La Voce 67 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - marzo 2021

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Inverno negli USA

Pubblichiamo questo articolo che Greg Godels, rinomato esponente settantenne del PCUSA, ha pubblicato con il titolo Winter in America... nel suo sito personale https://zzsblg. blogspot.com/2020/10/winterinamerica.html il 14 ottobre 2020, alla vigilia delle elezioni presidenziali (3 novembre) che avrebbero dato un esito favorevole per Biden, esito contestato clamorosamente da Trump e da una parte importante dei suoi elettori (in proposito, vedere VO 66 La crisi dei gruppi imperialisti USA e del loro complesso militare-industriale-finanziario e la rinascita del movimento comunista USA). In esso Godels illustra aspetti della lotta di classe negli USA poco conosciuti dai nostri lettori e utili per comprendere il corso delle cose con cui, stante il ruolo internazionale degli USA, dobbiamo fare i conti per far avanzare la rivoluzione socialista che il (n)PCI promuove in Italia.

Per giovarsi ai fini della nostra lotta di quello che Godels scrive, dobbiamo tener conto che Godels trascura che è grazie e comunque nel contesto della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917 - 1976) e del ruolo internazionale dell'Unione Sovietica di Lenin e Stalin che i lavoratori dei paesi imperialisti, USA compresi, hanno strappato alla borghesia grandi conquiste di benessere e di civiltà. In mancanza di un contesto come quello creato dalla prima ondata, la borghesia imperialista ha buon gioco a ricorrere al primo (diversione, evasione, ecc.), al quarto (mantenere i lavoratori privi di organizzazione autonoma dalla borghesia) e al quinto (repressione delle avanguardie e in particolare dei comunisti) e in via subordinata agli altri due dei cinque pilastri del sistema di controrivoluzione preventiva (MP cap. 1.3.3 pagg. 46-57).

La redazione di VO


Dagli indiani che accolsero i pellegrini

Al bufalo che dominava le pianure

Come gli avvoltoi che volano in cerchio

sotto nubi oscure

In cerca della pioggia

In cerca della pioggia

Come le città appollaiate sulla costa

Vivere in una nazione che non ce la fa più

Come la foresta sepolta sotto l'autostrada

Non ha mai avuto la possibilità di crescere

Non ha mai avuto la possibilità di crescere

E ora è inverno

Inverno in America

Sì e tutti i guaritori sono stati ammazzati

O cacciati via, sì

Ma la gente lo sa, la gente lo sa

È inverno

Inverno in America

E non c'è nessuno che combatta

Perché nessuno sa che cosa salvare

Gil Scott-Heron (1974) Winter in America

Quando Gil Scott-Heron scrisse queste parole, gli Stati Uniti sembravano aver imboccato un rapido declino. Il Watergate aveva proiettato un’ombra sulla legittimità del governo; gli USA avevano perso o stavano perdendo la guerra imperialista in Vietnam; inflazione, disoccupazione e stagnazione stavano facendo a pezzi il tenore di vita degli americani. Per molti della generazione del dopoguerra, i primi anni ‘70 segnavano il punto più basso del prestigio e dell’influenza degli Stati Uniti.

Scott-Heron era maestro nel mescolare la politica con la sua arte, senza compromettere né l’una né l’altra. Ciò gli consentiva di imporre alla coscienza dei suoi ascoltatori temi quali l’apartheid, la droga, la violenza della polizia, il razzismo e la povertà, intrattenendoli nel contempo. Molte delle sue canzoni divennero inni per i movimenti progressisti.

Per molti di noi, Winter in America costituì un’affermazione del declino terminale degli Stati Uniti: “È inverno in America, e non c’è nessuno che combatta, perché nessuno sa che cosa salvare”. Stava calando un metaforico inverno che congelava speranze, promesse e idee: una crisi politica, ambientale, razziale e nella politica estera.

Il testo di Scott-Heron toccava tutti i mali del 1974, osservando che “tutti gli eroi sono stati ammazzati o cacciati via”. La “Costituzione era un nobile pezzo di carta… morto invano”. E “la democrazia è uno straccio gettato in un angolo”. Scott-Heron metteva in guardia contro i “razzisti disperati” e lamentava “il simbolo della pace che svanisce nei nostri sogni”.

Ma se credevamo che gli Stati Uniti avessero toccato il fondo, ci sbagliavamo.

Il 1974 non fu che l’inizio di un lungo e doloroso declino. I salari orari medi di oggi sono appena superiori a quelli del 1974. Il salario minimo continua a diminuire in termini di potere d’acquisto. L’indecente aumento delle diseguaglianze di reddito e di ricchezza pare inarrestabile.

Le continue e incessanti aggressioni - guerre per procura, invasioni, occupazioni e remote stragi simili a videogiochi - sono divenute quasi una routine, al punto che tragicamente suscitano ben poche resistenze all’interno del paese.

Il razzismo rimane un flagello negli Stati Uniti, sebbene assuma sempre più una dimensione di classe.

I lavoratori afroamericani sono stati colpiti maggiormente dei loro colleghi bianchi; la crescente povertà che affligge la popolazione tocca la popolazione nera in misura ancora maggiore; di conseguenza, l’abbandono, il disprezzo e la violenza da parte delle istituzioni che accompagnano sempre l’impoverimento si abbattono duramente sugli afroamericani.

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Gli USA sono in grande sommovimento. Il complesso militare-industriale-finanziario USA padroneggia sempre meno il corso delle cose. È ancora una tigre vera che uccide e devasta, ma sempre più emerge la sua natura reale di tigre di carta.

I comunisti italiani devono aiutare i comunisti USA facendo avanzare la rivoluzione socialista in Italia e propagandando il bilancio del movimento comunista internazionale The four main issues to be debated in the International Communist Movement (www.nuovopci.it).

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La competizione per i posti di lavoro negli Stati Uniti ha scatenato a un tempo una reazione gretta e xenofoba e una corsa al ribasso dei salari. Il declino dei sindacati, retaggio delle purghe anticomuniste nel movimento sindacale, ha ulteriormente inasprito la competizione per posti di lavoro sottopagati.

L’infuriare del fondamentalismo del libero mercato ha causato la privatizzazione o la decadenza della sanità pubblica, ha mercificato i servizi sociali e ha devastato la scuola pubblica.

Credevamo che Nixon avesse violato vergognosamente la fiducia dell’opinione pubblica. In realtà la corruzione, i colpi bassi e le menzogne sono diventate cose normali nella politica del XXI secolo.

Quello che nel 1974 era un inverno in America, è oggi una vera e propria glaciazione.

E l’aspetto più tragico dell’incessante declino dell’impero USA in termini di influenza, pace interna e benessere di massa sono la vacuità e l’inefficacia delle opzioni politiche sul tavolo. Dopo le purghe contro la sinistra degli anni Cinquanta e il successivo fallimento del liberalismo, la politica USA ha subito un’involuzione, trasformandosi in una tigre di carta incapace di fronteggiare le complesse crisi prodotte dal capitalismo. A vent’anni dall’inizio del nuovo secolo, gli schieramenti politici, ormai privi di nuove idee, non possono che ripiegarsi sul passato, alla ricerca di un’‘‘età dell’oro” ormai scomparsa. La politica di oggi è in gran parte una politica vista attraverso lo specchietto retrovisore, una politica nostalgica.

Per i piccolo-borghesi e gli aspiranti tali intenti a ingozzarsi con le briciole della tavola dei super-ricchi la presidenza Obama ha rappresentato l’apogeo e la realizzazione piena dell’esistenza. Gli hipster (1) chiamano questi settori sociali PMC (Professional Managerial Class classe professionale manageriale). Il salvataggio da parte di Obama dell’economia dalla crisi del 2007 - 2009 distribuendo denaro alle classi superiori ha cementato la loro fedeltà verso la globalizzazione e il dominio dell’élite. Sono liberal sul piano sociale e conservatori sul piano fiscale. Lo testimoniano i loro simboli Black Lives Matters esposti in quartieri pressoché interamente bianchi e segregati. Sono sempre favorevoli ai gesti simbolici purché il prezzo da pagare non sia la redistribuzione dei loro redditi, o sacrifici in termini di stile di vita. Per loro, Trump è il flagello che impedisce il ritorno della gestione civile in stile Obama degli affari nazionali. Sono loro la forza dominante nella politica del Partito Democratico.


1. Coloro che cercano di essere a tutti i costi diversi dagli altri che essi giudicano conformisti, rigettando qualsiasi cosa abbia un carattere popolare. In Italia un tempo li chiamavamo “alternativi”.


L’imminente distruzione di migliaia di piccole imprese è destinata a costituire una dura lezione per molti piccoloborghesi, che saranno costretti a guardarsi intorno alla ricerca di soluzioni. Molti di loro troveranno rifugio nel vittimismo amareggiato che tradizionalmente ha alimentato il populismo più becero e distorto, le cui radici risalgono sino all’ottocentesco Partito Know Nothing.(2)


2. Letteralmente “Partito non so nulla”. Know Nothing era un movimento xenofobo (“nativista”) statunitense degli anni Cinquanta del secolo XIX. Traeva forza dalle paure popolari che il paese potesse essere sopraffatto dall’immigrazione massiccia dei cattolici irlandesi, ritenuti ostili ai valori americani e controllati dal Papa. Attivo soprattutto a partire dal 1854–56, era fortemente contrario all’immigrazione e alla naturalizzazione, ma i suoi esordi ebbero scarso successo. Ebbe pochi leader carismatici e la sua base sociale, composta soprattutto dalla classe media protestante, non aveva una posizione comune sul tema dell’abolizione dello schiavitù. Il movimento era nato a New York nel 1843 con il nome di American Republican Party. Si diffuse in altri stati con il nome di Native American Party e divenne un partito politico nazionale nel 1845. Nel 1855 assunse il nome di American Party. L’origine del termine “Know Nothing” è da ricercare nell’organizzazione semisegreta del partito. Quando a un membro fosse stato chiesto delle sue attività, avrebbe dovuto rispondere “I know nothing” (non so nulla). Oggi l’espressione “know nothing” è usata negli USA come aggettivo per dire xenofobo e ignorante.


Un’analoga catastrofe economica spinge molti lavoratori verso il radicalismo fasullo del populismo di destra specie negli Stati del Midwest, devastati dalla chiusura delle aziende industriali da parte del capitale a vantaggio di investimenti in altri settori o in altri paesi. In assenza di un movimento vigoroso e capace, in grado di indirizzare la loro giusta collera contro il capitale, trovano capri espiatori altrove.

Altri settori della classe operaia rimpiangono l’epoca tanto decantata della prosperità della “classe media” che fece seguito alla Seconda guerra mondiale il trentennio che i francesi chiamano “Les Trente Glorieuses”. Quest’epoca oggi avvolta da un’aura di romanticismo fu caratterizzata da un aumento parallelo dei salari e dei profitti con una forte crescita della produttività dei lavoratori USA, che permise a molte famiglie operaie di acquistare case e automobili, di andare in vacanza e di offrire ai loro figli un’istruzione nei college e prospettive di ascesa sociale.

Questo ricordo idilliaco dimentica completamente la perfida oppressione che colpì in quel periodo i neri, le altre minoranze e le donne. Dimentica le repressioni ai danni della sinistra, la volgarità culturale e l’uniformità del pensiero. Dimentica l’impronta insanguinata lasciata dalla politica estera USA in giro per il mondo.

Il contratto sociale del dopoguerra ebbe un costo che viene spesso dimenticato o sottovalutato. I dirigenti sindacali della classe operaia acconsentirono a espellere la sinistra dai movimenti e dalle organizzazioni di resistenza al capitalismo e ad appoggiare in modo acritico la politica estera imperialista degli Stati Uniti, rendendosi complici dei crimini dell’anticomunismo globale. E quando venne il momento, la classe dominante degli Stati Uniti venne meno alla sua parte dell’accordo, rimangiandosi le conquiste ottenute dalla classe operaia.

Sebbene il ricordo di quell’epoca passata si affievolisca sempre più, la nostalgia di quell’interludio fa sì che gran parte dei vertici sindacali e uno zoccolo duro di lavoratori sindacalizzati, per quanto sempre più scettici continuino ad andare a braccetto con il Partito Democratico.

La maggior parte degli elettori, prigionieri del sistema bipartitico, cerca ispirazione politica in quel periodo idealizzato. Gli slogan dei due candidati sottolineano quest’insipida nostalgia: Build Back Better (Ricostruire il Meglio) dice Biden, Make America Great Again (Rendere di nuovo grande l’America) dice Trump. Non possiamo fare altro che ricostruire o ripristinare ciò che è andato perduto. E la gente è confusa riguardo a ciò che ha perduto e perché.

Dovrebbe essere un momento ideale per la sinistra.

Ma purtroppo, gran parte della sinistra è alla deriva in un mare di idee vecchie e fallimentari. Alcuni pensano che la nobile abnegazione della cooperativa locale che si occupa di cibo o di arte rappresenti un modello di cooperazione in grado di competere con le società multinazionali e di mettere in ginocchio il capitalismo. Abbiamo già dimenticato le precedenti mode “anticapitaliste” spacciateci dagli accademici di sinistra? I “programmi di partecipazione azionaria dei dipendenti”? Il microcredito?

Tutte queste strategie condividono un presupposto profondamente pessimista, e cioè che è impossibile affrontare direttamente e sconfiggere il capitalismo. Propongono invece di batterlo con l’astuzia, attaccandolo ai fianchi. Le strategie utopistiche di questo tipo si sono rivelate fallimentari nel corso dei secoli, tuttavia influenti esponenti della sinistra continuano a riesumarle.

L’idea che la perfezione della democrazia capitalista è in grado di combattere efficacemente le diseguaglianze e le ingiustizie del capitale pervade la sinistra USA. Sin dalla repressione della sinistra comunista durante la Guerra Fredda, la sedicente “Nuova Sinistra” ha puntato con forza sulla “democratizzazione” delle strutture e delle istituzioni che attualmente servono il capitalismo. Che questo progetto abbia senso o meno, quel che è certo è che non ha funzionato, nonostante il fatto che la Nuova Sinistra lo abbia fatto proprio.

Ogni risposta inefficace alla crescente crisi del capitalismo sembra confermare che il sistema sociale, economico e politico che accompagna il capitale è semplicemente al suo servizio e non potrà mai costituire uno strumento efficace contro le sue iniquità.

C’è un motivo se il capitale USA ha represso e continua a reprimere i movimenti operai di orientamento comunista e socialista. Non è nostalgia riconoscere che l’ideologia e le strategie ideate da Marx, Engels e Lenin sono riuscite in passato a scuotere le fondamenta stesse del sistema capitalista, spingendo i capitalisti e i loro lacché a una frenetica resistenza violenta. Di sicuro, questo fatto offre un insegnamento.

Il vento gelido di incertezza, paura e disperazione che sta spazzando gli Stati Uniti non cesserà sino a quando non combatteremo per un nuovo futuro. Gli strumenti ci sono.

Greg Godels