La Voce 78 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXVI - novembre 2024

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Dare un indirizzo unitario alla crescente mobilitazione contro il governo Meloni

Il nostro paese è sempre più coinvolto nella Terza guerra mondiale. Dalla spesa militare inserita nella prossima legge finanziaria che farà salire il bilancio del Ministero della Difesa da 28 a 32 miliardi di euro, alla commessa da 20 miliardi di euro affidata alla joint venture (associazione temporanea di imprese) tra l’italiana Leonardo e la tedesca Rheinmetall per la costruzione di carri armati, il governo Meloni amplia la partecipazione del nostro paese alla Terza guerra mondiale promossa dai gruppi imperialisti USA-NATO, sionisti e UE. È quello che conferma anche il Ministro della Difesa Crosetto, ossia che “l’aumento delle spese militari è necessario perché il nostro Paese non è preparato alla guerra” e fa il paio con le dichiarazioni del generale Carmine Masiello (che il governo Meloni lo scorso 15 febbraio ha nominato capo di stato maggiore dell’Esercito italiano) che “l’esercito non è fatto per vivere nella burocrazia, ma per prepararsi alla guerra”. Sempre più esplicitamente i vertici della Repubblica Pontificia sono costretti a dichiarare che siamo in guerra e che è inevitabile l’impegno più ampio del nostro paese nella guerra in corso.

Per i gruppi imperialisti USA-NATO, sionisti ed europei la guerra è indispensabile per mantenere il loro dominio sull’umanità e alcuni di loro con la produzione militare accumulano anche enormi profitti. Ma la maggiore subordinazione agli imperialisti USA, il maggiore coinvolgimento nelle loro guerre e la complicità con i sionisti d’Israele si combinano con gli smantellamenti di Stellantis, dell’ex Alitalia, dell’ex Ilva e di centinaia di altre grandi e piccole aziende, con i salari da fame, la precarietà, il lavoro nero e le stragi di lavoratori, con lo sfascio della sanità e della scuola pubbliche, con la devastazione del territorio, le grandi opere speculative e il turismo predatorio, con la persecuzione degli immigrati poveri, con il ricorso crescente alla repressione nelle piazze, nelle aziende e nelle scuole, con i trattamenti disumani nelle carceri e nei lager per immigrati, a contrapporre sempre più il governo Meloni alle masse popolari del nostro paese.

A marzo, nell’articolo Andiamo verso una svolta (VO 76), abbiamo indicato le dinamiche e i fattori relativi al campo della classe dominante (alle relazioni tra i gruppi che la compongono, in particolare la Corte Pontificia, tra i partiti della coalizione di governo, tra i partiti delle Larghe Intese), al campo delle masse popolari e al corso delle cose nel paese che, insieme all’instabilità del sistema di relazioni internazionali, concorrono a rendere precario il governo Meloni e a creare le condizioni per una svolta. Nei mesi scorsi ognuno di quei fattori ha fatto il suo corso, ha scavato il solco tra i due campi, ha acuito lo scontro sociale. Quali sono gli sviluppi principali ai fini della nostra lotta?

1. Le mobilitazioni e le proteste sono cresciute di numero e, in una certa misura, anche di tono: negli obiettivi, nelle parole d’ordine e nei metodi di lotta. Il movimento di sostegno alla resistenza palestinese contro il genocidio sionista ha dato una spinta importante in tal senso. La manifestazione del 5 ottobre a Roma ha aperto la strada allo sciopero dei trasporti dell’8 novembre senza rispetto delle fasce di garanzia,(1) agli studenti che il 15 novembre a Torino hanno contrattaccato la polizia che manganellava i manifestanti e occupato la Mole Antonelliana, fino all’appello alla “rivolta sociale” lanciato non da un anarco-insurrezionalista, ma dal segretario della CGIL Landini!


1. Il non rispetto delle fasce di garanzia nei giorni non festivi è prevista dalle norme antisciopero, anche se una volta sola nel corso di una vertenza, ma i sindacati confederali non la utilizzavano da 20 anni a questa parte.


Insieme ai divieti, salta anche la credibilità del governo, dei suoi padrini e anche dei suoi oppositori parlamentari, tutti complici dichiarati o di fatto oppure oppositori impotenti del genocidio sionista a Gaza e in Cisgiordania, della guerra che i sionisti allargano al Libano, alla Siria e allo Yemen, degli omicidi mirati e delle altre operazioni sporche che conducono in Iran… complici al punto che, di fronte all’esercito sionista che colpisce i soldati italiani della missione UNIFIL in Libano, si limitano a balbettare qualche protesta. L’astensione alle elezioni, che è diventata un dato costante e nelle ultime elezioni regionali ha superato il 50%, è il principale ma non unico metro di misura e fa il paio con il continuo calo di voti ai partiti di governo. Assieme alla credibilità è minata la legittimità di Meloni e soci a governare: persino Landini è arrivato a riconoscere sulla base del buon senso comune che “hanno la maggioranza in Parlamento, ma non hanno la maggioranza nel paese”.

Nella resistenza delle masse popolari accanto all’aspetto difensivo si è fatto strada l’aspetto offensivo.(2)


2. Sugli aspetti (difensivo-offensivo, individuale-collettivo, distruttivo-costruttivo, pratico-culturale) che si combinano nella resistenza spontanea delle masse popolari è istruttivo quanto illustrato nell’articolo Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e i compiti delle forze soggettive della rivoluzione socialista, in Rapporti Sociali n. 12/13 - novembre 1992.


Le rivendicazioni si combinano con la ribellione, l’opposizione con l’attacco al governo che coinvolge il nostro paese nella Terza guerra mondiale e inasprisce la guerra interna, che è incapace di porre rimedio agli effetti economici della crisi e anzi li aggrava, che fa terra bruciata dei diritti e delle conquiste che le masse popolari hanno strappato. Gli esponenti del governo e i loro padrini hanno annusato l’aria che tira. Da qui le loro grida sul “rischio di ritorno degli anni ’70” con gli annessi richiami alle opposizioni ad “abbassare i toni”, gli avvertimenti sui “cattivi maestri”, le intimidazioni a chi “esce dal coro”.

2. L’azione dei sindacati alternativi e di base e anche della CGIL e della UIL si è sviluppata più apertamente e stabilmente sul terreno politico. Si tratta di organizzazioni che già oggi raccolgono una parte importante degli operai e degli altri lavoratori, sono presenti in tutte le aziende di qualche dimensione e hanno una capacità di mobilitazione su scala nazionale. Che abbiano imboccato questa strada è un segnale dell’orientamento delle classi decisive per la trasformazione del paese e un punto di forza della lotta per cacciare il governo Meloni. “Contro il governo della guerra, dell’economia di guerra e della repressione” è la parola d’ordine che i sindacati alternativi e di base inalberano apertamente nelle manifestazioni che indicono o che uniscono agli obiettivi specifici dei settori di lavoratori che di volta in volta chiamano a mobilitarsi. È anche il filo conduttore, anche se non ancora l’obiettivo esplicito, degli scioperi e delle iniziative locali e nazionali che la CGIL promuove in maniera unitaria con la UIL. Da dove viene questa spinta, lo sintetizza bene (anche se però non ne tiene ancora conto nell’azione che svolge) l’USB nel suo comunicato del 23.10.2024: “Non c’è un solo ambito della vita sociale, politica e culturale del Paese che non sia sotto attacco, dalla scuola alla sanità, dall’ambiente alla sfera dei diritti civili, dall’accoglienza alla restrizione degli spazi di democrazia. E sul piano economico e del lavoro c’è una scelta netta dalla parte delle banche e delle grandi imprese, una politica economica che asseconda la deindustrializzazione e ci condanna alla turistificazione della penisola. È il nostro futuro che questo governo sta ipotecando. Non solo perché rende vulnerabili i nostri territori di fronte all’aggravarsi della crisi climatica; non solo perché prospetta una vecchiaia di pensioni da fame per tutte le nuove generazioni; non solo perché cancella diritti fondamentali come quello di curarsi o di avere un alloggio dignitoso; ma anche perché vuole imporre una cultura che colpisce i diritti degli ultimi e alimenta la guerra ai poveri”.

3. Si è acuita l’ingovernabilità dall’alto. Il conflitto tra governo Meloni e magistratura, arrivato a un livello che non aveva raggiunto neanche nel periodo di Berlusconi, è la manifestazione più evidente degli scontri tra istituzioni e organi dello Stato e delle divisioni esistenti nei vertici della Repubblica Pontificia, a cui si aggiungono i contrasti tra governo centrale e amministrazioni locali (vedi il ricorso di Campania, Toscana, Puglia, Sardegna contro l’autonomia differenziata), i segnali di insofferenza provenienti perfino dalle forze dell’ordine,(3) le prese di posizioni di settori della Chiesa contro misure governative come l’autonomia differenziata e il DDL 1660.


3. Dalle prese di posizione critiche di ex generali sulla partecipazione del nostro paese alla guerra USA-NATO contro la Federazione Russa in Ucraina alle proteste del sindacato di polizia SIULP, del Nuovo Sindacato Carabinieri Puglia e del SIM Carabinieri per come il governo ha organizzato la sistemazione di poliziotti e carabinieri in occasione del G7 in Puglia; dalla presa di posizione dell’Associazione Sindacale Carabinieri UNARMA contro il possibile scambio patrocinato dal governo Meloni tra il rientro in Italia di Chico Forti (condannato all’ergastolo negli USA per truffa e omicidio) e il trattamento di favore riservato ai due studenti americani di famiglia ricca responsabili dell’uccisione del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega alle critiche al DDL 1660 del segretario generale del SILP (Sindacato Italiano Lavoratori di Polizia) CGIL.


I vertici della Repubblica Pontificia sono divisi da contrasti di interesse e di orientamento politico e la mobilitazione popolare crescente rende “ingombrante” il governo Meloni anche per una parte dei suoi padrini.

Le condizioni per una svolta si accumulano, ma non sono ancora arrivate a fare “massa critica”. Questo è il contesto in cui si svolge lo scontro di classe nel nostro paese. Estenderlo, elevarne il livello di coscienza e di organizzazione, definire più precisamente gli obiettivi, rendere più efficaci le forme di lotta, in sintesi sviluppare ed elevare l’attacco, è in questa fase il compito di noi comunisti, un compito a cui concorrono e possiamo sempre più far concorrere anche i lavoratori avanzati e i sinceri democratici.

Estendere la disobbedienza a divieti, leggi e regole. Nel nostro paese sono più di 5 milioni le persone (compresi una parte di lavoratori e pensionati) che vivono in povertà: un decimo della popolazione non ha il necessario per una vita civile mentre i supermercati rigurgitano di cibo, il governo spende miliardi in armi, i ricchi vivono nel lusso sfrenato! In tutti i paesi imperialisti milioni di persone sono cacciate ai margini della società e costrette a vivere di ammortizzatori sociali, di carità, di espedienti e di attività illegali.

Ovunque la classe dominante opprime, è possibile trasformare l’oppressione in ribellione, così come è possibile anche che con la repressione, le minacce e i ricatti la classe dominante generi una maggiore sottomissione, susciti timore, produca un maggiore abbrutimento degli oppressi. Noi comunisti dobbiamo sistematicamente portare gli oppressi a ribellarsi. A questo fine bisogna avvalersi anche del fatto che persino dall’interno della Chiesa si levano voci come quella di don Ciotti che chiamano “all’obiezione di coscienza contro le leggi ingiuste”:(4) certo, chiamano a disobbedire per “graffiare in modo non violento la coscienza di chi ha le responsabilità”, ma la cosa importante è che chiamano a disobbedire, che affermano il diritto delle persone a non rassegnarsi alla “emorragia di umanità”. In ogni campo, in ogni scontro non dobbiamo attutire i contrasti tra le masse popolari da una parte e la classe dominante e le sue autorità dall’altra, sminuirli e assopirli, disperdere e isolare gli elementi più combattivi né dare fiato e forza ai conciliatori, ai fautori di un accordo e della conclusione dello scontro.


4. Sciopero della fame per i migranti e per tutte le vittime del mare: intervista a don Luigi Ciotti pubblicata sul giornale della Conferenza episcopale italiana Avvenire il 22.10.2024.


Solo con scontri di livello superiore, più organizzati e con obiettivi più elevati, le masse popolari avanzano verso la vittoria. Non dobbiamo assopire i contrasti, ma al contrario approfondirli, far risaltare più nettamente i responsabili e l’antagonismo di interessi tra masse popolari e vertici della Repubblica Pontificia, organizzare la parte più attiva (la sinistra) e sulla base di essa costruire una nuova superiore fase dello scontro (concatenazione). Per questo dobbiamo sostenere e indicare come esempio ogni comportamento di insubordinazione, di disobbedienza, di ribellione ai padroni, al governo e alle altre autorità. Dobbiamo guidare ogni gruppo sociale, ad ogni livello, dai piccoli ai grandi, a percorrere un processo che porti dalla sottomissione alla rivolta, dall’individuale al collettivo, dall’istintivo al progettato e consapevole, dallo spontaneo all’organizzato. Più la ribellione collettiva e organizzata si dispiegherà su larga scala, più assorbirà in sé, valorizzerà e correggerà i comportamenti e le tendenze alla ribellione individuale ed estemporanea. Una parte crescente della popolazione cerca e cercherà forme sue proprie di ribellione finché i risultati della lotta porteranno tutti ad adottare i mezzi di lotta che si dimostreranno più efficaci, fino alla vittoria.

Sviluppare l’unità d’azione, la concatenazione delle mobilitazioni e il coordinamento degli organismi che le promuovono. Un problema da affrontare per avanzare su questo terreno è il settarismo duro a morire nel sindacalismo combattivo. A Landini che parla di “rivolta sociale” e indice sciopero generale per il 29 novembre, l’USB obietta “sappiamo bene di cosa è capace pur di arrampicarsi negli spazi mediatici e politici. Era il 2009 e il neo eletto segretario della FIOM CGIL (sì proprio lui, il Landini rivoluzionario) al grido di ‘pronto ad occupare le fabbriche per difendere il lavoro’ iniziava la prima volata che gli avrebbe permesso di diventare nel giro di pochi anni segretario generale della CGIL.

Peccato che in quel decennio di contrasto prima agli accordi separati nel metalmeccanico, poi al modello Marchionne, la FIOM è stata costretta non ad occupare le fabbriche, ma a rimangiarsi tutto (…). Ma quale rivolta, Landini? Anche nel 2015 ritorna di nuovo il grido del segretario rivoluzionario: ‘Pronti ad occupare le fabbriche’. Peccato che la sua CGIL invece di occupare le fabbriche sul renziano Jobs Act, ovvero la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ci fece una battaglia miseranda e contraddittoria, con gli ex segretari della CGIL che in Parlamento votarono tutti questa riforma.

Ci ricordiamo tutto Landini, ci ricordiamo della tua ‘via maestra’, ci ricordiamo della coalizione sociale che avrebbe dovuto cambiare il volto di un mondo del lavoro da cui spariva la Costituzione. Ci ricordiamo della Fiat e di Marchionne. Ci ricordiamo di quando dovevi occupare le fabbriche… ma poi ti sei svenduto tutto. Firmi contratti nazionali con minimi salariali a 5 euro al mese e poi scioperi per il salario? Sottoscrivi patti di sangue con le imprese che riformano il modello di rappresentanza, di contrattazione, ‘patti per la fabbrica’ sui diritti, su salute e sicurezza e poi ti lamenti degli accordi separati e delle morti sul lavoro? Accompagni per decenni la dismissione industriale di questo paese e poi ti svegli di colpo e ti accorgi che i padroni sono brutti e cattivi”.

La questione reale e di prospettiva è perché Landini è passato dai salamelecchi alla Meloni alla “rivolta sociale” e come servirsene per promuovere effettivamente quella “rivolta sociale” che Landini non promoverà, ma di cui i lavoratori hanno bisogno affinché “nessun lavoratore sia licenziato”, “nessuna azienda venga chiusa”, “ogni adulto abbia un lavoro dignitoso”. Bisogna mettere al centro questi obiettivi (contro natura per i padroni e i loro governi: per loro le aziende sono macchine per fare soldi e i lavoratori manodopera da usare quando serve) e promuovere la mobilitazione più vasta possibile per imporli e per renderli duraturi e compatibili tra loro e con le condizioni generali nazionali e internazionali. I sindacati alternativi e di base, nati per far fronte alla concertazione e alla collaborazione con i padroni che i sindacati di regime imponevano ai lavoratori, devono fare propri questi obiettivi e lanciare una vera e propria campagna per realizzarli, devono essere all’avanguardia nel mobilitare più largamente i lavoratori per imporli fino a costituire un governo d’emergenza che si formi proprio su questi obiettivi e per questi obiettivi, che sia formato da organismi e da persone che si battono per questi obiettivi. Di fronte a questi obiettivi e al dramma creato dalla crisi e dalla guerra, anche tra gli iscritti ai sindacati di regime cambia la situazione. E se cambia l’orientamento dei lavoratori, se cresce la mobilitazione dei lavoratori per questi obiettivi, anche un numero crescente di sindacalisti di regime, alcuni per convinzione altri per opportunismo, si schiereranno per questi obiettivi. I sindacalisti di regime non sono aspiranti suicidi: sanno bene che dipendono dai lavoratori, dal seguito e dall’adesione che hanno tra i lavoratori. Anche quelli opportunisti sanno bene che, se non riescono a controllare i lavoratori, per i padroni sono limoni spremuti e i padroni li gettano. Sarebbe un errore respingere l’adesione di questi sindacalisti e tanto più ancora respingere l’adesione dei lavoratori iscritti ai sindacati di regime a questi obiettivi. Come sarebbe egualmente un errore affidarsi a sindacalisti opportunisti e inaffidabili, mettersi nelle loro mani, fidarsi di loro. I sindacati alternativi e di base devono prendere e tenere in mano l’iniziativa, ma non essere settari. Non rifiutare oggi la collaborazione su questi obiettivi in nome delle porcate che quegli stessi sindacalisti hanno fatto ieri e che continuano a fare oggi (e più il legame procede nelle lotte di oggi, più gli diventerà difficile continuare a farne). Ma contemporaneamente non dar loro fiducia né mettere la lotta e gli interessi dei lavoratori nelle loro mani. Niente settarismi, ma autonomia e iniziativa. Gli avvenimenti confermano che è stato giusto costituire sindacati alternativi e di base. Grazie a questi e alla loro esistenza, è possibile lanciare parole d’ordine giuste e prendere iniziative, avere strumenti operativi, promuovere una larga mobilitazione e perfino sindacalisti di regime sono costretti a mobilitare contro il governo Meloni. Se la CGIL e oggi persino la UIL non sono allineate con CISL e UGL nella collaborazione con il governo Meloni, è anche grazie all’esistenza dei sindacati alternativi, oltre che all’opposizione dei loro stessi iscritti e di molti lavoratori non iscritti a nessun sindacato, opposizione che anche questa può manifestarsi meglio e con più forza proprio grazie all’esistenza e all’azione dei sindacati alternativi e di base, degli organismi di lavoratori e delle organizzazioni comuniste.

Estendere e rafforzare l’organizzazione degli operai, elevare il loro orientamento e allargare la loro azione. A questo dobbiamo dedicare un’attenzione e uno sforzo particolari. La lotta contro la liquidazione di Stellantis e indotto e la battaglia per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici offrono mille occasioni per propagandare su vasta scala che le aziende sono in crisi perché il capitalismo è in crisi e che per salvare le aziende bisogna cambiare il paese. Bisogna quindi organizzarsi di conseguenza: anche la lotta degli operai stessi per porre fine alla distruzione di posti di lavoro e di fabbriche, per difendere i diritti sindacali e politici conquistati e i CCNL può avere successo solo se si sviluppa su larga scala e con successo l’attacco. È la conclusione a cui sono arrivati gli operai della ex GKN di Campi Bisenzio-FI: “Quando nel luglio 2021 è arrivata la notizia della chiusura della fabbrica, è stato facile ridurre tutto all’indignazione nei confronti di un fondo finanziario come Melrose. Ma quel fondo finanziario è il portato di un mondo intero. Che, per quella che è stata la sua evoluzione - o forse meglio dire involuzione - ci ha presentato il conto, chiudendo l’azienda. Il fatto che per riaprirla ci tocchi pensare a un intero mondo nuovo ne è la controprova. (…)

Noi possiamo vincere solo se la lotta non è fatta esclusivamente per i nostri posti di lavoro ma se i nostri posti di lavoro diventano un elemento di riscatto per tutti: perché per piegare il capitale, anche su una singola fabbrica, serve un tale cambiamento dei rapporti di forza che non può essere ottenuto da 400 metalmeccanici, ma da tutte le persone che si sono unite alla lotta. Tutti insieme ‘Insorgiamo’, che è il nostro grido di battaglia e ci piace perché è un noi, un collettivo” (La lotta Gkn, grido collettivo - Dario Salvetti, in il manifesto del 14.11.2024).

Dare un indirizzo unitario alla crescente mobilitazione popolare. Ogni governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia, di centro-destra o di centro-sinistra che sia, non può che operare in sintonia con il sistema imperialista mondiale e cercare di imporre alle masse popolari più sacrifici per soddisfare le pretese e gli interessi dei guerrafondai, dei finanzieri e degli speculatori. Più sacrifici i padroni e le loro autorità riescono a imporre alle masse popolari, più si aggraverà la crisi e maggiori saranno i sacrifici che cercheranno di imporre. Questo è il filo conduttore degli avvenimenti degli ultimi anni. Coagulare la mobilitazione popolare intorno all’obiettivo di costituire un governo d’emergenza formato per iniziativa delle organizzazioni operaie e popolari è il bandolo da afferrare per sbrogliare la matassa: per sviluppare la mobilitazione contro Meloni & C. fino a fare “massa critica” e rendere il paese ingovernabile e per evitare che siano i vertici della Repubblica Pontificia a imbastire una diversa soluzione di governo.

Siamo di fronte a una situazione nuova, nessuno di noi l’ha mai vissuta prima né la trova descritta in un libro. Bisogna osare avanzare. Il nuovo suscita dubbi: è inevitabile perché presenta sempre aspetti incerti. Il nuovo suscita perfino paura: anche questo è inevitabile, perché il nuovo comporta sempre aspetti ignoti. Ma chi non si rimbocca le maniche e non osa avanzare, subisce quello che fanno gli altri e, se è un intellettuale, propaganda disfattismo. Bisogna misurare con cura e responsabilità ogni passo, ma avanzare. Nel dubbio, meglio osare avanzare: come minimo impareremo. Possiamo indirizzare il corso degli eventi a nostro favore. Se noi avremo successo in Italia, nel resto dell’Europa le cose precipiteranno in senso favorevole a noi: in ogni paese le masse popolari hanno problemi analoghi ai nostri.

Ernesto V.