La Voce 67 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - marzo 2021

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Le due linee nel PCI tra il 1943 e il 1947

1. Una lunga premessa

Il primo PCI, nonostante l’opera di bolscevizzazione coscientemente condotta da Gramsci dalla sua nomina alla testa del PCd’I nel 1923 fino al suo arresto (novembre 1926) e affermata nelle Tesi di Lione (gennaio 1926), non arrivò mai ad essere un partito che avesse una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni, forme e risultati della lotta di classe in Italia da essere in grado di tracciare una strategia per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo, in particolare una comprensione abbastanza avanzata della natura e origine della crisi capitalista in corso (crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale), del regime politico dei paesi imperialisti non fascisti (controrivoluzione preventiva) e di quelli fascisti e della forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti (guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata).

Sono tutti aspetti che, unitamente alla necessità di trasformarsi per superare idee, sentimenti e pregiudizi seminati dalla classe dominante tra le masse popolari (riforma intellettuale e morale - RIM), contraddistinguono il partito comunista da ogni altra organizzazione del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO).(1)

 

1. Dalla strategia che il partito comunista adotta dipendono anche le attività che svolge nel lavoro esterno e come le svolge, compreso come interviene nelle relazioni e nelle istituzioni della democrazia borghese (elezioni, referendum, assemblee rappresentative, ecc.) e nelle mobilitazioni per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro. È una deformazione grottesca pensare o dare a intendere che guerra popolare rivoluzionaria vuol dire sempre e solo lotta armata, quindi che i comunisti che seguono la strategia della guerra popolare rivoluzionaria si dedicherebbero sempre e solo a formare organismi militari, accumulare armi e munizioni, preparare insurrezioni. In proposito rimando a La strategia dei comunisti è una cosa molto pratica, pagg. 12-13 dell’opuscolo Analisi della fase e i compiti dei comunisti oggi, supplemento a VO 65 - luglio 2020.

 

Il PCI non ebbe mai una strategia per la conquista del potere politico. Attuò importanti mosse tattiche e campagne che contribuirono alla prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (intervento nella guerra di Spagna, Resistenza, “svolta di Salerno”) principalmente perché decise dall’Internazionale Comunista (IC) e dall’URSS.

Esso in generale fu sorpreso dagli eventi: significativi e non casuali sono la sua impotenza davanti all’ascesa del fascismo nel 1922 (il partito all’epoca diretto da Bordiga subì la combinazione della monarchia sabauda e del fascismo mussoliniano) e l’incertezza di orientamento nel corso della guerra (il partito diede il via alla Resistenza partigiana soltanto dopo l’8 settembre 1943 dopo aver ricevuto direttive dall’IC e dall’URSS).

 Inoltre, la direzione di Togliatti - che già al suo rientro nel 1939 dalla Spagna non aveva fiducia nella possibilità di vittoria della rivoluzione socialista in Italia (2) - impersonò i limiti e gli errori di un partito che non aveva assimilato abbastanza il marxismo-leninismo come guida per l’azione, che non aveva imparato a fare della rivoluzione socialista una guerra (non una rivolta delle masse popolari che scoppia e nel corso della quale il partito comunista prende la direzione né il colpo di mano di una minoranza).(3) Uno degli errori del PCI nella Resistenza e immediatamente dopo fu l’applicazione dell’interpretazione di destra della linea dei fronti popolari stabilita dal VII Congresso dell’IC (1935), interpretazione riassunta in “tutto attraverso il fronte!” (unità d’azione senza lotta su questioni di principio), eliminando di fatto l’autonomia politica del partito comunista a livello tattico e strategico a fronte delle forze democratico-borghesi con cui il PCI doveva collaborare nella lotta antifascista.

 

2. Per approfondimenti in merito, rimandiamo all’articolo Per il bilancio del Fronte Popolare in Spagna (febbraio 1936 - aprile 1939) pubblicato su La Voce 53 - luglio 2016, all’Avviso ai Naviganti 63 – 28 luglio 2016 e al testo integrale della relazione di Togliatti all’IC pubblicata sul sito del (n)PCI al link www.nuovopci.it/scritti/varie/Togliatti_rel_spagna.html.

 

3. In proposito si veda la concezione che traspare dalla discussione di Pietro Secchia con i compagni sovietici esaminata in Pietro Secchia e due importanti lezioni (VO 26, luglio 2007).

 

Simili arretratezze - favorite dalla debolezza ideologica della sinistra interna al partito (Secchia, Vaia, Alberganti, ecc.) che non si diede i mezzi per condurre la lotta contro l’influenza della borghesia nelle proprie file - hanno condotto all’ascesa del revisionismo moderno nelle file del primo PCI con le conseguenze nefaste di disgregazione e corruzione ideologica, oggi visibili nella sinistra borghese di vecchio tipo.

Dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (1917-1976), risulta chiaramente che la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti deve assumere la forma della guerra popolare rivoluzionaria (GPR). Nel nostro paese vi sono classi per loro natura favorevoli alla rivoluzione socialista che il partito deve mobilitare, organizzare in modo da renderle forze principali della rivoluzione, condurre in battaglia e trasformare; vi sono classi per loro natura nemiche della rivoluzione socialista che le nostre forze principali devono annientare; vi sono classi intermedie che le nostre forze principali devono valorizzare o neutralizzare e comunque trasformare.

Per stendere i piani di guerra ed eseguirli, i comunisti devono costituire un partito clandestino unito senza riserve sulla concezione comunista del mondo, promuovendo e sostenendo l’attività dei comunisti su due fronti: 1. l’unità d’azione pratica nelle lotte rivendicative, nella resistenza alla repressione, nell’organizzazione della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari, 2. il dibattito franco e aperto su questioni ideologiche e politiche (bilancio dell’esperienza, concezione del mondo, analisi del corso delle cose, strategia).

 

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Valorizzare tutto il valorizzabile!

La redazione di VO ringrazia i compagni di “Piattaforma comunista” che in uno scritto di aprile 2014 reperibile in http://piattaformacomunista.com/SVOLTA_SALERNO.pdf (70 anni dopo: uno sguardo storico sulla “svolta di Salerno”) avevano già raccolto gran parte dei fatti ed eventi sui quali è fondato il ragionamento svolto in questo articolo e di cui l’autore si è servito. Dal loro lavoro l’autore dell’articolo ha anche, in non pochi casi, attinto espressioni, frasi e interi periodi con cui ha esposto la ricostruzione della storia del periodo trattato.

Però l’articolo che pubblichiamo di diverso dallo scritto di “Piattaforma comunista” ha non solo il tema su cui i due articoli sono incentrati, ma anche la concezione del mondo con cui sono ricostruite la concatenazione e la sinergia tra i fatti e gli eventi. Noi non miriamo a dare una rappresentazione del periodo storico, ma a indicare la linea da seguire oggi per trasformare il mondo (abbiamo seguito l’indicazione della II e della XI delle Tesi su Feuerbach stese da Marx nel 1845). A chi confronterà il nostro testo e quello di “Piattaforma comunista” risulterà quindi chiaro sia che non condividiamo la separazione teoria - pratica (nel caso concreto la pretesa di ricostruire la storia senza tener conto né della lotta in corso oggi né del risultato della lotta di allora) che caratterizza lo scritto dei compagni di “Piattaforma comunista”, sia che abbiamo corretto alcuni errori loro propri (il principale è la concezione che la rivoluzione socialista è una rivolta delle masse che scoppia - come se la Comune di Parigi (1871) non avesse definitivamente confutato questa concezione).

Nello stesso tempo siamo contenti di avvalerci del loro scritto: uno dei principi della guerra popolare rivoluzionaria (GPR) che promuoviamo e conduciamo è che il  Partito deve valorizzare (convogliare - far confluire nella rivoluzione che noi promuoviamo) tutto quello che di positivo viene fatto nel campo delle masse popolari e del movimento comunista (aprire brecce, ecc.) e tutto quello che di negativo viene fatto dal campo nemico.

Ai compagni che vorranno conoscere più in dettaglio i fatti richiamati nell’articolo indichiamo Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano con l’avvertenza che l’esposizione dei fatti (qui Spriano è autore di grande valore) è cosa diversa dalla scienza che mostra la concatenazione e la reciproca azione tra essi (in questo Spriano si allinea sulle arretratezze dei moderni revisionisti).

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I tempi della nostra guerra, stante la situazione rivoluzionaria in sviluppo, dipendono principalmente da noi (da cosa sappiamo vedere e cosa sappiamo fare, dal livello a cui noi siamo e quanti siamo) e in secondo luogo dalle circostanze particolari e concrete.

Questo è l’insegnamento di quello che i comunisti hanno fatto e di quello che non sono riusciti a fare nel secolo scorso. Solo se, tramite l’assimilazione della concezione comunista del mondo e compiendo la riforma intellettuale e morale (RIM) che ne consegue, si sono ben distinti dalle masse popolari, i comunisti riescono a unirsi profondamente con le classi rivoluzionarie e fino ad un certo punto anche con le classi intermedie, promuovendo la loro partecipazione alla rivoluzione socialista nel ruolo che ogni classe per la sua natura è in grado di svolgere. Se non se ne sono ben distinti, i comunisti sono anch’essi in misura più o meno grande vittime della arretratezze, dei pregiudizi e degli interessi che nella società borghese creano divisioni tra le masse popolari. Quindi sono incapaci di promuovere l’unità e la partecipazione di queste classi alla rivoluzione socialista.

Le ragioni per cui il primo PCI non svolse con successo il suo ruolo - mobilitare e organizzare le masse popolari italiane a fare dell’Italia un paese socialista - sono un’eredità preziosa che riceviamo dal primo PCI: dobbiamo scoprirle e imparare le lezioni, assimilarle e applicarle con iniziativa, creatività e dedizione alla causa.

L’analisi materialista dialettica dell’esperienza del primo PCI ci dà lezioni di grande importanza per la GPR che stiamo conducendo, a partire dall’elaborazione e attuazione della linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare (elaborata nel 2008 dal (n)PCI),(4) risultato della lezione che abbiamo tratto dal cedimento del PCI negli anni 1945-1948, dall’esaurimento del movimento dei Consigli di Fabbrica e dalla sconfitta delle Organizzazioni Comuniste Combattenti (soprattutto delle Brigate Rosse) degli anni ’70.

Con queste premesse ripercorriamo nel seguito il contesto storico in cui si svolse la Resistenza e il ruolo svolto dal primo PCI.

 

4. Approfittare di ogni appiglio e manovrare ovunque riusciamo con le nostre forze per volgere la situazione a nostro vantaggio ai fini della GPR: è un insegnamento che ricaviamo da Lenin e dalla tattica del Partito comunista russo nella costruzione della Rivoluzione bolscevica.

 Un esempio è oggi l’intervento dei comunisti sul M5S, organismo che per alcuni anni ha rappresentato la “cassa di risonanza” del malcontento, della ribellione e dell’insofferenza delle masse popolari verso il disastroso corso delle cose, raccogliendo 11 milioni di voti al suo apice elettorale (4 marzo 2018). Esso, però, non si è dato i mezzi della propria politica, non si è opposto con forza alle manovre dei vertici (Vaticano, Confindustria e gli altri) della Repubblica Pontificia e dei gruppi imperialisti operanti in Italia (UE, NATO-USA, sionisti), mobilitando e organizzando le masse popolari su cui esercitava una certa influenza.

Il risultato è stato l’avvicinamento sempre più netto del M5S alle Larghe Intese (vedi la partecipazione al governo Draghi) e il tentativo da parte della classe dominante di ricucire la breccia - consistente nella difficoltà, se non impossibilità, da parte dei vertici della Repubblica Pontificia, a installare governi delle Larghe Intese (polo PD e polo Berlusconi) - che le masse popolari avevano aperto con le elezioni del 4 marzo.

 

 

2. Dal 1943 al 1947

Febbraio 1943: sconfitta dei nazisti nell’epica battaglia di Stalingrado (2 febbraio), decisiva per l’esito della Seconda guerra mondiale.

Marzo 1943: gli scioperi nelle fabbriche del nord Italia (tra queste la FIAT di Torino) promossi dal PCI segnano l’inizio del disfacimento del fascismo.

Maggio 1943: sconfitta del generale nazista Erwin Rommel in Africa; gli angloamericani si preparano a sbarcare in Italia.

Luglio 1943: sbarco degli angloamericani in Sicilia (9-10 luglio), il Gran Consiglio del Fascismo sconfessa Mussolini (25 luglio), il Re lo fa arrestare e confinare sul Gran Sasso, da dove i nazisti lo liberano il 12 settembre. Al governo va il maresciallo Badoglio e l’Italia continua la guerra a fianco della Germania. Bombardamenti angloamericani sulle città italiane.

Settembre 1943: sbarco delle truppe USA a Salerno (9 settembre). L’Italia firma a Cassibile (Siracusa) l’armistizio con gli alleati (3 settembre), reso noto cinque giorni dopo (8 settembre), il Re e Badoglio fuggono da Roma e si rifugiano a Brindisi, in ottobre il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania. Sbandamento totale dell’esercito italiano, il PCI su direttiva arrivata da Mosca inizia la Resistenza antifascista, si costituisce il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): PCI, PSIUP (solo più tardi diventerà PSI), Partito d’azione, DC, liberali, repubblicani. I nazisti occupano l’Italia settentrionale e Roma, gli angloamericani controllano l’Italia meridionale e le isole. Mussolini forma a Salò la Repubblica Sociale Italiana (23 settembre), Stato fantoccio del Reich nazista.

Marzo 1944: il mese inizia con il grande sciopero nell’Italia settentrionale occupata dai nazisti, che dura otto giorni ed è appoggiato dai Partigiani. Riconoscimento del governo Badoglio da parte dell’URSS (14 marzo).

Giugno 1944: apertura del “secondo fronte” da parte degli angloamericani in Francia (sbarco in Normandia – 6 giugno 1944).

Quanto alle attività del primo PCI durante la Resistenza, l’11 aprile 1944 Togliatti, appena sbarcato il 27 marzo a Napoli (liberatasi dai nazisti con le “Quattro Giornate” 25-28 settembre 1943), tiene nel cinema Modernissimo di Napoli il famoso discorso passato alla storia come la “svolta di Salerno”: sostiene la necessità di costituire un governo popolare e antifascista, concentrare gli sforzi per vincere la guerra e uscire dalla situazione in cui era il paese, mettendo momentaneamente da parte la pregiudiziale antimonarchica e le divergenze con il Vaticano.

 Le conseguenze furono immediate: il nuovo governo di “unità nazionale” venne formato a Salerno il 22 aprile 1944. Ne fecero parte i sei partiti componenti del CLN, tra cui il PCI, rappresentanti della borghesia antifascista e militari. Fu presieduto da Badoglio con Togliatti vicepresidente. A Vittorio Emanuele III fu imposto il ritiro dalla vita politica attiva mediante la nomina di un suo Luogotenente generale (il figlio Umberto) e la questione istituzionale (monarchia o repubblica) venne rinviata a dopo la fine della guerra. Il governo Badoglio II durò poco più di un mese, fino alla liberazione di Roma (6 giugno 1944) e la fine del cosiddetto “Regno del Sud”. Fu seguito dal governo Bonomi composto dagli stessi sei partiti del CLN. Contemporaneamente, il gruppo dirigente revisionista capeggiato da Togliatti di fatto applica e impone la linea della “democrazia progressiva”, della costruzione del “partito nuovo” nazionale e di massa, della fine dell’internazionalismo proletario e dell’emergere di un nazionalismo di tipo socialdemocratico.(5)

 

5. Marisa Rodano, classe 1901, una protagonista dell’epoca, in un’intervista a Il Fatto quotidiano del 22.01.2021 dal titolo Noi nascosti in bagno per i nazisti. Togliatti e la Iotti qui in salotto, rende l’idea della corruzione ideologica già praticata dai revisionisti moderni. Riferendosi alla primavera-estate del 1944 dice: “Quando Togliatti ha deciso che ci si poteva iscrivere al PCI indipendentemente dalle convinzioni ideologiche – non era più necessaria l’adesione al marxismo – ha aperto la strada alla partecipazione di masse di persone differenti. Di fatto ha gettato le basi della ricostruzione della democrazia in Italia”.

 

Su questa base il PCI continua a indietreggiare e cedere: da un lato una linea che esprimeva la sfiducia nelle capacità e possibilità rivoluzionarie del proletariato e dei suoi alleati, dall’altro la scelta di rimanere sul terreno della borghesia. Fu l’inizio della via percorrendo la quale l’Italia nel 1949 si troverà a essere un protettorato USA tramite la NATO e sottoposta al governo occulto della cupola vaticana tramite il regime DC. Dopo la Liberazione (25 aprile 1945), il 2 giugno 1946 fu tenuto il referendum istituzionale. Vinse la Repubblica, venne eletta l’Assemblea Costituente e l’anno successivo venne approvata la Costituzione, frutto del compromesso tra il PCI e il resto delle forze democratico-borghesi che avevano partecipato alla Resistenza.

In effetti nel 1943-1944 bisognava trovare il modo di unire le forze democratiche e antifasciste per farla finita col fascismo, come da tempo aveva indicato l’IC (sciolta formalmente nel 1943, di fatto continuerà la sua attività di coordinamento). Fu questa la linea dei fronti nazionali antifascisti adottata dai partiti comunisti e operai nei paesi occupati dai nazisti.(6)

 

6. Per approfondimenti su conquiste, limiti ed errori dell’IC, rimandiamo all’articolo Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista – Le conquiste e i limiti da superare (VO 63, novembre 2019).

 

Stante il suo ruolo di effettivo Stato maggiore della classe operaia, per preservare la sua influenza e il suo prestigio tra le masse popolari e proseguire nella direzione tracciata dalla Resistenza (trasformazione della guerra di liberazione nazionale in guerra popolare rivoluzionaria per instaurare il socialismo), il PCI dopo aver animato la Resistenza ed essere entrato nel governo con gli altri partiti del CLN doveva assumere misure nette e tempestive quali:

1. radicare i CLN nelle aziende, nei municipi, nelle questure e prefetture e nel resto delle istituzioni statali, rendendole organismi del nuovo potere delle masse popolari organizzate;

2. arruolare nelle aziende dirette dai CLN tutti gli operai e i disoccupati impiegandoli nella ricostruzione post-bellica, favorendone la mobilitazione e il controllo della produzione. In negativo, vedi l’esempio descritto nell’opuscolo di Emilio Sereni CLN: Il Comitato di Liberazione Nazionale della Lombardia al lavoro nella cospirazione, nell’insurrezione, nella ricostruzione (VO 65, luglio 2020 pagg. 4-5), relativamente alla collaborazione tra masse popolari, borghesia e clero nella gestione della società, a partire dalle attività produttive;

3. moltiplicare e coordinare tra loro le organizzazioni di massa esistenti (unioni di giovani, donne, sindacati, case del popolo, ecc.);

 4. punire esemplarmente i maggiori dirigenti fascisti anziché graziarli (in proposito, si veda l’“amnistia Togliatti” del 1946 e i suoi effetti sul riciclo di alti funzionari civili e militari nelle istituzioni della neonata Repubblica Pontificia) ed epurare gli apparati statali da funzionari compromessi in forma grave con il fascismo e in particolare da quelli che sabotavano e cospiravano contro il rinnovamento del paese (cambio della moneta e altro);

5. appoggiare incondizionatamente le rivolte contro la fame scoppiate in tutto il paese (specialmente al Sud, vedi la rivolta avvenuta il 19 ottobre 1944 a Palermo - sotto il governo italiano già dal 10 febbraio 1944 - e conclusa con 24 dimostranti uccisi e 158 feriti da parte del regio esercito italiano) e l’occupazione delle terre: il PCI ebbe fin da subito un grande seguito anche al Sud dove non vi era stata la Resistenza e sarebbe stato ancora maggiore se avesse appoggiato senza riserve legalitarie le rivendicazioni popolari;

6. attuare a tutti i costi il cambio della moneta, togliendo così ai ricchi, alla Chiesa e ad altri centri di potere la disponibilità di masse di denaro con cui assoldare e corrompere gente e finanziare operazioni clandestine;

7. assegnare potere legislativo alla Costituente, appoggiando e valorizzando l’azione del governo Parri (21 giugno - 24 novembre 1945) ispirato ai valori della Resistenza e non diventare succube del connubio DC-Vaticano;

8. insistere sull’eliminazione dei Patti Lateranensi stipulati durante il fascismo (11 febbraio 1929) e imporre la separazione tra Stato e Chiesa, requisire tutte le strutture del Vaticano a fini di pubblica utilità (la Corte Pontificia aveva messo in conto l’eventualità di dover evacuare, tanta era stata la sua compromissione con il fascismo).

Seguendo fin dal 1945 una via del genere difficilmente si sarebbe giunti all’estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo, cosa che invece costituendo il 13 maggio 1947 il suo terzo governo De Gasperi fece, su pressione del complesso militare-industriale USA (che per tenere sottomessa l’Europa avevano avviato il Piano Marshall) e della cupola vaticana;

Alcuni sostengono che la presenza militare americana escludeva ogni possibilità di continuare la rivoluzione in Italia (e lo stesso dicono per la Francia e altri paesi europei) e citano il caso della Grecia: lo ha sostenuto ad esempio Marco Rizzo nella seconda Lezione di formazione tenuta in novembre 2020 e diffusa il 18.03.2021 in https://www.facebook.com/ilpartitocomunista/videos/269926501261585. In realtà ogni misura del complesso militare-industriale USA che ritardava il “ritorno a casa” dei soldati incontrava grande opposizione tra i soldati americani stessi e negli USA, dove il movimento comunista e il prestigio dell’URSS allora erano molto forti.(7) In effetti i soldati angloamericani incominciarono a sgomberare prima ancora della firma del trattato di pace (Parigi 10 febbraio 1947) e gli ultimi lasciarono il suolo italiano il 14 dicembre 1947.

 

7. In proposito vedere l’articolo Un libro e alcune lezioni in VO 24 novembre 2006 e quanto accennato da Greg Godels nell’articolo Inverno negli USA in questo numero di VO. I gruppi imperialisti USA nell’immediato dopoguerra e negli anni Cinquanta ricorsero alla grande e capillare campagna anticomunista guidata da Joseph McCarthy (maccartismo) per conservare il loro potere.

 

Dobbiamo combattere le idee e i sentimenti propugnati da quelli che sostengono che i nostri predecessori, i membri del primo PCI, non hanno instaurato il socialismo perché la borghesia era forte: sono gli stessi che in qualche modo sostengono che la borghesia è ancora oggi forte e spingono alla rassegnazione, ad attendere miracoli o pietà dai ricchi e dal clero, alla disperazione, alla protesta cieca. I comunisti mobilitati e organizzati nel PCI hanno mostrato su larga scala la potenza degli operai, dei lavoratori, delle donne e dei giovani delle masse popolari.

Il PCI soppresse per propria iniziativa il legame fra guerra di liberazione nazionale e lotta per il socialismo, subordinando la propria azione agli interessi della classe dominante. La mancata realizzazione delle principali misure in favore della gran massa della popolazione sopra elencate sono una manifestazione evidente del fatto che il primo PCI non era adeguato a svolgere il suo ruolo.

  

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Il fronte e i metodi di direzione del partito comunista

 

Le contraddizioni tra il nemico e noi sono contraddizioni principalmente antagoniste: il metodo principale e universale con cui vanno trattate è la guerra.

Le contraddizioni in seno al popolo presentano due aspetti. Alcune contraddizioni non sono antagoniste, altre hanno un aspetto antagonista, ma anche un aspetto non antagonista che emerge dalla fondamentale identità di interessi del popolo nella specifica tappa in corso della rivoluzione. In generale il popolo si divide in tre parti: le forze politiche e i gruppi sociali interessati alla rivoluzione, quelli intermedi e quelli che oppongono resistenza alla rivoluzione.

Il metodo principale di direzione del partito nei confronti dei primi è “la linea di massa”.

“In ogni lavoro pratico del nostro partito, una direzione giusta può essere realizzata solo basandosi sul principio ‘dalle masse alle masse. Questo significa valutare (cioè coordinare e sistemare dopo uno studio attento) le vedute delle masse (cioè i punti di vista non coordinati né sistematici) e riportare di nuovo le idee che ne risultano alle masse, fino a che le masse le facciano proprie, le difendano e le traducano in azione, e attraverso l’azione delle masse ne venga provata la giustezza; quindi raccogliere ancora una volta in sintesi i punti di vista delle masse, di nuovo riportare le idee, che da questa sintesi risultano, alle masse per ottenere il loro fermo appoggio e così via, più e più volte, in modo che ad ogni nuovo confronto con le masse queste idee emergano con sempre maggior giustezza, divengano più vitali e significative” (A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato (1956) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 13, Edizioni Rapporti Sociali).

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3. Conclusioni

Nel ‘45 il PCI aveva mobilitato le masse popolari a fare la guerra civile ed era divenuto l'effettivo Stato Maggiore della classe operaia in armi. Si trattava dopo di mobilitare le masse popolari a ricostruire il paese nell'ottica di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. L’ala destra del PCI era contraria all'instaurazione del socialismo, credeva che non fosse possibile. Su questa base Togliatti raggruppava attorno a sé tutti gli opportunisti e filo-borghesi presenti nel PCI e si saldava con la borghesia. L'ala sinistra del Partito, di cui in quella fase Pietro Secchia era il principale esponente, era convinto che la linea che il PCI stava seguendo era sbagliata, ma non aveva una linea alternativa. Oscillava, criticava, reclamava, proponeva di fare “qualcosa di più” di quello che già il PCI faceva. La linea dell'ala sinistra consisteva in sostanza nel contestare la linea dell'ala destra. Si creava così una catena ininterrotta che subordinava ideologicamente e politicamente alla borghesia tutto il PCI.

Nel periodo successivo all’aprile ‘45, l’unica soluzione politica su cui la borghesia imperialista poteva contare per conservare in Italia il suo ordinamento sociale era un regime clericale, con alla testa il Vaticano e la sua Chiesa sostenuti dall'imperialismo americano. In quel momento l’esito dello scontro di classe era ancora aperto. Dopo le insurrezioni di aprile il PCI aveva guidato gli altri partiti antifascisti a costituire il governo Parri come espressione del CLN, a cui parteciparono anche i comunisti: questo era un momentaneo compromesso tra le forze democratiche e le forze reazionarie. Ma l’azione dei partiti di sinistra non era tesa a mobilitare i CLN e le organizzazioni di massa e l’attività del governo era paralizzato dalle forze moderate e dall'apparato statale che lo sabotava (le vicende del cambiamento della moneta costituiscono un caso esemplare). A novembre ‘45, i liberali manovrarono con gli imperialisti USA e il Vaticano per far cadere il governo Parri, subito affiancati dai democristiani. La manovra “da destra” ebbe facile successo. Così nel dicembre del ‘45 Alcide De Gasperi, capo della DC, divenne Presidente del Consiglio e lo rimarrà costantemente fino al 1953. Il nuovo governo sostituì rapidamente i rappresentanti delle sinistre dei CLN con Prefetti e funzionari statali che avevano fatto carriera nel ventennio. Togliatti, Ministro della Giustizia, firmò l'amnistia per i fascisti, portando alla scarcerazione di tutti i grossi dirigenti repubblichini.

 Il PCI capeggiato da Togliatti accettò “(…) di svolgere il ruolo di cui il regime DC aveva assoluto bisogno per consolidarsi: occultare il potere monarchico del Vaticano, nascondere il carattere fittizio della Costituente e della Costituzione, avvallare il carattere democratico del regime di “sovranità limitata” che tacitamente il Vaticano e gli imperialisti USA imposero al paese, minimizzare il significato dell'installazione politica e militare dell'imperialismo USA in Italia, liquidare la forza politica e militare che la classe operaia e le masse popolari avevano raggiunto. Il bilancio della sua esperienza conferma che il partito comunista deve elaborare una strategia per la conquista del potere giusta e abbastanza concreta: una strategia che gli opportunisti denigrano come piano steso a tavolino, ma che in realtà è quel “preparare e organizzare” la rivoluzione che già Lenin ci ha insegnato. Se non raggiunge questo livello, per grandi che siano l’eroismo e la disciplina, il partito comunista non è in grado di sfruttare le circostanze varie e mutevoli con una tattica flessibile. Non ha alcun senso pratico, anzi è mistificatorio discutere di tattica, se non si ha una strategia.

Nicola P.