La Voce 64 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII  marzo 2020

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L'Internazionale Comunista e la forma della rivoluzione socialista

Le oscillazioni che ci furono nell'IC relativamente alla forma della rivoluzione socialista tra colpo di Stato di forze armate lanciato dal Partito fiducioso che le masse popolari si sarebbero mobilitate e rivolta popolare che scoppia per iniziativa di varie forze politiche nel corso della quale il Partito prende il potere

L’Internazionale Comunista (Komintern) o Terza Internazionale fu fondata nel 1919 a Mosca per iniziativa del partito bolscevico e sciolta nel 1943. Nei 24 anni della sua esistenza sostenne gli sforzi rivoluzionari del proletariato e dei popoli oppressi in tutti i continenti, promosse la costituzione di partiti comunisti in ogni paese, aiutandoli a individuare la linea rivoluzionaria e a consolidarsi sul piano politico e ideologico, ebbe un ruolo essenziale nella difesa dell’Unione Sovietica, nella lotta contro il fascismo, contro il colonialismo e la minaccia di guerra, nella coesione delle forze rivoluzionarie internazionali.(1)

 

1. Alcuni dei partiti comunisti nell'ambito dell'IC raggiunsero grandi vittorie, altri (in particolare i partiti comunisti dei paesi imperialisti) non riuscirono a superare limiti e a correggere errori in modo da dare una guida vittoriosa alla grande mobilitazione delle masse popolari prodotta dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.

 

2. A questo proposito vedi Il ruolo storico dell'Internazionale Comunista, in La Voce 63 - novembre 2019, pagg. 56-60.

 

In quest’articolo non ci soffermiamo sul ruolo storico dell’IC, le sue conquiste e i suoi limiti.(2) Piuttosto vogliamo mostrare che i partiti comunisti dell’IC (le sezioni dell’IC) operanti nei paesi imperialisti, negli anni in cui si proposero come fine della loro opera l’instaurazione del socialismo (quindi nel periodo 1919-1943-1956, prima che i revisionisti moderni prendessero definitivamente la direzione di gran parte di essi), non riuscirono a raggiungere il loro obiettivo perché non ebbero una linea consapevolmente elaborata e definita e tanto meno una linea giusta rispetto alla forma della rivoluzione socialista che si proponevano di dirigere. Nella pratica oscillarono tra:

1. la concezione della rivoluzione socialista come una rivolta generale di masse mobilitate dalle condizioni oggettive e dall’opera di vari organismi politici, rivolta di cui il partito comunista (l’organismo dotato di una comprensione più avanzata delle condizioni, forme e risultati della lotta di classe) avrebbe approfittato per prendere il potere, instaurare il proprio governo e la connessa amministrazione pubblica che soppiantano quelli esistenti;

2. la concezione della rivoluzione socialista come insurrezione decisa dal partito comunista che dispone di forze rivoluzionarie militari e affini operanti ai suoi ordini e che conta, grazie all’azione di queste ultime, di trascinare le masse e di instaurare un suo governo e la connessa amministrazione pubblica che rimpiazzano quelli esistenti. Esempi di insurrezione sono quelle del 7-8 novembre 1917 in Russia e del 1945 nell’Italia del nord: un colpo di mano contro il governo esistente che il Partito lancia contando sulle proprie forze organizzate, nella fiducia di trascinare nel movimento le vaste masse popolari. L’esperienza ha confermato che l’insurrezione popolare è, in determinate circostanze, una manovra utile e necessaria all’interno di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.(3) Ma se i comunisti la assumono come strategia della rivoluzione, la forza delle cose li costringe a oscillare tra l’avventurismo e l’inerzia.

 

3. A questo proposito vedi La guerra popolare di Enrique Collazo, Edizioni Rapporti Sociali, Milano 1990

 

Entrambe le concezioni sono erronee. Esse sono mutuate dall’esperienza della rivoluzione borghese.

Oggi la questione della forma che bisogna dare alla rivoluzione socialista nei paesi imperialisti in generale, e in Italia in particolare, è ancora senza risposta per molti compagni che pure sinceramente aspirano al comunismo, che simpatizzano per il (n)PCI, che militano nel P.CARC, nel PC Rizzo, nel Fronte della Gioventù Comunista, nel PCI Alboresi, nelle miriadi di organizzazioni nelle quali oggi si aggrega la base rossa (i frammenti del PRC formato nel 1991), in singoli compagni che non hanno un’organizzazione politica di riferimento.

Alla rivoluzione socialista, per portarla alla vittoria, i comunisti devono dare la forma conforme alla sua natura: la forma di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata promossa dal partito comunista, non importa quanto grande esso è all’inizio della sua opera. L’importante è che esso si basi sulla scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la storia, la concezione comunista del mondo che oggi è il marxismo-leninismo-maoismo e che aggreghi intorno a sé le forze rivoluzionarie che via via forma tra le masse popolari rafforzando (elevando ed estendendo) la resistenza che esse spontaneamente oppongono al corso delle cose.

Il partito forma a diventare dirigenti e promotori della rivoluzione tutti quelli che via via si rendono disposti a impararlo, impegna tutte le forze di cui via via dispone per rafforzare la resistenza che le masse popolari oppongono alla borghesia, a partire dai proletari avanzati aggregati nelle aziende capitaliste e pubbliche. Li spinge a organizzarsi (formare Organismi Operai e Popolari - OO e OP) per difendere il loro posto di lavoro e i loro diritti prevenendo l’iniziativa del padrone. Spinge ogni OO e OP a estendere la sua influenza sul resto delle masse popolari fuori dalle aziende, a coordinarsi con gli organismi che in altre aziende e località svolgono la stessa funzione, ad assumere il ruolo di nuova autorità pubblica che dirige la resistenza delle masse popolari non ancora organizzate e contendere il terreno alle autorità borghesi e ai capitalisti. Contemporaneamente il Partito infiltra e indebolisce il sistema politico borghese approfittando delle sue contraddizioni. Quando la combinazione del Partito e di OO e OP ha raggiunto la forza sufficiente, impone nel paese il proprio governo e crea una propria pubblica amministrazione.

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Ancora oggi molto che si dichiarano comunisti si limitano a dimenarsi generosamente in lotte rivendicative o a darsi da fare per riconquistare presenza nelle istituzioni borghesi (parlamento, ecc.) o in entrambi i campi, vagheggiando “un mondo migliore”.

Ma la storia dell’umanità non è libera scelta degli uomini, delle idee, dei progetti di singoli: ai progetti dei singoli corrisponde la frammentazione in individui e gruppi, ognuno con il suo elenco di obiettivi (al quale corrisponde un centro organizzativo, un capo). I muri non li costruiamo agendo ognuno “come il cuor gli detta”, come gli aggrada, ma seguendo tutti le stesse e universali leggi dell’edilizia e usando i suoi strumenti: la libertà individuale si dispiega solo nei campi che non sono dettati dalla scienza e dalle tecnologia dell’edilizia. Una cosa analoga vale in ognuna delle attività con cui gli uomini trasformano la natura. Una cosa analoga vale nel fare la storia della società umana.

Il movimento comunista ha obiettivi immediati corrispondenti ai momenti e ai gruppi sociali a cui si riferisce, particolari e concreti. Questo è indispensabile per unire i comunisti e unire i comunisti alle masse, ma l’unità dei comunisti si compie sulla teoria comunista del mondo: l’instaurazione del socialismo è il fattore decisivo, il movimento è un mezzo. I movimenti sono particolari e concreti, l’obiettivo è unico.

Il movimento comunista oggettivo, quello a cui si riferivano Marx ed Engels quando in L’ideologia tedesca (1845) scrivevano (parafrasiamo): “il comunismo non è un modello di società da realizzare. Chiamiamo comunismo la trasformazione che oggettivamente la società umana sta compiendo”, è la trasformazione che è nella natura della società capitalista come l’embrione è nella natura dell’ovulo fecondato, il bambino è nella natura dell’embrione (Le due vie al comunismo, VO 15 ‐ novembre 2003, pagg. 47‐58). Prescinde dalle condizioni necessarie perché la trasformazione concretamente si compia.

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La traduzione in linee particolari e in operazioni concrete di questa concezione della forma della rivoluzione socialista è di per sé difficile. Chi non ne ha chiara neanche la concezione, si muove a tentoni, il contrario del sapersi orientare.

Lo studio dell’esperienza dell’IC ha contribuito a farci comprendere la forma che i comunisti devono dare alla rivoluzione socialista per portarla alla vittoria, all’instaurazione del socialismo.(4) Tutti i tentativi rivoluzionari dei partiti dell’IC fallirono miseramente: sia quelli incentrati sui colpi di mano organizzati dal partito comunista, sia quelli consistenti nella presa del potere da parte del partito comunista nel corso di una rivolta popolare.

Il fallimento dei primi (Amburgo, ottobre 1923; Reval in Estonia, dicembre 1924; Canton, dicembre 1926; Shanghai, ottobre 1926, febbraio 1927, marzo 1927) confermò la tesi enunciata da Marx contro Auguste Blanqui e gli altri promotori di sette rivoluzionarie: la rivoluzione proletaria non può avere la forma di un colpo di Stato, perché può essere solo opera delle masse popolari.

Ma il fallimento dei secondi (Germania 1918- 1919, Baviera 1919, Ungheria 1919, Italia 1919-1920, Austria - febbraio 1934, Asturie - ottobre 1934) confermò la tesi enunciata da Engels nel 1895:(5)La rivoluzione proletaria non ha la forma di una rivolta delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. Nello stesso contesto Engels aveva già enunciato anche la tesi che la rivoluzione proletaria per sua natura ha la forma di un’accumulazione di forze attorno al partito comunista, fino a invertire il rapporto di forza tra il campo popolare e la borghesia: “(...) quindi la classe operaia deve preparare fino a un certo punto già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”. Egli aveva inoltre mostrato che tale accumulo delle forze non poteva compiersi nella forma di aggregazione di consensi, voti e organizzazioni di massa attorno al partito comunista nell’ambito della democrazia borghese (cioè come “via parlamentare” o “via elettorale” al socialismo).

 

4. A questo proposito vedi I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale (paragrafo 1.1.1) e Quale partito comunista? in La Voce 45 - novembre 2013, pagg. 11-48 e Manifesto Programma del (n)PCI, paragrafo 3.3.

 

5. Vedi Introduzione a K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 e anche Manifesto Programma del (n)PCI, paragrafo 3.3

 

Un caso esemplare di concezione della rivoluzione come insurrezione decisa dal partito comunista: il fallito colpo di mano di Amburgo (ottobre 1923). Per comprendere il fallito tentativo rivoluzionario dell’ottobre del 1923 ad Amburgo bisogna partire (almeno) dal gennaio del 1923. In quel mese la Francia e il Belgio, per rifarsi del mancato pagamento delle riparazioni imposte alla Germania con il prestesto dei danni causati nella I Guerra Mondiale,(6) occuparono il bacino della Ruhr che da solo forniva alla Germania i 4/5 del fabbisogno di carbone e acciaio ed era il cuore della sua industria pesante. Quest’aggressione portò la Germania alla rovina: “(...) Il rapido acuirsi della situazione si è manifestato col carovita, la svalutazione, l’inflazione, l’enorme onere d’imposta, la disintegrazione del parlamentarismo, la rafforzata offensiva del capitale seguita a un’ancor debole offensiva del proletariato, la scarsità di generi alimentari, la riduzione dei salari, la parziale rinuncia alle conquiste sociali da parte della classe lavoratrice e inoltre, con l’accrescersi dei movimenti separatisti e particolaristi, l’aumentato depauperamento del vecchio e del nuovo ceto medio e l’attenuarsi dell’influenza dei partiti democratici intermedi. Tutto l’onere della guerra della Ruhr è stato scaricato sulle spalle del proletariato e degli strati medi sempre più proletarizzati (...). In molte province masse affamate si trascinavano armate per le campagne in cerca dei necessari mezzi di sussistenza. Vasti strati medi abbandonatisi alla disperazione sono rimasti incerti fra i due poli estremi che mostravano una via d’uscita: i gruppi comunisti e i gruppi fascisti. Nelle grandi città i saccheggi si susseguivano alle manifestazioni contro la fame, ai tumulti (...) le forze di classe, nei mesi che hanno preceduto l’inverno del 1923, si sono mosse costantemente a favore della rivoluzione proletaria. Dall’inizio dei moti della Ruhr i 18-20 milioni di proletari si sono mantenuti lontani da qualsiasi sentimento nazionalistico. Fra i 6-7 milioni di piccoli borghesi cittadini e i 4-5 milioni di coltivatori diretti, coloni e fittavoli si è manifestato un fermento profondo. La politica di coalizione democratica era evidentemente fallita”.(7)

 

6. A questo proposito vedi Elementi di storia. XX secolo di A. Camera e R. Fabietti, Ed. Zanichelli 2007.

 

7. Da Aldo Agosti La Terza Internazionale. Storia documentaria vol. 2 cap. 1 pag. 27, Editori Riuniti 1976.

 

8. La rivoluzione proletaria in Germania iniziò con le rivolte del novembre del 1918 che provocarono la caduta del governo e dello Stato imperiale e la fuga della Corte. Fece seguito l'insurrezione della Lega di Spartaco diretta da K. Liebknecht e Rosa Luxemburg. Dal gennaio al maggio 1919 ebbe luogo la repressione a opera delle truppe legate al Partito Socialdemocratico Tedesco dirette dall'allora ministro della Difesa G. Noske. La Repubblica Sovietica di Baviera fu liquidata nell'agosto 1919 e da allora la Baviera fu governata con pugno di ferro e ancora oggi è in Germania la piazzaforte della destra clericale cattolica. Analoga sorte conobbero la rivoluzione in Finlandia (tra il 1917 e il 1920) e in Ungheria (la rivoluzione si affermò nel marzo 1919 sotto la direzione di Bela Kun e venne stroncata nell'agosto del 1919 dall'intervento militare della Romania e dall'esercito controrivoluzionario dell'ammiraglio R. Horty sostenuti dagli Stati imperialisti). Nei Paesi Baltici le forze dell'aggressione imperialista e quelle reazionarie interne riuscirono ad avere il sopravvento e instaurarono repubbliche borghesi indipendenti in Estonia, Lituania e Lettonia. Moti rivoluzionari si ebbero in quegli anni in quasi tutti gli altri paesi dell'Europa. Nel marzo 1921 in risposta all’occupazione militare di un distretto minerario della Sassonia il KPD lanciò uno sciopero generale insurrezionale che venne duramente represso.

 

Dopo la fallita insurrezione comunista del marzo 1921 in Sassonia (8) e stanti le divergenze che, sull’onda della sconfitta, esplosero sia in seno al Partito comunista tedesco (KPD) che tra i dirigenti di quest’ultimo e l’IC, il KPD perse in brevissimo tempo più della metà degli iscritti. Il nuovo gruppo dirigente del Partito, in base alle direttive ricevute dal III congresso dell’IC (giugno-luglio 1921) elaborò una nuova linea politica. La nuova tattica di fase che doveva essere applicata su scala mondiale era quella del fronte unico: “(...) In occasione del III Congresso mondiale dell’IC sono stati minuziosamente discussi i compiti del Partito comunista tedesco in rapporto alla sconfitta del marzo 1921 ed è stata assunta la parola d’ordine: “Avanti con le masse!”. Nel dicembre dello stesso anno il metodo della conquista delle masse è stato concretato dalle decisioni dell’Esecutivo circa la tattica del fronte unico. In Germania il Partito comunista si è subito accinto a una seria attuazione della tattica del fronte unico. (...) Nello stesso tempo numerosi altri partiti hanno interpretato questa tattica in modo troppo meccanico, pensando che bastasse scrivere una volta al mese una lettera aperta di prammatica ai socialdemocratici e poi dimenticarsene”.(9) Con la parola d’ordine del fronte unico, il KPD aveva cercato di conquistare la base socialdemocratica e aveva stabilito rapporti meno tesi con la sinistra del Partito socialdemocratico che era particolarmente forte in Sassonia e in Turingia dove, nel 1923, erano al potere governi socialisti di sinistra in decisa opposizione al governo del Reich installato a Berlino. Si pose quindi il problema se, per sostenere la resistenza di quei governi locali, i comunisti dovessero entrare a farne parte. Il KPD si divise: alcuni erano favorevoli a entrare nel governo ritenendola un’azione conforme alla linea del fronte unico mentre altri vi si opponevano. Inoltre, con l’acutizzarsi dell’ingovernabilità del paese dall’alto e dal basso si pose anche il problema se non si era di nuovo creata in Germania una situazione che imponeva ai comunisti un ritorno alla linea precedente a quella del fronte unico.(10)

 

9. Da Aldo Agosti La Terza Internazionale. Storia documentaria vol. 2 cap. 1 pagg. 24-25. Editori Riuniti 1976.

 

10. Cioè quella di imporre un governo operaio e contadino (transitorio) copiando l'esperienza dei bolscevichi in Russia, ma senza i loro precedenti.

 

11. Da Aldo Agosti La Terza Internazionale. Storia documentaria vol. 2 cap. 1 pagg. 29-33, Editori Riuniti 1976.

 

In questa situazione di oscillazione del gruppo dirigente, il KPD entrò a far parte dei governi locali della Sassonia e della Turingia e, di fronte alla loro destituzione da parte del governo centrale, annullò ogni ordine insurrezionale anche in altre regioni dove aveva preparato l’inssurrezione. Solo ad Amburgo i compagni del KPD non accettarono il contrordine e tentarono il colpo di mano ma, in mancanza di una rete di nuovo potere (di consigli) della classe operaia, il tentativo fu duramente represso. È particolarmente educativo leggere la Risoluzione del Comitato Esecutivo dell’IC sugli insegnamenti degli avvenimenti tedeschi del 19 gennaio 1924.(11)

In essa sono sintetizzati:

1. le carenti valutazioni dello sviluppo rivoluzionario: “(...) Troppo tardi il partito ha riconosciuto lo stadio di maturità della situazione rivoluzionaria in Germania. Anche l’Esecutivo dell’IC non ha tenuto sufficientemente conto dell’imminenza del momento decisivo”,

2. gli errori tattici: “(...) il partito ha trascurato la realizzazione di un’energica e viva agitazione sulle funzioni dei consigli politici dei lavoratori e lo stretto collegamento di rivendicazioni transitorie e lotte parziali con lo scopo finale, quello della dittatura del proletariato”,

3. le debolezze e carenze politico- organizzative: “(...) Il partito ha sviluppato soltanto in scarsa misura la capacità di rafforzare organicamente la propria crescente influenza nelle organizzazioni di massa del proletariato. Ancor meno ha saputo concentrare le sue forze per un periodo di tempo prolungato su un unico obiettivo di lotta”,

4. gli errori nella valutazione dei rapporti di forza: “(...) il concetto secondo il quale l’azione è lotta di partito concentrata unicamente sul “colpo fatale” senza precedenti azioni parziali e movimenti di massa, ha impedito di saggiare il reale rapporto delle forze rendendo impossibile un’opportuna scadenza di termini. (...) [Con la rivolta di Amburgo] si è dimostrato che con un improvviso e ardito attacco di forze ben risolute l’avversario avrebbe potuto essere militarmente sopraffatto al primo colpo. Ma si è in pari tempo dimostrato che una lotta armata di questo genere anche quando viene accolta dalla popolazione non senza simpatia ed è sostenuta da un movimento di massa, è tuttavia destinata al fallimento se rimane isolata e non è sorretta in loco da un movimento di consigli, cosa di cui ad Amburgo si è particolarmente sentita la mancanza”.

 

Un caso esemplare di concezione della rivoluzione che il partito comunista compie approfittando di una rivolta popolare: l’insurrezione dell’ottobre 1934 nelle Asturie.(12) Nei primi decenni del ’900 la guerra di Spagna (1936-1939) è stato uno degli episodi più importanti nell’ambito della situazione rivoluzionaria in sviluppo. Stiamo parlando di un paese che era ancora in larga misura contadino e con un’agricoltura arretrata, una forte disparità tra il ristretto ceto dei grandi proprietari parassitari le cui aziende coprivano più della metà della superficie agraria e il resto della popolazione rurale. L’unica regione relativamente industrializzata era la Catalogna, nella cui capitale, Barcellona, viveva un proletariato industriale soggetto a duro sfruttamento. Anche in Spagna, dopo la vittoria dei bolscevichi in Russia si andò diffondendo il significato di quell’avvenimento epocale per la storia dell’umanità e gli operai e le masse lavoratrici accolsero la vittoria bolscevica con entusiasmo. Per i proprietari terrieri, il clero e la borghesia fu come un fantasma che minacciava di turbare la loro serena esistenza. Le contraddizioni di classe si acutizzarono tanto che, con il successo delle sinistre nelle elezioni amministrative del 1931, venne imposta un’avanzata costituzione repubblicana e il Re Alfonso XIII abbandonò la Spagna. Nella repubblica prevalsero inizialmente i partiti politici progressisti. Essi attuarono una serie di riforme volte ad ammodernare il paese, a sottrarlo al tradizionale clericalismo e ad eliminare almeno le più clamorose ingiustizie sociali. Ma nelle elezioni politiche del novembre 1933 le destre ripresero il sopravvento, abrogarono le riforme già attuate, bloccarono le riforme in corso di attuazione e instaurarono un regime autoritario. Ne seguirono vari moti contadini e operai sotto la direzione del PCE. Ma una delle sollevazioni popolari maggiormente represse nel sangue fu quella dei minatori delle Asturie (ottobre 1934): con l’assalto e la conquista in poche ore di oltre cinquanta caserme della Guardia Civil, una volta conquistato il controllo della fabbrica militare di Trubia e di alcuni depositi di armi dell’esercito, gli insorti instaurarono per quindici giorni il potere operaio. Dopodiché l’esercito, guidato dal generale Franco e da altri militari fascisti, venne a capo della situazione che costò tra i rivoluzionari circa 3.000 morti, 7.000 feriti e 40.000 incarcerati.(13)

Alcuni mesi dopo la sconfitta, José Dìaz (14)riconosceva, nel suo intervento al VII congresso dell’IC che, alla vigilia dell’insurrezione, il PCE era molto impreparato dal punto di vista tecnico e organizzativo a dirigere il movimento insurrezionale.(...) Questa mancanza di previsione dipendeva dalle concezioni che il PCE conservava su diversi problemi tattici, quali la partecipazione alle elezioni o l’unità della classe operaia e, in definitiva, dalla nuova linea di sviluppo della rivoluzione che, in qualche modo, si stava cercando. In tutto ciò rientravano anche i metodi di lotta del proletariato e, più concretamente, l’insurrezione”.(15)

Tali oscillazioni non riguardavano solamente il PCE ma covavano anche negli stessi organi dell’IC: ne era un chiaro esempio il manuale l’Insurrezione armata, compendio elaborato nel 1928 dalla direzione dell’IC in collaborazione con specialisti militari sovietici sotto lo pseudonimo di A. Neuberg.(16)

 

12. Per un bilancio organico delle esperienze dell'intero arco della vita del Partito Comunista Spagnolo (PCE), vedi PCE(r) La guerra di Spagna, il PCE e l'Internazionale Comunista (1995), Edizioni Rapporti Sociali, Milano 1997.

 

13. A questo proposito vedi Elementi di storia. XX secolo, cap. 47, paragrafo 5, di A. Camera e R. Fabietti, Ed. Zanichelli 2007.

 

14. José Dìaz era membro del Comitato Centrale del PCE dal marzo 1932 e dal giugno successivo divenne segretario generale. Sotto la sua direzione il PCE conobbe un notevole rafforzamento in termini politici e organizzativi. Dal 1936 fu gravemente ammalato di TBC, nel dicembre del 1938 dovette lasciare la Spagna. Morì in esilio nel 1942.

 

15. Da PCE(r) La guerra di Spagna, il PCE e l'Internazionale Comunista, Edizioni Rapporti Sociali, Milano 1997, pag. 88.

 

16. Enrique Collazo in La guerra rivoluzionaria scrive: “Con tale opera si pretendeva di fornire al movimento operaio e comunista una guida per l'organizzazione e la conduzione delle insurrezioni future, mentre, in realtà, essa rappresentava un regresso rispetto a tutte le esperienze che si erano andate accumulando da molto prima della Comune di Parigi e, in particolare, rispetto agli insegnamenti delle due grandi rivoluzioni russe sintetizzate da Lenin. Il libro (...) torna indietro, alle posizioni del putschismo, del colpo di mano portato a termine da una minoranza e all'avventurismo (...). La causa principale di questo regresso nel campo della teoria e della pratica rivoluzionaria (...) consiste nel fatto che i dirigenti dell'Internazionale non avevano ancora compreso, all'epoca, l'impossibilità, nella nuova tappa della lotta di classe che si apre dopo la rivoluzione sovietica, di ripetere in altri paesi l'insurrezione d’Ottobre 1917. Questa è la ragione che spiega molti degli errori commessi (...) e le numerose sconfitte delle insurrezioni che scoppiarono dopo l'Ottobre del 1917 in diversi paesi (...)”.

 

 

Conclusioni A conclusione del bilancio dell’esperienza dell’IC dobbiamo ripetere, parafrasando, quello che disse Mao nel 1940 a proposito della rivoluzione proletaria in Cina: “Per più di vent’anni noi abbiamo fatto la rivoluzione senza avere una concezione chiara e giusta della rivoluzione, abbiamo agito alla cieca: da qui le nostre sconfitte”.(17) Ma dobbiamo aggiungere un pezzo: quelli che sono fermi alla concezione del primo movimento comunista (1917-1976) dei paesi imperialisti, trascurano che quel movimento non ha instaurato il socialismo nonostante l’eroica dedizione alla causa di milioni di comunisti e proletari e, nel migliore dei casi, ripetono quegli stessi errori. Noi comunisti del (n)PCI non dobbiamo limitarci a dire che “la rivoluzione non scoppia, si costruisce”: nostro compito è agire in modo da ricavare dalle azioni degli altri (individui, gruppi e classi) quanto più è possibile per far avanzare la mobilitazione delle masse popolari nella rivoluzione che promuoviamo e che sfocerà nell’instaurazione del socialismo, fare in modo che le azioni degli altri giovino alla nostra causa quali che siano le loro intenzioni e aspirazioni, spingerli a fare quello che più giova alla rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista non scoppia, la rivoluzione socialista è un rivolgimento sociale e lo fanno i proletari, i comunisti sono quelli che lo promuovono: li mobilitano e dirigono a farlo.

Achille P.

 

17. Vedi Sulla forma della rivoluzione proletaria, in La Voce 1 marzo 1999, pagg. 23-35.