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anno XXVI - luglio 2024

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Come la Russia affronta le sanzioni

David Teurtrie, ricercatore associato presso l’Istituto Nazionale di Lingue e Civiltà Orientali (INALCO) di Parigi. Le Monde Diplomatique, edizione italiana, giugno 2024.

Imponendole misure coercitive di una portata senza precedenti, i paesi occidentali intendevano far indietreggiare Mosca in Ucraina. Non hanno però tenuto conto della solidità dell’economia russa, le cui entrate petrolifere sono tornate ai livelli prebellici. La politica di sostituzione delle importazioni, il commercio con i paesi emergenti e lo sviluppo di un sistema finanziario autonomo hanno fatto il resto.


“Provocheremo il crollo dell’economia russa” aveva dichiarato Bruno Le Maire [ministro francese dell’economia, ndr] ai primi di marzo del 2022. Dodici pacchetti di sanzioni più tardi, la Russia registra per il secondo anno consecutivo una crescita economica superiore a quella dell’Unione Europea e degli Stati Uniti: dopo un aumento del prodotto interno lordo (Pil) del 3,6% nel 2023, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha nuovamente rivisto le sue previsioni per il 2024 al rialzo, indicando una crescita dell’economia russa del 3,2%. Certo, la militarizzazione dell’economia, così come la carenza di manodopera e le difficoltà di accesso alle tecnologie occidentali, potrebbero avere un effetto negativo nel medio termine. Ma l’andamento dell’economia russa, come riconosciuto dalla stragrande maggioranza degli analisti e confermato dalle istituzioni internazionali, ha costituito una grande sorpresa per l’Occidente. In effetti, l’affermazione di Le Maire faceva eco a esternazioni simili del presidente statunitense Joseph Biden e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Le loro posizioni riflettevano un’opinione condivisa tra le élite occidentali secondo cui l’esercito russo sarebbe stato presto sconfitto, dal momento che si sarebbe ritrovato sprovvisto di armi per mancanza di componenti elettronici e a corto di finanziamenti per mancanza di petrodollari.

A due anni di distanza, siamo molto lontani da una simile conclusione del conflitto. Stando così le cose, come interpretare l’enorme divario tra i deludenti risultati della politica delle sanzioni e le aspettative iniziali? Il primo errore è stato quello di aver tenuto in scarsissimo conto l’economia russa. Quanto dichiarato da Clément Beaune, allora segretario di Stato incaricato degli affari europei, nel febbraio del 2022 riassume bene questo sentimento: “la Russia ha il Pil della Spagna”. Questa affermazione era allo stesso tempo approssimativa e riduttiva. Secondo la Banca mondiale, nel 2022 il Pil nominale di questo paese era all’ottavo posto mondiale (quello della Spagna si fermava al quindicesimo), mentre calcolato a parità di potere d’acquisto (Pil Ppa) saliva al quinto, appena davanti a quello della Germania. Inoltre, la dimensione di un’economia riflette solo in modo imperfetto la potenza di un paese. Nonostante alcune debolezze incontestabili, come la dipendenza dalle entrate derivanti dal petrolio e dal gas, Mosca occupa una posizione di primo piano in molti settori strategici. Tra i tre principali paesi produttori ed esportatori di idrocarburi, metalli non ferrosi e cereali, la Russia è anche il primo esportatore di centrali nucleari e una delle tre principali potenze spaziali. Nel 2023 ha effettuato diciannove lanci spaziali rispetto ai soli tre lanci dell’intera Europa. La sua produzione di elettricità, un indicatore importante comunemente utilizzato per misurare la potenza industriale, colloca il paese al quarto posto nel mondo, dietro alla Cina, agli Stati Uniti e all’India. Tenendo presenti questi pochi dati, si è meno sorpresi nel constatare che la Russia attualmente produce più proiettili di tutti i paesi occidentali messi insieme.

Le élite russe sono largamente percepite come incompetenti a causa di un sistema politico fondato sulla corruzione e sul nepotismo. Ovviamente queste impressioni non sono infondate, ma non riassumono la realtà del paese. Negli ultimi dieci anni, il presidente Vladimir Putin ha portato avanti un vasto rinnovamento delle élite politiche e amministrative sia a livello esecutivo regionale che all’interno del governo federale. Si tratta di tecnocrati che hanno dato prova del proprio valore nel settore privato o nelle loro amministrazioni di origine. Ad attuare tale politica di rinnovamento dei quadri è stato Sergej Kirienko. Proveniente dal campo liberale, questi ha trasformato Rosatom in un colosso globale del nucleare prima di diventare, nel 2016, vice-capo di gabinetto della potente amministrazione presidenziale. In un articolo pubblicato su Foreign Affairs, Alexandra Prokopenko, ricercatrice presso la Carnegie Foundation, in generale molto critica nei confronti della situazione in Russia, afferma che “l’economia russa è gestita da tecnocrati competenti e Putin ascolta la loro opinione” [Alexandra Prokopenko, Putin’s unsustainable spending spree, 8 gennaio 2024, http://www.foreignaffairs.com].

Frenare la fuga di capitali. Dal 2014 e dall’annessione della Crimea, il Cremlino ha attuato una politica di resilienza economica per far fronte alla pressione economica occidentale. La politica di “sostituzione delle importazioni” ha permesso al paese di raggiungere in pochi anni l’autosufficienza alimentare e si è dimostrata efficace anche in campo finanziario: nel 2015 le autorità hanno lanciato il Sistema nazionale di pagamento delle carte (Snpc), che garantisce il funzionamento di tutte le carte emesse dalle banche russe sul territorio nazionale. Allo stesso modo, la Banca centrale russa ha creato il Sistema di trasmissione dei messaggi finanziari (Spfs), che vuole essere l’equivalente nazionale del sistema di pagamento Swift. Queste misure hanno dimostrato la propria efficacia nel marzo del 2022, quando le sanzioni hanno costretto Visa e Mastercard a “bloccare” tutte le carte emesse in Russia. Il sistema nazionale è subentrato immediatamente, consentendo alle carte occidentali emesse dalle banche locali di continuare a operare senza interruzioni nel paese. Allo stesso modo, le dieci principali banche russe escluse dallo Swift hanno continuato le loro operazioni attraverso l’Spfs. Queste sanzioni massicce non hanno dunque costituito “l’arma nucleare finanziaria” descritta da Le Maire nel febbraio del 2022: dopo aver assorbito lo shock delle sanzioni nel 2022, nel 2023 il settore bancario russo ha generato profitti record per un ammontare di 33 miliardi di euro. E nonostante il congelamento di 300 miliardi di dollari di riserve finanziarie da parte dell’Occidente, la Banca centrale controlla ancora l’equivalente di 300 miliardi di dollari (in oro e yuan), cifra che corrisponde al totale delle riserve della Bundesbank. Di fronte alle massicce sanzioni economiche, le autorità russe sono riuscite ad attuare una gestione della crisi caratterizzata, da un lato, dal controllo parziale dei flussi di capitale al fine di sostenere il corso del rublo; dall’altro, dalla parziale liberalizzazione del commercio estero per rilanciare gli scambi e dalla legalizzazione delle “importazioni parallele” di tecnologie occidentali. Queste misure sono state accompagnate da un vasto riorientamento dei flussi logistici verso i “paesi amici”. Nel settore delle esportazioni petrolifere, le cui entrate sono cruciali per l’economia e il bilancio federale, le autorità sono riuscite a ridurre al minimo l’impatto delle sanzioni. L’embargo sul petrolio russo e il tetto massimo di 60 dollari al barile avrebbero dovuto infliggere un duro colpo alle entrate dello Stato. Se inizialmente un impatto reale può esserci stato, nel settembre del 2023 il prezzo del petrolio russo ha però superato di gran lunga il tetto occidentale, attestandosi a più di 80 dollari al barile. Ai primi di dicembre del 2023, l’agenzia Bloomberg ha osservato che con 11 miliardi di dollari al mese, i proventi petroliferi di Mosca erano tornati ai livelli prebellici [How Russia pounched an $11 billion hole in the West’s oil sanctions, 6 dicembre 2023, https://www.bloomberg.com].

Per conseguire questo risultato, la Russia ha acquisito una flotta di petroliere di seconda mano, ha reindirizzato le proprie esportazioni verso i Brics+ [Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, più Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran] e ha raggiunto un accordo con l’Arabia Saudita per ridurre l’offerta sul mercato mondiale. Al di là della sottovalutazione dell’economia e dello Stato russi, la politica delle sanzioni è inciampata sui suoi stessi presupposti liberisti, ovvero l’idea secondo cui il libero scambio e la deregolamentazione sono gli unici mezzi per garantire la crescita economica.

Come spiegare allora che un paese in gran parte tagliato fuori dal sistema finanziario internazionale, il cui commercio con l’Occidente ha subito un forte calo, possa registrare una crescita? Da una parte, in Russia è in atto una forma di keynesismo militare, con il Cremlino che ha proceduto a un forte aumento delle spese di bilancio per alimentare lo sforzo bellico, in particolare in due direzioni: in primo luogo, il forte aumento delle ordinazioni al complesso militare-industriale dà impulso a molti settori dell’economia. Le massicce assunzioni e gli aumenti salariali nell’industria vanno a beneficio dei lavoratori e degli ingegneri, due categorie che sono state tra i grandi perdenti della terziarizzazione dell’economia russa iniziata negli anni ‘90. In secondo luogo, le centinaia di migliaia di soldati impiegati in Ucraina godono di salari, bonus e altri vantaggi pari a tre volte lo stipendio medio e le forze armate russe reclutano soprattutto tra gli strati sociali più svantaggiati, cioè in un insieme di popolazioni e di territori che solitamente beneficiano poco della creazione di ricchezza. Questo afflusso di liquidità verso ambienti e territori caratterizzati in genere da forme di sopravvivenza semi-autarchica stimola i consumi delle famiglie e l’edilizia. Nel 2023, in un contesto di piena occupazione, i redditi reali sono aumentati del 4,8%, cosa che ha permesso al tasso di povertà di scendere a uno dei livelli più bassi osservati dalla caduta dell’Urss.

Al di là del braccio di ferro. D’altro canto, le sanzioni agiscono come una forma di protezionismo imposto dall’esterno, mentre il ritiro di molti operatori economici occidentali ha creato nuove opportunità per quelli locali. Inoltre, vantando un surplus strutturale nella bilancia dei pagamenti, Mosca non ha tanto l’esigenza di attrarre capitali stranieri quanto quella di limitare il deflusso di capitali generato in particolare dall’esportazione di materie prime. Le sanzioni economiche tagliano fuori la Russia dal settore finanziario occidentale e fanno temere agli oligarchi russi per i loro beni all’estero, ma tendono anche a rallentare la fuga di capitali, che vengono in parte reinvestiti nel paese, contribuendo al suo dinamismo. Questa nuova situazione potrebbe spiegare perché negli ultimi due anni il numero dei miliardari in Russia è aumentato in modo significativo e perché le loro fortune sono più che raddoppiate, passando da 217 a 537 miliardi di dollari [The countries with the most billionaires 2024, 2 aprile 2024, https://forbes.com].

Tra i nuovi arrivati non ci sono magnati del petrolio e trafficanti di armi, ma imprenditori dell’industria agroalimentare, della distribuzione, del settore immobiliare o di quello dei trasporti, a conferma del fatto che la crescita non si limita affatto al complesso militare-industriale: crescita del 98% nel settore edilizio, trainato dagli aiuti per l’accesso alla proprietà della casa per le famiglie, incremento del 10% nel trasporto aereo e del 9% nel settore alberghiero grazie allo sviluppo del turismo interno, ripartenza dell’industria automobilistica (più 19%), che sta gradualmente superando lo shock generato dalle sanzioni e il ritiro dei produttori occidentali nel 2022. Di fatto, con una spesa militare che ammonta ufficialmente al 7% del Pil, la Russia ha sicuramente prodotto uno sforzo notevole, ma siamo lontani da un’economia di guerra. Lo testimonia il basso deficit di bilancio, attorno al 2% del Pil, con un debito pubblico (17% del Pil) tra i più bassi al mondo.

Considerando che le ricette economiche del governo hanno permesso di sormontare con successo lo shock delle sanzioni, Putin ha deciso di applicarle anche al ministero della difesa, nominando alla sua guida uno dei principali artefici di tale politica, Andrej Belousov, ex ricercatore in campo economico divenuto consigliere del Cremlino per poi essere scelto nel 2020 come vice-primo ministro incaricato dell’economia e delle nuove tecnologie. La sua nomina a sorpresa, in un contesto di arresti di alti ufficiali accusati di corruzione, ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza dello sforzo bellico, accelerando l’uso delle nuove tecnologie da parte delle forze armate e fluidificando la circolazione delle innovazioni tra industrie civili e militari.

Questi errori di valutazione, non limitati alla Russia, dimostrano una mancata comprensione delle trasformazioni strutturali delle relazioni internazionali. In effetti, il fallimento delle sanzioni è dovuto tanto a fattori interni alla Russia quanto al rifiuto della stragrande maggioranza dei paesi di sanzionare Mosca. Nonostante questo rapporto di forze sfavorevole, gli Occidentali sembravano contare sulla centralità delle loro economie per imporre il proprio volere. Anche in questo caso, tuttavia, non hanno valutato correttamente l’ascesa economica dell’Asia. Mosca è riuscita quindi a reindirizzare il proprio commercio estero verso i paesi emergenti, in primis verso la Cina ma anche verso il Brasile e soprattutto l’India: in due anni le esportazioni russe verso il mercato indiano sono quintuplicate. Più le sanzioni si accumulano, più gli Occidentali adottano misure problematiche dal punto di vista del diritto internazionale, più indispongono il resto del mondo. Il congelamento dei beni della Banca centrale russa ha già suscitato timori tra i paesi emergenti, ma la loro confisca totale rischia di minare completamente la credibilità dei sistemi finanziari e giuridici occidentali. Da direttrice della società Euroclear, che gestisce la stragrande maggioranza dei fondi russi congelati, Valérie Urbain ha dichiarato che la confisca “avrebbe un impatto molto negativo non solo su Euroclear, ma anche sui mercati finanziari in generale. Se i nostri clienti ritengono che la legge non venga più rispettata e che i loro beni possano essere confiscati, si apre il vaso di Pandora” [intervista a Valérie Urbain, Confisquer les avoirs russes, c’est ouvrir la boîte de Pandore, 7 maggio 2024, https://www.lecho.be]. Questo è il motivo per cui gli europei, molto divisi sull’argomento, hanno deciso per il momento di non toccare i titoli finanziari russi, limitandosi a utilizzare gli interessi da essi generati. Anche l’impiego del dollaro per imporre sanzioni secondarie è visto in modo molto negativo. L’Arabia Saudita e la Cina hanno già ridotto i propri investimenti in buoni del tesoro statunitensi e i paesi emergenti stanno mettendo a punto gli strumenti per effettuare gli scambi nelle rispettive valute. Concentrandosi sul braccio di ferro con Mosca, le élite occidentali non hanno valutato a dovere i danni collaterali delle proprie politiche su scala globale. Se Washington e gli europei hanno sottovalutato le capacità di adattamento e il potenziale industriale della Russia, questi errori di valutazione mettono anche in evidenza una forma di isolamento dell’Occidente su scala globale.