<<< RITORNA ALL'INDICE DEI COMUNICATI 

(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

   Comitato Centrale
                        Sito: http://www.nuovopci.it
                        e.mail: lavocenpci40@yahoo.com

    Delegazione
                        BP3  4, rue Lénine   93451 L'Île St Denis (Francia)
                        e.mail: delegazionecpnpci@yahoo.it

Per chi suona la campana?

Comunicato CC - 17 dicembre 2012

Scaricate le istruzioni per utilizzare il sistema di criptazione PGP e TOR


Comunicato CC 45/12 - 28 dicembre 2012

 [Scaricate il testo del comunicato in Open Office / Word / PDF]

 

Fare del nuovo anno un anno di vittoria!

Nell’anno che sta per finire abbiamo fatto importanti passi avanti verso la vittoria. Dobbiamo continuare con tenacia la lotta su tutti i fronti e non dare tregua alla Repubblica Pontificia!

Avanti verso il Governo di Blocco Popolare!

 

Gettare tutte le energie e le risorse nella mobilitazione e organizzazione delle masse popolari, in particolare degli operai!

 

Creare in ogni azienda Organizzazioni Operaie!

 

Creare in ogni zona e quartiere e per ogni problema Organizzazioni Popolari!

 

Coordinarsi ad ogni livello!

 

Costituire Comitati di Salvezza Nazionale!

 

Attuare ad ogni livello, partendo con le forze e le risorse di oggi,

la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”!

 

Rendere il paese ingovernabile da ogni governo

emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia!

 

Costituire ovunque nella clandestinità Comitati di Partito!

 

Solo con la guerra popolare rivoluzionaria promossa dal Partito comunista e condotta dalle masse popolari, impediremo che la putrefazione della Repubblica Pontificia divenga la putrefazione dell’intero nostro paese e faremo dell’Italia un nuovo paese socialista!

Possiamo vincere, dipende da noi!

 

Un saluto ai comunisti, ai rivoluzionari e ai combattenti che sotto ogni cielo in ogni angolo del mondo lottano contro il sistema imperialista: essi aprono all’umanità la via del futuro!

 

La Repubblica Pontificia affonda nel pantano della crisi generale del capitalismo che coinvolge tutto il mondo - anche se i fanatici del PIL, alcuni per ingenuità e superficialità e altri approfittando del fanatismo altrui e della credulità del loro pubblico, ne escludono i “paesi emergenti” (BRICS e affini) e di volta in volta altri (il riferimento è alla Germania e ad alcuni paesi dell’America Latina e dell’Asia), giovandosi del fatto che la crisi del capitalismo non produce gli stessi effetti in ogni paese perché in ogni paese agisce in conformità alle particolari caratteristiche politiche, culturali ed economiche del paese e alla sua collocazione nel sistema delle relazioni internazionali. Quelli che nella molteplicità degli aspetti della crisi del capitalismo non riconoscono l’unità creata dalle relazioni tra i vari aspetti, usano la varietà dei diversi aspetti contemporanei per negare (occultare o velare) il carattere universale (mondiale) della crisi del capitalismo e usano la successione temporale dei diversi aspetti per negare (occultare o velare) la persistenza della crisi  del capitalismo e l’aggravamento della sua opera. In definitiva considerano solo un qualche aspetto.

La Repubblica Pontificia è travolta dalla crisi e la sua putrefazione procede nelle forme dettate dalle contraddizioni che vengono dalla sua particolare natura. Chi non ha capito la natura della Repubblica Pontificia e la sua collocazione internazionale non si raccapezza negli avvenimenti di questi mesi.

È difficile riassumere in poche frasi e parole i tratti essenziali (la natura) della Repubblica Pontificia, perché è un fenomeno unico al mondo. Sbagliano i compagni che l’assimilano alle repubbliche islamiche: da quattro secoli la Corte Pontificia, sotto l’incalzare della borghesia di gran parte dell’Europa, ha rinunciato a costruire in Europa Stati confessionali. Ha prolungato la sua esistenza adottando la prassi del “potere indiretto” il cui teorico fu il gesuita cardinal Roberto Bellarmino (1542-1621). Anche nella Repubblica Pontificia i fautori dello Stato confessionale (Luigi Gedda e i suoi Comitati Civici) sono stati solo una minoranza di rincalzo. Proprio per la sua unicità, non vi è nella letteratura politica un termine o un’espressione di genere che comprenda gli aspetti principali della Repubblica Pontificia. Per di più essa è un fenomeno che uomini politici, politologi, storici, studiosi e prelati sistematicamente ignorano con la stessa unanime sollecitudine con cui nella buona società si evitano gli argomenti tabù: come se con i Patti del Laterano (1929) confermati dall’articolo 7 della Costituzione (1947), la Questione Romana fosse realmente scomparsa dalla vita della borghesia italiana. Privi della comprensione della natura del regime, anche quelli che ne hanno sincera volontà non riescono a comprendere prassi pur quotidiane del nostro paese e si sfogano in esclamazioni di stupore e indignazione per le singole manifestazioni.

La comprensione della natura della Repubblica Pontificia esula quindi dal senso comune, ma d’altra parte senza una comprensione abbastanza profonda della sua natura è impossibile condurre con successo la guerra popolare rivoluzionaria contro di essa, mentre questa guerra è l’unica cura della dolorosa putrefazione del nostro paese: è solo con essa che la classe operaia e le masse popolari del nostro paese porranno fine alla crisi del capitalismo e instaureranno il socialismo dando in questo modo anche un grande contributo alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale che instaurerà definitivamente il socialismo nel mondo.

È per questo che il nuovo Partito comunista italiano, pur internazionalista, richiama continuamente l’attenzione su questa particolarità del nostro paese.

La Repubblica Pontificia è una monarchia retta dalla corte di una vecchia dinastia reazionaria e teocratica (il Papato europeo): è l’eredità italiana della vecchia Europa feudale, è la manifestazione attuale della Questione Romana che tormentò l’unificazione del paese e che né il Risorgimento né il Fascismo hanno cancellato. Ma è una monarchia unica nel suo genere perché quando venne costituita circa 65 anni fa il movimento comunista avanzava in tutto il mondo. Queste circostanze storiche la costrinsero ad ammantarsi nella finzione di una repubblica borghese, cioè di uno Stato senza re e senza corte. La massa della popolazione certo era ancora in larga parte avvinta da vincoli semifeudali (di fedeltà e dipendenza personali) oltre che sottoposta alle costrizioni della schiavitù salariale. Ma divenne anche titolare di diritti scritti in una Costituzione repubblicana che con qualche ragione oggi Berlusconi definisce “sovietica” e che tutta la borghesia imperialista trova insopportabilmente stretta. Negli anni successivi la Costituzione venne sistematicamente aggirata, ignorata o tacitamente violata. Il risultato è un cumulo di finzioni, ma anche le finzioni quando diventano regola della vita della massa della popolazione, sono una forza materiale di cui bisogna tener conto. Le condizioni attuali della lotta di classe sono il frutto di questa storia.

Qui sta la particolarità della campagna delle elezioni politiche indette per febbraio 2013:

1. riusciranno i vertici della Repubblica Pontificia a far eleggere un Parlamento che dia ancora una qualche parvenza di legalità costituzionale a un loro governo?

2. il futuro governo che cercheranno di imporre seguirà la via dettata dalla Unione Europea guidata dalla borghesia imperialista tedesca o la via dettata dalla borghesia imperialista americana?

  

Per la Repubblica Pontificia il 2012 è stato l’anno della giunta Monti-Napolitano: le dimissioni che il governo Monti ha dato venerdì 21 dicembre segnano quindi una tappa.

Un anno fa la Repubblica Pontificia era a un punto morto. L’aggravamento della crisi del capitalismo (entrata nella sua fase acuta e terminale alla fine del 2007) aveva messo il circo Prodi e la banda Berlusconi, che dall’inizio degli anni ‘90 si erano alternati al governo del paese, in difficoltà analoghe a quelle in cui si era trovato il regime DC quando finì il periodo del capitalismo dal volto umano, benché ora a un livello più avanzato della crisi del capitalismo.

 

La fase acuta e terminale della crisi del capitalismo ha fatto, per la borghesia imperialista americana ed europea, della crisi finanziaria (della crisi delle istituzioni e delle relazioni monetarie, bancarie e finanziarie) il centro della crisi del capitalismo: il sistema finanziario che essa per anni aveva sviluppato come principale freno e sfogo della crisi del capitalismo è diventato ora il centro della crisi. Per questo, ed è una derivazione di quanto successo nel mondo della borghesia imperialista, ora anche molti intellettuali della sinistra borghese, pur continuando a dire che la crisi attuale viene da lontano, che è la crisi del capitalismo, ecc. ecc., di fatto non vedono che la crisi finanziaria e avanzano proposte che si basano su una qualche riforma della struttura finanziaria (l’ALIAS di Luciano Vasapollo con la Rete dei Comunisti al seguito, l’autonomia finanziaria nazionale di Moreno Pasquinelli e del MPL, ecc.). Per chi è succube della borghesia imperialista il problema del momento è risolvere la crisi finanziaria. Per le masse popolari e quindi per noi comunisti il problema del momento è rompere le regole e le relazioni della finanza e dare il via a un corso delle cose che ha al centro la realizzazione della parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”, le Sei Misure Generali del Governo di Blocco Popolare (GBP): quindi anzitutto lo sviluppo delle Organizzazioni Operaie e Popolari (OO e OP).

 

La fase acuta e terminale della crisi del capitalismo ha fatto del Debito Pubblico italiano uno dei grandi bersagli della speculazione finanziaria internazionale fino a mettere il governo Berlusconi di fronte alla scelta tra 1. misure oramai incompatibili con le pretese della Unione Europea e 2. misure antipopolari più gravi di quelle contemplate nel programma comune della borghesia imperialista che la combinazione Prodi-Berlusconi veniva attuando da anni. Per sua natura Berlusconi, una soluzione di governo favorevolissima alla Corte, è capace di governare solo con un ampio seguito. Ma di contro l’opposizione popolare al programma comune della borghesia imperialista e al governo che lo attua era cresciuta. La Corte Pontificia con la sua Chiesa oramai controlla solo una parte relativamente piccola dell’elettorato (rispetto agli inizi della Repubblica Pontificia ha perso il controllo delle donne e delle campagne - salvo le zone dove la criminalità organizzata ha ancora il controllo del territorio).

D’altra parte la comunità finanziaria europea, e soprattutto l’Unione Europea capeggiata dalla borghesia imperialista tedesca, hanno esigenze non solo più dure per le masse popolari ma difficili anche per la Corte Pontificia stessa. Il rafforzamento dell’Unione Europea obbligherebbe infatti la Corte e la sua Chiesa a rinunciare a molti benefici e privilegi di cui gode solo in Italia che però diventerebbe ora parte costitutiva importante della UE. Con una maggiore integrazione europea la Questione Romana ridiventa una questione europea. La borghesia imperialista europea (tedesca) per agire da protagonista mondiale non può accettare di ridursi rispetto alla Corte Pontificia alla soggezione che ha tarpato le ali alla borghesia italiana. La borghesia europea alla fine dell’Ottocento ha lasciato a mezza strada il regolamento dei conti con la nobiltà e il clero, si è giovata dei loro servizi scaricando però sulla borghesia italiana la Questione Romana. L’unificazione europea rimette in questione questo assetto.

Il contrasto è grave, anche se non è antagonista. Infatti la Corte Pontificia ha elaborato negli ultimi secoli grandi capacità di adattarsi all’ineluttabile e nella sua lunga storia è sopravvissuta a ben più dolorosi adattamenti alle esigenze della borghesia. E la recente decisione della Commissione Europea a favore del Vaticano a proposito della vecchia ICI e  della nuova IMU e la vicenda del segreto bancario svizzero e della protezione dal Fisco dei capitali europei rifugiati in Svizzera, hanno confermato che nelle istituzioni europee vi è disponibilità a venir incontro agli interessi della Corte Pontificia. La borghesia europea è ben consapevole dei servizi che ancora oggi trae in tutta Europa e nel mondo dalla Corte Pontificia e dalla sua Chiesa.

Il risultato è che nella Corte e nei vertici della Repubblica Pontificia si vengono formando due partiti: uno che considera inevitabile il rafforzamento delle strutture statali europee ed è rassegnato all’integrazione dell’Italia nella UE nonostante i sacrifici che ciò comporta per la Corte Pontificia e la sua Chiesa; l’altro che si oppone a quel rafforzamento a costo di dissociare l’Italia dalla UE e quindi si appoggia alla borghesia imperialista USA per la quale la Corte Pontificia è problema europeo e l’Italia solo una parte secondaria del suo impero. Si tratta di due partiti che sono destinati a precisarsi e a contrapporsi man mano che nel procedere della crisi del capitalismo la borghesia europea e la borghesia imperialista USA si separeranno e si contrapporranno in modo più acuto. I due gruppi sono in rotta di collisione perché la rovina di uno prolungherebbe la vita dell’altro, ma esitano a ingaggiarsi apertamente nello scontro. Sia l’uno che l’altro sono frenati dalla sensazione di aver perso il controllo della situazione ed essere sorpassati dagli avvenimenti: il corso delle cose è determinato dalla crisi del capitalismo e i gruppi imperialisti sono ridotti a navigare a vista.

 

In questo contesto la giunta Monti-Napolitano ha ripreso il filo dei governi del circo Prodi scartando la banda Berlusconi (non è casuale l’attrazione che Monti esercita nelle file del PD), ma con un piglio e livore antipopolare ben maggiori perché la crisi si è aggravata e l’attuazione del programma comune della borghesia imperialista deve essere accelerata, le misure antipopolari aggravate. La giunta Monti-Napolitano venne espressamente incaricata di mettere l’Italia in regola con le esigenze della UE divenuta bersaglio della speculazione finanziaria internazionale nei suoi punti più deboli, senza cercare il consenso e neanche l’investitura elettorale di una maggioranza della popolazione: una misura d’emergenza in rottura con la tradizione della Repubblica Pontificia. Per un anno abbondante (la giunta ha prestato giuramento formale il 16 novembre 2011 e nonostante le dimissioni esercita ancora le sue funzioni) essa ha dispiegato su larga scala una spregiudicata perizia nello spremere soldi alla massa della popolazione, nel sostituire ai diritti acquisiti dalle classi delle masse popolari la precarietà e l’arbitrio di capitalisti, autorità e istituzioni, nel limitare la qualità e la quantità dei servizi pubblici, nel partecipare con uomini e mezzi alle guerre imperialiste: una spregiudicatezza che ha fatto quasi dimenticare le prestazioni di Brunetta, di Sacconi, di Tremonti, di La Russa e degli altri ministri del governo Berlusconi e ha dato infine modo a Berlusconi di assumere ora via TV il ruolo di tribuno popolare che denuncia lo stato in cui sono ridotte le masse popolari.

Cancellare i diritti (in particolare i diritti sindacali) che i lavoratori e le masse popolari hanno strappato alla borghesia sulla scia della prima ondata della rivoluzione proletaria, sacrificare l’economia reale (e quindi i salari e gli altri redditi dei lavoratori) alle esigenze delle banche e delle operazioni speculative della grandi opere pubbliche (cioè finanziate con denaro pubblico), ridurre e privatizzare i servizi pubblici (principalmente sanità, istruzione e ricerca, pensioni e sicurezza sociale), vendere il patrimonio industriale e immobiliare pubblico (statale e comunale), trascurare la manutenzione del territorio e la protezione dell’ambiente, contribuire con uomini, mezzi e basi militari alle imprese criminali della NATO nel mondo e altre politiche del genere erano già aspetti del programma comune della borghesia imperialista perseguiti dai governi di centro-sinistra e di centro-destra, ben prima dell’Agenda Monti. La specialità della giunta Monti-Napolitano è stato il “risanamento dei conti pubblici”.

Fiumi di denaro sono fluiti dalle masse popolari verso i ricchi: i singoli, le banche, le società finanziarie e i fondi d’investimento. Il denaro nella società attuale (definitivamente e radicalmente dopo la Dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro fatta dal governo federale USA nell’agosto 1971) non è che credito creato dalle banche e certificato da scritture e titoli, un credito che le banche rilasciano secondo leggi, regole e criteri accettati dalla Comunità  Internazionale dei gruppi imperialisti americani ed europei. Le leggi, regole e criteri sono abbastanza numerosi e ambigui per permettere errori, truffe e arbitri (i crediti “in sofferenza” ammontano a una percentuale ragguardevole del totale), ma il criterio principale è che a ogni credito concesso da una banca deve corrispondere l’attesa della restituzione con gli interessi.

Una volta che le banche lo hanno creato, il denaro adempie a vari ruoli.

Per un aspetto è credito trasferibile con operazioni di compravendita e altre transazioni monetarie (pagamento di prestazioni, di obbligazioni, di imposte, di affitti, ecc.). Per le masse popolari il denaro è principalmente questo e per ogni individuo esiste in una quantità definita e limitata perché chi fa parte delle masse popolari non ha accesso al credito bancario quando e quanto vuole (“non ci sono i soldi!”): la maggior parte di loro riescono ad averne solo se hanno un lavoro. Ognuno per il lavoro che compie ne riceve una data quantità che usa per comperare di che vivere e far fronte ai pagamenti cui è obbligato.

Se trascuriamo gli strati intermedi con i loro risparmi (preda delle misure anticrisi: i risparmi si sono ridotti), dall’altra parte ci sono i ricchi: per loro il denaro è principalmente capitale. Il capitale deve accrescersi per ingestione di profitti, interessi e plusvalenze (la speculazione finanziaria e commerciale prevale oramai sullo sfruttamento del lavoro altrui che genera profitti, interessi e rendite: l’“economia reale”).

Quanto più la quantità di denaro cresce, tanto più crescono le relazioni di debito e credito fino a fare di esse una religione i cui riti e miti avviluppano gli individui e occupano il loro tempo fino a soffocarne le attività vitali.

Il fiume di denaro che la giunta Monti-Napolitano ha estorto alla massa della popolazione italiana e deviato verso i ricchi, ha fatto crescere le pretese dei ricchi, gli obblighi della massa della popolazione verso di loro, il debito pubblico e privato. Infatti alla fine del lungo anno (16 novembre 2011 - 21 dicembre 2012) della giunta Monti-Napolitano, il Debito Pubblico è maggiore che all’inizio benché le imposte siano aumentate, i servizi pubblici diminuiti e il monte salari e pensioni sia diminuito insieme al prodotto interno lordo (PIL): si è ristretto il giro reddito - consumi entro cui si svolge la vita delle masse popolari.

 

Questo è il corso delle cose che i vertici della Repubblica Pontificia hanno imposto in Italia. Questo è il corso che ogni governo emanazione di quei vertici imporrà al nostro paese se riesce a installarsi e a governare.

Nella sinistra borghese si discute molto su quale sorte attende il mostro paese e su cosa deve fare il prossimo governo della Repubblica Pontificia, come se l’agenda del prossimo governo della Repubblica Pontificia fosse facoltativa e l’indirizzo del nuovo governo a disposizione della sinistra borghese! In realtà il prossimo governo, se sarà ancora emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia, ha un’agenda ben definita, con alcune poche varianti.

Contrariamente a quello che oggi dice Berlusconi, l’“Agenda Monti” non è stata un’inversione di tendenza rispetto all’attuazione del programma comune della borghesia imperialista in corso sotto i governi di centro-sinistra e di centro-destra: è stata la sua continuazione nelle condizioni aggravate della crisi del capitalismo entrata nella sua fase estrema e terminale. La sola scelta aperta consisteva e consiste in questo che il risanamento dei conti pubblici italiani per la borghesia imperialista americana poteva procedere lentamente e far saltare l’Unione Europea, mentre per la borghesia decisa a rafforzare l’Unione Europea era un’operazione urgente. L’unico vero scontro in atto nella borghesia imperialista europea (e quindi anche in quella italiana) è quello tra rafforzare l’Unione Europea sotto la guida della borghesia imperialista tedesca o restare nella scia dell’imperialismo americano. Ma questo è un contrasto ancora sotterraneo nella borghesia imperialista europea e certamente i vertici della Repubblica Pontificia non ne faranno apertamente oggetto delle elezioni in Italia. Le due ali della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti americani ed europei non sono ancora decise a ingaggiarsi apertamente in una guerra tra loro.

Tolto di mezzo questo contrasto, i vertici della RP sono uniti dal “programma comune della borghesia imperialista”. I  vertici della Repubblica Pontificia sono parte integrante della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. I loro interessi, i loro obblighi e la loro mentalità sono dettati da questo: questo è il loro orizzonte. Elezioni o non elezioni e qualunque sia il risultato delle elezioni, nessun governo che non entri in guerra contro i vertici della Repubblica Pontificia e non abbia (non si dia) i mezzi per farla, dovrà operare in accordo con i vertici della Repubblica Pontificia, quindi non potrà uscire dall’orizzonte che abbiamo indicato. Ignorare o velare questo è il punto debole fondamentale di tutti i discorsi, le proposte e i propositi degli uomini politici che si atteggiano, sono convinti di essere, vogliono sinceramente essere “amici del popolo”. Non sono senza riserve al servizio dei vertici della Repubblica Pontificia e non si danno i mezzi per fare la guerra contro di loro. Dai promotori della lista Cambiare si può (Gallino-Pepino-Revelli), a De Magistris, da Ingroia a Vendola, da Fassina a Bersani, dai fieri oppositori ai flebili correttori dell’“Agenda Monti”, nessuno dice come farà a fare accettare i suoi propositi da “amici del popolo” ai vertici della Repubblica Pontificia e ai loro compari della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. Eppure li accomuna la volontà di non entrare in guerra con essi: questa è la base comune su cui si collocano tutte le aggregazioni da Alleanza Progressista (Bersani-Vendola) a Cambiare si può. Essa crea un filo continuo che di amico in amico parte da Bersani e attraverso Vendola, Diliberto, Di Pietro, De Magistris, Ingroia, Ferrero arriva fino a Gallino-Pepino-Revelli (Cambiare si può) e che da Bersani via Casini va a Monti. Bersani progetta di essere il perno dello schieramento: può anche essere che gli riesca, ma potrebbe anche essere ridotto alla sorte che fu di Occhetto nel 1994 o semplicemente ridimensionato come lo è stato in questi giorni Napolitano. Rientra nelle sorti e nei ruoli dei cortigiani. Sono giochi e discorsi da cortigiani e da appendici dei cortigiani. Per ora Bersani è il miraggio e il sogno di Vendola e via via degli altri esponenti della sinistra borghese che il loro anticomunismo distoglie dal mobilitare le masse popolare, dal contribuire con il loro prestigio, con le loro relazioni, con i loro mezzi, con le cariche e i ruoli che ricoprono nella stessa Repubblica Pontificia a creare OO e OP, ad attuare, con i mezzi già disponibili e sovvertendo Patti di Stabilità e regole del sistema finanziario, la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”, a rendere il paese ingovernabile dai governi dei vertici della Repubblica Pontificia, ad approfittare dei fattori di ingovernabilità che si creano in alto, a creare le condizione della costituzione di un governo d’emergenza delle OO e OP (della masse popolari organizzate). In sintesi, il miraggio di quegli esponenti della sinistra borghese che restano nel campo della borghesia imperialista e del clero che personificano il mondo che va a morire e che se li lasciamo fare trascinano l’umanità nella loro morte, le cui contorsioni servono solo a far loro guadagnare tempo, a prolungare la vita del loro sistema di relazioni sociali: infatti non hanno via d’uscita dalla crisi del capitalismo perché sono la personificazione del capitalismo.

Il fascino del “meno peggio” prende già piede perfino nei discorsi di Giorgio Cremaschi e di altri esponenti del Comitato No Debito. Hanno rinviato l’attività a dopo la campagna elettorale, a quando ci sarà il nuovo governo dei vertici della Repubblica Pontificia. Essendo fondamentalmente ancora chiusi in una concezione rivendicativa dell’attività delle masse popolari, non potevano fare altro: la rivendicazione ha bisogno della controparte di un governo nel pieno dei suoi poteri, mentre l’azione autonoma delle masse popolari approfitta della semiparalisi del governo. In definitiva anche per loro Bersani complice futuro di Monti diventa il “voto utile” contro Monti.

Per questo oggi la sguaiata e per alcuni versi persino reazionaria denuncia del regime fatta da Grillo e dal suo Movimento 5 Stelle è la più progressista tra le iniziative in campo sul terreno elettorale - sia detto nel senso in cui nel 1919 Lenin diceva che la lotta dell’emiro clericale e feudale dell’Afghanistan contro l’Inghilterra era, ai fini del progresso dell’umanità e quindi anche delle stesse masse popolari inglesi, più avanzata dell’attività dei laburisti inglesi al servizio di Sua Maestà Britannica. Grillo & C fanno il meglio che possono fare gli esponenti della sinistra borghese che non si impegnano nella mobilitazione e organizzazione delle masse popolari perché le OO e OP costituiscano un loro governo d’emergenza: essi fanno dell’indignazione e del rancore delle masse popolari di fronte allo sfascio  prodotto dai vertici della Repubblica Borghese una forza politica nel senso che quanti più saranno i loro voti tanto meno facilmente il futuro Parlamento darà copertura costituzionale a un governo dei vertici della Repubblica Pontificia. Sarà un contributo a rendere ingovernabile il paese per quei vertici, quindi un aiuto alla costituzione del GBP.

Quanto detto a proposito degli esponenti della sinistra borghese e per i sinceri democratici della società civile e delle amministrazioni locali, vale anche per i dirigenti della sinistra sindacale. In questi giorni Paolo Brini, membro del CC della FIOM, Gianni Rinaldini, membro dell’Esecutivo Nazionale della CGIL e tanti altri dirigenti sindacali deplorano il vicolo cieco in cui la destra sindacale guidata da Susanna Camusso ha portato il sindacato. Ma proprio perché si ostinano a mantenere sul terreno sindacale uno scontro che per sua natura è politico, proprio perché rifiutano di fare dell’organizzazione sindacale un centro di mobilitazione e di organizzazione delle masse popolari per costituire un proprio governo d’emergenza, sono ridotti a piangere sulla propria impotenza. Del resto neanche Susanna Camusso si dice contenta dei risultati della sua direzione visto che la stragrande maggioranza degli iscritti alla CGIL e perfino dei funzionari è malcontenta.

 

Quelli che non si dedicano a mobilitare e organizzare le masse popolari perché le OO e OP costituiscano un proprio governo d’emergenza, qualunque cosa dichiarino e comunque giustifichino la loro condotta, in definitiva e in fondo confidano che la crisi del capitalismo prima o poi finisca per opera dei capitalisti stessi, lasciando i capitalisti ancora in sella. La loro condotta è razionale solo se basata su questa premessa. Questa è la questione decisiva in ogni ragionamento che sia ragionamento e non inerzia opportunista o disperata rassegnazione nei confronti delle quali non valgono ragionamenti. Ma è una premessa sbagliata, inconsistente. Lo mostra chiaramente proprio la crisi finanziaria in cui la crisi del capitalismo è sfociata.

Avrà fine la spirale per cui più denaro i ricchi accumulano spremendo la massa della popolazione per aumentare il loro capitale, maggiore è la quantità che devono spremerne per soddisfare alla valorizzazione del loro aumentato capitale e più stretta diventa la corda che ad ogni giro reddito - consumi stringe la vita delle masse popolari? Una certa logica lo vorrebbe perché ogni cosa che diminuisce alla fin fine si esaurisce, ma vi è anche una logica che dice che non c’è limite al peggio ed è quella che vale nel processo di cui parliamo. Il denaro non è cosa che esiste in una data quantità che si esaurisce. È l’espressione materiale, esterna di un rapporto sociale ed assomiglia piuttosto a una corda che a ogni giro si stringe più fortemente attorno al collo delle masse popolari. In questo caso la fine non verrà dall’esaurirsi del processo stesso. Essa può venire solo dalla rivolta della massa della popolazione che lo subisce. Una fine che sarà facilitata dal carattere universale del processo. Il primo paese al mondo in cui le masse popolari invertiranno il corso delle cose, aprirà la strada anche agli altri paesi: perché analoghe sono le costrizioni che le masse popolari subiscono in ogni paese. Proprio per questo motivo, quello che avviene nel nostro paese è certo particolare, ma ha anche un effetto universale. Noi comunisti e masse popolari italiani (come per altro i comunisti e le masse popolari di ogni altro paese) mentre combattiamo per il nostro futuro, combattiamo anche per il futuro del resto dell’umanità perché combattiamo per la fine del nemico comune: questa è la base del nostro internazionalismo.

A livello mondiale la borghesia imperialista sempre meno governa il processo sociale di cui è alla testa, il processo della crescente contrapposizione alle masse popolari del sistema di relazioni sociali che ha come sua cellula costitutiva elementare l’azienda capitalista che produce beni e servizi. Questo processo di crescente contrapposizione può e deve trasformarsi nel dilagare della guerra popolare rivoluzionaria con cui le masse popolari si organizzano e diventano sempre più capaci di produrre e vivere secondo il nuovo sistema di relazioni sociali fondato sulla loro propria organizzazione che agisce secondo il loro diffuso comune orientamento e che ha come sua cellula costitutiva elementare l’agenzia pubblica che produce beni e servizi. Questo è il socialismo, periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, fase inferiore del comunismo. Questo è il futuro che i comunisti hanno individuato come prosecuzione del  progresso della specie umana perché la società attuale contiene in sé i suoi presupposti ed esso è la soluzione delle sue contraddizioni come il parto è lo sviluppo della gravidanza. Questo è l’obiettivo che il movimento comunista persegue dalla metà dell’Ottocento in qua.

Non esistono leggi naturali, metafisiche, che prescrivono quale sarà il futuro della specie umana né processi che lo determinano al di là dell’azione degli uomini stessi che fanno la loro storia. È certo che il capitalismo non può andare oltre un limite determinato dalla sua stessa natura, come una gravidanza per sua natura non può durare oltre un certo termine. Ma che sfoci effettivamente nel sistema di cui contiene i presupposti, dipende dagli uomini stessi. Tutte le credenze e le teorie che predicono sviluppi obbligati e automatici (determinismo, meccanicismo, fatalismo, disegno della divina provvidenza, ecc.) sono un derivato della concezione religiosa del mondo, di quando l’umanità era in uno stato di ottusa soggezione al resto della natura e alle classi dominanti. Secondo questa concezione il mondo era stato creato da dio ed era al suo servizio. Con essa gli uomini trasponevano al di fuori del mondo reale la loro dura esperienza di dipendenza della specie umana dal resto della natura e della dipendenza personale dei singoli individui dagli esponenti delle classi dominanti. In realtà il futuro dell’umanità nel bene e nel male è quello che gli uomini costruiscono oggi trasformando le relazioni che costituiscono la società e formano gli individui.

Esistono leggi che regolano lo sviluppo della specie umana?

Consideriamo l’edilizia o l’urbanistica (ma conclusioni analoghe si ricavano considerando altre attività umane). Esistono nell’edilizia e nell’urbanistica leggi che chiunque pratica l’attività deve conoscere e osservare pena il fallimento? Sì e no. Esistono leggi nel senso che nel costruire non potete prescindere dalle caratteristiche dei materiali, dalle leggi della fisica e della chimica, dalle caratteristiche del suolo e dalle condizioni del clima, dalla conformazione degli edifici e dei tessuti urbani già esistenti e da altri elementi del presente. Non esistono leggi nel senso che le autorità, le istituzioni, gli architetti e gli urbanisti hanno ampi margini di libertà nel decidere la forma, la dimensione, la destinazione d’uso degli edifici e dei suoli, la direzione in cui espandere il tessuto urbano in relazione agli obiettivi che si prefiggono, salvo ovviamente pagare le conseguenze di errori e di decisioni tra loro incompatibili. Una cosa analoga vale per l’insieme delle relazioni e delle istituzioni sociali, per la mentalità e i comportamenti degli individui e dei gruppi sociali.

Per la prima volta nella sua storia la specie umana, nel mentre liberava se stessa dalla soggezione al resto della natura e costruiva gli strumenti e i procedimenti che la rendevano capace di indirizzare il resto della natura, è diventata una unità reale, costituita da gruppi e da individui dipendenti l’uno dall’altro per la propria riproduzione. Essa ha quindi raggiunto anche la capacità di distruggere se stessa e l’ambiente che le è necessario per vivere.

 

Per orientarsi in modo giusto nella lotta di questi giorni e dei prossimi mesi nel nostro paese, bisogna rifarsi alle questioni fondamentali della storia della specie umana, della natura e del ruolo storico del modo di produzione capitalista, della natura della crisi in corso e, in definitiva, del modo di procedere della conoscenza e dell’azione di noi uomini. Solo se poniamo chiaramente e in modo giusto queste questioni fondamentali, riusciamo a tracciare la via e definire la linea da seguire e a far partecipare o almeno far contribuire alla sua realizzazione anche quelli che questi problemi non se li pongono e addirittura anche almeno una parte di quelli che danno risposte sbagliate.

Sono questioni che il movimento comunista ha trattato da molto tempo, su cui ha dato soluzioni e proposte, su cui l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, l’esperienza del movimento comunista del Novecento, ha dato conferme e smentite e molte lezioni. Il marxismo-leninismo-maoismo è la dottrina che ha trattato e tratta queste questioni. Ai fini dell’orientamento nelle lotte immediate, le posizioni decisive a proposito di queste questioni fondamentali a nostro parere sono le seguenti e sfidiamo chi non condivide le nostre risposte a dimostrare che sono sbagliate e a illustrare quali sono le posizione giuste.

 L’azienda capitalista che produce beni e servizi è la cellula costitutiva elementare della società borghese sia dal punto di vista della sua formazione storica (a quella cellula bisogna rifarsi per capire come si è formata la società attuale), sia dal punto di vista della complessità attuale delle sue attività e relazioni concrete nei singoli paesi e come sistema di relazioni internazionali. Se “scartocciamo” la società attuale e scomponiamo le sue attività e relazioni fino a individuare le sue parti elementari e le relazioni che le legano, troviamo l’azienda capitalista che produce beni e servizi come sua cellula costitutiva elementare. Molte sono le variazioni possibili nelle attività e nelle relazioni che sono cresciute su questa cellula costitutiva elementare e del resto una grande varietà ce la mostra sia la storia sia l’insieme dei paesi che costituiscono l’umanità attuale. Ma esiste una logica che lega le cose tra loro ed essa porta alla conclusione che per cambiare il mondo attuale, bisogna cambiare la cellula costitutiva elementare: sostituire all’azienda capitalista che produce beni e servizi, l’agenzia pubblica che produce beni e servizi in base a decisioni (il piano economico) prese dagli organismi e dalle istituzioni sociali per obiettivi socialmente definiti. Solo su questa base è possibile che ogni adulto faccia un lavoro utile e dignitoso, che gli uomini producano tutto e solo quello che giudicano necessario, che ogni individuo dedichi una parte limitata del suo tempo al lavoro e disponga del tempo e dell’educazione necessari per la gestione della società e per le altre attività specificamente umane, che i paesi e i settori avanzati sviluppino un rapporto di solidarietà e di collaborazione con i settori e i paesi arretrati creando così un nuovo superiore sistema di relazioni internazionali, che la specie umana protegga e migliori l’ambiente in cui vive.

Il passaggio dall’attuale sistema di relazioni sociali al nuovo è un processo complesso, un cammino costituito da molti passi, che prenderà il tempo necessario e avrà caratteristiche diverse da paese a paese. Ma è nella sostanza un processo di lotta di classe, con agli estremi opposti da una parte la classe operaia organizzata attorno al partito comunista e all’altro la borghesia imperialista.

La crisi attuale che attraversa l’umanità, è la crisi del capitalismo: il sistema di relazioni sociali costruito sull’azienda capitalista che produce beni e servizi ha dato quanto poteva dare, non ha più futuro, la sua persistenza porta alla distruzione dell’umanità. Quelli, amici e compagni o avversari, in buona o cattiva fede, che di fronte alla crisi attuale vengono a proporre una qualche diverso assetto della struttura finanziaria, il ristabilimento dell’autonomia monetaria nazionale, la creazione di sistemi monetari, finanziari e commerciali diversi da quelli oggi esistenti (ci riferiamo quindi ad esempio ai compagni del Movimento Popolare di Liberazione, ai compagni della Rete dei Comunisti) sono completamente fuori strada: le loro proposte politiche sono in contrasto con le loro stesse dichiarazioni che la crisi attuale è una crisi del capitalismo, non di un qualche assetto particolare della società borghese.

Gli esponenti progressisti della società civile, i dirigenti democratici delle amministrazioni locali, i dirigenti della sinistra dei sindacati di regime (quelli che hanno vissuto in tutta la sua lunghezza o per gran parte la storia della Repubblica Pontificia passando attraverso la linea della moderazione dell’EUR (1978), la linea della concertazione e della compatibilità) e dei sindacati alternativi e di base, gli esponenti della sinistra borghese devono contribuire alla mobilitazione e all’organizzazione delle masse popolari perché costituiscano OO e OP. Non hanno altra strada per far fronte efficacemente allo sfacelo in corso e non essere essi stessi travolti dalla crisi del capitalismo. Per questo devono da subito mettersi in guerra con i vertici della Repubblica Pontificia e con le istituzioni della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti impiegando da subito per la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari i mezzi, le risorse, le relazioni, i poteri e il prestigio di cui dispongono. Il proposito di conquistare la maggioranza nelle elezioni indette dai vertici della Repubblica Pontificia e poi costituire su questa base un governo che faccia la guerra ai vertici della Repubblica Pontificia è velleitario e irrealizzabile e oltre ad offrire copertura agli opportunisti e agli arrampicatori sociali e a delinquenti di vario genere, scoraggia e demoralizza le masse popolari e apre la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Quanto a noi comunisti, il nostro compito è dedicarci con tutte le nostre forze ad assimilare e applicare la concezione  comunista del mondo nel mobilitare e organizzare le masse popolari. La rivoluzione socialista non è qualcosa che scoppia. Il socialismo non è un processo spontaneo. È un processo di trasformazione possibile e necessario, ma doloroso. È un salto nella storia dell’umanità che le aprirà la via di un futuro luminoso. Organizzarci, renderci capaci di questo compito, guidare la classe operaia a organizzarsi e per suo tramite guidare il resto delle masse popolari a condurre la guerra popolare rivoluzionaria contro la Repubblica Pontificia fino a spazzarla via e fare dell’Italia un nuovo paese socialista: questa è la nostra opera. Le masse popolari possono e devono attaccare la borghesia e il clero su tutti i terreni, scoprire e sfruttare ogni punto debole del loro sistema e lì attaccare fino a rendere loro la vita impossibile. Resistere e difendersi è necessario, ma deve essere la scuola per imparare l’arte ed attaccare, attaccare fino a vincere.

 

Fare di ogni lotta una scuola di comunismo!

 

Sta a noi comunisti diventare promotori della guerra popolare rivoluzionaria e contrapporla alla guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia e il clero conducono contro le masse popolari

 

L’organizzazione comunista non è solo strumento della lotta politica e della lotta economica.
È e deve diventare sempre più anche uno strumento di lotta teorica, di formazione morale di trasformazione della coscienza!

 

Studiare il Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano!

Diffondere il Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano!

 

Apprendere, assimilare, applicare la concezione comunista del mondo!

 

Costituire clandestinamente Comitati del Partito comunista in ogni azienda e in ogni centro abitato!

 

**************

Per mettersi in contatto con il Centro del (n)PCI senza essere individuati e messi sotto controllo dalla Polizia, una via consiste nell’usare TOR [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html], aprire una casella email con TOR e inviare da essa a una delle caselle del Partito i messaggi criptati con PGP e con la chiave pubblica del Partito [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html].