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  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

L’ottava discriminante
Il sesto grande apporto del maoismo al patrimonio del movimento comunista
 

L’esperienza attuale e il bilancio dell’esperienza passata ci hanno fatto capire che, accanto ai cinque grandi apporti del maoismo al pensiero comunista indicati in La Voce n. 10 (marzo 2002) - L’ottava discriminante, dobbiamo annoverarne un sesto e metterlo pienamente in luce.(1)

1. I cinque grandi apporti illustrati in La Voce n. 10 (marzo 2002) - L’ottava discriminante sono:

- la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, strategia universale della rivoluzione socialista;

- la rivoluzione di nuova democrazia nei paesi semifeudali, componente della rivoluzione proletaria;

- la lotta di classe nella società socialista, mezzo indispensabile per condurre avanti la transizione al comunismo;

- la linea di massa, principale metodo di lavoro e di direzione del Partito verso le masse popolari;

- la lotta tra le due linee nel Partito, principio per lo sviluppo del Partito e la sua difesa dall’influenza della borghesia.

Questo apporto consiste nell’insegnamento che il Partito comunista non è solo soggetto (promotore e dirigente) della rivoluzione socialista, ma anche oggetto della rivoluzione socialista; che ogni suo membro è non solo soggetto ma anche oggetto della rivoluzione socialista. Chi aderisce al Partito comunista deve essere disposto a trasformarsi, a seguire sotto la direzione del Partito un processo di Critica-Autocritica-Trasformazione (CAT). Il processo consiste nell’assimilare la concezione comunista del mondo e imparare ad applicarla e trasformare il più possibile la propria mentalità e personalità onde dare alla rivoluzione il massimo contributo di cui il compagno sarà capace.

 

Tra l’adesione al Partito nell’ambito del marxismo-leninismo (quindi nei partiti della prima Internazionale Comunista) e l’adesione al Partito nell’ambito del marxismo-leninismo-maoismo, cioè oggi, vi è un salto. Nella prassi e ancora più nella concezione della prima Internazionale Comunista, un compagno aderiva al Partito e si impegnava a dare (e di regola dava) “il massimo contributo di cui è capace stante quello che lui è”. Il principio era: “Mi arruolo nel Partito e faccio con generosità tutto quello che sono capace di fare, meglio che sono capace di fare stante quello che io sono, la formazione fisico-sociale che sono e le condizioni in cui vivo”.

Questo non basta. Nei Partiti della prima Internazionale Comunista hanno potuto, senza infrangere la disciplina e le regole del Partito, restare e anche acquisire posizione dirigente individui come Giorgio Napolitano, l’attuale presidente della Repubblica Pontificia (entrato nel PCI subito dopo la fine della II Guerra Mondiale). Ma il discorso vale anche per dirigenti che non sono arrivati al suo livello di degenerazione e depravazione. Basti pensare a Giorgio Amendola (mentore di G. Napolitano), a Enrico Berlinguer ed altri. Ancora più istruttivo è pensare ai milioni di compagni che hanno dato generosamente tutto quello che erano capaci di dare senza che con questo il PCI arrivasse a instaurare il socialismo. Da questo abbiamo imparato che un compagno che aderisce al Partito, deve essere disposto a trasformarsi per diventare capace di dare “il massimo contributo a cui può arrivare”.

Ogni individuo è quello che è, ma è anche quello che non è ancora, ma che può arrivare a essere trasformando la sua concezione del mondo, la sua mentalità e in qualche misura anche la sua personalità, cioè facendosi oggetto della rivoluzione e non solo soggetto. Questo è materialismo dialettico.

Ogni individuo è una formazione (uso il termine nel senso con cui compare nell’espressione che un terreno o una roccia è una formazione geologica) fisico-sociale, con una componente fisica, chimica, biologica che si sviluppano secondo loro proprie leggi e una componente spirituale - psicologica, intellettuale, ecc. - che anch’essa si sviluppa secondo sue proprie leggi, combinate come in un calcolatore sono combinati lo hard e il soft. Quando aderisce al Partito, si ritrova con una concezione del mondo, una mentalità e una personalità. Ha margini notevoli, importanti, non sappiamo quanto  grandi di trasformazione. Bisogna metterli in opera, valorizzarli.

Noi dobbiamo trasformarci per imparare a fare la rivoluzione: “diventare un comunista migliore di quello che è al momento dell’adesione, diventare più capace di combattere la borghesia e il clero e di fare la rivoluzione”.

Di fatto la trasformazione già in qualche misura si faceva anche nel passato, nel movimento comunista cosciente e organizzato: i suoi membri si trasformavano. Facevano di più e meglio perché di fatto si trasformavano grazie alla pratica in cui venivano coinvolti (in cui il Partito li coinvolgeva e in sui si coinvolgevano) e la formazione che ricevevano. Ma la trasformazione non veniva perseguita in modo consapevole, organizzato, sistematico, universale, ricavando dall’esperienza una scienza della trasformazione (analogamente a come il partito comunista russo ha fatto la Guerra Popolare Rivoluzionaria, ma non l’ha condotta in modo consapevole, organizzato, sistematico, universale, ricavando dalla sua esperienza una scienza della strategia universale della rivoluzione socialista). Anche in questo campo la pratica precede la teoria: prima facciamo una cosa e poi ne prendiamo coscienza e grazie alla coscienza la facciamo a un livello superiore. Ci siamo resi conto che in questa lacuna vi era un fattore di debolezza. Bisognava andare più avanti. Lo facciamo e impariamo a farlo.

Dobbiamo infondere in chi si arruola per adesione identitaria, perché riconosce nel Partito comunista l’avanguardia della lotta che vuole condurre, uno spirito superiore: la volontà di imparare a fare la rivoluzione, la volontà di diventare un comunista migliore di quello che è, la volontà di trasformarsi e diventare più capace di combattere la borghesia e il clero e di mobilitare le masse popolari, la convinzione di essere capace di trasformarsi e migliorare.

Questa formulazione chiara e netta dei nostri compiti è una nuova nostra conquista. Come lo è la formulazione chiara del ruolo della Rivoluzione d’Ottobre e della prima ondata della rivoluzione proletaria nel definire il decorso che concretamente ha avuto la prima crisi generale del sistema imperialista mondiale.

Ogni membro del Partito è soggetto della rivoluzione socialista in base a quello che è (la concezione del mondo, la mentalità e la personalità che si ritrova ad avere), ma è anche oggetto della rivoluzione: è disposto, (non rifiuta a priori), desidera, vuole, è deciso a trasformarsi nella pratica della rivoluzione e con la scuola del Partito (i corsi di formazione ideologica e i corsi di formazione al lavoro politico). Con quale percorso, in quali aspetti, in che ordine di successione, con quali tempi, attraverso quali pratiche e quali corsi: questo lo deve decidere il Partito.

Noi a un compagno che vuole aderire al Partito, chiediamo di essere disposto a trasformarsi. Il compagno quindi è accettato nel Partito per quello che è e per la sua disponibilità a trasformarsi. Un compagno non viene estromesso dal Partito per i suoi errori e difetti (limiti): i primi sono in qualche misura inevitabili e si correggono, i secondi si superano. Un compagno viene estromesso dal partito se non è disposto a trasformarsi.

Fissato questo, dobbiamo capire che per progettare e dirigere la rivoluzione (la trasformazione che l’umanità deve e può compiere), bisogna assimilare e applicare il marxismo-leninismo-maoismo. Per partecipare alla rivoluzione e combattere, basta essere decisi a farla finita con l’oppressione e lo sfruttamento che la borghesia imperialista e il clero impongono alle masse popolari e con la devastazione e il saccheggio del pianeta che essi per i propri interessi fanno compiere all’umanità.

Noi quindi non chiediamo ad ogni individuo delle masse popolari di sottoporsi a un processo di trasformazione. Gli chiediamo di combattere e partecipare alla rivoluzione, anche se vi partecipa per motivi e nei modi che derivano dalla sua concezione ancora borghese del mondo, dal senso comune che si trova ad avere acquisito: senso comune e concezione borghese che (a differenza della concezione clericale e feudale in cui il servire il proprio signore è un valore importante e sacrificarsi per lui è una virtù) in un membro delle classi oppresse implicano la ribellione e la lotta per vendere la propria forza-lavoro al prezzo più alto, per acquisire diritti e far valere i propri interessi. Conducendo la rivoluzione gli facciamo scuola di comunismo (intesa nel senso ampio indicato in MP nota 30, pagg. 262-263).

Nella nostra opera di promozione, progettazione e direzione della rivoluzione socialista dobbiamo distinguere questi  due livelli. I comunisti sono avanguardia delle masse popolari, non sono come le masse popolari. La Guerra Popolare Rivoluzionaria è fatta dalle masse popolari, ma è promossa e diretta dai comunisti.

Per noi comunisti italiani il sesto grande apporto del maoismo al patrimonio teorico del movimento comunista trova un’importante conferma e un arricchimento nell’elaborazione di Antonio Gramsci. Il reale fondatore del primo PCI nel carcere, dove i fascisti lo opprimevano al punto da condurlo a morte prematura, elaborò l’esperienza del movimento comunista italiano e internazionale. Tra gli altri grandi apporti che dobbiamo alla sua elaborazione, vi è anche quello relativo al senso comune, alla concezione del mondo (filosofia) con cui ognuno si ritrova e alla trasformazione a cui ogni comunista deve sottoporre questa concezione.(2) Rimando a un prossimo articolo l’esposizione dell’apporto di Antonio Gramsci in questo campo.

2. Per l’elaborazione di A. Gramsci su questo tema, rimando a Quaderni del carcere Einaudi tascabili 2001, vol. II pag. 1375 e segg., Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura. Il testo è riportato anche in Antonio Gramsci, Sulla filosofia e i suoi argomenti Edizioni Rapporti Sociali 2007, pag. 8 e segg.

Mao Tse-tung e Antonio Gramsci in questo come in altri campi ci danno grandi e luminosi insegnamenti. Approfittiamone per condurre meglio e più celermente la nostra lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

Nicola P.

 

 

 

La Voce n. 41
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