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La lotta per strappare ammortizzatori sociali è inseparabile
dalla lotta per costituire il Governo di Blocco Popolare

  

Per le masse popolari, e in particolare per gli operai e gli altri proletari (dipendenti pubblici, dipendenti di imprese artigiane, di imprese familiari, di cooperative, ecc.), la crisi economica si esprime principalmente nella riduzione dei posti di lavoro, nel passaggio a contratti a tempo determinato, a lavori precari, saltuari, in nero, a orario e salario ridotti, in riduzione dei diritti conquistati dai lavoratori. A parte gli aspetti morali, intellettuali e sociali, questo per sua natura porta a una diminuzione di redditi e quindi alla impossibilità di provvedere alla riproduzione della vita propria e di quella dei familiari. È inevitabile e salutare (ai fini dello sviluppo sociale e moralmente e intellettualmente a livello individuale) che un simile corso delle cose dia luogo a proteste, scioperi, rivolte e rivendicazioni di ammortizzatori sociali di ogni genere, anziché dare luogo a gesti di disperazione, suicidi, autolesionismo, rassegnazione, ricorso alla carità, abulia, omicidi, violenze indiscriminate e follia.

Sia per far fronte alle proteste e alle lotte dei lavoratori sia per far fronte al disordine e alla disgregazione sociale, anche gruppi della borghesia e del clero sono diventati fautori di ammortizzatori sociali. I padroni vogliono la libertà di licenziare o comunque di ridurre salari e diritti: in cambio vari loro esponenti hanno avanzato progetti di tenere i lavoratori in vita con sussidi, servizi gratuiti, esoneri, ecc. Flexisecurity: noi padroni facciamo di voi quello che vogliamo, ma vi assicuriamo di ché sopravvivere. Le gradazioni sono molte, fino alla proposta, la più radicale di tutte, di un “salario sociale”, un salario di cittadinanza.

Misure economiche, misure di politica economica che dovrebbero attutire l’impatto della riduzione dei posti di lavoro sulla vita dei lavoratori e sul potere d’acquisto delle masse popolari (sulla loro domanda di merci, che è una parte importante della domanda complessiva di merci: negli USA ad esempio è il 70% della complessiva domanda di merci).

La sinistra borghese propone e vanta gli ammortizzatori sociali addirittura come “misura per porre fine alla crisi economica”. I più colti degli esponenti della sinistra borghese basano questa loro ricetta (tutte le varianti di questa loro ricetta) su dottrine economiche secondo le quali nella società borghese tutte le crisi (in particolare la crisi attuale) deriverebbero dal consumo troppo limitato delle masse popolari che costituiscono la massa della popolazione (tutte le crisi del capitalismo sarebbero quindi crisi da sottoconsumo delle masse popolari).

Questa dottrina economica è stata sistematicamente formulata e sostenuta per la prima volta due secoli fa da Sismondi (1773-1842), un economista svizzero molto celebre ai suoi tempi. Nonostante le irrefutabili confutazioni, è stata riformulata ripetutamente: evidentemente perché corrisponde al modo di vedere o agli interessi di una parte della classe dirigente della società borghese. L’ultima celebre versione, che ha ancora oggi seguaci e cultori, fu fatta settanta anni fa, nel pieno della prima crisi generale del capitalismo, da Keynes (1883-1946), economista, politico e fortunato speculatore finanziario inglese, consulente anche di F.D. Roosevelt, presidente USA dal gennaio 1933 all’aprile 1945 quando morì.

L’inconsistenza di tale dottrina è stata dimostrata oltre ogni dubbio sul piano teorico e ripetutamente confermata dalla pratica. Essa trae però credito dalla constatazione che in ogni crisi ci sono merci invendute e mezzi di produzione inutilizzati o sottoutilizzati, mentre vi sono lavoratori e altri membri delle masse popolari che ben volentieri comprerebbero, se solo avessero i soldi per farlo. Cosa allora di più semplice per porre fine alla crisi che dare soldi ai lavoratori? Si dimentica solo che finché i capitalisti sono padroni delle aziende, l’obiettivo delle aziende non è produrre e vendere merci, ma fare profitti. I capitalisti producono e vendono merci solo come mezzo per fare profitti. Tanto è vero che se possono fare profitti senza neanche produrre merci, i capitalisti ci si tuffano. La finanziarizzazione dell’economia cui abbiamo assistito è esattamente questo: fare profitti senza produrre merci (vedasi la manchette Finanziarizzazione dell’economia).

 

 Finanziarizzazione dell’economia

Ogni azienda non è più solo e neanche principalmente un apparato produttivo (un gruppo organizzato di operai con determinate competenze (know how) con relativi macchinari, attrezzature e canali commerciali e finanziari): è diventata principalmente un pacchetto di titoli finanziari (azioni e obbligazioni) che i suoi padroni e i suoi dirigenti collocano in Borsa, commerciano tramite le istituzioni finanziarie e il mercato finanziario. Questi titoli primari (rappresentativi della proprietà di aziende che producono merci) sono entrati in vario modo a comporre titoli finanziari derivati, a loro volta commercializzati sul mercato finanziario di tutto il mondo ed entrati a comporre titoli di seconda generazione e via così varie volte. La gestione e la sorte dell’azienda apparato produttivo sono diventati variabili dipendenti dal corso dei titoli primari e derivati, sono decise per pilotare il corso dei titoli e dipendono da esso. L’annuncio della riduzione di personale di un’azienda, della sua delocalizzazione, della sua chiusura, può fare la fortuna dei detentori di titoli finanziari che la riguardano. Una massa crescente di denaro è diventata capitale, cioè denaro alla ricerca di moltiplicarsi, nel mercato dei titoli primari (azioni e obbligazioni di aziende che producono merci) e derivati.

Questa è la finanziarizzazione dell’economia reale (cioè delle attività che producono merci e quindi a questo fine impiegano operai). Gli operai erano una variabile di primo grado del capitale industriale (tramite i profitti commerciali dell’azienda). Con la finanziarizzazione sono diventati una variabile di secondo grado del capitale finanziario. Prima di rovesciare l’ordine attuale delle cose, sarà stato necessario toccare il fondo!

 

L’inconsistenza della geniale trovata, un vero uovo di Colombo, dei citati economisti borghesi è confermata anche dal fatto che la borghesia e le sue autorità, nonostante le molte chiacchiere e promesse, nei fatti di ammortizzatori sociali danno solo quello che operai e altri gruppi delle masse popolari le obbligano a dare e appena possono smettono di dare anche quello che erano state obbligate a dare. Nessuna crisi del capitalismo è mai stata risolta con gli ammortizzatori sociali. Le crisi cicliche si sono risolte perché la caduta degli affari nel corso di un certo tempo crea di per se stessa lo spazio per la ripresa degli affari: gli ammortizzatori sociali come i finanziamenti pubblici alle aziende e altre misure di politica economica servono solo a ridurre le punte estreme del ciclo economico. Le crisi generali si sono risolte con grandi rivolgimenti politici: rivoluzioni e guerre. Per chi studia e capisce la natura, la causa, le origini delle crisi cicliche e delle crisi generali del capitalismo, tutto questo è risaputo e chiaro. Ovviamente ogni singola crisi ha anche la sua storia particolare, costituita dalle forme particolari in cui le cause universali delle crisi cicliche o quelle delle crisi generali si sono fatte valere: ogni bambino nasce dalla combinazione di uno spermatozoo con un ovulo, ma ogni fecondazione ha anche la sua storia particolare.

Quanto al ruolo degli ammortizzatori sociali nella crisi in corso, ai fini politici è importante che noi comunisti abbiamo chiaro, che facciamo conoscere (propaganda) e soprattutto che facciamo valere nell’attività politica due aspetti.

1. Dobbiamo strappare alla borghesia e alle sue autorità ammortizzatori sociali in abbondanza, il più possibile, con ogni mezzo (ogni mezzo è legittimo, anche se non è legale). In questo i riformisti e noi lottiamo insieme, solo che noi siamo coerenti e determinati e andiamo oltre chiacchiere di compatibilità e concertazioni: le masse saranno con noi. L’unità d’azione che noi stabiliamo con i riformisti porta noi a rafforzare il nostro legame con le masse. Siamo contro la tesi che “i riformisti sono i nostri peggiori nemici”, perché noi non ci mettiamo al loro seguito, non dipendiamo da loro. I nostri “peggiori nemici” sono la borghesia e il clero reazionari e i promotori di “prove di fascismo”.

2. Dobbiamo porre in primo piano la lotta per lo sbocco politico della crisi: un governo provvisorio, un governo d’emergenza contro la crisi, il Governo di Blocco Popolare (GBP) e l’instaurazione del socialismo. Se di fronte alla crisi che si prolunga e (tra alti e bassi) si aggrava, ci limitassimo solo a rivendicare ammortizzatori sociali, se non impostassimo e non conducessimo una lotta per cambiare l’ordinamento sociale e per il potere, creeremmo le condizioni per il successo di una o dell’altra “prova di fascismo” e per la vittoria della mobilitazione reazionaria che in definitiva travolgerebbe non solo noi comunisti, ma tutti i fautori di ammortizzatori sociali (quindi anche la destra sindacale). Quindi i riformisti, la sinistra sindacale (e anche la destra sindacale se non passa alla mobilitazione reazionaria) diventano, lo vogliano o no, nostre forze ausiliarie, perché i frutti del lavoro a cui anche loro hanno concorso li tiriamo noi. Loro non hanno “prospettiva” come loro stessi dicono, non osano andare fino in fondo e nemmeno pensare un “fondo”.

Vediamo in qualche maggiore dettaglio queste due questioni.

 

1.

Noi comunisti dobbiamo mobilitare, organizzare e dirigere ogni gruppo delle masse popolari, in primo luogo gli operai, i proletari, gli immigrati ma senza dimenticare casalinghe, studenti e pensionati, a strappare alle autorità, alla borghesia, al clero e ai ricchi in genere ogni tipo di ammortizzatori sociali con scioperi, dimostrazioni, rivolte, pressioni e intimidazioni di ogni genere (“quando un ordine sociale è ingiusto, il disordine è il primo passo per instaurare un ordine sociale più giusto”).

Il criterio principale non è se un ammortizzatore sociale è in astratto, in generale, ecc. giusto o sbagliato, se può o no durare a tempo indeterminato. Nessun ammortizzatore sociale è giusto nella società attuale, ogni ammortizzatore sociale presenta effetti negativi indiretti anche per qualche parte delle masse popolari: non esiste carne senza sangue, non esiste guerra senza vittime. Nessun ammortizzatore sociale può durare a tempo indeterminato. Il principale criterio è che nell’immediato serve a far fronte alle necessità di questa o quella parte delle masse popolari e che non toglie direttamente nulla ad altre parti delle masse popolari, ma toglie solo ai ricchi.

Non solo dobbiamo mobilitare, organizzare e dirigere le masse a farsi dare dalla borghesia e dalle sue autorità sussidi, salari sociali, contributi, servizi gratuiti, a strappare distribuzioni gratuite di beni e servizi. Ma dobbiamo anche

- mobilitare, organizzare e dirigere i lavoratori dipendenti a esigere il pagamento delle ore e delle giornate che sono stati obbligati a scioperare per ottenere giustizia e a far risarcire gli eventuali altri danni che ne sono derivati alle masse popolari: politicamente questo è molto importante;

- mobilitare, organizzare e dirigere gruppi consistenti delle masse popolari a prendere senza pagare tutto quello che serve dai magazzini e dai negozi della borghesia (supermercati, depositi di aziende, ecc.) risparmiando invece bottegai e artigiani,

- mobilitare, organizzare e dirigere gruppi consistenti delle masse popolari a occupare le case delle immobiliari e della Chiesa e a non pagare l’affitto (risparmiando invece il piccolo proprietario e pagando l’affitto convenuto a condizione che sia “ragionevole”),

- mobilitare, organizzare e dirigere gruppi consistenti delle masse popolari a non pagare interessi e rate dei debiti fatti con le banche e con i ricchi (restituendo invece con cura i prestiti che ti ha fatto l’amico o il vicino di casa e pagandogli l’interesse convenuto a condizione però che non sia strozzinaggio),

- mobilitare, organizzare e dirigere gruppi consistenti delle masse popolari a non pagare multe, tickets e tutte le altre angherie e balzelli.

Le aziende, le scuole, le Organizzazioni Operaie, le Organizzazioni Popolari possono e devono diventare zona per zona centri di mobilitazione, organizzazione e direzione per tali attività. Esse sono indispensabili alle masse popolari per far fronte alla crisi: non solo per la loro salute fisica, ma anche per la loro igiene mentale e morale. Sono l’alternativa costruttiva al degrado morale e sociale, alla decadenza individuale e alla disgregazione sociale. Bisogna prima di tutto propagandarle e convincere su scala abbastanza grande che sono giuste (contro il legalitarismo). Quindi bisogna creare esperienze tipo che faranno scuola e dilagheranno rapidamente. Bisogna aver cura di distinguerle dalle iniziative individuali e tese ad arricchirsi personalmente dei sottoproletari e dei malavitosi, di trasformare le attività dei sottoproletari e dei malavitosi in attività collettive e di assorbire quelle in queste.

Oggi la borghesia e le autorità dispongono del denaro necessario per finanziare tutti gli ammortizzatori sociali che li costringiamo a erogare. La misura di quello che possiamo ottenere è data dalla paura che riusciamo a incutere alla borghesia, al clero e alle loro autorità che le cose per loro andranno peggio se non cedono alle richieste e alle rivendicazioni. La capacità del sistema monetario di cui dispone ogni gruppo di essi è praticamente illimitata. Anche se certo ogni volta che un gruppo di essi attinge al sistema monetario per finanziare ammortizzatori sociali, ne sconvolge il normale funzionamento a cui sono abituati i proprietari del patrimonio monetario e i gestori del sistema monetario, indebolisce l’equilibrio del sistema monetario, lo fragilizza (vedasi la manchette Capacità del sistema monetario mondiale).

Da parte loro governi e autorità varie protesteranno sempre che non hanno soldi per gli ammortizzatori sociali, come non li hanno per l’istruzione pubblica, per l’assistenza sanitaria, per le pensioni, per gli asili, per la manutenzione delle strutture pubbliche, per la salvaguardia e messa in sicurezza del territorio, per tutti i servizi pubblici che non siano a pagamento e redditizi.

Ma ne hanno invece per dare ricche prebende a pensionati di lusso (andate a vedere quanto costano allo Stato individui come Ciampi o Kossiga o altri pensionati di lusso, gli alti funzionari e i grandi politici, ecc. - nel solo 2009 i 27 membri della Commissione Europea hanno avuto 4 milioni di € solo di viaggi e rimborsi, di cui 720 mila il solo Barroso: i politici e funzionari italiani non sono da meno!), per finanziamenti ai cardinali, alla Chiesa e alle sue “opere pie”, cliniche e scuole, ai suoi “Grandi Eventi” (di Bertolaso & soci), per esercitazioni e spedizioni militari criminali (Afghanistan, ecc.) e per finanziare le basi USA, NATO e sioniste d’Israele, per le mazzette della corruzione (la Corte dei Conti ha valutato che queste mazzette nel 2009 sono costate alla Pubblica Amministrazione 60 miliardi di € su una spesa complessiva di circa 500 miliardi).

Comunque è vero che le entrate (imposte dirette, imposte indirette, contributi e altre minori) della Pubblica Amministrazione non tengono il passo con le sue spese. Ciò è ovvio per vari motivi, i principali dei quali sono due.

1. Negli ultimi quaranta anni (causa l’indebolimento del movimento comunista e la nuova crisi generale) la distribuzione del reddito nazionale annuo (PIL) si è spostata a danno dei redditi da lavoro: la quota di questi sull’intero PIL è diminuita di 10 punti. Se si considerano tutti i tipi di contribuzione alla spesa pubblica, già per legge i ricchi sono tassati in percentuale del loro reddito meno dei lavoratori (in flagrante violazione di quanto espressamente stabilito dalla Costituzione del 1947 - “sovietica”, a detta di Berlusconi). In più che essere meno tassati per legge, i ricchi evadono o eludono le leggi. L’evasione fiscale in Italia è valutata attorno a 100 miliardi di € l’anno. Se si mettono insieme i due fattori (aumento della percentuale del PIL attribuita ai ricchi nella ripartizione del PIL, minore imposizione dei ricchi in percentuale del loro reddito) è ovvio che la percentuale del PIL che entra nelle (transita per le) casse della Pubblica Amministrazione nel corso degli ultimi 40 anni è diminuita da un 50% circa a un 30% circa del PIL. La Pubblica Amministrazione ha difficoltà a far fronte anche alle spese a cui un tempo faceva fronte, ivi comprese le pensioni (qui è la ragione reale per cui in ogni paese capitalista bisogna peggiorare il sistema pensionistico, alzare l’età, ecc., benché la vita media sia aumentata molto meno della produttività del lavoro). La privatizzazione vuol dire anche questo!

2. La stragrande maggioranza del patrimonio monetario è nelle mani dei ricchi. Lo Stato non può farsene dare per legge quanto è necessario alle spese della Pubblica Amministrazione, perché altrimenti i ricchi trasferiscono in altro paese il loro domicilio fiscale (in Vaticano, a San Marino, a Monaco, in Svizzera, nel Liechtenstein, nel Lussemburgo, in uno dei tanti paradisi fiscali o semplicemente in paesi dove le leggi fiscali sono più favorevoli): per i ricchi non esistono leggi come la Turco-Napolitano o la Bossi-Fini. La libera circolazione dei capitali è un dogma di fede, più che l’Immacolata Concezione: mica si tratta di angariare poveri emigranti!

Se proprio vuole soldi dai ricchi, lo Stato deve farseli prestare. Ma a quali condizioni! Se lo Stato mette sul mercato obbligazioni o altri titoli pubblici per un prestito di 100, le banche e le istituzioni finanziarie che collocano il prestito presso i “risparmiatori”, ne danno allo Stato 80, perché 20 vanno in spese di collocamento, provvigioni e commissioni. Per invogliare i “risparmiatori” a sottoscrivere il prestito di uno Stato della cui solvibilità diffidano, e le complici agenzie di rating (classificazione dell’affidabilità dei debitori) aiutano a diffidare, lo Stato deve assicurare interessi elevati (anche da 10 a 20 per cento all’anno: tanto più alti quanto più lo Stato è in stato di necessità). In conclusione lo Stato si impegna a pagare ogni anno 10 o 20 € su 100 di prestito di cui ne ha incassato solo 80, a restituirne 100 pur avendone incassato solo 80 e a pagare società d’assicurazione per garantire i “risparmiatori”.

Stante queste condizioni è del tutto comprensibile che le masse popolari per avere ammortizzatori sociali devono fare forti pressioni e incutere una salutare paura alla borghesia, al clero e alle loro autorità. Ma se la paura è abbastanza grande, anche le risorse monetarie reperite lo saranno. Quindi è possibile imporre alla borghesia, al clero e alle loro autorità ammortizzatori sociali. Ma con quali contropartite e conseguenze? Dipende dalle circostanze, soprattutto dalla durata del periodo per cui si prolunga il ricorso ad ammortizzatori sociali. Se il ricorso ad ammortizzatori sociali si prolunga indefinitamente nel tempo, si hanno effetti economici e politici su cui i reazionari fanno assegnamento e a cui quei rivoluzionari che non sono avventuristi devono prevedere come far fronte. Per questo l’interpretazione che si dà alla crisi attuale (crisi ciclica o crisi generale?) è di decisiva importanza nel decidere la linea politica.

 

2.

Se noi ci limitassimo alla rivendicazione di ammortizzatori sociali, come oggi ancora fanno non solo la sinistra borghese e la destra sindacale, ma anche la sinistra sindacale e i sindacati alternativi (compresi quelli, come Slai Cobas per il Sindacato di Classe, diretti da compagni, Proletari Comunisti, che si dicono e forse anche sinceramente si credono comunisti, rivoluzionari e persino maoisti), noi aiuteremmo sia pure con le migliori intenzioni la mobilitazione reazionaria.

Infatti se la crisi generale del capitalismo non ha fine di per se stessa o grazie agli ammortizzatori sociali o ad altre misure di politica economica (e chi capisce la natura della crisi in corso capisce bene che non avrà fine né perché aumentano gli ammortizzatori sociali né per nessuna altra misura puramente di politica economica), dovremo chiedere ed esigere sempre più ammortizzatori sociali e senza limiti di tempo, aumenteranno proteste, pressioni, rivolte, espropri e altri disordini (il primo passo per porre fine a un ordine sociale ingiusto!). La situazione che in questo modo si crea colpirà e preoccuperà anche una parte importante delle masse popolari. Il grosso delle masse popolari non vedrà una fine al degrado della situazione: l’ipotesi infatti è che nessuna autorevole organizzazione prospetta, propone, mobilita le masse popolari per instaurare un ordinamento sociale superiore per tutte le masse popolari, che i promotori delle lotte per avere ammortizzatori sociali per tutte le masse popolari non raccolgono le forze che facciano sperare in un futuro migliore duraturo. Borghesia, clero e autorità non esiteranno ad attribuire l’aggravarsi continuo dei mali agli scioperi, alle proteste, alle pressioni, alle rivolte, agli espropri e agli altri disordini a cui di volta in volta ora un gruppo delle masse popolari ora un altro ricorrerà per avere adeguati ammortizzatori sociali. Gli organizzatori e promotori di tali disordini saranno dai reazionari e dalla stessa borghesia di sinistra additati come “terroristi” e causa della rovina nazionale e la loro azione sarà addotta come giustificazione delle “prove di fascismo” (gli opposti estremismi). Lo sconvolgimento del sistema monetario, per di più senza prospettive di soluzione o di una fine, preoccuperà e allarmerà quella parte delle masse popolari che ha qualche proprietà o anche solo si fa qualche illusione.

In una clima e contesto del genere prima o poi l’uno o l’altro dei gruppi criminali promotori delle “prove di fascismo” riuscirà a innescare la propria crescita e sarà via via sempre più foraggiato e appoggiato dalla destra borghese, dalla parte più reazionaria delle forze armate, della polizia e della Chiesa. Ad esso i rivoluzionari avventuristi o imbelli non saranno capaci di opporre alcuna efficace resistenza, come successe negli anni venti e trenta del secolo scorso in Italia, in Germania e in altri paesi: se i comunisti non capiscono la situazione ora, perché dovrebbero capirla quando le condizioni per farci fronte saranno peggiori?

Non è questo processo ragionevole, evidente, probabile? Ecco a cosa ci preparano quelli che si ostinano a limitarsi alle rivendicazioni di ammortizzatori sociali, che per altro sono indispensabili visto che la crisi non ha soluzione e anzi si aggrava!

Ecco perché le Organizzazioni Operaie (OO) e le Organizzazioni Popolari (OP), oltre a promuovere appropriazioni su larga scala e rivendicazioni di ammortizzatori sociali d’ogni genere, devono anche e soprattutto volere e raccogliere forze che vogliano costituire un loro governo d’emergenza, che abbiamo chiamato Governo di Blocco Popolare, che si propone di mettere in opera, con l’appoggio capillare e deciso delle stesse OO e OP, tutti i provvedimenti necessari che attuano le sei misure che abbiamo indicato come suo programma.

Questo obiettivo è una prospettiva che da subito dà maggiore forza anche alle rivendicazioni di ammortizzatori sociali e da subito taglia l’erba sotto i piedi alle “prove di fascismo” e alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. La costituzione di un GBP, le iniziative per attuarne il programma e le lotte per difenderlo dalla destra borghese più arrabbiata e criminale accelereranno anche la rinascita del movimento comunista e apriranno quindi la via all’instaurazione del socialismo.

Umberto C.