La Voce 60 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - novembre 2018

Scaricate il testo in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

Allargare la breccia

Mimmo Lucano e la costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza

  

La vicenda di Mimmo Lucano, sindaco di Riace, finito nel mirino della Procura di Locri nel 2014 (governo Renzi) con diverse accuse tra cui favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento del servizio rifiuti, è uno dei temi su cui nel nostro paese si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica e anche la mobilitazione popolare su spinta principalmente dei fautori delle Larghe Intese e della sinistra borghese di vecchio tipo.

- I fautori delle Larghe Intese e la stampa di regime (Repubblica, Espresso e simili) di area PD, usano strumentalmente il caso di Mimmo Lucano contro il governo M5S-Lega che hanno dovuto ingoiare dopo il 4 marzo per riprendere “ufficialmente” in mano le redini del paese. Questo gruppo, in combutta con il Vaticano, deve difendere con le unghie e con i denti “il sistema dell’accoglienza” da cui trae profitti sulla pelle degli immigrati (cooperative, progetti SPRAR, ecc.) che il governo M5S-Lega mette effettivamente in pericolo con il Decreto Sicurezza e con il cambio di passo nella politica “dell’accoglienza” (in realtà della persecuzione e dello sfruttamento), in particolare nel rapporto con l’UE. Per chiarezza, è con il governo Renzi nel 2016 che si è avviata la fase finale dell’inchiesta contro Lucano!

- La sinistra borghese di vecchio tipo (PCI di Alboresi, PRC, PaP, RdC, ecc.) usa la vicenda di Lucano a conferma della “fascistizzazione” del paese ad opera dei “fascio-leghisti” e che quello M4S -Lega è “il governo più a destra della storia repubblicana” (mostrando una certa memoria corta). In maniera opportunista o ingenua, questo gruppo di fatto affianca le forze delle Larghe Intese e avalla il sistema che esse difendono e le macerie cui hanno ridotto il nostro paese.

La politica dell’accoglienza mascherata dalla propaganda umanitaria (restiamo umani!) e senza criteri di classe (fratelli e sorelle anziché proletari) ha due gravi conseguenze:

- crea un bacino di uomini e donne che capitalisti, clero e criminalità organizzata si spartiscono a seconda del proprio campo di azione: sfruttamento della prostituzione femminile e giovanile, sfruttamento nei campi per la produzione agricola gestito dal caporalato, arruolamento per attività illecite come lo spaccio. Questa è la fine che fanno molti degli immigrati “accolti”;

- crea una massa di uomini, donne e bambini bisognosi di assistenza e via via educati all’assistenzialismo anziché alla lotta di classe, fattore che, nella situazione in cui la borghesia ha ridotto il nostro paese, alimenta oggettivamente la guerra tra poveri.

Per quanto riguarda la sinistra borghese di nuovo tipo (il M5S) e anche la Lega, noi comunisti commetteremmo un grave errore a trattarle in modo schematico, fermandoci alle loro caratteristiche principali ed evidenti. Per quanto riguarda il M5S, il legalitarismo cieco frutto 1. della fiducia nella democrazia borghese (dell’incomprensione che essa è dittatura della borghesia e dell’incomprensione del regime particolare del nostro paese, cioè la Repubblica Pontificia) e 2. della concezione riformista (secondo il M5S per cambiare il paese bisogna e basta cambiare le leggi). Per quanto riguarda la Lega, le tendenze reazionarie che lo sciacallo Salvini non risparmia di esternare in termini di propaganda (salvo poi guardarsi bene dal mandare le famose ruspe nelle aziende agricole del nord piene di lavoratori immigrati, ingaggiati e fatti lavorare al di fuori di leggi, regole e contratti vigenti).

Dobbiamo tener conto che né il M5S né la Lega sono ciò che erano fino a prima del 4 marzo. Ora non sono più forze di opposizione. Ora sono “il governo del paese” che loro stessi hanno definito “governo del cambiamento”, il loro operato, le misure e le soluzioni che adottano o che non adottano sono sotto osservazione, minaccia e pressione:

- delle masse popolari, alle quali M5S e Lega sono vincolati dal mandato elettorale e dal rispetto di alcune promesse (in particolare Fornero, Jobs Act, lavoro, ambiente, ecc.);

  - dei “poteri forti” (i grandi gruppi imperialisti italiani con le loro associazioni e internazionali con le loro istituzioni, il Vaticano con le sue Congregazioni e Diocesi, la criminalità organizzata) che tentano di ristabilire il loro sistema, quello delle Larghe Intese;

- della sinistra borghese di vecchio tipo.

Al di là delle finalità con cui ogni gruppo tratta la vicenda di Mimmo Lucano, il fermento e il sommovimento che questa ha alimentato nel paese sono un fattore di cui noi comunisti dobbiamo e possiamo approfittare per farli contribuire alla  costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza.

In questo senso sottolineiamo che il principale merito di Mimmo Lucano è il contributo che dà alla comprensione e allo sviluppo di questo processo: l’aspetto “umanitario” della sua opera è importante ma secondario.

La costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza è una tendenza oggettiva, spinta dal corso delle cose: essa è frutto della lotta di classe per porre fine al corso catastrofico delle cose che il sistema capitalista impone alle masse popolari del nostro paese e a quelle che qui approdano per sfuggire alle guerre e allo sconvolgimento economico e sociale che gruppi e Stati imperialisti portano nei paesi oppressi da quando si è esaurita la prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) ed è iniziata la seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale.

Il caso di Mimmo Lucano pone con chiarezza due questioni: 1. il rapporto tra enti locali e governo centrale, 2. il bivio di fronte al quale si trovano gli amministratori locali.

  

1. Il rapporto tra enti locali e governo centrale

Per comprendere a fondo il rapporto tra enti locali e governo centrale zona per zona e giovarsene ai fini della rivoluzione socialista nel contesto attuale della lotta di classe, bisogna tener conto della storia variegata da zona a zona delle autonomie locali in Italia. La contraddizione tra governo centrale ed enti locali affonda le sue radici nella storia del nostro paese. In Italia il passaggio dalle istituzioni politiche e sociali feudali e clericali a quelle della società borghese si è svolto nella seconda parte dell’Ottocento all’insegna di “cambiare tutto per non cambiare niente”. In questa storia si combinano lotta tra classi dominanti e masse popolari e lotta tra da una parte il Papato e le forze feudali e clericali da esso capeggiate e dall’altra la borghesia e la Monarchia padrone del nuovo Stato e del suo governo centrale. Per vari decenni dopo l’unità d’Italia (1861) il Vaticano e la sua Chiesa sostennero e alimentarono le tendenze autonomiste dei gruppi di potere locali contro il governo centrale che aveva sistematicamente coperto il paese con una rete di Prefetti, Carabinieri, Polizia, Forze Armate e agenzie locali di altre istituzioni centrali che facevano capo a Roma.

Durante il fascismo vi fu in generale una regressione nell’autonomia degli enti locali. Per accentrare il potere il regime impose più che vi riuscì al vertice degli enti locali funzionari statali di carriera e autorità di nomina governativa (podestà e presidenti di provincia) in sostituzione di quelle elettive (sia pure nei limiti del diritto al voto allora vigente). I consigli comunali erano ridotti a “consulte” (legge del 4 febbraio 1926) e il Testo Unico del 1934 aveva definito gli enti locali come enti “ausiliari” dello Stato.

Con la Liberazione il processo di costruzione delle autonomie locali si rimise in moto soprattutto tramite il CLN e il PCI come parte della costruzione del nuovo potere che doveva nascere dalla vittoria della Resistenza. Da un capo all’altro del paese, dalle zone operaie del Nord alle zone bracciantili del Sud, la lotta delle classi oppresse si espresse anche in una forte spinta all’emancipazione degli enti locali dal governo centrale. Essa è sancita anche nella Costituzione del 1948. In particolare l’articolo 5 stabilisce l’autonomia degli enti locali e l’articolo 118 regola il rapporto tra governo centrale ed enti locali secondo il principio di sussidiarietà (l’organismo superiore esercita solo i poteri che per loro natura superano l’ambito territoriale di competenza dell’organismo inferiore).

  Questa spinta all’emancipazione degli enti locali poneva alla Repubblica Pontificia un doppio problema: riconoscere effettivamente le autonomie locali e applicare la Costituzione significava nei fatti non solo 1. riconoscere e avallare l’azione del PCI, passato da cinque-seimila iscritti nel 1943 a quasi due milioni nel 1946 e che controllava di fatto numerose amministrazioni locali, ma anche 2. mettere a rischio la natura parassitaria del governo centrale e della sua Amministrazione Pubblica rispetto agli enti locali. I vertici della Repubblica Pontificia avevano invece bisogno di mantenere intatto il sistema di potere centrale su cui essa si fondava: gli enti locali dovevano essere sua espressione. Questa contraddizione ha generato la repressione sistematica delle spinte all’autonomia locale tramite il sabotaggio e la manomissione della Costituzione (le regioni, a parte quelle a statuto speciale, verranno create solo dopo che la collaborazione del PCI con la Repubblica Pontificia è garantita dall’attenuazione del carattere di classe del PCI) e si è esplicitata in una lotta costante tra accentramento del potere nello Stato e decentramento negli enti locali.

*****

Antifascismo popolare e antifascismo padronale

L’antifascismo popolare è fatto di valori e di lotta contro i padroni e i loro servi, di mobilitazione delle classi e dei gruppi oppressi contro i grandi gruppi imperialisti italiani e la loro Comunità internazionale con le sue istituzioni (UE, BCE, FMI) e il suo braccio armato (NATO), contro il Vaticano con le sue Congregazioni e Diocesi, contro la criminalità organizzata. L’antifascismo popolare ha al suo centro la lotta per instaurare il socialismo. L’antifascismo popolare ha alla sua testa i comunisti e i lavoratori avanzati.

L’antifascismo che il PD e i suoi satelliti promuovono è una parodia dell’antifascismo popolare e un insulto alla Resistenza. Napolitano e i suoi compari di ieri e di oggi sono andati a braccetto con Berlusconi dietro le quinte del teatrino della politica borghese e hanno tenuto corda ai promotori della mobilitazione reazionaria. Prima hanno accettato che la Repubblica Pontificia mantenesse nello Stato, nella società civile e nell’economia i fascisti e i loro eredi ai posti e nelle funzioni che avevano occupato durante il regime fascista. Poi hanno anche direttamente riabilitato valori, cultura, miti, procedure e figure del fascismo. Hanno fatto proprie le procedure criminali del fascismo contro le masse popolari (i campi di concentramento per immigrati ne sono una chiara dimostrazione) e calpestato le prescrizioni popolari e antifasciste della stessa Costituzione del 1948. Hanno ridotto a vuoto e ipocrita cerimoniale le celebrazioni della lotta contro il fascismo e della Resistenza.

L’antifascismo padronale del PD e dei suoi satelliti non è strumento per accalappiare voti e procurarsi militanza gratuita e, dopo il 4 marzo, per cercare di tornare al governo del paese solo se lo usiamo per sviluppare l’antifascismo popolare.

*****

Nel 1947 si costituisce a Firenze la Lega dei comuni democratici: con essa i comuni si uniscono per risolvere problemi di varia natura (dal riassetto delle finanze comunali all'accanimento dei prefetti contro i consigli tributari e contro la gestione diretta delle imposte sui consumi (i dazi) da parte dei comuni).

Già nel 1948 il governo avvia il processo di trasferimento di servizi pubblici dallo Stato ai comuni (Legge 26 marzo del 1948, che entra in vigore nel 1952): fare degli enti locali agenzie territoriali dell’amministrazione statale, analogamente alle stazioni dei Carabinieri, le Case Cantonali, ecc.

Il governo decentra l’esecuzione dei servizi e accentra il potere, soffocando e reprimendo lo sviluppo delle autonomie locali. Se la legge Scelba del 1953 è inapplicabile per la mancata istituzione delle regioni, è invece di “immediata applicazione” per quanto riguarda l’irrigidimento dei controlli dello Stato sugli enti locali. Quando entrerà in vigore l’ordinamento regionale, diventerà operativo il Comitato regionale di controllo sugli atti di comuni, province ed altri enti locali (CORECO).

  Dal 1948 ad oggi, è infinito il giro di leggi e riforme sugli enti locali. Il decennio di riforme che inizia nel 1990 con la legge che sancisce l’autonomia di comuni e province (come per le regioni) e stabilisce l'attribuzione di risorse finanziarie, passa per le leggi Bassanini del 1997-1999 (su decentramento e semplificazione amministrativa) e si conclude nel 2000 con il nuovo Testo Unico degli Enti Locali (TUEL). Esso soppianta definitivamente quello fascista del 1934. Tuttavia già nel 2001 si riapre la battaglia sul Titolo V (Le regioni, le province, i comuni) della Parte II della Costituzione del 1948 e sulle autonomie locali.

Tra l’autonomia promessa e l’autonomia concessa, anche la storia legislativa degli enti locali è lo specchio dello sviluppo lento e soffocato che la Repubblica Pontificia ha impresso al nostro paese per mantenere intatta la propria natura parassitaria e criminale.

Dopo la svolta degli anni ‘70-‘80 (la fine del capitalismo dal volto umano e l’inizio della nuova crisi generale del capitalismo), i partiti delle Larghe Intese, in combutta con il Vaticano, tentano di governare il paese  intessendo una fitta rete di vincoli economici (tasse, patto di stabilità, ecc.). La storia della lotta per spezzare questi vincoli e rendere inapplicabili le riforme intrise di spirito feudale che i vertici della Repubblica Pontificia promuovono, mostra bene che del nostro paese l’autonomia degli enti locali è un aspetto importante della lotta di classe.

  

2. Il bivio degli amministratori locali: sindaci o sceriffi?

Inquadrata storicamente la lotta tra governo centrale ed enti locali, emerge bene che i sindaci come Mimmo Lucano sono principalmente espressione della lotta di classe e non solo di particolari qualità individuali (che certamente sono importanti nella misura in cui sono utili a lottare più a fondo, ma non decisive).

Andando oltre l’individuo e il caso specifico del sindaco di Riace, tappe importanti della lotta tra governo centrale ed enti locali sono state:

- il ruolo che le OO e OP e le masse popolari hanno assunto nella lotta politica borghese, sfruttando gli spazi di agibilità del teatrino della politica, in particolare irrompendo con proprie liste alle elezioni amministrative, come ha fatto nel 2011 il movimento NO TAV che ha portato diverse amministrazioni comunali della Val Susa a dichiararsi Comune NO TAV;

- l’allargamento del fronte dei sindaci e dei comuni “sul piede di guerra” contro le politiche dei governi delle Larghe Intese. La morsa dei vincoli e i diktat (le imposizioni) del governo centrale e la resistenza delle masse popolari contro le “leggi ingiuste” hanno alimentato la mobilitazione, l’aggregazione e il coordinamento tra amministratori/amministrazioni, al di là degli organi istituzionali (come l’ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani): la rete dei Comuni Virtuosi (di cui Riace fa parte), la rete delle Città in Comune (promossa da esponenti del PRC), la rete dei Comuni Solidali, la Rete dei Comuni dimenticati (in particolare piccoli comuni montani attivi sul fronte della difesa della sanità pubblica e contro le unioni-fusioni di comuni), il Partito dei Sindaci, formato da oltre 400 amministratori (nato su spinta di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma ed ex M5S e di Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri (RM), promotore quest’ultimo dell’iniziativa “qui c’è un sindaco antifascista” dopo i fatti di Pavia - ad inizio 2018 elementi di estrema destra avevano minacciosamente “marchiato” le abitazione di antifascisti), le città legate ad Attuare la Costituzione (aggregato promosso dal vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena), tra cui Napoli, Latina, Terre Roveresche - unione di comuni in provincia di Pesaro-Urbino), i sindaci e le amministrazioni NO TAP (90 sindaci che si battono contro la grande opera a fianco dei comitati popolari), le amministrazioni del M5S e le amministrazioni della Lega, entrambe ora anche espressioni locali del nuovo governo centrale M5S-Lega e che per questo assumono un ruolo particolare, di cui diciamo in seguito.

  Tutti questi aggregati, nati per contrastare il progressivo esautoramento degli enti locali che negli ultimi anni ha subito una notevole accelerazione (obbligo del pareggio di bilancio, Legge Sblocca Italia, gestione commissariale delle grandi opere, ecc.), si sono formati in opposizione ai governi delle Larghe Intese e al “programma comune” della borghesia imperialista che questi attuavano. Questo

- da una parte ne determina la natura: sono associazioni “anomale” nel senso che tendono alla rottura con il governo centrale e alla disobbedienza alle “leggi ingiuste”; su alcune questioni (grandi opere, difesa della sanità pubblica, ambiente) si legano alle OO-OP e alle masse popolari: un esempio positivo in questo senso è la Consulta Popolare della Sanità e Salute del Comune di Napoli, nata su spinta dei comitati di lotta in difesa della sanità pubblica con l’obiettivo di esercitare il controllo popolare nei luoghi di lavoro a partire dagli ospedali pubblici - ad essa il sindaco, tramite un Decreto Sindacale, ha conferito ufficialità (anche se la battaglia per effettuare le ispezioni è ancora in corso);

- dall’altra parte ne ha qualificato finora l’operato: la tendenza ad essere contro le Larghe Intese si è finora espressa a livello individuale, come tendenza spontanea ed elementare, complessivamente poco coordinata nelle iniziative comuni da mettere in campo. In questa direzione rientrano le prese di posizione sull’antifascismo, le mozioni che negano agibilità ai fascisti, le manifestazioni e le iniziative di accoglienza verso gli immigrati (ad es. gli ordini di apertura dei porti nel caso della nave Aquarius da parte di Napoli, Palermo, Taranto, Messina e Reggio Calabria), la mobilitazione lanciata a maggio 2018 da De Magistris contro il “debito ingiusto”, ecc.

Nel loro “essere contro”, i referenti delle iniziative che questi aggregati promuovono sono stati principalmente i vertici della Repubblica Pontificia anziché le masse popolari; queste sono viste (opportunisticamente o ingenuamente) come massa di manovra per esercitare pressioni sul governo, da incitare e mobilitare in fase elettorale oppure, come tende a fare De Magistris, a difesa della propria amministrazione quando questa è sotto attacco. Proprio in questo sta la concezione da sinistra borghese di questi aggregati.

La fase politica aperta dal governo M5S-Lega alimenta il fermento e l’agitazione di questi aggregati. Noi comunisti dobbiamo e possiamo valorizzare questa agitazione

- sviluppando la tensione positiva di questi aggregati a individuare i disastri, gli inganni e le opere inutili e dannose promosse dai governi delle Larghe Intese e assunte dalla parte del governo M5S-Lega che agisce in continuità con la loro opera (un caso esemplare è l’assenso al TAP) e a denunciare gli illeciti e le misure antipopolari in iniziative per reperire mezzi e risorse necessarie a spezzare le “manine” dei poteri forti e per dare sostegno pratico (non solo morale) alle masse popolari;

- mobilitando le OO-OP a fare pressione sulle amministrazioni locali perché passino ai fatti nella rottura con il sistema delle Larghe Intese, facendo leva sulla natura contraddittoria e provvisoria del governo M5S-Lega e portando all’estremo le contraddizioni più evidenti: il lavoro utile e dignitoso per tutti (italiani e immigrati), la salvaguardia delle aziende, la manutenzione dell’ambiente e del territorio (non si può morire per un acquazzone!), l’applicazione della Costituzione (questa comporta che a livello locale le amministrazioni vi diano seguito con misure e soluzioni che vanno al di là delle leggi vigenti).

  

  Le Amministrazioni Locali del M5S (ad oggi 45 comuni, Roma, Torino e Livorno quelli principali) sono un aggregato di AL formatesi contro le Larghe Intese (e questo le accomuna agli altri tipi di aggregati di AL sopra elencati) che hanno delle caratteristiche specifiche: in linea di massima, quello su cui si concentrano è il tentativo di tradurre in misure di governo locale le “cinque stelle” simbolo del M5S (acqua, ambiente, trasporti, connettività, sviluppo), obbedendo ai principi di onestà e legalità (borghese). Il legalitarismo è uno dei principali limiti degli esponenti di queste amministrazioni e il principale bastone tra le ruote che essi stessi mettono alla loro azione di “buoni amministratori”. Il sindaco di Livorno Nogarin prevede di pubblicizzare il servizio idrico non subito ma nel 2031, perché non riuscirebbe a togliere di mezzo i concessionari privati dell’acqua; la sindaca di Roma Raggi ha affidato a un Tribunale la decisione sulla privatizzazione di ATAC (azienda partecipata del trasporto pubblico). Sono due esempi di rispetto della legalità (borghese) che non fa altro che favorire e preservare i privilegi (privatizzazioni, speculazioni, intrallazzi, burocrazia, ecc.) di quegli stessi poteri forti, di quella stessa “casta” che il M5S è nato per e ha promesso di spodestare.

A questo si aggiunge l’interclassismo: non tengono conto che la popolazione è divisa in classi sociali, quindi tendono a colpire ugualmente i grandi speculatori e le masse popolari, con la differenza che i primi hanno nel patrimonio e nella ricchezza una via di salvezza (e fondamentalmente multe, pignoramenti, ecc. non li scalfiscono), le seconde si ritrovano ancora di più angariate.

Anche la loro tensione positiva al “bene comune” è depotenziata e ostacolata dalla concezione riformista, secondo cui sarebbe possibile cambiare il paese anche operando solo dall’alto, cambiando le leggi secondo le quali dovrebbe funzionare.

  

Le Amministrazioni Locali della Lega

Perché definiamo “anomale” le Amministrazioni Locali della Lega? Principalmente perché nella compagine delle Larghe Intese che fa capo al centro destra (ai sui vecchi e nuovi leader, da Bossi e Maroni a Salvini fino ai compari Berlusconi e Meloni) costituiscono una contraddizione più marcata rispetto a quella costituita dalle giunte arancioni e dalle altre AL guidate dalla sinistra borghese nella compagine delle Larghe Intese facente capo al PD e satelliti. Infatti la Lega, pur essendo stata una forza di governo che ha lavorato per anni in combutta con le Larghe Intese attuando il “programma comune” della borghesia imperialista, ha conquistato consenso tra le masse popolari del Nord facendo leva su alcuni aspetti specifici:

- una base elettorale di riferimento costituita da piccoli e medi imprenditori strozzati dalla crisi, dalle misure economiche della UE e dalla pressione fiscale,

- la contrapposizione tra il produttivo Nord e il parassitario Sud da dove provenivano larga parte dei funzionari esecutori delle angherie del governo centrale e la guerra dichiarata (parolaia) a “Roma ladrona” con tutti i suoi ministeri e funzionari,

- la contrapposizione agli amministratori “di sinistra” che perdevano seguito perché imponevano localmente la devastazione del territorio e l’incuria degli interessi delle masse popolari implicite nel “programma comune”.

  La Lega ha investito molto nella propaganda reazionaria contro “terroni” e stranieri (e questo è il volto che viene strumentalmente mostrato dai media di regime ligi alle Larghe Intese), ma ha cavalcato il malcontento per l’impoverimento delle masse popolari causato dall’avanzare della crisi e che ha portato al fallimento di piccole e medie aziende nei territori in cui è presente. La pressione fiscale e i balzelli (TV, salute, ecc.) sono stati cavalli di battaglia storici della Lega, che hanno contribuito a renderla “anomala” rispetto al resto del centro destra. Il risultato di queste prese di posizioni è sempre stato un nulla di fatto, perché fondamentalmente ha propagandato e proclamato battaglie pratiche che non ha mai iniziato e organizzato concretamente (come nel caso dello sciopero fiscale) o battaglie di pura immagine (come nel caso dei referendum per l’autonomia delle Regioni Lombardia e Veneto promossi nel 2017).

Lo sciopero fiscale è un caso emblematico: indetto per la prima volta nel 1992 da Gianfranco Miglio per non pagare le tasse a Roma, riproposto da Maroni nel 1993 e poi nel 1997 e nel 2007 da Calderoli, che a parole lo ha trasformato in “secessione fiscale” (pagare le tasse alle regioni anziché a Roma, cioè allo Stato). Anche Salvini, da consigliere del Comune di Milano (giunta Moratti), ha presentato una mozione per aprire un conto corrente su cui versare le tasse locali ed evitare che venissero “buttate a Roma” e infine, nel 2012, ha lanciato l’ultimo sciopero fiscale contro l’IMU, che ha lasciato cadere nel vuoto.

*****

Riflessioni sui risultati elettorali della Lega

Le elezioni amministrative di giugno 2018 hanno rappresentato per la Lega una svolta: oltre a confermare un largo consenso nelle regioni del Nord, in questa tornata elettorale la Lega è avanzata anche nel resto del paese, come in Toscana ed Emilia Romagna, non tanto moltiplicando i comuni amministrati, quanto sottraendo alle Larghe Intese città importanti come Siena, Massa e Pisa, storici feudi del PD.

Se le Larghe Intese e la sinistra borghese al suo seguito hanno gridato alla fascistizzazione del paese (ormai inesorabile secondo loro), noi dobbiamo analizzare i risultati elettorali tenendo conto di alcuni fattori:

- il crescente disgusto delle masse popolari verso le Larghe Intese e la forza e il consenso elettorale raccolto dal M5S hanno spinto Salvini a staccarsi progressivamente dai suoi ex compari del centro destra, a partire da Berlusconi. Salvini, all’interno della compagine di centro destra è diventato la principale “forza antisistema”, il portavoce della sovranità nazionale contro l’Europa delle banche e dell’austerity, l’antitesi “a parole” della sottomissione ai poteri forti. Al tentativo di golpe bianco ordito da Mattarella per impedire la formazione del governo Lega-M5S, molti amministratori della Lega hanno risposto rimuovendo dagli uffici pubblici le foto di Mattarella, con tanto di scritta “Mattarella non è il nostro Presidente” e ricorrendo alla mobilitazione di piazza per il rispetto del voto del 4 marzo;

- per quanto la questione sicurezza (guerra contro immigrati e clandestini, come sintetizzato nel Decreto Sicurezza) rimanga uno dei cavalli di battaglia della Lega, per rendersi popolare Salvini ha battuto altri ferri caldi: flat tax e condono fiscale, abolizione della legge Fornero, pugno di ferro con l’Unione Europea e atteggiamento “irriverente” verso gli esponenti del sistema imperialista, politica del fatto compiuto (come per la chiusura dei porti).

  In sostanza anche l’avanzata della Lega a livello locale attiene al disgusto e al distacco delle masse popolari dai partiti delle Larghe Intese. Se analizziamo alcune iniziative che ne contraddistinguono l’operato, vediamo che in definitiva le AL della Lega arano il terreno per lo sviluppo della mobilitazione popolare e rivoluzionaria, principalmente per le dinamiche di mobilitazione che innescano: in un certo senso smuovono tutto, dalla sinistra borghese alle Larghe Intese, ma soprattutto smuovono le masse popolari del nostro paese, da nord a sud, nella difesa dell’antifascismo e contro il razzismo.

Che conseguenze hanno le azioni razziste e reazionarie? Alcuni sindaci assurgono agli onori della cronaca per azioni smaccatamente razziste e reazionarie. È recente il caso della sindaca di Lodi, Sara Casanova, che ha provato a vietare i servizi scolastici a 316 bambini stranieri (pretendendo che le famiglie presentassero la certificazione dei beni di loro proprietà nei paesi d’origine!), ottenendo come risultato un’ondata di mobilitazione solidale, non solo a Lodi ma in tutto il paese (sono stati raccolti oltre 60.000 euro per sostenere le spese dei bambini “tagliati” fuori dalla mensa). Un altro esempio arriva dal sindaco leghista “duro e puro” di Castelbelforte, un paesino tra Mantova e Verona: a seguito di una grande mobilitazione popolare si è opposto al rimpatrio di un senegalese perfettamente integrato nel paese, firmandogli egli stesso il permesso di soggiorno.

Che alcuni sindaci tenteranno di usare gli enti locali e i loro poteri in funzione reazionaria è indubbio, ma che ci riescano dipende dalla mobilitazione popolare contro le prove di fascismo promosse dalla componente più reazionaria della Lega. Ad oggi stiamo sviluppando l’inchiesta sulle AL della Lega e non sappiamo ancora se iniziative di questo tipo sono “prassi ordinaria” dei sindaci leghisti o strumenti dei media di regime e delle Larghe Intese per avallare la tesi dell’avanzata reazionaria nel paese. Possiamo però dire con certezza che la tendenza principale è che la mobilitazione popolare si solleva e risponde ad ogni tentativo di fomentare razzismo e guerra tra poveri, come dimostrano le manifestazioni contro il Decreto Sicurezza che si sono svolte nel mese di ottobre e che continuano ad animare masse da nord a sud.

In generale, finora le iniziative della Lega rientrano ancora nel campo della propaganda perché, per quanto tenda a mostrarsi differente, la Lega di Salvini non si è smarcata dalle Larghe Intese e ha sempre un’alternativa in esse (questa è la grande differenza rispetto al M5S).

In questo senso l’attuazione della parola d’ordine “prima gli italiani” e l’azione sulle Amministrazioni Locali della Lega per salvare aziende, posti di lavoro, per la manutenzione del territorio e la messa in sicurezza di città, paesi e infrastrutture, diventano città per città delle spine nel fianco delle nuove amministrazioni: prima gli italiani alla Colaninno e alla Benetton o prima le masse popolari?

Ai comunisti spetta il compito di allargare all’estremo queste contraddizioni interne ad una delle principali forze di governo, tirarle fuori apertamente, approfittare del sommovimento della sinistra borghese e della rinnovata vitalità delle Larghe Intese (che tornano in piazza!) per farle lavorare alla causa della costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza.

*****

I referendum del 2017 in Lombardia e Veneto per una maggiore autonomia fiscale (e per destinare alla gestione del territorio maggiori risorse derivanti dalle imposte locali) non hanno avuto seguito.

  Con il passaggio di potere dai vecchi leader (Bossi e Maroni) a Salvini, la Lega è diventata una forza politica nazionale, nella propaganda reazionaria gli immigrati hanno preso il posto dei “terroni” e la questione fiscale (che Salvini ha interesse a portare a casa per mantenere la promessa fatta al suo elettorato) è diventata una questione di governo del paese: in nome di essa taglia fondi all’accoglienza (e le Larghe Intese piangono), ma la questione è che essa comporta la lotta contro l’Unione Europea e contro il sistema finanziario internazionale, cioè contro gli imperialisti USA e l’intera Comunità Internazionale.

Come detto sopra per il M5S, la Lega al governo non è più in grado di fare il gioco della forza di opposizione. Sbaglia chi dà per persa la lotta contro la mobilitazione reazionaria, proprio ora che essa è entrata in una fase decisiva.

  

Allargare la breccia, costruire Amministrazioni Locali di Emergenza

Il “Contratto per il governo del cambiamento” e le iniziative che il governo sta prendendo, in positivo (Decreto dignità, Reddito di Cittadinanza, abolizione della legge Fornero, assunzioni senza Jobs Act) e in negativo (Decreto Sicurezza e Immigrazione, Circolare Salvini sugli sgomberi, Decreto Concretezza per la Pubblica Amministrazione) contengono molti spunti su cui mobilitare le AL della sinistra borghese di vecchio tipo, le AL del M5S e anche della Lega.

La bonifica dell’ambiente e delle strutture edilizie (in particolare scuole e ospedali), la pubblicizzazione dei servizi primari e la lotta alle privatizzazioni (in particolare per trasporti, sanità, istruzione, acqua pubblica), il lavoro, la lotta alla corruzione e ai corruttori (in particolare nella Pubblica Amministrazione e nel suo sistema di funzionamento clientelare e parassitario che le Larghe Intese hanno ereditato e alimentato), la tutela dei settori più deboli delle masse popolari (donne, anziani e bambini), lo sviluppo del controllo popolare (ad es. nella sanità per gli anziani e i disabili), ecc. sono tutti campi su cui incalzare le AL e in particolare quelle della Lega e del M5S, che devono attuare le linee guida del governo di cui sono espressione.

Quanto e come si trasformeranno in misure concrete dipende dal ruolo che assumeranno e che porteremo le OO-OP ad assumere nel fare pressione affinché

-  le promesse vengano applicate, a partire dal lavoro utile e dignitoso per tutti e via via estese negli altri campi;

- le parti più reazionarie delle misure governative vengano boicottate: contrastare il servizio che i sindaci sono “obbligati per legge” a prestare allo sciacallo Salvini con censimenti e sgomberi degli immobili occupati e con sfratti e pignoramenti; denunciare pubblicamente e indicare alle AL gli immobili in disuso e abbandonati al degrado che sono da recuperare e assegnare, applicando l’art. 42 della Costituzione che vincola il rispetto della proprietà privata al suo ruolo positivo per la società, ecc.

Intervenendo in questo modo, le OO e OP promuovono un reale controllo popolare sulle AL, portandone l’operato dal livello cui è arrivato oggi (monitoraggio e pubblica denuncia, con un embrionale livello di organizzazione) al livello che consente alle AL di gestire direttamente, che la legge lo voglia o no, aspetti concreti della vita della zona, diventando in combinazione con le OO e OP le nuove autorità pubbliche locali e via via, coordinandosi tra loro, nazionali.

  

In questo sta il vantaggio che con il governo M5S-Lega, le OO-OP e il resto delle masse popolari del nostro paese hanno acquisito: un’accelerazione del processo di costruzione di un proprio governo di emergenza a livello nazionale (GBP) e locale (Amministrazioni Locali di Emergenza).

Giuliano V.