La Voce 69 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - novembre 2021

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Non accontentarsi di “salvare il salvabile”: di CIG e altri ammortizzatori sociali

La lotta del Collettivo di Fabbrica e degli operai della GKN ha aperto la strada!

Contro la chiusura della fabbrica notificata il 9 luglio (via whatsapp) dal fondo speculativo britannico Melrose, il CdF e gli operai della GKN hanno lanciato una campagna nazionale di mobilitazione dei lavoratori per porre fine alle delocalizzazioni delle multinazionali “mordi e fuggi” e più in generale allo smantellamento dell’apparato produttivo di beni e servizi del paese.

La GKN non è un caso isolato. La chiusura della GKN è un ulteriore passo dello smantellamento del settore auto in Italia, avviato negli anni ’90 dalla FIAT e proseguito poi da FCA e ora da Stellantis. A sua volta lo smantellamento del settore auto è parte dello smantellamento dell’apparato produttivo di beni e servizi che la borghesia imperialista sta attuando dal 1990 in Italia (come in altri paesi imperialisti). Se non usano le aziende come carte nel gioco d’azzardo della speculazione finanziaria, ai capitalisti comunque conviene produrre autoveicoli in paesi dove i diritti dei lavoratori e i salari sono minori e le conquiste che le masse popolari italiane hanno strappato alla borghesia durante la prima ondata delle rivoluzione proletaria (1917-1976) non sono mai esistite o sono già state completamente cancellate: i salari sono più bassi, i diritti dei lavoratori sono minori e la devastazione dell’ambiente è più libera. Vale per gli autoveicoli, ma vale anche per la produzione di ogni altro bene: non a caso in Italia (come nel resto dell’Europa, negli USA e in altri paesi imperialisti) i capitalisti stanno diffusamente attuando la deindustrializzazione.(1)


1. In più in Europa è in atto un processo di questo genere: fondi di investimento USA tramite multinazionali manifatturiere comprano in Italia, Francia, ecc. aziende industriali, allo scopo principale di delocalizzarle nei paesi dell’Europa Orientale o in Asia e in Africa. La propensione a diventare titolari di capitali finanziari e speculativi invece che industriali è diffusa tra i capitalisti europei e i fondi di investimenti USA hanno tutti i dollari che vogliono grazie alla Federal Reserve (che dal 1971, con il colpo di mano di Nixon, può produrre tanti dollari quanti riesce a collocarne sul mercato finanziario e monetario).

Con questa operazione si giovano dei salari più bassi e delle condizioni (diritti dei lavoratori, norme antinquinamento, ecc.) più favorevoli ai capitalisti vigenti nei paesi dell’Europa Orientale da dopo il 1989, ma soprattutto rafforzano governi legati alla NATO per fare guerra alla Russia (il più forte militarmente degli Stati che non lasciano via libera sul proprio territorio alle scorrerie della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, USA e sionisti) e ricattare la Germania. È un’operazione di largo respiro, economica e politica. Tipico di questo genere è il percorso che sta facendo la Whirlpool.


Finché i capitalisti detteranno legge, la liquidazione della produzione industriale nel nostro paese proseguirà. Quali che siano le motivazioni che caso per caso i capitalisti, le loro autorità e i sindacati complici adducono, questa è la fonte comune di ogni chiusura, delocalizzazione, riduzione di aziende che producono beni e servizi. E qui sta anche la fonte del malandare generale della nostra società: dalla disoccupazione all’inquinamento, dalla miseria all’ignoranza, dalla distruzione della terra su cui viviamo alle epidemie, alle malattie fisiche e psichiche, all’abbrutimento di tanti individui, dalla precarietà all’insicurezza generale, dalla menzogna dilagante alla corruzione e alla criminalità (Cartabia insegna!), dalle alluvioni alla violenza, dal dilagare delle guerre alle migrazioni di masse di persone.

L’Italia è uno dei paesi in cui, quando il movimento comunista nel mondo era forte, i lavoratori hanno strappato ai padroni maggiori diritti e conquiste: quanto resta di questi diritti e conquiste basta a rendere l’Italia un paese poco appetibile per i capitalisti industriali e invece appetibile per speculazioni finanziarie e immobiliari, per la gestione su concessione di beni e servizi pubblici, per grandi opere inutili e dannose. I vertici della Repubblica Italiana hanno insediato nel febbraio 2021 il governo di Mario Draghi (banchiere, ex presidente della Banca Centrale Europea) proprio perché conduca in porto con maggiore iniziativa e decisione questo processo, su cui i governi Conte tergiversavano e che i precedenti governi delle Larghe Intese (dal PD di Prodi e dei suoi successori a Berlusconi-Lega-FdI) assecondavano.


Con la ribellione alla chiusura e l’azione che stanno conducendo da luglio in qua, il CdF e gli operai della GKN hanno messo in moto una campagna che apre la strada per mettere fine a questo corso delle cose: non accontentarsi di CIG e altri ammortizzatori sociali ma fare di ogni azienda minacciata di delocalizzazione, chiusura, ristrutturazione un centro promotore della lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese.


Organizzarsi, incominciare da subito in ogni azienda a formare comitati operai è il primo, fondamentale e indispensabile passo: 10, 100, 1000 Collettivi di Fabbrica come quello della GKN!

Nei loro interventi alle assemblee fatte prima della manifestazione nazionale del 18 settembre a Firenze, nelle interviste che hanno rilasciato a La Città Futura n. 353 del 18.09.21 e a Resistenza n. 10 di ottobre 2021, nella loro pagina Facebook, gli operai della GKN forniscono spunti e suggerimenti pratici su come organizzarsi:

- coalizzare in un comitato gli operai combattivi che ci sono in ogni azienda non solo tra i dipendenti diretti, ma anche tra quelli delle aziende interne (i lavoratori della mensa, delle pulizie, i carrellisti e il portierato),

- partire dall’appartenenza di classe, non dalla tessera sindacale che hanno in tasca né dalla posizione politica,

- usare tutte le possibilità previste dallo Statuto dei lavoratori, dagli accordi sindacali, ecc. ma senza fermarsi a queste,

- incontrarsi dentro l’azienda (usando le assemblee e i permessi sindacali garantiti da Contratti nazionali e accordi interni) e fuori dall’azienda (riunioni dell’organizzazione operaia e di gruppi di lavoratori, assemblee e presidi all’esterno dell’azienda) anche nei periodi in cui non sono già in corso lotte particolari: agire in autonomia e fuori dalle regole imposte da padroni e sindacati di regime,

- avvalersi degli insegnamenti e dell’esperienza degli operai che hanno fatto parte dei Consigli di Fabbrica degli anni ’70, di cui proprio le fabbriche FIAT sono state un epicentro: le interviste (ad Anna Musini e Ines Arciuolo per la FIAT Mirafiori di Torino, ad Alberto Armellini e Bruno Statuti per la FIAT di Cassino-FR, a Marcello Cipriani per la FIAT di Firenze) pubblicate sulla sezione “I Consigli di Fabbrica degli anni ‘70” sul sito del P.CARC ne contengono numerose, ma ci sono sicuramente molti altri “vecchi operai” in grado di insegnare alle nuove leve di operai come organizzarsi e lottare,

- creare una struttura (RSU, Collettivo di Fabbrica, Assemblea) che non segue le imposizioni e le regole dettate dagli accordi tra Confindustria, governi e CGIL-CISL-UIL (a partire dal Testo Unico sulla rappresentanza sindacale del 10.01.2014 e altri accordi della politica di “concertazione” avviata 40 anni fa - svolta dell’EUR nel 1978), ma è una struttura che permette di costruire e curare il legame con il grosso degli operai dell’azienda,

- costruire una rete (alla GKN li chiamano “delegati di raccordo”) attraverso cui il comitato operaio ha il quadro della situazione di ogni reparto e arriva in ogni reparto,

- accompagnare l’azione del comitato operaio dentro la fabbrica all’azione fuori dalla fabbrica, per creare e rafforzare il legame con organismi e movimenti popolari della zona e con altri collettivi operai (usando i canali sindacali, ma non solo).

Su questa base gli operai possono tenere in mano l’iniziativa anche sul terreno della trattativa sindacale. “La lettera che GKN ci ha mandato questa mattina è già su tutti i giornali. Non ci stupiamo. Quella lettera ha un compito prettamente mediatico. Quello che vogliono dire è che è già tutto cucinato, tutto deciso: basta che firmiamo la cassa integrazione di cessazione d’attività. Cioè il disimpegno totale e definitivo di GKN.

E che, se non accettiamo questo ricatto, riparte la procedura di licenziamento.

La cassa integrazione per cessazione d’attività non è lo strumento per la continuità produttiva. È lo strumento per far scappare GKN in cambio di vaghe promesse. Un compratore serio e con un piano chiaro non ha nessun interesse alla cassa per cessazione d’attività, ma può comprare lo stabilimento e attivare una cassa ordinaria per riorganizzazione.

Ricordiamo inoltre che GKN può rimetterci a lavorare in qualsiasi momento e con la dovuta serietà e tranquillità portare avanti la vendita dello stabilimento. La scelta di tenerci fermi e bruciare liquidità è totalmente da ascrivere alla stessa GKN.

La cassa per cessazione interessa quindi solo a Melrose. Non ai futuri compratori. Ed è lo strumento di un ricatto, non di una trattativa. Basta leggere attentamente ciò che scrive l’azienda: ‘abbiamo, come noto, nominato un advisor specializzato di comprovata fama, il quale ha approntato un piano di reindustrializzazione sottoposto con positivi riscontri a potenziali investitori raccogliendo alla data odierna ben tre proposte che necessitano di una due diligence [inchiesta accurata - ndr] del sito produttivo ed una verifica delle competenze delle persone dei lavoratori, di modo che ciascun interessato sia posto nelle condizioni di elaborare il proprio piano di investimento (…). Per scongiurare il ritiro di tali proposte, occorre agire con la massima tempestività (…) a partire dalla verifica sullo strumento per la cassa integrazione per la cessazione attività che consentirebbe un instradamento immediato del percorso’.

Un advisor, quindi, riceve un mandato da un liquidatore che a malapena conosce l’azienda e in qualche settimana trova tre compratori che nemmeno hanno visto lo stabilimento. E perché il futuro si realizzi, noi dobbiamo firmare la cessazione d’attività. E non solo, ma anche di corsa. Abbiamo già visto tutto questo, abbiamo già mangiato la foglia.

Il 7 ottobre l’incontro al Ministero non è stato nemmeno verbalizzato. Siamo stati gli unici, con la Cgil-Fiom, a mandare un verbale con le nostre posizioni. E da allora non abbiamo saputo più nulla. L’azienda è di fatto ferma alle posizioni di agosto.

Ribadiamo perciò quanto abbiamo detto decine e decine di volte:

- chiarezza sul mandato di vendita da parte di GKN,

- l’advisor deve essere Invitalia,

- continuità occupazionale e dei diritti: stessi posti di lavoro, stessi contratti, stessi accordi,

- chiarezza sul piano produttivo e occupazionale e sui suoi tempi di attuazione,

- vendita dello stabilimento in continuità produttiva e in base a questo eventualmente attivazione di un ammortizzatore integrato economicamente per traghettare la riconversione,

- intervento pubblico, anche in caso di arrivo di un compratore privato, a garanzia di un vero ponte verso lo scenario produttivo futuro”

(dal comunicato del CdF GKN - 17 novembre 2021).

Se prendono essi stessi l’iniziativa della lotta politica e sindacale sfruttando ogni occasione e appiglio e i legami che sistematicamente costruiscono, i lavoratori organizzati possono costringere buona parte dei sindacalisti di regime a rigare dritto pena l’estinzione dei sindacati di regime. La destra sindacale è infatti stretta tra i lavoratori, che dai loro stessi interessi e dalla loro quotidiana esperienza sono messi contro i padroni, e i padroni che hanno bisogno della destra sindacale ma anche che essa mantenga influenza e seguito tra i lavoratori. I lavoratori organizzati possono stringere sempre più questa morsa, fino a stritolare la destra. “Abbiamo il dovere di dirlo: lo sciopero generale e generalizzato sarebbe lo strumento principe con cui estendere ulteriormente la lotta. È un’esigenza vitale per GKN. Ma lo è anche per tutte le altre lotte.

Siamo consapevoli di quanto lo sciopero generale e generalizzato sia impossibile senza un’adeguata preparazione. Il clima nel paese è di fermento, non di lotta generalizzata. E manca soprattutto una chiarezza diffusa sulle possibilità e gli obiettivi di una mobilitazione generale. E una data di lotta, qualsiasi essa sia, deve porsi anche il problema della propria continuità, efficacia, credibilità. Ma la preparazione non può diventare nemmeno la scusa per l’eterno rinvio della lotta Questo processo deve cominciare. In un certo senso è già cominciato. E quindi, lo ribadiamo: se non ora, quando?

E nessuno ti regalerà un vero sciopero generale e generalizzato, in assenza del tuo protagonismo, di un protagonismo sociale e dal basso. Intendiamoci: la Cgil ha dimostrato di poter organizzare una manifestazione di centinaia di migliaia di persone in pochi minuti. Se questa forza fosse usata con convinzione, sarebbe forse ancora insufficiente, ma comunque sarebbe una base importante come leva iniziale. Invece proprio la forza dimostrata il 16 ottobre rischia di diventare uno schiaffo in faccia a migliaia di lavoratrici e lavoratori se non verrà usata per giungere ad una reale mobilitazione su pensioni, delocalizzazioni, aziende in crisi, morti sul lavoro ecc. Non si potrebbe fare peggiore servizio all’antifascismo che renderlo rito, invece che farlo vivere come forza sociale.

La Fiom ha convocato un pacchetto di 8 ore di sciopero. L’ideale sarebbe, dopo le assemblee preparatorie, usarle per una data unica, nazionale, di sciopero dei metalmeccanici su cui far convergere il resto delle mobilitazioni. Noi facciamo appello in questa direzione, per il nostro bene e di tutti gli altri.

Ma contemporaneamente non aspettiamo nulla e nessuno. E non ci aspettiamo nulla da nessuno. Quando parliamo di sciopero generale e generalizzato, non abbiamo in mente una data sul calendario, ma un processo. Che si intrecci con i movimenti in campo e che a sua volta sia un invito a responsabilizzarsi e a insorgere.

Quando vi chiedete “chi convoca lo sciopero generale” vi fate una domanda parziale. E quindi parzialmente sbagliata. La domanda è: chi fa vivere lo sciopero generale, chi lo generalizza, chi vi darà continuità? E la risposta è che lo potete fare solo voi, lo possiamo fare solo noi. L’autunno caldo non fu una serie di convocazioni di date dall’alto, ma un processo di risveglio e di intreccio di lotte che cambiò radicalmente l’organizzazione sindacale per poi cambiare il paese. E i pochi diritti che ci rimangono furono conquistati sulla scia di quel cambiamento. Un modello organizzativo plasmato per gestire l’esistente è inadatto a promuovere il cambiamento.

Domenica 21 novembre, convochiamo qua al presidio in GKN un’assemblea nazionale di tutte le lavoratrici e i lavoratori, le delegati e i delegati sindacali, interessati a discutere questi temi con noi o anche solo banalmente approfondire la nostra esperienza. Scrivete al numero del collettivo di fabbrica per segnalare vostra presenza o per avere info: 3478646481”

(dal comunicato del CdF GKN - 11 novembre 2021).


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Avanziamo nell’impresa di fare dell’Italia un nuovo paese socialista!


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La singola fabbrica si salva cambiando il paese. “Noi non ci siamo svegliati un venerdì di luglio con l’idea di cambiare il paese. Noi quel giorno credevamo di essere in ferie. Di colpo ci hanno portato via il posto di lavoro, la nostra fabbrica, la nostra casa, le nostre abitudini.

È successo di colpo, ma ci sono lunghi processi accumulati che hanno preparato quel colpo: lo strapotere e l’arroganza delle multinazionali, una lunga scia di chiusure e delocalizzazioni, trent’anni di attacchi al mondo del lavoro, il disimpegno di Stellantis dall’Italia, lo sblocco dei licenziamenti, il tentativo di sostituire lavoro “fisso” con lavoro precario e sottopagato, il tentativo di usare la presunta transizione ecologica per giustificare un massacro sociale particolarmente nell’automotive, le difficoltà che potremmo avere a continuare a pagarci mutui e affitti, la mancata risposta generale e unitaria del mondo del lavoro ogni qual volta chiudono una azienda o arrivano dei licenziamenti.

Detta in una frase: abbiamo realizzato che c’è e c’era un mondo che aveva determinato la chiusura della nostra fabbrica e che per difenderla bisognava provare a cambiare il mondo attorno.

Noi siamo obbligati ad un autunno di lotta. Siamo obbligati a provare a cambiare i processi attorno a noi. Voi, forse, avete una scelta. Unirvi a questo nostro tentativo, farvi un favore e cambiare la vostra stessa condizione. O ritenere che GKN sia solo una delle tante, ulteriori, cronache di una sconfitta annunciata.

Noi siamo obbligati a dire che un altro mondo è possibile. E che anzi ora più che mai è necessario.

Per questo saremo in piazza il 30 ottobre a Roma con tutti i movimenti: saremo con Fridays For Future a sancire l’unità totale tra difesa dei posti di lavoro e lotta per la giustizia climatica, saremo con i movimenti di lotta per la casa perché la casa assorbe troppo salario e quando perdi il posto di lavoro, rischi di perdere la casa, con le reti per l’istruzione pubblica per dire che pretendiamo di avere un futuro lavorativo per noi e un'istruzione per i nostri figli, con i movimenti per la sanità pubblica per dire che questa società collassa senza un investimento reale sulla prevenzione, la cura, la salute pubblica”

(dall’appello del CdF GKN per la manifestazione contro il G20 del 30 ottobre a Roma).


La lotta lanciata dal Collettivo di Fabbrica della GKN è la lotta di tutti i lavoratori, di tutte le masse popolari, di tutti i progressisti e sinceri democratici che sono per applicare la Costituzione del 1948 e far valere la sovranità nazionale. Mettere fine allo smantellamento dell’apparato produttivo, riorganizzarlo assegnando un lavoro utile e dignitoso a ogni persona in grado di lavorare e compiti produttivi a ogni azienda per svolgere le tante piccole opere che servono per rimettere in sesto il paese: questa è la base per realizzare tutti gli altri obiettivi della resistenza popolare, questa è la base per la fine delle discriminazioni di genere, di nazione e di razza, per la tutela e il miglioramento della Terra, per lo sviluppo crescente delle attività specificamente umane,(2) per il ripristino e miglioramento dei servizi pubblici (igiene pubblica e assistenza sanitaria, ricerca scientifica, istruzione e formazione delle nuove generazioni, abitazioni). Tutti obiettivi la cui realizzazione piena sarà nel programma che farà dell’Italia un nuovo paese socialista. Ma il lavoro incomincia da oggi.


2. Attività specificamente umane sono le attività creative, ricreative, culturali che distinguono la specie umana dalle altre specie animali. Esse riguardano: 1. la capacità di conoscere e di verificare e usare la conoscenza nell’azione che trasforma il mondo e l’uomo stesso; 2. la capacità di elaborare regole e criteri di comportamento che trasformano la società e gli individui a partire dalle relazioni con la natura e dalle relazioni tra gruppi sociali e tra individui. Per approfondimenti vedere nota 2 del Manifesto Programma, pagg. 249-250 e Le attività del futuro sono le attività specificamente umane, non il lavoro necessario a produrre di che vivere!, VO 67 - marzo 2021.


Nell’immediato, compito di noi comunisti e di tutti coloro che vogliono porre fine al marasma in cui siamo immersi, è di sostenere ed estendere la campagna lanciata dal CdF e dagli operai della GKN, diffondere le loro parole d’ordine e coinvolgere in questa campagna il più ampio numero possibile di lavoratori, promuoverne il coordinamento con ogni organismo e movimento popolare, mobilitare a suo sostegno (e così mettere anche praticamente alla prova) ogni “amico del popolo” e indirizzare tutto questo verso la costituzione di un governo d’emergenza che:

- vieta la vendita di aziende ai gruppi industriali esteri che sfuggono all’autorità dello Stato italiano e ai fondi di investimento italiani e stranieri che usano le aziende come carte nel gioco d’azzardo della speculazione finanziaria,

- impedisce lo smembramento delle aziende, la riduzione del personale, la chiusura e la delocalizzazione,

- impone a ogni azienda che opera in territorio italiano di sottoporre ad un vero Ministero dello Sviluppo Economico i propri piani industriali per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione e dell’impatto ambientale.

Rosa L.