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La situazione politica e i nostri compiti
Contro l’economicismo
Marx nel 1852
scrisse a Weydemeyer:
“Per quanto
mi
riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle
classi
nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo
prima di me,
storici borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta
delle
classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò
che io ho fatto
di nuovo è stato: 1. dimostrare che l’esistenza delle classi
è legata puramente
a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2. che la
lotta delle
classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3. che
questa
dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione
di tutte
le classi e a una società senza classi.” In Opere, vol.
39.
In questa fase
il
centro di tutto il nostro lavoro, il suo asse portante è la
propaganda del
socialismo: in cosa consiste il socialismo (spiegato sulla base
dell’esperienza
dei primi paesi socialisti e dei sintomi presenti nella nostra
società, (1) che
è l’anticamera, tormentosa quanto si vuole ma comunque
l’anticamera del
socialismo), perché l’umanità non può fare a meno
del socialismo, perché il
socialismo è possibile nonostante la forza e l’opposizione “a
ogni costo” della
borghesia e del clero, perché la classe operaia è la
classe che può e deve
dirigere il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo, cosa
bisogna
fare per arrivare a instaurare il socialismo (la via al socialismo nel
nostro
paese, la nostra strategia per instaurare il socialismo). Tutto il
nostro
lavoro deve essere permeato e inquadrato nella propaganda del
socialismo come
soluzione unica, come soluzione necessaria, come soluzione possibile
della
crisi politica, economica, culturale (intellettuale e morale) e
ambientale
prodotta dal capitalismo.
Nei paesi
imperialisti la propaganda del socialismo è indissolubilmente
associata con la
lotta contro l’economicismo. È impossibile che noi comunisti
conquistiamo gli
operai alla lotta per instaurare il socialismo se siamo inquinati
dall’economicismo.
L’economicismo
è contemporaneamente 1.
la concezione spontanea del proletario che già non si rassegna
più ai
maltrattamenti cui è sottoposto, ma che è ancora
ideologicamente succube della
borghesia (ha ancora la mentalità propria della società
borghese) e 2. la
politica borghese (promossa dalla borghesia) per questi operai. Da qui
la sua
persistenza e il suo riprodursi in mille forme diverse, come una
malattia
maligna che insidia e che dove prende piede debilita il movimento
comunista.
L’economicismo
è la concezione
“spontanea” dell’operaio. L’operaio educato dalla società
borghese, con la
mentalità (la filosofia spontanea) che assorbe dalla
società borghese, con la
mentalità creata e resa naturale dalla pratica mercantile, del
vendere e
comperare, arriva alla lotta rivendicativa. Il proletario è un
venditore di
forza lavoro, il padrone la vuole pagare il meno possibile, il
proletario cerca
di venderla al prezzo più alto possibile. E scopre la forza
dell’associazione
come mezzo atto a questo fine. Questo è il sindacato e da qui ha
avuto origine
e continuamente si rigenera la lotta sindacale, rivendicativa, come che
la si
chiami, dentro e fuori la fabbrica.
L’economicismo
è l’ambito dove la
borghesia cerca di confinare l’operaio quando le condizioni generali
della
civiltà sono tali che è impossibile impedire la lotta
delle classi proletarie
contro i padroni e vietare la loro associazione a questo scopo. Da noi
è stata
la filosofia su cui sono nate e vissute la CISL, la UIL, le ACLI, i
sindacati
gialli e corporativi: l’operaio ha diritto a stare meglio e
finché si limita a
questo la sua lotta è giusta. Ci sono paesi come la Germania
dove per legge e
per contratto è proibito alle organizzazioni operaie di
occuparsi d’altro. Nei
paesi anglosassoni (USA, Gran Bretagna, Australia, ecc.) da decenni
oramai,
nell’ambito di regimi di controrivoluzione preventiva, (2) i proletari hanno
condotto lotte rivendicative anche accanite, organizzate da sindacati
borghesi
o comunque diretti da economicisti (a volte anche molto combattivi) e
le
organizzazioni operaie non vanno oltre le rivendicazioni salariali e
normative.
Le lotte
rivendicative sono
indispensabili alle classi proletarie. Ai padroni che spingono il
salario più
in basso possibile, che in ogni campo cercano di spremere il più
possibile i
lavoratori, alle Autorità che estorcono tasse, impongono
restrizioni ed
eliminano conquiste, i proletari oppongono lotte rivendicative, usano
la forza
dell’organizzazione e del numero, fanno leva sul bisogno che il padrone
ha di
essi come classe, del consenso e dei voti di cui le Autorità si
avvalgono, per
esigere salari e condizioni di lavoro e generali migliori. Fin qui noi
comunisti siamo tutti d’accordo. Fin qui i disaccordi sono con chi
invece
sostiene la concertazione, la compatibilità, la collaborazione
dei lavoratori
con i padroni, le politiche dei sacrifici, la rassegnazione al meno
peggio.
La divergenza
tra noi comunisti e gli
economicisti incomincia da questo punto. Gli economicisti sostengono
che gli
operai tramite le lotte rivendicative prima o poi arrivano alla lotta
politica.
In che cosa
consista la lotta politica,
ecco il primo tema su cui molti economicisti sono reticenti o ambigui.
Lotta
contro il governo e le Autorità per indurli a fare leggi e norme
favorevoli o
almeno meno inique, a stanziare sussidi, a costruire case popolari,
ecc.,
oppure lotta per prendere il potere e instaurare il socialismo? Gli
economicisti di casa nostra, quelli che magari onestamente si credono
comunisti
(quelli, per fare esempi concreti, che dirigono Proletari Comunisti
(RossOperaio), Rete dei Comunisti, ecc. che costituiscono varie
gradazioni di
economicisti) non vi diranno che per loro la lotta politica si limita
alla
prima cosa. Ma di fatto agli operai parlano solo della prima cosa,
lasciano
nell’ombra le questioni della strategia e della tattica per la
conquista del
potere, mischiano sindacato e partito, organizzazioni per la lotta
rivendicativa e organizzazioni per la lotta politica, le organizzazioni
che
costruiscono sono adatte solo per il primo tipo di lotta politica. I
capi di
Rete dei Comunisti vi dicono anche esplicitamente che compito
dell’organizzazione politica è fare da sponda politica
(cioè nelle istituzioni
borghesi) alle lotte rivendicative dei lavoratori, spingere le
autorità
borghesi a fare leggi e norme favorevoli ai lavoratori, sostenere le
lotte
rivendicative e le relative organizzazioni con il prestigio e
l’autorità delle
cariche istituzionali.
Noi comunisti
sosteniamo certo anche
lotte politiche rivendicative, iniziative di ogni genere fatte per
indurre le
Autorità borghesi a fare leggi e stabilire norme favorevoli alle
masse
popolari, stanziare denaro pubblico a favore delle masse popolari in
sussidi,
opere pubbliche, scuole, sistema sanitario, ecc. e a ridurre le
esazioni
fiscali e affini (ticket, bolli, ecc.), a contenere i prezzi che
erodono i
salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti e taglieggiano i
lavoratori
autonomi. Ma promuoviamo nei lavoratori la coscienza che loro e le
altre classi
delle masse popolari hanno bisogno di instaurare il socialismo e li
spingiamo
con ogni mezzo a organizzarsi nella forma necessaria per realizzare
questo
obiettivo. Ovviamente nel campo della lotta per il socialismo ci sono
diversi livelli
di coscienza e diversi gradi di organizzazione. Anche noi comunisti ne
siamo
uno e il Partito comunista si propone di essere il livello più
alto di
coscienza e il grado più alto di organizzazione. Per questo
mette in opera una
conseguente politica di reclutamento, di formazione dei propri membri,
di
selezione dei propri dirigenti, di epurazione dei propri ranghi,
pratica al suo
interno la critica-autocritica-trasformazione e la lotta tra le due
linee e
funziona secondo il principio del centralismo democratico. Chiede
insomma ai
membri del Partito una coscienza, una condotta, uno sforzo, un impegno
e una
dedizione alla causa del tutto eccezionali anche tra gli operai. Tutto
ciò è
attinto dall’esperienza del movimento comunista che oramai dura da 160
anni e
ha raggiunto grandi successi, senza confronti nel corso della storia
umana,
anche se negli ultimi decenni del secolo scorso ha subito rovesci e
sconfitte.
Di fronte ad essi i comunisti non si sono persi d’animo, hanno cercato
i motivi
di questi rovesci e hanno corretto gli errori e superato i limiti che
avevano
indebolito il movimento comunista al punto che la borghesia e il clero,
che
erano in declino, hanno ripreso il sopravvento. La rinascita del
movimento
comunista in corso nel mondo e anche nel nostro paese, all’insegna del
marxismo-leninismo-maoismo e seguendo la strategia della guerra
popolare
rivoluzionaria di lunga durata, conferma e verificherà la
bontà delle scoperte
fatte e delle correzioni apportate.
Come promuovere
nei lavoratori una adeguata
coscienza che occorre instaurare il socialismo e come organizzarli in
modo
adatto a raggiungere l’obiettivo? Gli economicisti più vicini a
noi comunisti,
come esempio citiamo Proletari Comunisti (RossOperaio), non negano
questo
compito dei comunisti, ma sostengono che le lotte rivendicative sono la
via
unica o principale attraverso cui gli operai arrivano a concepire che
devono
lottare per impadronirsi del potere e instaurare il socialismo.
Vogliamo
portare gli operai a lottare per instaurare il socialismo? Promuoviamo
lotte
rivendicative, organizziamoli perché conducano lotte
rivendicative sempre più
spinte, sempre più generali, sempre più combattive
(“militanti”) con obiettivi
sempre più ambiziosi e vedrete che prima o poi gli operai ci
arriveranno a capire
che bisogna farla finita con i padroni e prendere in mano il potere.
Perché lo
Stato interviene in mille modi nelle lotte rivendicative a sostegno del
padrone: cosa certamente vera. Perché in molte lotte
rivendicative lo Stato
stesso è direttamente il padrone, è la principale parte
nemica in causa.
Infatti le condizioni normative e in alcuni casi anche economiche dei
proletari
dipendono dalla politica dello Stato. Cosa certamente vera e tanto
più vera e
importante nei paesi imperialisti dove l’economia è altamente
collettiva, dove
borghesia e Stato sono fusi nel capitalismo monopolistico di Stato.
Basta
considerare la speculazione che sta portando alle stelle il prezzo dei
carburanti, degli alimentari, di altri beni di consumo e di molti
servizi, rovinando
i lavoratori dipendenti, i pensionati e molti lavoratori autonomi.
Quindi, è la
conclusione che traggono gli economicisti, chi vuole instaurare il
socialismo
deve promuovere e fomentare lotte rivendicative. Gli operai ne
capiscono la
necessità, mentre non capirebbero niente se parlassimo loro di
comunismo e di
socialismo. Facendo lotte rivendicative andranno a sbattere il naso
contro lo
Stato e saranno costretti a rendersi conto che la lotta politica
è
indispensabile. Non bisogna parlare agli operai di comunismo e di
socialismo.
Si spaventerebbero, si allontanerebbero da noi, non ci starebbero
neanche ad
ascoltare. Parliamo invece di salari, di condizioni di lavoro. Queste
sono cose
“concrete”: queste sono cose che gli operai capiscono perché le
sperimentano
direttamente. Se noi organizziamo delle rivendicazioni vittoriose, gli
operai
saranno con noi e potremo poco per volta portarli a lottare anche per
instaurare il socialismo.
Su questo
nocciolo nascono le mille
varianti di economicismo che inquinano il movimento comunista, in certi
periodi
e paesi arrivano fino a soffocarlo.
Nel nostro paese
i sindacati di regime,
in particolare la CGIL e i sindacati di base (alternativi) sono pieni
di
comunisti sostenitori (fautori) di una specie di “lunga marcia verso il
comunismo tramite le lotte rivendicative”. Le FSRS sono imbevute di
economicismo. Proletari Comunisti (RossOperaio) proclama che “solo la
lotta
sindacale è concreta”. Che per essere un dirigente comunista
bisogna essere “un
riconosciuto dirigente sindacale”. Anche le nostre file non ne sono
esenti.
Quando un compagno arriva in un nuovo posto di lavoro, è
“naturale”, è
“inevitabile” che cerchi di organizzare qualche rivendicazione. Se non
sono in
corso lotte rivendicative, in fondo (benché ripeta mille frasi
del Partito che
dicono il contrario) gli pare che lì non c’è lotta di
classe, che “tutti sono
arretrati”. Quando un organismo deve stabilire cosa fare, spesso il
pensiero
corre solo alle lotte rivendicative che si possono promuovere. E ce
n’è sempre in
abbondanza di lotte rivendicative utili e necessarie, sia per gli
operai come
per le altre classi delle masse popolari, tante sono le malefatte dei
padroni e
delle Autorità. In questo periodo più ancora che negli
anni scorsi.
In effetti da
soli gli operai già fanno
lotte rivendicative e fa loro comodo che i comunisti li aiutino. Ma
è questo
l’aspetto centrale del nostro compito? È vero che le lotte
rivendicative si
estendono e si rafforzano e prima o poi diventano lotta politica per
trasformare l’ordinamento sociale?
L’esperienza
mostra cose ben diverse da
quelle che dicono gli economicisti. Anzitutto ci sono i lavoratori dei
paesi
anglosassoni, i paesi capitalisti più avanzati del mondo e anche
lavoratori di
altri paesi ivi compreso il nostro, che hanno condotto e conducono
lotte
rivendicative accanite, ma non sono arrivati e sono ancora lungi
dall’arrivare
ad avere coscienza che per risolvere i loro guai e smettere di
dibattersi nella
stessa rete, con alterne fortune, un passo avanti oggi e un passo
indietro
domani se non due, in balia all’iniziativa dei padroni, degli
speculatori, dei
banchieri, del clero e dei loro governi, devono instaurare il
socialismo e
ancora più lungi dall’aver costruito un’organizzazione adeguata
allo scopo.
Dove i comunisti
non conducono un’azione
specifica per promuovere quella coscienza e creare
quell’organizzazione, le
lotte rivendicative non portano gli operai né alla coscienza
né
all’organizzazione di cui parliamo.
Viceversa ci
sono numerosi esempi di
paesi e di periodi storici in cui i comunisti hanno svolto il lavoro di
propaganda e di organizzazione che diciamo noi, combinandolo con le
lotte
rivendicative contro i padroni, con le lotte politiche contro i governi
e le
Autorità per avere riforme e con ogni altro tipo di lotta per
obiettivi
circoscritti e immediati e usando ognuna di esse come scuola di
comunismo. Qui
i comunisti sono più volte riusciti a creare un vasto movimento
di operai e di
membri di altre classi delle masse popolari con la coscienza e
l’organizzazione
adatte a lottare per instaurare il socialismo. Basti pensare da noi al
Biennio
Rosso e alla Resistenza con gli anni immediatamente successivi prima
che i
revisionisti moderni prendessero il sopravvento nel partito comunista e
un po’
alla volta, con molto sforzo, tatto e accortezza, lo trasformassero in
un
partito della sinistra borghese (che si occupa di lotte rivendicative,
ma non
di socialismo e denigra il movimento comunista). Basti pensare alla
Rivoluzione
d’Ottobre e all’Unione Sovietica, alla rivoluzione cinese e alla
Repubblica
Popolare, alle tante altre rivoluzione socialiste e di nuova democrazia
che i
comunisti hanno diretto nel secolo scorso e a quelle che ancora
dirigono oggi.
Consideriamo ora
più attentamente le
cose. Per quanto siano avanzati e grandi le richieste che facciamo ai
padroni e
le rivendicazioni che avanziamo, per quanto siano combattive le lotte
rivendicative che conduciamo, queste restano sempre una cosa
qualitativamente
diversa dal volersi impadronire del potere, eliminare i padroni e
instaurare il
socialismo. Sono due ordini di cose diverse. C’è un salto tra le
due. I
movimenti rivendicativi quindi differiscono dalla lotta per il
socialismo
anzitutto per l’obiettivo.
La lotta per il
socialismo e il
comunismo non è la lotta rivendicativa più avanzata,
più radicale e più
generale: il socialismo e il comunismo non sono affatto rivendicazioni.
C’è la
differenza che corre tra un ragazzo che reclama ed esige questo o
quello dalla
mamma e un adulto che si emancipa dalla mamma e fa la sua strada. Il
comunismo
e il socialismo sono prima un sogno, un sogno a occhi aperti, un sogno
realista
come i sogni di Pisariev di cui parla Lenin nel Che fare? (il
trattato
classico contro l’economicismo, scritto più di cento anni fa: lo
cito a riprova
di quanto sia “nuovo” l’economicismo). In secondo luogo sono una
scoperta
scientifica fatta da Marx ed Engels, i fondatori del movimento
comunista. La
storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole
forze è
in grado di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa, cioè
la convinzione
della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta
contro i padroni,
di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai,
ecc. La
dottrina del socialismo e del comunismo è sorta da quelle teorie
filosofiche,
storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti
delle classi
possidenti, gli intellettuali. (3)
Con la
mentalità (la filosofia) che lo
sviluppo dell’economia mercantile e capitalista crea nella popolazione
dei
paesi borghesi e in via di divenirlo, gli operai potevano e dovevano
condurre
lotte rivendicative. A questo fine essi dovevano associarsi,
costituirsi in
sindacati, rivendicare collettivamente questo o quello dai proprietari
e dalle
Autorità. È quello che è avvenuto in ogni paese
man mano che esso diventava
borghese.
La storia di
tutti i paesi moderni
mostra però anche che gli operai sono più ricettivi delle
altre classi alla
teoria comunista (al marxismo). È facile capire il
perché. Gli operai costituiscono,
con la borghesia, una delle due classi della grande produzione e la
società
moderna si fonda sulla grande produzione, sulle forze produttive
collettive,
sulla divisione sempre più spinta del lavoro tra unità
produttive e reparti e
sulla loro combinazione. Il comunismo nel senso moderno, attuale del
termine,
riprende e continua lo sviluppo intellettuale, morale e pratico portato
dalla
borghesia nella storia umana e supera le contraddizioni che la
borghesia,
l’ultima delle classi sfruttatrici, non può superare, le
contraddizioni (in
campo economico, morale, intellettuale, politico, ambientale) in cui si
dibatte
oggi l’umanità e che mettono in gioco la sua stessa
sopravvivenza. Gli operai
per la loro posizione sono in grado di capire tutto questo più
di qualsiasi
altra classe, nonostante la condizione intellettuale e morale in cui la
borghesia li tiene, perché il percorso che i comunisti
propongono è anche la
loro particolare emancipazione dalla borghesia che essi vanamente
cercano con
le lotte rivendicative, alle quali arrivano anche spontaneamente,
ovviamente
con la spontaneità propria di un lavoratore della società
borghese.
Ma movimenti
rivendicativi e lotta per
il socialismo non si differenziano solo per l’obiettivo. Anche la
struttura di
una organizzazione rivendicativa, le relazioni su cui è
costruita, gli statuti
che la reggono sono per forza di cose diversi dalla struttura dei
partiti
comunisti che hanno come loro scopo centrale la lotta contro la
borghesia e il
suo Stato per prendere il potere e instaurare il socialismo. Proprio
perché i
due tipi di organizzazione hanno obiettivi diversi. Le caratteristiche
dei
quadri e dei dirigenti, le attitudini richieste ad essi e la loro
formazione
sono differenti nei due tipi di organizzazione, perché diverse
sono le lotte
che devono condurre, le situazioni che devono affrontare, i compiti che
devono
svolgere.
L’organizzazione
per instaurare il
socialismo si costruisce anche quando e dove non vi sono lotte
rivendicative,
dove non possono esserci lotte rivendicative. I comunisti costruiscono
cellule
di partito anche in campo nemico: nelle forze armate, nella polizia,
nei
carabinieri, tra i magistrati, tra le guardie carcerarie, tra i
funzionari
dello Stato borghese, dovunque. Il comunista che entra in un ambiente,
non
cerca anzitutto e sempre quale lotta rivendicativa può
promuovere. Cerca chi in
quell’ambiente è più accessibile agli ideali del
comunismo, più capace di
capirli e abbastanza generoso per aderirvi e arruolarsi nella lotta per
farli
valere.
Ma c’è
ancora altro. Nelle società
capitaliste più sviluppate, dove il capitalismo ha raggiunto lo
stadio più alto
del suo sviluppo, la società è oramai combinata in modo
tale, la sua struttura
economica è tanto collettiva che ogni rivendicazione di una
parte lede gli
interessi di un’altra o come minimo viene usata dalla borghesia come
pretesto
per ledere gli interessi di un’altra o ricavarne un vantaggio politico
(dividere e contrapporre, assoggettare a sé, ecc.). Se gli
operai della
fabbrica X fanno un’efficace opposizione alla chiusura, il padrone
chiude la
fabbrica Y, magari in un altro paese e indica agli operai della
fabbrica Y gli
operai della fabbrica X come responsabili della loro disgrazia. I
pensionati
che vogliono una pensione dignitosa sono la rovina dell’economia del
paese. Se
gli incidenti stradali diminuiscono, officine di riparazione, fabbriche
d’auto,
ambulatori e pompe funebri chiudono e becchini vengono licenziati. Se
diminuisce la gente che fuma, operai e contadini del tabacco e tabaccai
sono nei
guai. Tutta la società è costruita così. La lotta
per instaurare il socialismo
unisce i lavoratori e le masse popolari che le lotte rivendicative
nell’ambito
della società borghese metterebbero gli uni contro gli altri. In
periodi di
crisi economica, quando la disoccupazione imperversa, condurre lotte
rivendicative diventa più difficile. Spesso si lotta, si
sciopera e ci si
guadagna poco o niente. L’inflazione mangerà domani l’aumento
che strappi oggi.
Costringi il padrone a non licenziare e quello dopodomani fallisce o
delocalizza. La lotta rivendicativa sembra senza senso. Proprio in
questi
periodi la lotta per il socialismo dà un senso anche alle lotte
rivendicative,
se queste funzionano come efficaci scuole di comunismo e avvicinano
alla lotta
per instaurare il socialismo gli operai e le masse popolari che
partecipano
alle lotte rivendicative, rafforzano la loro determinazione a lottare,
allargano la loro organizzazione, spingono i migliori ad arruolarsi nel
partito
comunista. A sua volta la coscienza e l’organizzazione comuniste
infondono
forza alle lotte rivendicative e sviluppano la solidarietà tra
lavoratori e
masse popolari di aziende, settori e paesi diversi, uniti contro i
padroni, il
clero e i loro governi per instaurare il socialismo.
Infine, di
fronte alle lotte economiche
e al resto delle lotte rivendicative, sia politiche (rivolte
cioè a indurre le
Autorità politiche dello Stato nemico a prendere determinate
misure) sia
rivolte contro singoli proprietari e altri notabili del regime, la
parola
d’ordine degli economicisti è “politicizzare la lotta
economica”. Ma la parola
d’ordine dei comunisti è “fare della lotta economica una scuola
di comunismo”.
(4) La lotta per instaurare il socialismo è il
contesto necessario per
sviluppare su larga scala e con più successi immediati le lotte
rivendicative,
oltre a rispondere alle domande che il capitalismo, giunto a un
avanzato grado
di sviluppo, pone circa il futuro dell’umanità.
Ernesto V.
Note
1.
Già oggi una grande azienda è composta di decine o
centinaia di reparti, a volte posti a grande distanza l’uno dall’alto.
Ogni
reparto ha in dotazione e riceve quanto gli è necessario per
svolgere la
lavorazione a cui è addetto e passa il suo prodotto, della
qualità e nella
quantità stabilite, a un altro reparto. Non vende né
compera, non scambia, non
ha rapporti mercantili con gli altri reparti. Quello che oggi sono e le
relazioni che hanno tra loro le centinaia di reparti di un grande
industria,
domani lo faranno le migliaia di unità produttive di un paese
socialista e,
dopodomani, le centinaia di migliaia di unità produttive del
mondo intero.
M.
Martinengo ed E. Mensi, Un futuro possibile (2006), E. Rapporti
Sociali.
2.
A proposito della natura e della storia del regime di
controrivoluzione preventiva, vedere Manifesto Programma, cap.
1.3.3.
pag. 46-56.
3.
Lenin, Che fare? cap. 2a, in Opere complete,
vol. 5 pag. 346.
4.
Il significato di scuola di comunismo è illustrato nel
Manifesto Programma, nota 30 pag. 262.