo in nessun paese imperialista. Perché?

Perché in nessun paese imperialista il partito comunista è stato all’altezza del suo compito. Né quanto a capacità del suo gruppo dirigente di comprendere in misura sufficiente le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe (crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, regime di controrivoluzione preventiva, mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse popolari, strategia della rivoluzione socialista). Né quanto a dedizione alla causa e impegno rivoluzionario del suo gruppo dirigente.

Non erano condizioni di partenza, non era scontato che sapessimo di doverle creare, non era scontato che sapessimo crearle. Ora sappiamo che sono indispensabili e di cosa si tratta.

 

Il partito comunista si forma e opera in una società borghese. I comunisti nascono e respirano l’aria della società borghese. L’influenza della borghesia nelle nostre file lungo tutta la nostra storia è inevitabile: siamo in grado di contenerla, ma non siamo in grado di impedirla. Del resto anche noi influenziamo la borghesia.

Ogni comunista nasce e cresce nella società borghese ed è formato da essa. Quando si unisce al movimento comunista cosciente e organizzato, si ritrova con una personalità, una mentalità e una coscienza improntate dalle relazioni sociali proprie di questa società.(1)

In ogni organizzazione delle masse popolari l’influenza della borghesia si manifesta anche nella selezione a rovescia che spontaneamente si compie nelle sue file. Spontaneamente, cioè tanto più quanto più liberamente si lasciano agire nel partito le relazioni e i meccanismi propri della società borghese, man mano che si sale verso il vertice aumenta l’influenza della borghesia. Nei primi paesi socialisti abbiamo visto che proprio nella classe dirigente della nuova società si è formata la nuova borghesia: era costituita dai dirigenti che davano soluzioni borghesi ai problemi dei paesi socialisti. Nei primi paesi socialisti era qui che si sentiva la dittatura: le società socialiste sono state liberatorie in basso (per le masse popolari), mentre in alto gli individui (i dirigenti) si sentivano sottoposti a costrizioni, controlli, epurazioni: quelli che non ne capivano la ragione e non la assumevano facendosene promotori per sé e per i loro compagni, guardavano con invidia e ammirazione i loro omologhi dei paesi borghesi ognuno dei quali “se la faceva da padrone” e “se la spassava”.

I comunisti sono la parte più avanzata e preziosa delle masse popolari, in particolare della classe operaia. I dirigenti sono la parte più preziosa del partito, la più difficile a costruirsi, la più esposta alle minacce e alle lusinghe del nemico, quella su cui il partito e le masse devono più vigilare.

Per alcuni aspetti, che Lenin ha ben illustrato in L’estremismo malattia infantile del comunismo (1920), i dirigenti del partito sono “affini” ai dirigenti borghesi. Per dirigere bisogna impadronirsi e mettere a punto gli strumenti e le procedure della direzione. I più avanzati strumenti e le più avanzate procedure di direzione che l’umanità ha finora messo a punto su grande scala, sono quelli della borghesia. Gli strumenti di direzione propri del socialismo l’umanità li sta mettendo a punto in questa fase e l’esperienza del movimento comunista e dei primi paesi socialisti ci ha mostrato le grandi possibilità e le difficoltà. Spontaneamente si impongono gli strumenti di direzione borghesi, belli e pronti, già elaborati. Per alcuni aspetti le società borghesi paiono meglio di quelle dei primi paesi socialisti: è il canto del cigno. D’altra parte il partito è all’altezza del suo compito solo se il suo gruppo dirigente è la parte ideologicamente più avanzata del partito: non solo comanda, dice cosa fare, ma apre la strada, ispira, forma, dirige, aiuta a crescere nella direzione giusta.(2)

Per costruire un partito comunista che sia all’altezza del suo compito, con un gruppo dirigente che sia la parte più avanzata del partito, dobbiamo andare controcorrente, muoverci in contrasto con la pressione che proviene dalla società che ci circonda. Non si tratta di costituire un gruppo di autoperfezionamento. Per noi materialisti dialettici la perfezione non esiste. È un concetto che appartiene alla concezione metafisica del mondo. Si tratta di diventare sempre più capaci di adempiere ai compiti concreti della rivoluzione socialista, ai compiti della fase in corso perché si trasformi nella fase successiva.

Costruire un partito all’altezza del suo ruolo, specialmente nei paesi imperialisti, vuole dire prestare attenzione ed energie adeguate a questo compito: formare i comunisti, in particolare formare il gruppo dirigente.

 

Nei paesi imperialisti, nessuno dei partiti che hanno preceduto la prima ondata della rivoluzione proletaria aveva prestato un’attenzione adeguata a questo aspetto della rivoluzione socialista. La cosa è del tutto comprensibile, dato che nel movimento comunista prevaleva la concezione che la rivoluzione socialista avrebbe avuto la forma di un’insurrezione popolare nel corso della quale i comunisti, il gruppo più avanzato dei rivoluzionari, avrebbe preso il potere. È la concezione che F. Engels espone e critica nella celebre introduzione del 1895 alla riedizione dell’opuscolo Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K. Marx.

La conseguenza fu che in nessun paese imperialista vi era un partito all’altezza del suo compito. L’unica eccezione fu la Russia. Qui per motivi legati alla storia particolare del paese e alla sua posizione nel sistema delle relazioni internazionali (che Stalin illustra in Principi del leninismo, 1924) si formò un partito comunista capace di condurre con successo la classe operaia a prendere il potere. Questo è il motivo principale per cui solo in Russia durante la situazione rivoluzionaria determinata dalla Prima Guerra Mondiale il movimento comunista riuscì a passare dalla prima alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria e poi procedere fino a conquistare il potere.

 

Ricca dell’insegnamento del Partito bolscevico di Lenin e di Stalin, la prima Internazionale Comunista (1919-1943) chiese ai vecchi partiti socialisti dei paesi imperialisti di trasformarsi in partiti comunisti. Il 5 agosto 1920 il II Congresso dell’IC stabilì le 21 condizioni per l’ammissione all’Internazionale Comunista. L’IC dedicò molta attenzione alla composizione dei partiti comunisti e alla formazione dei loro gruppi dirigenti. Negli anni successivi l’IC condusse in tutti i partiti comunisti, costituiti come sezioni nazionali di un unico Partito internazionale, la campagna per la bolscevizzazione. Nel Partito comunista italiano Gramsci condusse tra la fine del 1923 (quando per incarico dell’IC assunse la direzione del Partito) e la fine del 1926 (quando fu arrestato) un’accanita, aperta battaglia contro Bordiga e i suoi seguaci che si opponevano alla bolscevizzazione (i documenti di questa battaglia sono pubblicati nella raccolta La costruzione del partito comunista, Einaudi 1974 di articoli di l’Unità, L’Ordine Nuovo, Lo Stato operaio e di scritti interni - sono in parte reperibili anche nella collana Classici del marxismo nel sito Internet del (n)PCI). I risultati dell’opera dell’IC si sono visti nelle gloriose pagine scritte dai partiti comunisti europei nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza. Per quanto riguarda l’Italia sono illustrati nell’opuscolo Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere (Edizioni RS, 1995).

La lotta per la bolscevizzazione tuttavia non fu sufficiente. Nella conferenza del Cominform tenuta tra il 22 e il 27 settembre 1947 il grande dirigente del PCUS A. Zdanov denunciò chiaramente e con forza gli evidenti errori di opportunismo compiuti dai due maggiori partiti comunisti europei, il PCI e il PCF, a poco più di 25 anni dalla loro costituzione. Essi nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non avevano saputo dirigere nei rispettivi paesi fino alla conquista del potere la classe operaia, che tuttavia aveva realizzato un’ampia mobilitazione al suo interno e aveva conquistato con la Resistenza un’ampia direzione sul resto delle masse popolari.

 

Perché nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti si sviluppò fino ad essere all’altezza del compito che doveva svolgere?

Ovviamente nella società dei paesi imperialisti esistevano molti ostacoli e freni a un simile sviluppo. La borghesia vi si opponeva con la forza, la repressione e la corruzione economica, morale e intellettuale. Ma non sono questi fattori che lo hanno impedito. Se così fosse, il problema sarebbe irresolubile e sarebbe inutile parlarne. I metafisici, in particolare gli empiristi, ragionano così: “non è avvenuto, quindi non poteva avvenire. Il movimento che era possibile è quello che c’è stato”. Noi materialisti dialettici vediamo in ogni cosa la contraddizione, l’uno che si divide in due, le contrapposte possibilità di sviluppo, cerchiamo di capire cosa favorisce uno sviluppo, cosa favorisce altri sviluppi, come rafforzare una tendenza e come indebolire l’altra.

I fattori decisivi che impedirono ai partiti comunisti di compiere lo sviluppo di cui avevano bisogno furono due.

1. I limiti della coscienza dell’IC. Della propria esperienza si insegna sistematicamente ed efficacemente ad altri quello di cui si ha coscienza. La pratica è sempre più ricca della teoria. Si fanno sempre anche cose di cui non si è ancora coscienti. Il Partito comunista russo non era in grado di insegnare tutto quello che faceva. Per quanto grande fosse il suo spirito internazionalista, il Partito comunista russo non poteva sostituirsi ai partiti dei vari paesi. Non solo non poteva sostituirsi nel fare, ma neanche nel pensare, nel comprendere le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe nel paese e nell’elaborare la linea della rivoluzione socialista.

2. La tendenza semplicista nei comunisti dei paesi imperialisti a “fare come i russi”. Sembrava così semplice! “I comunisti russi hanno vinto. Se noi faremo come loro, anche noi riusciremo a vincere”. E li imitarono anche in aspetti che erano particolari, propri della tradizione, della storia e della formazione economico-sociale e culturale russe.

Fin dalla fondazione dell’IC Lenin aveva ammonito contro questo pericolo. Il 13 novembre 1922, nel suo intervento al IV Congresso dell’IC, sostenne addirittura che la risoluzione che il III Congresso dell’IC aveva approvato il 12 luglio 1921 Sulla struttura organizzativa dei partiti comunisti, sui metodi e i contenuti del loro lavoro era tutta giusta, ma non serviva a niente perché era “quasi interamente russa, cioè quasi interamente ispirata alle condizioni russe”. Gli stranieri, che pure l’avevano approvata, non l’avrebbero letta. Quelli che l’avessero letta, non l’avrebbero capita. Se eccezionalmente qualche straniero l’avesse capita, non avrebbe potuto applicarla. “Tutto ciò che dice la risoluzione è rimasto lettera morta. ... Ho l’impressione che abbiamo commesso un grande errore con quella risoluzione, cioè che ci siamo noi stessi tagliati la strada verso ulteriori successi”. Più volte nel corso dei successivi 30 anni Stalin ammonì i partiti comunisti europei che “imparare dai russi, non vuol dire fare come i russi”. Mao verso la fine degli anni ’30 pose risolutamente e apertamente al Partito comunista cinese il compito di “cinesizzare il marxismo-leninismo” e criticò quei dirigenti che si erano formati a Mosca ed erano ritornati in Cina decisi a trasferire nel Partito comunista cinese quello che avevano imparato e visto in Russia. Ogni partito comunista ha il compito di rivoluzionare una determinata formazione economico-sociale ed è suo compito capirne anche le particolari leggi di sviluppo e applicarle.

 

Il compito centrale, decisivo della rivoluzione socialista consiste nella costruzione del Partito e, all’interno di ciò, nella costruzione del suo gruppo dirigente. L’assimilazione da parte dei membri del Partito del materialismo dialettico, come concezione del mondo, come metodo per conoscere la realtà e come metodo d’azione per trasformarla, riassume il compito della costruzione. Un’assimilazione che è trasformarsi intellettualmente e moralmente per diventare protagonisti, promotori e dirigenti della trasformazione della società. Dobbiamo trasformare noi stessi per trasformare il mondo. Un compagno che pensa di essere comunista, che non si pone il compito di trasformarsi e addirittura pensa di non doversi trasformare, o è arretrato o è fuori strada. Ogni compagno deve approfondire la conoscenza di sé (lati positivi, lati negativi) per trasformarsi, per diventare comunista. Ogni dirigente deve conoscere i compagni e gli organismi che dirige (lati positivi, lati negativi), per dirigerli a trasformarsi e progredire sulla strada di diventare più capaci promotori della rivoluzione socialista. Dobbiamo dedicare tempo ed energie a questi compiti, scoprire soluzioni, metterle alla prova e criticarle.

Dobbiamo trasformare noi stessi, i nostri compagni, gli organismi del Partito e tutto il Partito in sempre più capaci protagonisti, promotori e dirigenti della guerra popolare rivoluzionaria.

 

La rivoluzione socialista è una guerra (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata) che il Partito conduce contro il campo della borghesia imperialista mobilitando la classe operaia e, in forma diversa, il resto delle masse popolari.

La guerra è fatta di campagne. Alcune simultanee (ma con un ordine di priorità ben definito: principale, secondarie), altre successive (le une si sviluppano sulla base dei risultati e degli insegnamenti ricavati dalle precedenti).

Ogni campagna è fatta di battaglie. Alcune contemporanee (ma con un ordine di priorità ben definito: principale, secondarie), altre successive.

Ogni battaglia è fatta di operazioni tattiche. Ogni operazione tattica è caratterizzata dall’unità che lega tra loro i suoi vari aspetti e i protagonisti. Ogni operazione tattica ha un solo obiettivo che deve essere ben definito (unità di obiettivo). In ogni operazione tattica vi è unità di tempo: un’operazione tattica non prevede interruzioni di durata indeterminata prima di aver raggiunto l’obiettivo.

Ogni campagna, battaglia, operazione tattica è elaborata, decisa e condotta sulla base della situazione concreta, dei concreti rapporti di forze e delle forze di cui effettivamente disponiamo: non è un desiderio, non conta in modo decisivo su forze incerte: le forze avventizie, che possono esserci o non esserci, mobilitarsi o no, non devono avere un ruolo determinante (decisivo) per lo svolgimento e il successo. Però in ogni campagna e battaglia (e in alcuni casi anche nelle operazioni tattiche), dobbiamo valutare attentamente quali e quante forze possiamo mobilitare in corso d’opera, che uso farne e come consolidarne (reclutarne) almeno una parte.

In conclusione, dobbiamo sempre basarci sulle nostre forze e tramite queste, manovrando queste in operazioni tattiche, in battaglie e in campagne corrispondenti ai rapporti di forza e alle condizioni concrete, mobilitare, valorizzare, reclutare, consolidare nuove forze. È il contrario di “stare a vedere cosa succede e rispondere agli avvenimenti”.

 

1. Le classi e la formazione del Partito comunista.

Un aspetto dell’arte della rivoluzione socialista consiste nel costruire una classe dirigente partendo da individui a cui l’attuale classe dominante (sia la borghesia imperialista sia il clero, benché in modo diverso, tramite le varie linee della controrivoluzione preventiva - MP pagg. 46-56) insegna (con le buone, subdolamente e se necessario con le cattive) che non devono pensare e soprattutto che non devono pensare in termini di collettivo, che non devono pensare alla società ma “ai fatti loro”. Tanto meno devono occuparsi della trasformazione della società (“qui non si fa politica”). Non devono assumersi il compito di trasformare il mondo e, nel mondo, se stessi. Il mondo e il suo andamento sono competenza d’altri:

- di dio, del papa, del clero e dei nobili secondo la concezione medioevale-clericale del mondo;

- dei grandi individui e delle grandi personalità secondo la concezione borghese del mondo.

Questo spiega anche come mai nel Partito si assegnano compiti a compagni anche se essi hanno difficoltà ad adempierli: perché sono i compagni migliori di cui il Partito in quel momento dispone per quel compito. Questo spiega anche perché la trasformazione, il processo CAT, è il processo portante dello sviluppo del Partito. Gran parte dei processi che costituiscono la vita del Partito sono comprensibili e riusciamo a dirigerli con successo solo a partire dalla comprensione delle relazioni di classe in cui il Partito comunista si forma.

 

2. L’emancipazione delle donne.

Un altro aspetto particolare e importante dell’arte della rivoluzione socialista consiste nel trasformare in dirigenti comuniste le donne proletarie. Queste anche nella società borghese (come nelle precedenti società divise in classi) continuano a formarsi (a formare la propria concezione, mentalità e personalità: “donne non si nasce, lo si diventa” scrisse giustamente Simone De Beauvoir in Il secondo sesso, 1949) principalmente sulla base delle relazioni familiari. Nella formazione delle donne le altre relazioni sociali entrano principalmente tramite le relazioni familiari, mentre gli uomini si formano in base alle relazioni sociali di cui le relazioni familiari sono una parte e un aspetto.(3)

La contraddizione famiglia - società è una contraddizione pratica ed è una contraddizione molto importante nelle relazioni sociali. È anche una contraddizione in seno al popolo, ma ha carattere di classe (MP nota 76). Noi oggi abbiamo poco potere (poca autorità e quindi ancora meno mezzi) per dirigere lo sviluppo pratico della contraddizione a livello dell’intera società, mentre possiamo però comprenderla (stante anche la contraddizione che in questo campo si è sviluppata tra borghesia e clero) e con ciò in parte trattarla. Il lavoro pratico e su grande scala, a livello dell’intera società, su questa contraddizione implica determinate condizioni pratiche sociali e per questo verrà portato a compimento in sostanza nell’epoca socialista (appartiene in sostanza alle trasformazioni dell’epoca socialista - MP pag. 7). Ma la sua trattazione a un certo livello fa parte già oggi del “fare di ogni lotta una scuola di comunismo” (MP nota 30).

Nel Partito possiamo trattarla meglio già oggi. La formazione di dirigenti comuniste donne è particolarmente difficile (doppiamente difficile), richiede un lavoro specifico. Per questo il movimento comunista ha costantemente creato specifiche organizzazioni delle donne (come, per una ragione analoga, ha creato organizzazioni di giovani, organizzazioni delle nazioni oppresse, ecc.). Ma nonostante questo non ha ottenuto risultati decisivi: il numero delle donne tra i grandi dirigenti del movimento comunista non è stato alto.

Oggi le donne si emancipano, nella misura in cui si emancipano, nel Partito comunista (questo riguarda le donne membri del Partito) e nella lotta di classe (nella misura in cui partecipano alla lotta di classe). Parlare di emancipazione al di fuori di questi due contesti, è parlare a vanvera, eludere il problema, fare diversione e confusione. Quando la lotta di classe è cresciuta, anche l’emancipazione delle donne prima o poi è cresciuta. Quanto la lotta di classe è calata, anche l’emancipazione delle donne ha seguito a ruota la stessa sorte. Questo conferma che l’emancipazione delle donne è un aspetto della rivoluzione socialista (MP nota 76).

 

3. Classe, genere, individuo.

Nella trasformazione di un individuo, una volta considerati i problemi di classe e i problemi di genere (la doppia oppressione delle donne), vi sono le caratteristiche individuali: la storia concreta della formazione della concezione, della mentalità, della personalità e delle relazioni sociali la cui concreta combinazione costituisce l’individuo concreto.

 

4. Cosa è un individuo?

Ogni individuo è una specifica formazione fisico-spirituale (qui il termine formazione è usato nel senso in cui è usato in geologia, in sociologia, ecc.). In ogni individuo umano, quando lo studiamo, distinguiamo vari aspetti. Alcuni aspetti li studiamo e trasformiamo tramite i metodi e le procedure della chimica, della fisica, della ginnastica, della biologia, del lavoro e di altre scienze naturali. Altri aspetti li studiamo e trasformiamo tramite i metodi e le procedure della psicologia, della filosofia, della scuola, dell’esercizio mentale, dell’esercizio morale, dell’apprendimento mnemonico, dell’esercizio logico, ecc.

Ogni individuo è una formazione fisico-spirituale sorta ad un certo punto in un dato contesto, distinta dalle altre. In essa una concezione del mondo (coscienza), una mentalità, una sensibilità e relazioni sociali si combinano a formare un concreto unico (nel senso che Marx illustra in Il metodo dell’economia politica). Questi differenti aspetti si sviluppano (si trasformano) nel tempo, dal concepimento alla morte, per fattori interni ed esterni. Gli individui hanno la sorte che ha ogni formazione geologica, ogni formazione economico-sociale, ecc.

I metafisici idealisti spiegano l’esistenza e l’attività dell’individuo usando il concetto di “natura umana”, “anima”, “spirito divino” (v. A. Manzoni, 5 maggio - l’orma del creator suo spirito). I metafisici materialisti riducono l’individuo a quanto di lui è oggetto della biologia e della chimica. “L’uomo è quello che mangia”, diceva Feuerbach. Ambedue sono smentiti sperimentalmente dalla diversa dinamica della concezione, della mentalità, della personalità e delle relazioni di un individuo, sia rispetto alla dinamica della “natura umana” (secondo la Chiesa Cattolica nella sostanza la natura umana è fissa), sia rispetto alla dinamica degli oggetti della biologia e degli oggetti della chimica.

In realtà ogni individuo si trasforma, lo sappia o no, lo voglia o no: sorge dal contesto in cui nasce, compie il suo percorso di trasformazione e di azione (si trasforma facendo) e scompare: di lui resta quello che è diventato sorgente e patrimonio di altri individui.

Ogni comunista deve trasformarsi in un modo particolare e in un senso particolare dettati dal suo ruolo (v. A. Gramsci, La Filosofia e i suoi argomenti, Edizioni RS 2007, pag. 8 e segg.). Tanto meglio lo fa quanto più è consapevole di doversi trasformare, assume la direzione del processo, è inserito in un collettivo che lo sprona e aiuta, comprende le leggi della sua propria trasformazione.

Questo vale per ognuno di noi. Ognuno di noi lo deve applicare per sé e per gli altri compagni. Tanto più se dirige.

 

5. La concezione del mondo.

Esistono varie concezioni di mondo. Una prima divisione, la cui esistenza copre tutta la storia che finora conosciamo, è quella tra idealisti e materialisti.

Gli idealisti sostengono che esistono cose che hanno natura tale che gli uomini non sono in grado di conoscerle e tanto meno di agire su di esse, cioè cose che per loro natura sono sottratte alla conoscenza e all’azione degli uomini, che trascendono il raggio d’azione e di conoscenza degli uomini, cose trascendentali.

A prima vista questa affermazione appare assurda: come fanno alcuni uomini (gli idealisti) ad affermare alcunché (in primo luogo l’esistenza) di cose che nessun uomo può conoscere? Effettivamente è un paradosso logico (del tipo “io non dico mai la verità”, ecc.). Ma l’assurdità logica ha una spiegazione pratica, come per gli altri paradossi logici.

Da dove è nata negli uomini l’idea che esistono cose (un mondo) che sfuggono alla conoscenza e all’attività degli uomini?

 

In ogni momento della loro storia, gli uomini si sono trovati (e si trovano) nella condizione che di alcune cose conoscono molto, paiono loro del tutto semplici e senza problemi. Altre pongono problemi a cui non sanno dare risposta, presentano aspetti che non padroneggiano. Ogni uomo trova in ogni cosa una certa dose di ignoto e di non padroneggiato. Il limite della serie di cose con quantità crescente di ignoto e di non padroneggiato, è l’inconoscibile e il non padroneggiabile: ciò che trascende il campo della conoscenza e dell’azione degli uomini. Analogamente gli uomini, considerando cose il cui inizio è sempre più lontano dal presente, hanno elaborato il concetto di ciò che non ha avuto inizio. Considerando cose che hanno durate una più lunga dell’altra, hanno elaborato il concetto di eterno, ciò che non avrà mai fine. Il concetto di limite è applicato in molti campi dell’esperienza umana. Nell’analisi matematica esiste una teoria dei limiti e molti campi dell’analisi matematica sono fondati sulla scienza dei limiti: anche il limite può essere da noi compreso. Il paradosso di Achille e la tartaruga è risolto dalla scienza dei limiti.

I materialisti hanno da sempre irriso le tesi degli idealisti. Essi sostengono che di cose su cui per principio (per loro natura) non possiamo agire e che non possiamo neanche conoscere, non solo non vale la pena parlarne, ma comunque nulla nessun uomo può dire, neanche che esistono. Invece tutto ciò che ha a che fare con noi, possiamo in linea di principio conoscerlo. In linea di principio possiamo anche agire su di esso. In effetti nel corso della storia gli uomini hanno continuamente accresciuto le loro conoscenze e la loro capacità di azione su tutto quello che li circonda e su se stessi, hanno allargato il loro raggio di conoscenza e il loro raggio d’azione.

I materialisti volgari dicono che esiste solo quello che cade sotto i nostri sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto. Ovviamente è una estremizzazione. I sensi degli uomini hanno potenza diversa da uomo a uomo. Esistono molte cose che direttamente non entrano nel raggio d’azione di nessuno dei nostri sensi.

 

I materialisti dialettici hanno anche spiegato che la tesi degli idealisti è accanitamente difesa e persino imposta dalle classi dominanti e dai loro portavoce al resto dell’umanità. In effetti a causa della divisione in classi di sfruttati e di sfruttatori, la stragrande maggioranza dell’umanità è sistematicamente esclusa dalla conoscenza di alcune cose e dall’azione su di esse. Si tratta delle cose che appartengono alle attività che le classi dominanti riservano a sé e da cui escludono le classi dominate. L’immaginazione che esistano cose di natura tale che gli uomini non possono modificarle e neanche conoscerle, è facilitata dal fatto che gli uomini estendono il campo della loro attività e della loro conoscenza passo dopo passo, che gli uomini creano cose nuove. Oggi conosciamo cose che ieri non conoscevamo, agiamo su cose su cui ieri non agivamo, esistono cose che ieri neanche esistevano. Domani conosceremo cose che oggi non conosciamo, agiremo su cose su cui oggi non agiamo ancora e avremo creato cose che oggi non esistono ancora. Il mondo attorno a noi si modifica anche indipendentemente dalla nostra azione. Noi creiamo nuove professioni, città, idee, relazioni, ordinamenti sociali, ecc. Contemporaneamente erompono vulcani, i monti si riducono d’altezza, si formano nuove stelle, ecc.

La tesi degli idealisti è il tentativo delle classi dominanti di perpetuare il loro potere, i loro privilegi e il loro ruolo. Credere che esistono cose che trascendono la conoscenza e l’attività degli uomini, è legittimare il potere del clero e delle altre classi dominanti che verrebbe dal trascendente. Le tesi degli idealisti costituiscono una concezione che esse difendono e impongono per convincere le classi oppresse ad accettare la divisione in classi. Papa Benedetto XVI gira per il mondo fustigando il culto del sapere, il culto del denaro, il culto del potere. Insulta, redarguisce e minaccia le sue pecorelle perché nutrono uno smodato desiderio di sapere, di denaro, di potere. Non devono. Devono lasciare sapere, denaro e potere a chi lo ha. Il sapere, il denaro, il potere non fanno felici, anzi dallo smodato desiderio e dalla smodata ricerca di essi nasce l’infelicità e il disordine del mondo attuale. Ogni potere viene da dio e dio lo dà a chi vuole lui, secondo i suoi imperscrutabili disegni. Sono discorsi che il papa, il clero, i teocon, i teodem, gli altri portavoce della borghesia, tutti i notabili della società attuale diffondono e che incidono sul comportamento di chi si rassegna e obbedisce, ostacolano il cammino degli altri verso la conoscenza e l’emancipazione.

 

Quello che dicono i notabili della società attuale non ha alcun valore scientifico, non aiuta a capire. Lo dicono per mistificare, intossicare, deviare, distogliere, confondere. Importante è conoscere e capire quello che fanno. Perché quello che fanno è per la stragrande maggioranza degli uomini inaccettabile e criminale, portatore di morte e sofferenza per gli uomini e di devastazione del pianeta. Ci hanno condotto in un pantano e ogni giorno ci affondano un po’ più.

 

L’unico potere che accettiamo è quello che mobilita le masse popolari a creare un mondo nuovo, quello che organizza le masse popolari perché acquisiscano la forza per farlo, quello che eleva la conoscenza delle masse popolari perché sappiano cosa fare e come, quello che eleva la morale delle masse popolari perché lo facciano. È il Partito comunista. Di esso oggi le classi oppresse hanno bisogno. Il suo ruolo e quindi la sua esistenza si estingueranno man mano che si estinguerà la divisione dell’umanità in classi sociali. Perché tutti sapranno fare quello che oggi solo i membri del Partito fanno.

 

Finora gli uomini hanno cambiato il tipo di divisione in classi. Vari tipi si sono succeduti nella storia: schiavitù, servitù della gleba, lavoro salariato sono i tipi più studiati e comunemente noti. Il proletariato deve eliminare ed eliminerà del tutto la divisione in classi, ogni tipo di divisione in classi. Gli uomini hanno oramai creato le condizioni per farlo. Sono venute meno le condizioni che avevano portato gli uomini a instaurare e accettare la divisione in classi. La perpetuazione della divisione in classi porterebbe all’estinzione della specie umana.

Anna M.

 

Note

 

1. A. Gramsci, Punti preliminari di riferimento per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura in Quaderni del carcere, edizione Einaudi 2001, vol. II pag. 1375. Anche in A. Gramsci Sulla filosofia e i suoi argomenti, Edizioni RS 2007, pag. 8.

 

2. La storia del movimento comunista tedesco illustra in modo particolarmente chiaro questo aspetto. Rosa Luxemburg già all’inizio del secolo scorso percepì in maniera molto netta che il gruppo dirigente del Partito socialdemocratico non era ideologicamente all’avanguardia del partito. Facendo concessioni alle tendenze anarchiche, R.L. sostenne che il rimedio stava nell’autonomia della periferia rispetto alla direzione. Il gruppo dirigente non tirava in avanti il Partito. Frenava nel Partito le tendenze rivoluzionarie, soffocava la sinistra anziché rafforzarla ed esserne il portavoce. Le organizzazioni periferiche avrebbero quindi scavalcato e sorpassato la direzione. Da qui la decisa opposizione di R.L. al centralismo democratico e alla concezione del partito propugnata da Lenin e dai bolscevichi. Il fallimento della Rivoluzione di novembre (1918) in Germania ha mostrato chiaramente il suo errore. Per vincere, gli operai hanno bisogno di un partito coeso, con un gruppo dirigente all’avanguardia nel partito.

 

3. La Chiesa Cattolica e i suoi seguaci, fascisti e altri reazionari, dicono che la famiglia è il fondamento della società, la cellula della società. La società sarebbe una sovrastruttura della famiglia, complemento della famiglia. Ma è falso: gli antropologi hanno dimostrato che la famiglia si è formata ad un certo livello di evoluzione della società umana - vedi anche Engels La nascita della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Nella concezione medioevale-clericale del mondo si compie a proposito della relazione famiglia-società la stessa inversione di ruolo genetico (chi ha generato chi) che J.J. Rousseau, esponente della concezione borghese del mondo, compie a proposito della relazione individuo-società. Rousseau afferma che la società è prodotta dagli individui che si sarebbero associati. Gli storici invece mostrano che gli individui sono diventati soggetti socialmente rilevanti (titolari di diritti propri e inalienabili nei confronti della società, capaci di vita propria indipendente da questa o quella comunità) solo ad un certo livello dello sviluppo della società: con la produzione mercantile. In generale in natura è il semplice, l’indistinto che si diversifica, non i molteplici che si mettono insieme, si fondono. Anche in questo campo il comunismo sarà una novità: i lavoratori individuali prodotti dal capitalismo formeranno l’associazione dei lavoratori.