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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Lezioni di tattica comunista

Dalla lotta di ieri per instaurare il socialismo…

Federico Engels - Lettera a Filippo Turati, 26 gennaio 1894

Premessa redazionale

Il Partito socialista italiano (così dopo il Congresso di Reggio Emilia del 1893 fu denominato il precedente Partito socialista dei lavoratori italiani), pur non avendo avuto alcun ruolo diretto nei moti dei Fasci Siciliani del 1894, aveva espresso la sua solidarietà ai lavoratori siciliani in lotta e per questo fu messo al bando e i suoi massimi rappresentanti denunciati alle autorità giudiziarie, mentre il governo Crispi provvedeva a sciogliere i circoli, le associazioni operaie e le Camere del Lavoro.

Lo scatenarsi della reazione e la nuova situazione politica venutasi a creare, posero ai socialisti il problema dell’opportunità dell’alleanza con i partiti democratici, che miravano al ristabilimento e al consolidamento delle libertà nell’ambito del sistema borghese.

Nel momento culminante della repressione dei Fasci Siciliani, il problema fu posto da Anna Kuliscioff e da Turati a Engels. Questi rispose a Turati con la lettera del 26 gennaio 1894 che qui pubblichiamo, consigliandolo di evitare una critica puramente negativa nei riguardi dei partiti “affini” e prospettando la possibilità di un’alleanza dei socialisti con i radicali e i repubblicani per l’instaurazione di un regime democratico borghese eventualmente repubblicano.

Era però necessario, secondo Engels, che i socialisti entrassero nell’alleanza come “partito indipendente”, ben distinto dagli altri e pronto a riprendere l’opposizione all’indomani della vittoria della democrazia.

Tuttavia, nel gennaio del 1895, il III Congresso nazionale del Partito socialista italiano, tenutosi clandestinamente a Parma, ribadì, con 34 voti favorevoli, 20 contrari e 2 astenuti, la tattica intransigente e settaria che era stata approvata al Congresso di Reggio Emilia e criticata da Engels nella lettera del 26 gennaio 1894.


Londra, 26 gennaio 1894

Caro Turati,

la situazione in Italia, a mio parere, è questa.

La borghesia, giunta al potere durante e dopo l’emancipazione nazionale, non seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutto i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa gliene impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili speculazioni e truffe bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.

Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, eredità non solo dei tempi feudali, ma perfino dell’antichità (mezzadria, latifondi del meridione ove il bestiame prende il posto dell’uomo); dall’altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È ben il caso di dire con Marx che “noi siamo afflitti, come tutto l’occidente continentale europeo, sia dallo sviluppo della produzione capitalista, sia ancora dalla mancanza di codesto sviluppo. Oltre i mali dell’epoca presente, pesano su di noi anche una lunga serie di mali ereditari, derivanti dalla vegetazione continua dei sopravvissuti modi di produzione del passato, con la conseguenza dei rapporti politici e sociali anacronistici che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vif” [Il morto tiene stretto a sé il vivo].

Questa situazione spinge a una crisi. Dappertutto la massa produttrice è in fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?

Evidentemente il partito socialista è troppo giovane e, per effetto della situazione economica, troppo debole per contare su una vittoria immediata del socialismo. Nel paese la popolazione agricola prevale, e di gran lunga, sulla urbana; poche, nella città, le industrie sviluppate, scarso quindi il proletariato tipico; la maggioranza è composta di artigiani, di piccoli bottegai, di persone senza arte né parte, massa fluttuante fra la piccola borghesia e il proletariato. È la piccola e media borghesia del medioevo in decadenza e disintegrazione, per la più parte proletari futuri, non ancora proletari dell’oggi. È questa classe, sempre faccia a faccia con la rovina economica ed ora spinta alla disperazione, che sola potrà fornire e la massa dei combattenti e i capi di un movimento rivoluzionario. Su questa via la asseconderanno i contadini, ai quali il loro stesso sparpagliamento sul territorio e il loro analfabetismo vietano ogni iniziativa efficace, ma che saranno ad ogni modo ausiliari potenti e indispensabili.

Nel caso di un successo più o meno pacifico, si avrà un cambiamento di governo, con l’arrivo al potere dei repubblicani “convertiti” [alla monarchia, ndr], i Cavallotti e compagnia; nel caso di una rivoluzione si avrà la repubblica borghese.

Di fronte a queste eventualità, quale sarà il ruolo del partito socialista?

Dal 1848 in poi, la tattica che ha portato i maggiori successi ai socialisti fu quella del Manifesto del partito comunista: “I comunisti, nei vari stadi attraversati dalla lotta fra proletariato e borghesia, difendono sempre l’interesse del movimento generale...; lottano certo per raggiungere scopi immediati nell’interesse delle classi lavoratrici, ma nel movimento presente rappresentano anche l’avvenire del movimento”. Essi prendono dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta tra le due classi, senza mai perdere di vista che queste fasi non sono che altrettante tappe conducenti alla prima grande meta: la conquista del potere politico da parte del proletariato, come strumento per riorganizzare la società. Il loro posto è fra i combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell’interesse della classe operaia: tutti questi vantaggi politici o sociali essi li accettano, ma solo come acconti. Perciò essi considerano ogni movimento rivoluzionario o progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionari e, quando uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato. Questa tattica, che mai perde di vista il gran fine, risparmia ai socialisti le delusioni a cui inevitabilmente vanno soggetti gli altri partiti meno chiaroveggenti - sia repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice tappa per il termine finale della marcia in avanti.

Applichiamo tutto questo all’Italia.

La vittoria della piccola borghesia in disintegrazione e dei contadini porterà dunque forse a un governo di repubblicani “convertiti”. Ciò ci procurerà il suffragio universale e una libertà di movimento (stampa, riunione, associazione, abolizione dell’ammonizione, ecc.) assai più considerevole - nuove armi che non sono da disdegnare.

Oppure ci porterà la repubblica borghese, con gli stessi uomini e qualche mazziniano con essi. Ciò allargherebbe ancora e di assai la nostra libertà e il nostro campo di azione, almeno per il momento. E la repubblica borghese, ha detto Marx, è la sola forma politica nella quale la lotta fra proletariato e borghesia può avere soluzione. Senza dire il contraccolpo che ne risentirebbe l’Europa.

La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che renderci più forti e collocarci in un ambiente più favorevole. Commetteremmo il più grande degli errori se, di fronte ad esso, vorremo astenerci, se nella nostra condotta nei confronti dei partiti “affini” vorremo limitarci ad una critica puramente negativa. Potrà arrivare il momento nel quale fosse dovere nostro di cooperare con essi in modo positivo. Quale sarà questo momento?

Evidentemente non è a noi che spetta di preparare direttamente un movimento che non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo. Se i repubblicani e i radicali credono scoccata l’ora di muoversi, diano essi libero sfogo alla loro impetuosità. Quanto a noi, fummo troppo spesso ingannati dalle grandi promesse di questi signori per lasciarci prendere un’altra volta in quella trappola. Né i loro proclami né le loro cospirazioni dovranno menomamente toccarci. Se noi siamo tenuti a sostenere ogni movimento popolare reale, siamo tenuti ugualmente a non sacrificare inutilmente il nucleo appena formato del nostro partito proletario e a non lasciar decimare il proletariato in sterili sommosse locali.

Se al contrario il movimento è davvero nazionale, i nostri uomini non staranno nascosti, non vi sarà neppure bisogno di lanciar loro una parola d’ordine... Ma allora dovrà ben essere inteso, e noi dovremmo proclamarlo altamente, che noi partecipiamo come partito indipendente, alleato per il momento ai radicali e ai repubblicani, ma interamente distinto da essi; che non ci facciamo alcuna illusione sul risultato della lotta in caso di vittoria; che questo risultato, lungi dal renderci soddisfatti, non sarà per noi che una tappa guadagnata, nuova base d’operazione per conquiste ulteriori; che il giorno stesso della vittoria le nostre strade si divideranno; che da quel giorno, di fronte al nuovo governo, noi formeremo la nuova opposizione, opposizione non già reazionaria, ma progressista, opposizione d’estrema sinistra che spingerà a nuove conquiste al di là dei terreni guadagnati.

Dopo la vittoria comune, potrebbe esserci offerto qualche seggio nel nuovo governo - ma sempre nella minoranza. Questo è il pericolo più grande. Dopo il febbraio 1848 i democratici socialisti francesi (della Réforme, Ledru-Rollin, Louis Blanc, Flocon, ecc.) commisero l’errore di accettare cosiffatte cariche. Minoranza nel governo, essi condivisero volontariamente la responsabilità di tutte le infamie e i tradimenti, di fronte alla classe operaia, commessi dalla maggioranza di repubblicani puri; mentre la presenza loro nel governo paralizzava completamente l’azione rivoluzionaria della classe lavoratrice ch’essi pretendevano rappresentare.

In tutto questo, io non do che la mia opinione personale, poiché me l’avete domandata, e ancora con la maggior diffidenza. Quanto alla tattica generale, ne ho sperimentato l’efficacia durante tutta la mia vita; non una volta essa mi ha fallito. Ma quanto alla sua applicazione alle condizioni attuali in Italia, è altra cosa; ciò deve decidersi sul posto e da coloro che si trovano in mezzo agli avvenimenti.

Federico Engels


... a quella di oggi

Note di Lettura di un compagno della Federazione Campania del P.CARC

Napoli, 12.11.2020

La lettera di Engels è molto utile, ci dà una serie di lezioni. È un contributo prezioso per la nostra azione attuale, a proposito del ruolo dei comunisti 1. nel loro intervento della resistenza spontanea delle masse popolari, 2. nella costruzione e azione nel fronte anti Larghe Intese e 3. nella rinascita del movimento comunista.

Le lezioni più importanti per quanto mi riguarda sono le seguenti due.

1. La prima lezione la traggo da questo passaggio: «(i comunisti) prendono dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta delle due classi, senza mai perdere di vista che queste fasi non sono che altrettante tappe conducenti alla prima grande meta: la conquista del potere politico da parte del proletariato, come strumento per riorganizzare la società. Il loro posto è fra i combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell’interesse della classe operaia: tutti questi vantaggi politici o sociali essi li accettano, ma solo come acconti».

Concepirsi al contempo come combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell’interesse della classe operaia e non perdere mai di vista che queste fasi sono tappe che devono condurre a una più grande meta (il socialismo) è ovviamente una contraddizione. È una problematica molto presente nel nostro Partito e genera tre tipi di deviazioni:

a) non intervenire nelle lotte e iniziative per vantaggi immediati per paura di perdere di vista l’obiettivo generale, ma limitarsi a declamare la necessità del socialismo finendo per soffermarsi solo sull’obiettivo generale senza occuparsi di farlo marciare nella realtà. È una concezione libresca della rivoluzione, è una condotta antidialettica; porta a un approccio fatalista con il risultato di isolarsi dalle masse;

b) intervenire nelle lotte e iniziative per vantaggi immediati perdendo di vista il legame che esse hanno con l’obiettivo generale, non fare scuola di comunismo né rafforzamento e allargamento del sistema politico del proletariato. È quello che chiamiamo economicismo. Il risultato è non raccogliere forze rivoluzionarie, non maturare esperienze utili alla nostra causa, non far crescere le masse popolari, non far marciare la nostra opera e seminare disfattismo;

c) immobilizzarsi e non fare né l’uno né l’altro lavoro. È la più nociva delle deviazioni perché chi non fa per paura di sbagliare in realtà sbaglia due volte.

Le deviazioni principali contro cui lottare in questa fase nel P.CARC e nella Segreteria federale sono certamente la prima e la terza, forse anche in virtù del fatto che il movimento comunista campano è stato a lungo contraddistinto fortemente dalla seconda deviazione, contro cui anche i compagni che fanno parte della Carovana del (n)PCI a Napoli hanno dovuto rettificare la propria concezione. Dal 2015 in poi il limite principale nel nostro Partito riguarda il lavoro esterno (direzione delle sezioni e lavoro di massa). È una problematica su cui dobbiamo approfondire il ragionamento. All’oggi sono pochi i compagni che si mettono nell’ottica di stare tra le masse e diventarne i “capi”, di promuoverne la crescita a partire da quello che sono e da quello che possono diventare, reclutarne i migliori esponenti.

Mi sto convincendo sempre di più che il principale metro di misura di un buon lavoro esterno sta nella quantità di nuovi compagni che si aggregano al sistema di potere del proletariato (cioè entrano a far parte di OO-OP, dei due partiti, ecc.): questo perché siamo nella fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Ma senza un lavoro di massa che “parta dalle masse, ne elabori l’esperienza e torni alle masse a un livello superiore”, questo processo non si sviluppa. In tal senso, la nostra Federazione procede ancora in modo molto discontinuo e anche un po’ arido in termini di creatività e mordente. L’esperienza con gli Operatori Socio Sanitari (OSS) del Cardarelli, al di là di quali saranno i risultati della vertenza, mi sta insegnando questo e questa tensione sto cercando di imprimere al lavoro che svolgo tra loro.

Le masse vogliono vincere, quindi cercano una classe dirigente vincente. Noi dobbiamo imparare a individuare di volta in volta quale sia la vittoria da conseguire, utilizzandola per alzare il tiro, fare salti qualitativi ed estendere il nuovo potere. Questo ci chiama a essere tra le masse, a confrontarci con la realtà e le indicazioni di cui necessitano, a indirizzarne l’azione e al contempo imparare a spiegare loro il perché delle cose, i nessi interni alle cose del mondo (far acquisire visione più generale) e l’orizzonte a cui aprono i passi che loro fanno. Facendo questo lavoro, in realtà quell’orizzonte si apre via via anche a noi, nel senso che si libera da quell’alone mistico che ancora ci fa concepire il socialismo e il comunismo come un ideale o una pia e bella aspirazione. La rivoluzione socialista è lotta e amore; è l’unione dei comunisti con le loro masse e delle masse con i loro comunisti, i loro capi, in una guerra contro classi sfruttatrici e parassitarie che bloccano lo sviluppo dell’umanità.

Per questo quando parliamo ancora di un operaio o un lavoratore come un qualcosa di alieno da noi, quando ci limitiamo a raccontare quello che gli operai e i lavoratori fanno o non fanno, dobbiamo chiederci che cosa stiamo facendo noi, in che relazione siamo noi con quegli operai e lavoratori e cosa dobbiamo fare per avanzare e conquistare posizioni rispetto al nemico e per legarli a noi.

 

2. La seconda lezione la traggo da questo passaggio: «(i comunisti) considerano ogni movimento rivoluzionario o progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionari e, quando uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato. Questa tattica, che mai perde di vista il gran fine, risparmia ai socialisti le disillusioni cui vanno soggetti infallibilmente gli altri partiti meno chiaroveggenti - sia repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice tappa per il termine finale della marcia in avanti […] La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che renderci più forti e collocarci in un ambiente più favorevole. Commetteremmo il più grande degli errori se, di fronte ad esso, vorremo astenerci, se nella nostra condotta nei confronti dei partiti “affini” vorremo limitarci ad una critica puramente negativa. Potrà arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo positivo».

Il progresso scientifico rende indispensabile instaurare il socialismo

Siamo in una situazione nuova, creata dalla storia che abbiamo alle spalle: dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976), dallo sviluppo della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (il capitale è cresciuto tanto che è impossibile ai capitalisti impiegarlo tutto nella produzione e riproduzione delle condizioni dell’esistenza), della ripresa in mano da parte della borghesia (Thatcher, Reagan, ecc.) della direzione del corso delle cose nel mondo.

Il modo di produzione capitalista sviluppatosi in Europa a partire dai primi secoli del secondo millennio ha dato il via a un illimitato progresso scientifico e al suo impiego pratico. Il progresso scientifico ha accresciuto e illimitatamente accresce il dominio dell’uomo sul resto della natura. L’umanità subisce le conseguenze nefaste del progresso scientifico perché non ha ancora adottato l’ordinamento sociale che a questo progresso scientifico si confà. La conseguenza di questo ritardo è che la situazione attuale dell’umanità è come se un’arma di distruzione di massa di illimitata potenza fosse finita nelle mani di un bambino o di un pazzo che la usano senza consapevolezza della sua potenza e dei suoi effetti, cioè senza criterio, alla cieca.

È vero che le epidemie capitano dal tempo dei tempi. Un tempo gli uomini perfino si mangiavano tra loro, erano cannibali. Non solo le epidemie, ma molte delle piaghe che ancora oggi affliggono l’umanità risalgono al tempo dei tempi. Ma gli uomini non andavano ancora sulla Luna, né mandavano oggetti su Marte e più lontano, né producevano le centinaia di migliaia di sostanze di sintesi che oggi (da quando hanno sviluppato la chimica) producono, di cui inondano il mondo e i cui effetti sull’ambiente in cui viviamo e su noi stessi non sempre sono positivi. Oggi i contatti e altre vie di trasmissione di virus (o di altri elementi patogeni) sono ben altri di quelli anche solo di duecento anni fa. Però oggi gli uomini dispongono già delle conoscenze e dei mezzi necessari per conservare la natura, addirittura per migliorarla, evitare cataclismi e catastrofi naturali. Ma il modo di produzione capitalista è incompatibile con questi compiti e queste opportunità. Gli uomini devono darsi un sistema politico e sociale adeguato ai progressi compiuti. Il socialismo è l’inizio di questo sistema.

Questo passaggio mi ha spinto a ragionare molto sul lavoro che in Campania stiamo conducendo nel filone sanità e la relazione che questo lavoro ha con il rafforzamento della rete delle OO-OP e con la costruzione del fronte anti Larghe Intese. Ci troviamo in una fase per cui all’accumulazione quantitativa di esperienze e forze dobbiamo far seguire un salto qualitativo. Ragionare di questo significa non vivere alla giornata o alla coda delle masse, ma individuare il passo che quel percorso può compiere e la nuova fase che deve aprire (inserire le singole battaglie in una guerra complessiva per il socialismo vuol dire anche questo). Questo salto qualitativo deve essere opera nostra, non si verificherà spontaneamente; anzi se non ci assumeremo noi questa responsabilità anche tutte le posizioni conquistate fino ad oggi andranno perse.

Quali sono le posizioni conquistate? Il lavoro sviluppato in questi anni 1. ha consolidato un gruppo dirigente che ha messo in connessione organizzazioni popolari tra loro (Consulta Popolare Sanità e Salute, San Gennaro, Loreto Mare, OSS, ecc.), 2. ha spinto il più importante di questi organismi - la Consulta - ad assumere un ruolo autorevole: non limitarsi a rivendicare, ma definire un’agenda delle misure per fronteggiare l’emergenza e promuovere una mobilitazione di tutta la città davanti alla Regione (c’erano tutte le OP, organizzazioni della sinistra borghese e perfino l’assessore alla sanità del comune di Napoli), 3. ha spinto perché le misure fossero non dei desiderata ma legate a lotte concrete già in essere nella città e su cui già interveniamo direttamente o indirettamente (scorrimento graduatorie, riapertura ospedali, fornitura DPI, ecc.) anche se ancora in maniera staccata tra di loro. Il salto qualitativo ora da fare, per quanto ci riguarda, è quello di elaborare l’esperienza a un livello superiore, di tenere unito e sviluppare nella pratica questo fronte in funzione delle misure urgenti e anche di dargli un “obiettivo di governo”, conquistare posizioni più avanzate.

Il Fronte popolare per la sanità pubblica deve diventare un raggruppamento di organizzazioni popolari, sindacali e politiche aggregate attorno a un centro autorevole (la Consulta) e su un’agenda di misure urgenti per fronteggiare l’emergenza sanitaria in Campania, in contrasto alle politiche delle Larghe Intese degli ultimi anni promosse da Caldoro prima e De Luca poi. Un fronte ampio, composto da forze che portano avanti sia iniziative proprie che condivise, che va inteso in maniera aperta e non statica. Non è un’OP o una sigla a cui aderire, né una piattaforma di lotta: quello che deve tenerlo insieme sono le misure da imporre e alcune azioni, iniziative e mobilitazioni congiunte. Un fronte, quindi, che si occupi di individuare i problemi, escogiti le misure necessarie a superarli e si impegni ad attuarle, a seconda delle caratteristiche di ciascuno, in due modi: 1. mettendoci mano direttamente e in autorganizzazione, attraverso tende della salute, brigate mediche, brigate solidarietà, ecc.; 2. imponendo con incontri pubblici, lotte e mobilitazioni quelle misure alle istituzioni preposte (Regione, Comune, Municipalità, Asl, ecc.).

Il Commissariamento Popolare della Sanità campana non è la messa in piedi di organismi (consigli popolari, commissioni popolari, ecc.) che si limitino a indicare misure su come affrontare l’emergenza (lavoro consultivo o di denuncia). Questo è un lavoro che la Consulta Popolare già svolge da tempo. Né tanto meno è l’organizzazione di azioni di propaganda di quelle misure, chiamando a raccolta altre forze perché si mobilitino con la lotta e la mobilitazione per attuarle. Anche questo è un lavoro che la Consulta insieme alle altre OP che si occupano di sanità già svolgono in varie forme da tempo. Il Commissariamento è quindi una delle misure che il Fronte popolare per la sanità deve proporsi di imporre: è certamente la più complessiva e importante di quelle misure, ma pur sempre una delle misure. Deve essere, quindi, un vero commissariamento della sanità nella regione Campania, un commissariamento da conquistare su spinta delle organizzazioni operaie, popolari, politiche e sindacali che sono contro De Luca, Caldoro e la versione locale delle Larghe Intese, su spinta delle organizzazioni che hanno partecipato alle ultime azioni della Consulta, ma anche oltre. In questo si spiega anche il carattere popolare del commissariamento, con le masse popolari che si mobiliteranno per indicare e imporre le misure, le delibere, i decreti, gli uomini da rimuovere dai posti di comando e anche i nomi con cui sostituirli a partire da quello del commissario che serve (si parla già di Gino Strada o esponenti simili). Un commissariamento a tutti gli effetti quindi, per ottenere il quale le masse popolari organizzate dovranno mobilitare tutto il mobilitabile (dalle organizzazioni sindacali combattive, alle organizzazioni politiche della vecchia e nuova sinistra borghese, le amministrazioni municipali e comunali, pezzi progressisti della Chiesa, ecc.) ed elaborare un progetto funzionale a tale scopo.

Anche se non parla direttamente di questo, il testo di Engels mi ha fatto ragionare del lavoro concreto che stiamo facendo in quello che all’oggi è l’ambito di lavoro esterno più sviluppato nella Federazione. Tale ragionamento devo ora trasformarlo in progetto e in proposta, da elaborare insieme ad altri compagni e alla Segreteria federale. Potrebbe rivelarsi un ambito per superare alcuni limiti che scontiamo in termini di concatenazione degli interventi, combinazione di singoli e OO-OP, lavoro collettivo interno ed esterno al Partito, costruzione del fronte anti Larghe Intese e sviluppo del lavoro organizzativo per l’allargamento del Partito (estendere gli insegnamenti tratti dai primi sei mesi di intervento sugli Operatori Sociosanitari (OSS), a tutto il lavoro Amministrazioni Locali d’Emergenza-Sanità della Federazione).