La Voce 66 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Contro attendisti e denigratori

In un recente editoriale (30 ottobre 2020) della rivista online Cumpanis, Fosco Giannini (dirigente del PCI di cui è segretario Mauro Alboresi) ha lanciato la seguente proposta: “in vista del 100° anniversario della nascita del PCd’I (gennaio 2021, tra pochi mesi), anziché commemorazioni singole e divise, partito comunista per partito comunista, costituiamo ora un comitato nazionale composto da storici, intellettuali e dirigenti dei diversi partiti comunisti in campo, allargando gli inviti ai giornali on-line comunisti, ad altre esperienze comuniste per giungere ad un convegno di alto profilo in cui non solo si commemora ma, insieme, si mettono a fuoco i temi oggi essenziali per l’unità dei comunisti e per il rilancio di un partito comunista che possa essere calato nel presente”.

Aderiamo alla proposta, con l’auspicio che le iniziative per il 100° anniversario della fondazione del primo PCI siano l’occasione per sviluppare tra i comunisti del nostro paese il confronto franco e aperto sul bilancio dell’esperienza della prima ondata rivoluzionaria mondiale (1917-1976), sull’analisi della fase e sulla strategia dei comunisti e la lotta contro quelle tare del movimento comunista dei paesi imperialisti già messe in luce da Lenin e Stalin (in particolare elettoralismo ed economicismo) e contro l’attendismo in cui oggi quelle tare si traducono. Un confronto serio e chiaro su questi temi e una lotta contro queste tare faranno avanzare sia l’azione del movimento comunista per dirigere gli operai e il resto delle masse popolari ad abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, a prendere in mano la proprietà dei mezzi di produzione, a emanciparsi dallo sfruttamento economico, dall’oppressione politica e dall’arretratezza culturale sia l’unità dei comunisti da tanti invocata.

Come primo contributo a questo confronto, riproduciamo qui di seguito due brevi scritti di Lenin (1922) e di Stalin (1926). Li dedichiamo

- a quanti nel nostro paese si dicono comunisti ma di fatto negano che è possibile far avanzare in Italia la rivoluzione socialista fino alla vittoria e contribuire con questo alla vittoria della rivoluzione socialista nel resto del mondo, adducendo che la borghesia è troppo forte o che l’instaurazione del socialismo deve essere un evento unico mondiale e non può essere la combinazione geopolitica o storica di vittorie della rivoluzione socialista in vari paesi;

- a quanti traggono dalla limitatezza dei risultati che finora noi, (nuovo)PCI, abbiamo raggiunto la conclusione che la strada che stiamo seguendo è sbagliata o si limitano a ignorare o denigrare il lavoro che abbiamo compiuto, senza opporre buoni argomenti contro la strada che noi abbiamo elaborato e che pratichiamo e senza proporre un’altra strada. Che la nostra strada è giusta, in definitiva lo proverà a tutto il mondo la nostra vittoria (come avviene per la scienza con cui gli uomini conducono ogni impresa pratica nuova, mai ancora compiuta). Ma chi vuole instaurare il socialismo in Italia e nel mondo non attende che noi abbiamo vinto: si mette all’opera con noi se condivide la strada che proponiamo e pratichiamo; se non la condivide, espone le sue buone ragioni. Chi si limita a constatare che noi non abbiamo ancora vinto e sta a vedere cosa succederà domani, a ragione lo chiamiamo attendista, una delle specie degli opportunisti.

 


Lenin, Opere complete vol. 33 pagg. 316-319 (disponibile anche sul sito www.nuovopci.it)

Per il decimo anniversario della Pravda

Pravda, n. 98, 5 maggio 1922

Dieci anni sono trascorsi dalla fondazione della Pravda legale, il quotidiano bolscevico legale secondo le leggi zariste. E questo decennio era stato preceduto da circa un altro decennio: nove anni (1903-1912) facendo il conto dalla nascita del bolscevismo, e tredici anni (1900-1912) se si conta dalla fondazione della vecchia Iskra (1900), giornale pienamente “bolscevico” per il suo orientamento.

Il X anniversario del quotidiano bolscevico pubblicato in Russia... Da allora sono trascorsi soltanto dieci anni! Ma, per l’intensità della lotta e del movimento, sono cento gli anni che abbiamo vissuto. La rapidità dello sviluppo sociale durante gli ultimi cinque anni ha qualche cosa di sovrannaturale, se si misura con il vecchio metro, il metro dei filistei europei del genere degli eroi della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo,(1) questi filistei civilizzati, abituati a ritenere “naturale” che centinaia di milioni di esseri umani (più di un miliardo per essere esatti) nelle colonie, nei paesi semicoloniali e del tutto poveri, debbano accettare di essere trattati come lo sono gli indiani e i cinesi, debbano accettare uno sfruttamento inaudito, una rapina dichiarata, la fame, la violenza, l’umiliazione, e tutto ciò perché della gente “civile” possa decidere “liberamente”, “democraticamente”, “per via parlamentare” se il bottino deve esser spartito pacificamente, o se si debbono massacrare una decina o due decine di milioni di uomini per spartire il bottino imperialista: ieri tra la Germania e l’Inghilterra, domani tra il Giappone e l’America (con la partecipazione della Francia e dell’Inghilterra in questo o quel campo).

1. Internazionale due e mezzo è il nome dato per derisione all’aggregazione di alcuni partiti socialdemocratici che nel 1921 (Conferenza di Vienna) sotto la direzione di Otto Bauer e Max Adler si erano voluti distinguere dal resto dei partiti della Seconda Internazionale e avevano fondato un’effimera Unione dei Partiti Socialisti per l’azione internazionale (UPS). Nel 1923 (Congresso di Amburgo) ritornarono in seno alla Seconda Internazionale fautrice della collaborazione con la borghesia contro l’Internazionale Comunista (Terza Internazionale).

 

2. Oswald Spengler (Blankenburg am Harz 1880 - Monaco di Baviera 1936), intellettuale tedesco fiancheggiatore del nazismo da posizioni autonome. Autore di Il tramonto dell’Occidente, libro in 2 volumi di cui pubblicò il primo nel 1918, che ebbe grande diffusione tra gli intellettuali dei paesi imperialisti d’Europa e degli USA. In esso Splenger eludeva la questione della lotta di classe, del modo di produzione capitalista e dell’imperialismo e spiegava il declino della potenza mondiale degli Stati e dei gruppi imperialisti europei come prodotto del naturale tramonto della civiltà sviluppatasi in Europa dopo il Medioevo. Ogni civiltà secondo Spenger era per natura destinata a percorrere un suo ciclo di nascita, sviluppo, declino e morte.

La causa principale di questa enorme accelerazione dell’evoluzione mondiale è il fatto che ormai vi partecipano nuove centinaia di milioni di uomini. La vecchia Europa borghese e imperialista, abituata a considerarsi l’ombelico del mondo, è marcita e scoppiata durante il primo massacro imperialista come un ascesso purulento. Per quanto gli Spengler (2) e i piccoli borghesi istruiti, capaci di ammirarlo (o almeno di occuparsene) si lamentino a questo proposito, il declino della vecchia Europa non costituisce che un episodio nella storia della caduta della borghesia mondiale, che si è impinguata troppo attraverso la rapina imperialista e l’oppressione della maggioranza della popolazione terrestre.

Questa maggioranza adesso si è risvegliata e si è messa in movimento; anche gli Stati più forti e più “potenti” non sono in grado di arrestare tale movimento. Come potrebbero farlo? I “vincitori” attuali del primo massacro imperialista non sono neppure in grado di vincere la piccola, piccolissima Irlanda. Non possono neppure superare il caos che regna nei loro problemi finanziari e monetari. Nel frattempo, l’India e la Cina ribolliscono. Vi sono lì più di 700 milioni di uomini. Aggiungendovi i paesi asiatici vicini, che sono del tutto simili, si ottiene più della metà della popolazione del globo. Là si sta avvicinando invincibilmente e sempre più rapidamente l’anno 1905, con la differenza importante ed enorme che nel 1905 la rivoluzione poteva ancora svolgersi in Russia (almeno all’inizio) in modo isolato, vale a dire senza trascinare immediatamente altri paesi nella rivoluzione. Invece le rivoluzioni che stanno maturando in India e in Cina si inseriscono già adesso nella lotta rivoluzionaria, nel movimento rivoluzionario, nella rivoluzione internazionale.

Il X anniversario del quotidiano bolscevico legale Pravda ci fa vedere con evidenza una delle tappe della grande accelerazione della grandiosa rivoluzione mondiale. Nel 1906-1907 lo zarismo sconfisse la rivoluzione, come sembrava, in modo decisivo. Pochi anni dopo, il partito bolscevico seppe penetrare - sotto un’altra forma, in modo diverso - nella cittadella del nemico e intraprendere quotidianamente, “legalmente” un lavoro inteso a far saltare dall’interno la maledetta autocrazia dello zar e dei grandi proprietari fondiari. Trascorsero ancora pochi anni, e la rivoluzione proletaria organizzata dal bolscevismo trionfò.

Quando, nel 1900, fu fondata la vecchia Iskra, vi partecipò una decina di rivoluzionari. Quando il bolscevismo nacque, una quarantina di rivoluzionari partecipò alla sua nascita, ai congressi illegali di Bruxelles e di Londra, nel 1903.

Quando nacque nel 1912-1913, la Pravda bolscevica legale aveva dietro di sé decine e centinaia di migliaia di operai, che con le loro sottoscrizioni di pochi soldi avevano vinto sia il giogo zarista, sia la concorrenza dei traditori piccolo-borghesi del socialismo, i menscevichi.

Nel novembre 1917, alle elezioni dell’Assemblea costituente, i bolscevichi ottennero nove milioni di voti su trentasei. Ma di fatto, nella lotta, se non nei voti, alla fine di ottobre e nel novembre del 1917 i bolscevichi avevano con sé la maggioranza del proletariato e dei contadini coscienti, rappresentata dalla maggioranza dei delegati al II congresso dei soviet di tutta la Russia, dalla maggioranza della parte più attiva e più cosciente del popolo lavoratore, e cioè dei 12 milioni di uomini dell’esercito di allora.

Questo è un piccolo quadro, in cifre, della “accelerazione” del movimento rivoluzionario mondiale nel corso degli ultimi venti anni. È un quadro molto piccolo, molto incompleto, che esprime molto grossolanamente la storia di un popolo di appena 150 milioni di uomini, quando si pensi che nel corso di questi venti anni la rivoluzione è cominciata e si è accresciuta fino a divenire una forza invincibile in paesi la cui popolazione supera il miliardo (tutta l’Asia, e non dimentichiamo l’Africa del sud, i cui abitanti recentemente hanno ricordato la loro volontà di essere uomini e non schiavi, e lo hanno fatto in modo tutt’altro che “parlamentare”).

E se taluni - scusatemi l’espressione - “spenglerofili” ne traggono la conclusione (ci si può attendere qualsiasi sciocchezza dai capi tanto “intelligenti” della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo) che questo calcolo escluda dalle forze rivoluzionarie il proletariato d’Europa e d’America, noi rispondiamo: i capi tanto “intelligenti” che ho appena citato ragionano sempre come se il fatto che bisogna attendersi la nascita di un bambino nove mesi dopo la concezione permettesse di determinare l’ora e il minuto del parto, come anche la posizione del bambino al momento del parto, lo stato della puerpera e il grado esatto delle doglie e dei pericoli che il bambino e la mamma dovranno subire. Oh uomini “intelligenti”! Essi non riescono a capire che dal punto di vista della marcia della rivoluzione internazionale il passaggio dal cartismo agli Henderson, che si inchinano come lacchè dinanzi alla borghesia, da Varlin a Renaudel, o da Wilhelm Liebknecht e Bebel a Südekum, Scheidemann e Noske, non è altro che il “passaggio” di un’automobile da una strada liscia e regolare, lunga varie centinaia di chilometri, ad una pozzanghera sporca e maleodorante, situata sulla stessa strada, e lunga pochi metri.

Gli uomini fanno da sé la propria storia. Ma i cartisti, i Varlin e i Liebknecht la fanno con la propria testa e il proprio cuore. Invece i capi della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo la “fanno” con ben altre parti del loro corpo, concimando il terreno per nuovi cartisti, per nuovi Varlin, per nuovi Liebknecht.

Ingannare se stessi sarebbe la cosa più nociva per i rivoluzionari nel difficilissimo momento attuale. Sebbene il bolscevismo sia divenuto una forza internazionale, sebbene in tutti i paesi civili e progrediti siano già nati i nuovi cartisti, i nuovi Varlin e i nuovi Liebknecht, i quali crescono sotto l’aspetto di partiti comunisti legali (come era legale la nostra Pravda sotto lo zarismo, dieci anni fa), la borghesia internazionale resta ancora tuttavia infinitamente più forte del suo avversario di classe. Questa borghesia, che ha fatto tutto ciò che dipendeva da lei per rendere il parto più difficile, per decuplicare i pericoli e le sofferenze del parto del potere proletario in Russia, è ancora capace di condannare alle sofferenze e alla morte milioni e decine di milioni di uomini per mezzo di guerre condotte dalle guardie bianche, di guerre imperialiste, ecc. Questo, noi non dobbiamo dimenticarlo. Dobbiamo saper adattare la nostra tattica a questa particolarità della situazione attuale. La borghesia può ancora far soffrire, torturare e uccidere in tutta libertà. Ciò che non può fare è di arrestare la vittoria completa, inevitabile e, dal punto di vista della storia mondiale, molto vicina, del proletariato rivoluzionario.

 


Stalin, Opere complete vol. 8 pagg. 124-127 (disponibile anche sul sito www.nuovopci.it)

Sulla possibilità dell’edificazione del socialismo nel nostro paese

Risposta al compagno Pokoiev

Compagno Pokoiev!

Scrivo con ritardo e ne chiedo scusa a Voi e ai vostri compagni.

Purtroppo, Voi non avete capito la natura dei nostri dissensi al XIV Congresso. La questione non è che l’opposizione avrebbe affermato che non siamo ancora giunti al socialismo, mentre il congresso avrebbe dichiarato che vi siamo già arrivati. È falso. Nel nostro partito non troverete nessun compagno il quale possa dire che noi abbiamo già attuato il socialismo.

La discussione svoltasi al congresso non aveva come oggetto questo argomento. Ecco qual è stato l’oggetto della discussione. Il congresso ha detto che la classe operaia, alleata con i contadini lavoratori, può sconfiggere i capitalisti del nostro paese ed edificare la società socialista, anche se la rivoluzione vittoriosa in Occidente non giungerà in tempo per aiutarla. L’opposizione invece ha detto che non potremo sconfiggere i nostri capitalisti ed edificare la società socialista fino a quando gli operai non avranno vinto in Occidente. Ma, siccome la vittoria della rivoluzione in Occidente ritarda alquanto, non ci resta, evidentemente, che segnare il passo. Il congresso ha affermato - e lo ha espresso nella sua risoluzione sul rapporto del CC (1) - che queste vedute dell’opposizione significano sfiducia nella vittoria sui nostri capitalisti.

1. XIV Congresso del PC(b) dell’URSS (18-31 dicembre 1925), Rapporto politico del Comitato Centrale (18 dicembre) e Discorso di chiusura sul rapporto politico del Comitato Centrale (23 dicembre), in Opere complete, vol. 7 pagg. 293-444. Vedere anche Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS, cap. IX pagg. 288-296, Edizioni Rapporti Sociali - RedStarPress.

Ecco qual è stato l’oggetto della discussione, cari compagni.

Questo non significa, certamente, che noi non abbiamo bisogno dell’aiuto degli operai dell’Europa occidentale. Supponiamo che gli operai dell’Europa occidentale non simpatizzino per noi e non ci prestino il loro appoggio morale. Supponiamo che essi non impediscano ai loro capitalisti di intraprendere una campagna militare contro la nostra repubblica. Quale sarebbe la conseguenza? La conseguenza sarebbe che i capitalisti muoverebbero contro di noi, scalzerebbero alle radici il nostro lavoro di edificazione e quindi ci sconfiggerebbero completamente. Se i capitalisti non fanno questo tentativo è perché temono che gli operai li colpiscano alle spalle nel caso di una campagna contro la nostra repubblica. Questo è appunto quel che noi chiamiamo appoggio alla nostra rivoluzione da parte degli operai dell’Europa occidentale.

Ma tra l’appoggio degli operai dell’Occidente e la vittoria della rivoluzione in Occidente c’è una grandissima differenza. Senza l’appoggio degli operai dell’Occidente è poco probabile che avremmo resistito ai nemici che ci accerchiano. Se questo appoggio si trasformerà successivamente in vittoria della rivoluzione in Occidente, molto bene. Allora la vittoria del socialismo nel nostro paese sarà definitiva. E se questo appoggio non sfocerà nella vittoria della rivoluzione in Occidente? Possiamo iniziare e condurre a compimento l’edificazione della società socialista senza questa vittoria in Occidente? Il congresso ha risposto in senso affermativo. Altrimenti sarebbe stato inutile prendere il potere nell’ottobre 1917. Se non avessimo contato di sconfiggere i nostri capitalisti, chiunque potrebbe dire che abbiamo preso inutilmente il potere nell’ottobre 1917. L’opposizione invece afferma che non possiamo sconfiggere i nostri capitalisti con le nostre sole forze.

Ecco qual è la differenza fra noi.

Al congresso si è parlato anche della vittoria definitiva del socialismo. Che cosa significa vittoria definitiva del socialismo? Significa avere l’assoluta garanzia che i capitalisti stranieri non ricorrano all’intervento e non restaurino, mediante la lotta armata, il vecchio regime nel nostro paese. Possiamo con le nostre sole forze creare questa garanzia, cioè rendere impossibile l’intervento militare del capitale internazionale? No, non lo possiamo. È questo un compito che possiamo assolvere soltanto insieme con i proletari di tutto l’Occidente. Il capitale internazionale può essere definitivamente domato solo dalle forze della classe operaia di tutti i paesi, o almeno dei principali paesi europei. In questo senso non si può fare a meno della vittoria della rivoluzione in un certo numero di paesi europei; in caso contrario la vittoria definitiva del socialismo è impossibile.

Qual è, in fin dei conti, la conclusione?

La conclusione è che noi possiamo edificare la società socialista con le nostre forze, anche senza la vittoria della rivoluzione in Occidente, ma il nostro paese da solo non è in grado di garantirsi dagli attentati del capitale internazionale; per poter avere questa garanzia occorre la vittoria della rivoluzione in un certo numero di paesi dell’Occidente. Una cosa è la possibilità di edificare il socialismo nel nostro paese, un’altra è la possibilità di garantire il nostro paese dagli attentati del capitale internazionale.

Il vostro errore e l’errore dei vostri compagni consiste, a mio avviso, nel non aver ancora le idee chiare sull’argomento e nell’aver confuso queste due questioni.

Saluti fraterni.

G. Stalin

2. Nel n. 3 del Bolscevik del 15 febbraio 1926 fu pubblicato lo scritto di Stalin Questioni del leninismo (ora in Opere complete, vol. 8 pagg. 27-119).
Bolscevik: quindicinale teorico e politico del CC del PC(b) dell’URSS, pubblicato dall’aprile 1924. Dopo il XIX Congresso del PCR(b), tenutosi nell’ottobre 1952, cambiò nome e si chiamò Communist.

P.S. - Dovreste procurarvi il n. 3 del Bolscevik (2) (edizione di Mosca) e leggere il mio articolo ivi pubblicato. Questo vi faciliterebbe la soluzione del problema.

G. Stalin

10 febbraio 1926