La Voce 48

del (nuovo)Partito comunista italiano


anno XVI
novembre 2014


Avere o non avere figli?


Recentemente alcuni compagni, in particolare compagne, hanno posto in sede di Partito questa questione, che tocca profondamente i compagni e le compagne e l’attività del Partito. Il fatto che l’abbiano posta è certamente un positivo indice della loro dedizione alla causa e del progresso del Partito. È quindi giusto che nel Partito si definiscano in proposito principi, criteri e regole, come altri partiti comunisti hanno fatto ora e nel passato. Finora il nuovo PCI non ha stabilito delle regole di comportamento valide per tutti i membri. Ha trattato la questione caso per caso, in base a principi da cui ogni compagno (e ogni organismo per ogni suo membro) può e deve derivare in proposito regole di comportamento in ogni caso particolare e concreto.

In proposito il principio generale è che ogni compagno deve concepire, dirigere e praticamente organizzare la sua vita in modo da potersi effettivamente dedicare senza riserve alla causa: in caso contrario le sue dichiarazioni a favore della GPR restano parole vuote, esempio di quella separazione tra il dire e il fare che dichiariamo di voler superare.

Un bambino oggi in Italia non è solo una gravidanza di nove mesi che riduce o blocca la partecipazione della compagna all’attività del Partito. È anche un individuo che non è in grado di badare a se stesso per 15 o 20 anni e qualcuno deve occuparsi di lui. Chi è membro del Partito e genitore deve quindi essere disposto ad affidare il bambino/a o il ragazzo/a a qualcuno che ne abbia cura, se continuare a curarsene personalmente è incompatibile con il ruolo che svolge nel Partito o che il Partito lo chiama a svolgere. Se non è disposto, se non se ne sente capace, se l’organismo di cui è membro non lo reputa capace, non deve fare figli. Ogni compagno e compagna che si pone il problema “avere o non avere figli”, deve onestamente e realisticamente porsi la domanda se è pronto (e il suo organismo deve porsi la domanda se il compagno è pronto) ad avere verso un proprio eventuale figlio questo atteggiamento. Un tempo era atteggiamento abituale anche nelle masse popolari degli attuali paesi imperialisti. È ancora oggi abituale nei paesi oppressi (consideriamo l’esperienza pratica degli immigrati e delle guerre in corso nei paesi oppressi contro la CI dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti). Ma oggi nei paesi imperialisti lo è solo tra gli strati più oppressi e sfruttati delle masse popolari. Esso non corrisponde affatto alla mentalità che le classi dominanti (per vari motivi) hanno alimentato nelle classi medie dei paesi imperialisti, in particolare nel periodo del “capitalismo dal volto umano”, mentalità che ha la sua espressione politica e culturale più compiuta nella sinistra borghese. Qui l’atteggiamento dei genitori verso i figli è diventato addirittura morboso: i genitori devono “non far mancare ai figli niente” di quello che la borghesia imperialista impone. Spesso si riducono a riversare sui figli le loro proprie frustrazioni, a trovare nei figli la loro ragione di vita (il senso, il motivo della loro vita) che non osano assumere e ricavare dalle relazioni sociali in cui sono costretti, a cercare di realizzare tramite i figli quello che essi non sono riusciti a fare e che la borghesia imperialista impone come modello di vita a quella parte delle masse popolari che ancora riesce a dominare ideologicamente.

In questo contesto, in un contesto in cui da tempo non esiste più il servizio militare obbligatorio e lo Stato borghese non manda gli uomini in guerra, noi chiediamo di arruolarsi volontari nella GPR mettendo in secondo piano genitori, figli e persone care, perché senza un simile partito, un partito che in realtà è un corpo di professionisti della guerra di tipo speciale che è la GPR, è impossibile fare la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Noi comunisti dobbiamo quindi, nella maggior parte dei casi di reclutamento, fare i conti con la mentalità frutto dell’egemonia della borghesia sulle classi oppresse e sfruttate dei paesi imperialisti, perché è con questa mentalità che per lo più vengono a noi quelli che chiedono di far parte del Partito. Spontaneamente la maggior parte dei nostri compagni appartengono a quella parte delle masse popolari che non è già più tanto schiacciata dai bisogni elementari da non riuscire a concepire un mondo diverso dall’attuale, ma è bersaglio del primo dei cinque pilastri della controrivoluzione preventiva (Manifesto Programma, cap. 1.3.3.). Non è educata e formata dalla lotta rivoluzionaria di classe, ma dal compromesso con la borghesia imperialista che nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria i revisionisti moderni hanno (ossia la destra ha) fatto prevalere nel movimento comunista dei paesi imperialisti nonostante l’eroica lotta condotta da tanti comunisti contro il nazifascismo.

In particolare in questa fase iniziale della GPR, il Partito non recluta per il prestigio che conducendo la GPR ha già acquisito tra le classi oppresse e sfruttate e per la forza di trasformazione che ha raggiunto. Non a caso persino la semplice subordinazione dell’individuo al collettivo, nelle nostre file è ancora un problema, tanto poca è l’autorevolezza del Partito. Per lo più il Partito recluta non grazie alla propria autorevolezza, ma recluta individui che il corso delle cose ha reso individualmente sensibili alle contraddizioni che lacerano la società e spinto a ribellarsi al disastro in cui la borghesia imperialista e il clero hanno impantanato e sempre più affondano l’umanità: vengono da noi perché siamo i più decisi e combattivi, ma vogliono tenersi le proprie opinioni e la propria morale. Dobbiamo tener conto di questo aspetto della realtà: non per assecondarlo, ma per correggerlo.

Oggi anche tra i nostri compagni la fragilità psicologica è la regola, la determinazione e l’attitudine a combattere, l’attitudine dirigente o lo spirito organizzativo e pratico sono l’eccezione. Di fronte ad un episodio traumatico, nei paesi imperialisti si ricorre alla cellula di sostegno psicologico, il ricorso a psicofarmaci e a droghe è di massa. Non è patologia individuale, è una questione di classe. La sinistra borghese aspira a un mondo diverso dall’attuale, sogna vagamente un mondo migliore che resta vago perché gli esponenti della sinistra borghese al massimo ne definiscono i contorni individualmente. Il dogma tradizionale della soggezione al padrone o a dio è stato detronizzato dall’esperienza, ma nella sinistra borghese il suo posto non è stato preso dalla scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, dalla scienza che fa intravedere l’umanità del futuro e che sarà uno dei suoi tratti fondanti, dalla scienza che guida quelli che oggi combattono per creare la futura umanità. Il suo posto lo hanno preso le opinioni individuali. Queste per loro natura sono fragili e non reggono l’urto del corso disastroso delle cose che la borghesia imperialista e il suo clero impongono all’umanità. Generano insicurezza, instabilità e isolamento. Ogni individuo trova che le sue opinioni sono continuamente smentite dall’esperienza, anzitutto trova che non sono condivise dagli altri, trova incomprensibile il comportamento e assurde le opinioni degli altri. Di fronte al ripetuto fallimento dei tentativi di orientarsi con queste opinioni nel marasma attuale, non a caso nella sinistra borghese si sviluppa persino la tendenza al “ritorno all’ovile”, alla soggezione al pensiero metafisico della Chiesa Cattolica o a religioni e dottrine esoteriche. Le simpatie che riscuote papa Bergoglio nei Bertinotti, negli Scalfari, nei Viale & C sono un sintomo significativo dell’epoca e della classe: è sbagliato prenderle come manifestazioni di patologie individuali.


------- Manchette

Il comunista e le masse arretrate

La condizione di partenza della lotta di classe che conduciamo è la soggezione delle masse popolari alla borghesia e al clero. Compito dei comunisti è far passare le masse popolari dalla condizione di soggezione ereditata dalla storia alla condizione di masse popolari coscienti e organizzate, facendo leva sull’esperienza diretta e concreta di lotta di classe di ogni parte, strato e classe. È quindi sciocco e primitivo ogni rivoluzionario che individua i propri nemici, l’ostacolo alla propria attività nell’arretratezza delle masse popolari, nella loro soggezione alla borghesia e al clero: è la posizione primitiva e istintiva del rivoluzionario che non è ancora capace di mobilitare e dirigere, che trova nell’opinione e nelle abitudini degli oppressi arretrati il motivo della propria impotenza che in realtà sta nella sua arretratezza.

Lasciamo a ogni comunista il compito di collocare persone e organismi del suo contesto nella posizione che è propria a ognuno di essi, distinguendo rigorosamente analisi della posizione politica (della corrente politica di appartenenza) dalla analisi di classe (classe sociale di appartenenza).

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La sinistra borghese sospira e denuncia le brutture del presente, ma non sviluppa la coscienza scientifica del sistema di relazioni sociali che deve succedere all’attuale perché di esso esistono già i presupposti nell’attuale sistema. Tanto meno combatte con determinazione per crearlo e imporlo. Del tutto a ragione nel 1922, dopo l’esperienza del “biennio rosso” in Italia e dei conati rivoluzionari in Germania e in altri paesi europei, Lenin diceva (Note di un pubblicista, febbraio 1922 - Opere vol. 33 pagg. 183-190) che in Europa i partiti proletari di vecchio tipo “di fatto sono partiti riformisti con solo una spruzzatina di spirito rivoluzionario” e che devono “profittare praticamente delle lezioni concrete del fascismo che sono ottime dal punto di vista pratico anche se costano care” e dopo la “Marcia su Roma” del 27-28 ottobre 1922 aggiungeva (Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale, novembre 1922 - Opere vol. 33 pagg. 384-397) che “forse i fascisti in Italia ... ci renderanno grandi servigi mostrando agli italiani che non sono ancora abbastanza istruiti, che il loro paese non è ancora abbastanza garantito contro i mercenari abbrutiti della borghesia imperialista” ... e non aveva ancora visto all’opera i nazisti tedeschi e i loro seguaci in Spagna, in Austria, in Francia, in Polonia e negli altri paesi europei; non aveva ancora visto all’opera i mercenari dei gruppi imperialisti USA. Noi abbiamo individuato la strada della riforma morale e intellettuale dei comunisti, ma non ancora risolto il problema.

È l’ambiente della sinistra borghese, a cui oggi ancora appartengono la maggior parte dei promotori del movimento delle masse popolari, che spontaneamente forma la maggior parte dei compagni che vengono nelle nostre file. Non a caso il rischio di fare la sinistra della sinistra borghese è ancora un rischio costante, è un errore ricorrente nelle nostre file: andare dietro alle iniziative della sinistra borghese invece di servirsene e di progredire con la GPR fino a determinarle.

L’impresa in cui noi siamo impegnati richiede una dedizione che non ammette riserve: noi siamo i dirigenti che devono chiamare, dirigere le masse popolari a compiere un’impresa che richiede, per avere successo, una dedizione senza riserve in chi promuove e dirige. Per ogni comunista dei paesi imperialisti la riforma morale e intellettuale cui è chiamato, riguarda anche la famiglia e i figli, ma non solo.

Se ho ben interpretato il resoconto, diffuso da Paolo Babini, del seminario romano su Gramsci organizzato dalla Commissione Rinascita di Gramsci a Roma sabato 8 novembre, in quella sede Vittorio Antonini è intervenuto in proposito. A me pare evidente che il suo intervento contiene alcuni errori che è importante per noi rilevare, visto anche il consenso che ha riscosso.

Anzitutto è sbagliato ridurre la riforma morale dei comunisti all’attitudine dei confronti dell’avere o non avere figli, come V. Antonini sembra fare. La riforma morale va ben oltre: riguarda la determinazione e l’attitudine a combattere, l’attitudine a dirigere (che è l’opposto del partire da sé, dell’individualismo) e lo spirito organizzativo e pratico: in sintesi l’attitudine a essere classe dirigente delle masse popolari che conducono la GPR. Essa non può essere disgiunta dalla riforma intellettuale: dall’assimilazione della concezione comunista del mondo come metodo per conoscere e trasformare la realtà.

Già che ci sono faccio inoltre notare che quello che V. Antonini ascrive a carattere distintivo delle Brigate Rosse (e addirittura di Lotta Continua - non dimentichiamo che intellettualmente le BR erano così fragili che si fecero addirittura trascinare nel militarismo da Prima Linea, filiazione di Lotta Continua) il principio che “il collettivo è principale e l’individuo da esso dipende”. V. Antonini lo indica come “cardine della riforma morale e intellettuale necessaria ai comunisti” (ammesso che il resoconto di P. Babini riporti fedelmente il suo pensiero). In realtà era comportamento largamente diffuso in tutto il movimento comunista: non solo russo, cinese, vietnamita, ma perfino europeo. Basta anche solo una conoscenza superficiale della storia del movimento comunista del nostro paese e non solo della Resistenza, per esserne convinti. Ma, disgiunto dagli altri aspetti della morale e dalla concezione comunista del mondo, tale comportamento non bastò a condurre con successo nei singoli partiti e movimenti comunisti la lotta contro la destra (contro l’influenza della borghesia e del clero nelle sue file) e quindi ad assicurare il compimento dell’impresa per cui i partiti comunisti si erano formati dopo la prima Guerra Mondiale. Essere subordinati al collettivo non basta: lo furono anche Teng Hsiao-ping e altri illustri e ostinati esponenti della destra. Era addirittura disposto ad esserlo anche Bordiga nel 1926, se Gramsci e il gruppo dirigente del PCI se ne fossero accontentati. Ma già prima della riflessione condotta poi in carcere, negli anni 1924-1926 in cui diresse il Partito Gramsci indicava un contenuto ben più ampio della “subordinazione dell’individuo al collettivo” a proposito dei caratteri che dovevano contraddistinguere il Partito comunista e i suoi membri - vedasi a conferma lo scritto Cinque anni di vita del Partito febbraio 1926, in La costruzione del Partito comunista, Einaudi 1974 pagg. 89-109.

Maria P.