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Il lavoro sul primo fronte

La resistenza alla repressione e la lotta contro la repressione

Il Piano Generale di Lavoro del (n)PCI (La Voce n. 18 - novembre 2004 pag. 11) indica “la resistenza del Partito alla repressione” come il primo dei quattro fronti sui cui il Partito svolge la sua attività in questo periodo, vale a dire nella prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Sbaglieremmo però se prendessimo questa espressione nel senso che il Partito è l’unico attore della lotta sul primo fronte. A mio parere la spiegazione che il testo attuale del PGL del nostro Partito dà della sua attività sul primo fronte induce in errore e andrebbe cambiata. Questa spiegazione non riflette in misura adeguata il bilancio dell’esperienza della “carovana del (n)PCI” né l’attività realmente in corso. Trascura l’attività che già oggi le masse svolgono su questo fronte. Quindi non mette in evidenza il lavoro di massa che il Partito deve compiere su questo fronte. Concentra tutta l’attenzione su come il Partito deve costruirsi per essere capace di compiere in ogni circostanza la sua attività generale. Concentra l’attenzione solo sul Partito, sull’attività che il Partito deve compiere per svolgere il suo ruolo di Stato Maggiore della classe operaia che lotta per il potere. Mentre ognuna delle indicazioni circa gli altri tre fronti indica lo specifico lavoro di massa che il Partito deve compiere sul rispettivo fronte, l’indicazione relativa al primo fronte trascura lo specifico lavoro di massa che il partito deve compiere su questo fronte, rispetto alle lotte che già le masse popolari conducono su questo fronte. Non a caso, fin dalla prima pubblicazione del PGL nel novembre 2004 alcuni compagni giustamente ci hanno posto la domanda: quale posto hanno nel PGL le attività di organismi come l’Associazione Solidarietà Proletaria (ASP)? Qui di seguito voglio analizzare questo problema e indicare come andrebbe cambiata la formulazione del lavoro del Partito sul primo fronte.

 

Il Partito è attore essenziale e dirigente della lotta sul primo fronte.

 

Beninteso il Partito è attore essenziale e dirigente anche della lotta sugli altri tre fronti. Le lotte sul secondo, sul terzo e sul quarto fronte oggi sono componenti essenziali della nostra strategia in questa prima fase della guerra popolare rivoluzionaria. Senza un partito comunista capace di dirigere e valorizzare le singole lotte, ognuna di esse sarebbe una cosa qualitativamente diversa, non sarebbe un aspetto della lotta politica rivoluzionaria. “Se non esistesse il Partito, le nostre iniziative tattiche non avrebbero senso, non sarebbero giuste, non produrrebbero i risultati positivi che producono” (La Voce n. 24 pag. 37). Se non esistesse il Partito, il lavoro di massa dei comunisti o è funzionale alla sua creazione, o è una deviazione movimentista, spontaneista, antipartito: cerca di evitare, surrogare o contrastare la creazione del partito comunista. I comunisti agirebbero come se l’esperienza non avesse dimostrato e confermato che senza partito comunista la classe operaia non è in grado di prendere il potere.

Beninteso la direzione che il Partito esercita su organizzazioni e individui esterni al Partito, a partire dai più vicini fino alla sua direzione sulle larghe masse popolari, non deriva oggi né deriverà domani da delega o incarico ricevuto. Tanto meno deriva da investitura istituzionale o da un accordo per così dire diplomatico, dal riconoscimento o dal consenso degli interessati. La lotta per instaurare il socialismo è una lotta rivoluzionaria, seria e grave. Masse crescenti sono via via mobilitate e trascinate nella lotta e in diversa misura si impegnano nella lotta. In ogni lotta veramente rivoluzionaria, quando gli scontri diventano seri, nei fatti tra le organizzazioni e gli individui impegnati nella lotta dirige gli altri  chi ha una visione più lungimirante, lancia le parole d’ordine più giuste e lotta con più determinazione e tenacia. Anche gli organismi e gli individui che gli sono pregiudizialmente ostili, volenti o nolenti subiscono la sua direzione.

Il Partito è quindi all’altezza del suo ruolo solo se, su ogni fronte su cui le masse lottano, è il centro della lotta dal punto di vista ideologico, politico e organizzativo. Solo se elabora la concezione che guida i combattimenti su ogni fronte e trae dalla loro esperienza alimento per elaborare ulteriormente tale concezione, renderla più lungimirante, più articolata, più pratica. Solo se lancia le parole d’ordine più appropriate alla vittoria delle battaglie che su ogni fronte vengono condotte. Solo se è la base organizzativa che alimenta tutte le organizzazioni e che tutte le organizzazioni di fatto alimentano, lo vogliano o no.

La strategia per la conquista del potere nei paesi imperialisti indicata dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, ossia la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, nella sua essenza universale è mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione del partito comunista contro la borghesia imperialista, crescita per tappe di un nuovo potere, opposto a quello della borghesia, che lotta per soppiantare quello della borghesia. La nostra strategia implica che il Partito abbia su ogni fronte la direzione della lotta che vi si svolge. D’altra parte esso ha la direzione solo se ha una visione più lungimirante, completa e dialettica delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e lancia le parole d’ordine giuste in cui ogni combattente e ogni organizzazione che lotta con determinazione e generosità, trova riflesso il meglio della sua esperienza e delle sue aspirazioni. La mobilitazione delle masse popolari contro la borghesia imperialista si sviluppa senza limiti fino alla vittoria solo se il Partito comunista assicura una giusta direzione. Il Partito verrebbe meno al suo ruolo se non fosse capace di essere nei fatti, nella pratica, su ogni fronte di lotta, l’attore dirigente nel senso fin qui indicato. Ciò vale per ognuno dei quattro fronti considerati dal nostro PGL.

Detto questo, bisogna considerare le condizioni specifiche della lotta sul primo fronte, gli altri attori della lotta su questo fronte. Quello che si è voluto mettere in risalto con la formulazione data nel PGL, e che ha determinato la confusione della formulazione attuale, è 1. che sul primo fronte il ruolo del Partito è più importante, più decisivo che sugli altri fronti, 2. che l’esperienza ha mostrato che nei paesi imperialisti i partiti comunisti hanno incontrato più difficoltà ad assolvere il loro ruolo sul primo fronte che sugli altri fronti. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria i partiti comunisti dei paesi imperialisti non hanno assolto al loro compito di condurre le masse popolari a instaurare il socialismo, proprio perché, a secondo dei casi, o arretrarono di fronte alla repressione o alla minaccia di repressione, o non osarono portare avanti la lotta contro la borghesia imperialista perché cedettero di fronte alle minacce di guerra civile agitate dalla borghesia o non affrontarono in modo giusto la guerra civile scatenata dalla borghesia perché non si erano preparati né ideologicamente, né politicamente, né organizzativamente alla guerra civile. Senza la resistenza del partito comunista alla repressione, se il partito comunista non è capace di resistere alla repressione, se il partito comunista non è costruito in modo da essere capace di resistere alla repressione, prima o poi la repressione e spesso anche solo la minaccia della repressione hanno successo e la borghesia imperialista impone alle masse la sua volontà. Ogni piano, progetto e aspirazione di resistere alla repressione e di lottare contro la repressione va a farsi benedire. Occorre a ciò aggiungere che, benché a lungo termine la condizione principale per la vittoria sia la sua linea, la condizione principale della resistenza del Partito alla repressione è la clandestinità.

Ma a loro volta la resistenza del Partito alla repressione e la stessa clandestinità del Partito sono legate alla lotta che le masse popolari conducono sul primo fronte. Non potrebbero svilupparsi né durare a lungo senza una lotta delle masse popolari sul primo fronte. L’obiettivo del Partito sul primo fronte è di far crescere la capacità delle masse popolari di resistere alla repressione e di contrastarla.

La conclusione quindi è che il Partito è l’attore dirigente di tutte le lotte sul primo fronte. Se il Partito non è all’altezza del suo ruolo, se non resiste alla repressione e se non dà le giuste indicazioni, la lotta delle masse popolari sul primo fronte non si svilupperà che in limiti molto ristretti, con deviazioni e storture che la renderanno poco efficace. In tale caso è inutile cercare altrove le cause del ristagno e delle difficoltà della lotta sul primo fronte. Ma il grosso delle forze che si battono sul primo fronte, man mano che la situazione rivoluzionaria e lo scontro tra classe operaia e borghesia imperialista avanzano, è costituito dagli organismi e dagli esponenti avanzati anzitutto della classe operaia e in secondo luogo delle altre classi delle masse popolari. La misura dell’efficacia e del successo dell’attività del Partito su questo fronte è data dall’ampiezza delle forze che vi si mobilitano e dalla qualità dell’attività che esse svolgono. È quindi evidente che il Partito su questo fronte deve ancora svolgere molto lavoro di analisi e di direzione, nonostante le posizioni avanzate occupate dall’ASP e da altri organismi contro la repressione e nonostante la lunga esperienza di solidarietà e di promozione della solidarietà popolare con i prigionieri politici, in particolare con i prigionieri delle Brigate Rosse, che è stata propria della “carovana del (n)PCI” fin dalle sue origini nei primi anni ‘80.

 

La lotta sul primo fronte ha una pluralità di attori.

Da quando è iniziata l’epoca imperialista, la controrivoluzione preventiva caratterizza non solo il rapporto tra la borghesia e il partito comunista, ma tutto il rapporto tra la borghesia imperialista e le masse popolari. In particolare con lo sviluppo della seconda crisi generale del capitalismo, che è iniziata alla metà degli anni ’70, sono iniziate anche la graduale eliminazione delle conquiste di civiltà e di benessere strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti, è iniziata la ricolonizzazione dei paesi oppressi, l’imperialismo ha rimesso piede o sta rimettendo piede nei primi paesi socialisti. Si è sviluppata e tuttora si estende la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari oramai in ogni angolo del mondo, ivi compresi i paesi imperialisti. Nei paesi imperialisti le masse popolari hanno resistito e resistono a questa tendenza e la repressione è diventata una prassi sempre più diffusa e invadente: una marea di leggi e misure repressive e ancora più di operazioni repressive dilaga come un torrente limaccioso in tutti i paesi imperialisti. Nei paesi oppressi divampa la ribellione contro la ricolonizzazione. Persino una parte delle Autorità e delle classi dominanti di paesi oppressi, pur non essendo coerentemente rivoluzionarie, rifiutano di inchinarsi alla volontà e agli interessi dei gruppi imperialisti. Aumenta il numero dei paesi oppressi aggrediti dalle potenze imperialiste, in primo luogo dagli USA. Si moltiplicano le guerre civili promosse dai gruppi imperialisti nei paesi oppressi. Una parte della popolazione dei paesi oppressi si riversa in massa nei paesi imperialisti in cerca di lavoro e delle condizioni per sopravvivere. La repressione degli immigrati e il reclutamento di mercenari per l’aggressione sono all’ordine del giorno in ogni paese imperialista. Ogni organismo e individuo che è (o che secondo la borghesia può diventare) centro di promozione, organizzazione e direzione della resistenza delle masse popolari, ogni “cattivo esempio” e ostacolo all’attuazione della volontà della borghesia imperialista (del suo “programma comune”) è sottoposto alla denigrazione, all’isolamento e in particolare alla repressione. L’inversione della tendenza nel campo culturale è evidente: la cultura borghese di sinistra ha perso via via di forza e la cultura borghese di destra ha preso il sopravvento.1 Anche nel campo della repressione è evidente l’inversione di tendenza. Ancora alla fine degli anni ’60 in Italia il disarmo della polizia in servizio di ordine pubblico era una rivendicazione autorevolmente avanzata dai revisionisti ed era presa in seria considerazione nelle sfere dirigenti del paese. Tenevano banco le modifiche degli ordinamenti di polizia, degli ordinamenti carcerari e delle procedure giudiziarie in senso garantista (volte ad assicurare in misura maggiore i diritti delle masse popolari contro le Autorità), per limitare la ferocia e l’arbitrio delle strutture repressive della borghesia contro le masse popolari. Da trent’anni a questa parte le modifiche invece viaggiano in senso contrario. Spesso la pratica precede le leggi, violando principi elementari condivisi da gran parte dell’opinione pubblica (“le Autorità devono agire secondo le leggi”). Quello che la borghesia imperialista non può ancora stabilire apertamente e formalmente come legge e regola, le sue forze della repressione lo compiono nella pratica come arbitrio ed “esagerazione individuale” dei poliziotti, come “interpretazione” in senso antipopolare delle leggi e delle regole vigenti da parte dei magistrati. Si moltiplicano le misure legislative che potenziano la repressione, ma ancora più e prima ancora si moltiplicano le operazioni repressive. I rapimenti e i sequestri di persona alla Abu Omar non sono ancora legge, ma sono già realtà. Persino il parlamento europeo ha riconosciuto che molti Stati europei, tra cui quello italiano, hanno collaborato con gli USA in sequestri di persona, omicidi mirati, torture. Esponenti del ROS dei carabinieri e della DIGOS della polizia hanno partecipato e partecipano alla tortura a Guantanamo e in altre stazioni USA, israeliane o al loro servizio. Autorevoli esponenti e portavoce della borghesia imperialista deplorano che le Autorità sono ancora “prigioniere delle nostre proprie leggi, percepite su un piano rigorosamente formale” (Corriere della sera 11 ottobre 2006, pag. 11), che le Autorità si limitano ad applicare le leggi esistenti, che non reprimono con la forza necessaria i comunisti e gli altri esponenti della resistenza antimperialista, passando oltre il fatto che le leggi ancora non prevedono tale repressione. Per salvaguardare il regime e l’ordinamento sociale, le Autorità devono scavalcare le leggi che i governi e i parlamenti tardano o hanno difficoltà ad “aggiornare”, a “riformare”. La conservazione dell’ordinamento sociale capitalista crea problemi sociali e politici crescenti (insicurezza, precarietà, criminalità, violenze, ecc.). A questi problemi la borghesia risponde, nel nostro paese e in tutti i paesi imperialisti, aumentando la polizia, i controlli, i divieti, le multe e le pene. Anche nella triste graduatoria della repressione il primo paese sono gli USA, il paese capitalisticamente più avanzato. Qui vi sono più di 2 milioni di detenuti su 300 milioni di abitanti (bambini compresi), quasi 1 detenuto ogni 100 adulti. Tenendo conto della differenza di popolazione, quasi 7 volte più che in Italia. La popolazione USA è circa 5 volte quella italiana, ma i detenuti sono circa 35 volte quelli italiani.

Quindi sul primo fronte sono impegnati in un modo o nell’altro vari individui e organismi, perché la lotta sul primo fronte è un aspetto della resistenza che le masse popolari oppongono al progredire della crisi generale del capitalismo. Precisamente è l’aspetto politico di quella resistenza.2

 

L’attività del primo fronte presenta vari aspetti.

1. La resistenza alla repressione è, nella sua essenza, la capacità morale, intellettuale e organizzativa di continuare a svolgere la propria attività e assumere il proprio ruolo nonostante la repressione, quale che sia il livello e la brutalità della repressione. È l’attitudine morale degli individui a non cedere alle minacce e alle vessazioni, a non lasciarsi demoralizzare e abbattere. È la capacità degli individui e delle organizzazioni di continuare a comprendere le condizioni della lotta e a elaborare linee e parole d’ordine corrispondenti alla realtà. È la capacità delle organizzazioni di continuare a svolgere il proprio ruolo sociale quali che siano le misure repressive prese dalla borghesia, modificando per quanto necessario le forme dell’attività e dell’organizzazione. È un costume da promuovere nella classe operaia e nelle masse popolari con la propaganda, con l’esempio, onorando quelli che resistono e propagandando ogni caso ed esempio di resistenza.

Ovviamente per questo aspetto il Partito ha un ruolo particolare, da protagonista. La resistenza del Partito alla repressione, la sua capacità di continuare a svolgere il suo ruolo quali che siano i tentativi della borghesia, è sotto tutti gli aspetti la base su cui poggia la resistenza efficace e di lunga durata di tutte le altre organizzazioni del campo delle masse popolari. A sua volta la resistenza del Partito si alimenta della resistenza alla repressione di tutte le organizzazioni e dei singoli esponenti delle masse popolari. La clandestinità del Partito è strettamente legata a questo aspetto dell’attività del primo fronte.

La resistenza alla repressione è anche quella “lotta contro la polizia politica” di cui parla Lenin nel Che fare? (1903), come parte essenziale dell’attività del partito comunista. Senza lo studio delle forze della repressione, delle loro risorse e dei loro metodi e senza la messa a punto di metodi e risorse per controllarle e contrastarle, la resistenza alla repressione mancherebbe di un aspetto essenziale.

Ma la resistenza alla repressione non è l’unica forma della lotta sul primo fronte.

2. La lotta contro la repressione. Comprende l’informazione sulle misure e sulle operazioni repressive, la denuncia, lo smascheramento dei pretesti e delle immagini con cui la borghesia maschera la repressione. La borghesia perseguita principalmente la resistenza delle masse popolari, chi resiste e chi è o essa pensa possa diventare centro di promozione e organizzazione della resistenza. Ma essa non osa porre apertamente in termini di classe contro classe la sua attività. Quindi cerca di mascherare questa persecuzione dietro la persecuzione di reati di diritto comune, dietro la “guerra al terrorismo”, dietro la lotta contro le minacce alla tranquillità e alla sicurezza delle masse popolari di cui il suo ordinamento è la vera fonte.3

Occorre combattere il legalitarismo. Le leggi le fanno quelli che comandano: quindi ci sono cose che non sono legali, ma sono legittime, cioè conformi agli interessi delle masse popolari. Quando c’è un ordine sociale ingiusto, il disordine è il primo passo per creare un ordine sociale giusto. Occorre quindi condurre un’opera sistematica di educazione a infrangere le leggi pur di tutelare gli interessi delle masse popolari. Chi si lascia legare le mani dalle leggi che tutelano gli interessi e il potere della borghesia, non va lontano.

La lotta contro la repressione comprende anche l’opposizione e le proteste di piazza, nei consigli (comunali e degli altri livelli), nei parlamenti contro le misure e le operazioni repressive, le manifestazioni e le azioni contro gli agenti e le strutture addette alla repressione. In particolare quando le Autorità violano le stesse loro leggi.

Sempre più in tutti i paesi imperialisti magistrati e poliziotti travalicano le leggi e i regolamenti vigenti, “reinterpretano” e contornano le leggi che tutelano i diritti individuali e collettivi e le libertà democratiche e pongono limiti alle Autorità statali. Essi antepongono a quelle leggi la salvaguardia del regime e dell’ordinamento sociale. Anziché applicare le leggi vigenti, procedono a loro arbitrio, con sotterfugi, come credono più efficace per salvaguardare il loro ordine. Liberano quindi governo e parlamento dalla difficoltà di emanare apertamente leggi più repressive. Un esempio clamoroso e attuale è la persecuzione della “carovana del (n)PCI”: il governo e il parlamento non osano emanare leggi che interdicono il comunismo; magistrati e poliziotti vengono in loro aiuto con un sotterfugio: con l’accusa di terrorismo che si ripete un anno dopo l’altro, un procedimento giudiziario dopo l’altro (e siamo già all’ottavo!). Questo tipo di supplenza rende però manifesta anche la debolezza della borghesia. Rende quindi possibile mobilitare nella lotta contro la repressione ampi strati di sinceri democratici.

I comunisti possono e devono fare della difesa dei diritti e delle libertà democratiche contro la borghesia imperialista e in generale della lotta contro la repressione una scuola di comunismo per le masse popolari. I comunisti devono esporre alla luce del sole il carattere di classe della repressione: non sono i reati di diritto comune che polizia e magistrati perseguitano, ma l’opposizione al regime e all’ordinamento sociale (basta pentirsi e collaborare per essere assolti e amnistiati).

3. La solidarietà morale, economica, di sentimenti e di azioni con le persone e le organizzazioni colpite dalla repressione e la mobilitazione della solidarietà delle masse popolari. La solidarietà, dai suoi aspetti minimi (l’aiuto, la protezione, il sostegno economico, ecc.) alle sue espressioni più alte (la partecipazione alla lotta contro la repressione), rafforza la resistenza dei perseguitati alla repressione ed educa chi la pratica alla lotta di classe e al comunismo.

Nella lotta contro la repressione e nella promozione della solidarietà si possono attivare e di fatto già oggi sono attivi molti organismi e molti elementi avanzati delle masse popolari. È la loro attività che costituisce il grosso dell’attività sul primo fronte. Sta al partito creare le condizioni perché le mille attività ora frammentate e disperse confluiscano sempre più, nei fatti e quanto più possibile anche nella coscienza dei loro attori, a costituire una componente importante della più generale lotta ora in corso nell’ambito della prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

 

È possibile strappare delle vittorie nella lotta contro la repressione?

Attualmente la borghesia dispone di forze di gran lunga superiori alle nostre. Per chi considera unilateralmente, staticamente, in modo non dialettico le forze repressive di cui la borghesia dispone, noi non abbiamo alcuna possibilità di lottare e di vincere. Secondo costoro, la borghesia potrebbe spazzarci via in ogni momento. Ma, appunto, perché non lo fa? Non perché è buona, moderata, ben educata (basta vedere come si comporta nell’aggressione dei paesi oppressi e in cento altri terreni). Non lo fa perché il suo potere è limitato, perché non le conviene. Il suo potere è illimitato solo nell’immaginazione di chi lo considera unilateralmente, di chi pensa che noi dovremmo sottostare alla volontà della borghesia, “non tirare troppo la corda”, accontentarci del “meno peggio”. Anche Bush e i suoi consiglieri erano convinti di avere la forza necessaria per imporre la loro volontà nel Medio Oriente. Anche i nazisti israeliani, i sionisti, erano convinti di poter dettare legge in Libano. La pratica ha mostrato che non tenevano conto di fattori ben reali, tanto reali che ora i loro eserciti sono impantanati e bersagliati da molte parti. La forza della borghesia è sempre in relazione con la forza delle masse popolari. Sbaglia chi considera unilateralmente le forze repressive di cui la borghesia dispone. Inoltre la repressione è un’arma a doppio taglio. Può spaventare e ridurre al silenzio e alla sottomissione. Può anche suscitare una ribellione incontenibile e tenace, rendere più chiara e netta la linea di demarcazione tra oppressi e oppressori, isolare gli oppressori dalle masse popolari. Può dividere le masse che sono bersaglio della repressione se ognuno pensa alla sua salvezza. Ma può anche unirle in un esercito compatto contro l’oppressore, un esercito che per lottare trascura le contraddizioni che prima dividevano i gruppi e gli individui che ora lottano insieme. Esemplare quello che avvenne nel luglio 2001 a Genova. Il governo Berlusconi voleva “dare una lezione” che dissuadesse dalla manifestazioni di piazza, ma l’uccisione di Carlo Giuliani e le altre crudeltà commesse da polizia e carabinieri moltiplicarono in tutta Italia i manifestanti, benché Bertinotti cercasse di placare gli animi proponendo una “commissione parlamentare d’inchiesta”. Quale dei due esiti ha la repressione dipende da condizioni concrete, principalmente dalla lotta politica. La lotta che noi conduciamo sul primo fronte modifica e plasma queste condizioni, in legame dialettico con le lotte condotte sugli altri tre fronti.

 

Le condizioni della lotta contro la repressione

Le lotte contro la repressione, nel loro insieme, di per sé non terminano mai. Considerati unilateralmente, i loro risultati sono sempre precari. Sono come le lotte rivendicative. Queste non eliminano lo sfruttamento, ma ora qui ora là lo attenuano. Analogamente le lotte contro la repressione non eliminano le forze nemiche, ma respingono o indeboliscono alcuni dei loro attacchi, ostacolano la loro attività, le fanno retrocedere ora in un punto ora in un altro, le indeboliscono organizzativamente e ideologicamente. Impediscono alla borghesia di dispiegare tutta la sua potenza repressiva, la dividono circa l’opportunità e la misura della repressione. I risultati di ogni scontro dipendono dai rapporti di forza che caso per caso si creano.

Non dobbiamo nutrire né alimentare illusioni riformiste circa l’esito delle lotte sul primo fronte. Le lotte rivendicative non sfoceranno nella creazione di una società in cui le masse popolari godono del giusto benessere. Analogamente le lotte del primo fronte non sfoceranno in una società più democratica, come sostengono i riformisti e gli ingenui. Esse sfoceranno nella guerra civile. Ad un certo punto, quando la direzione del partito comunista sulle masse popolari avrà raggiunto una certa estensione, e quindi la lotta contro la repressione, le lotte rivendicative, il turbamento che l’irruzione delle masse popolari dirette dal partito porta nel teatrino della politica borghese, le attività delle organizzazioni delle masse popolari avranno superato un certo livello, la borghesia imperialista butterà in aria essa stessa la facciata della sua democrazia, della democrazia che maschera la controrivoluzione preventiva. È quello che la borghesia ha già fatto nel passato in Italia (1922), in Germania (1933), in Spagna (1936), in Cile (1973) e in altri paesi. È quello che ha minacciato di fare e avrebbe fatto, se i partiti comunisti dell’epoca non avessero ceduto al ricatto, in Germania e in Francia nel 1914, in Italia nel 1915, in Francia  ancora nel 1936-1937 e altrove. Prima o poi la borghesia scatenerà la guerra civile, la repressione terroristica contro le masse popolari.

È per questo che un partito che vuole veramente resistere alla repressione e dirigere le masse popolari nella resistenza alla repressione e nella lotta contro la repressione deve essere fin da oggi selezionato, formato e costruito per affrontare lo sbocco della sua attività. In caso contrario prima o poi si ridurrà ad accettare il “meno peggio”. Così come un partito che vuole condurre seriamente ed efficacemente le lotte rivendicative, non ridursi prima o poi alla “moderazione salariale”, alla concertazione e alla compatibilità, a indurre le masse a “restituire una parte di quello che hanno strappato ai padroni” (secondo la vergognosa espressione usata già alla fine degli anni ’70 dal sindacalista Giorgio Benvenuto), deve essere preparato ad instaurare un sistema di produzione e un ordinamento sociale senza capitalisti: il socialismo.

Ma è anche per questo che il Partito deve promuovere la mobilitazione delle masse popolari nella lotta contro la repressione, nella solidarietà con i perseguitati politici e i prigionieri, nella resistenza alla repressione, contro ogni forma di legalitarismo e di sottomissione alle leggi e alle Autorità della borghesia. Le lotte che le masse popolari conducono oggi sul primo fronte non portano ad un regime realmente democratico, ma non per questo dobbiamo sottovalutare i vantaggi anche immediati e diretti che le masse popolari ne ricavano e le nostre possibilità di vittoria in ogni scontro particolare. Nei paesi imperialisti sedicenti democratici, la borghesia imperialista ha il potere, ma ha bisogno di un certo livello di collaborazione delle masse popolari perché l’economia è altamente sociale e la coesione sociale ha un ruolo determinante sia per l’estrazione di plusvalore, sia per la sopravvivenza e per la forza del regime politico borghese di ogni paese. Non a caso la borghesia lancia ogni tanto grida disperate e ipocrite: “Siamo tutti nella stessa barca!”, “Bisogna salvare il sistema Italia!”. Con le lotte promosse sul primo fronte noi riduciamo la collaborazione delle masse popolari con la borghesia, contrastiamo gli sforzi che la borghesia fa per creare e mantenere la collaborazione di cui ha bisogno. La borghesia dei paesi imperialisti sedicenti democratici deve fare i conti con l’opinione pubblica. Periodicamente i suoi stessi partiti si contendono tra loro i voti delle masse popolari con campagne pubblicitarie, con i soldi e gli imbrogli. Per questo essa cerca di mantenere e ricacciare le masse popolari nell’ignoranza e in uno stato di abbrutimento intellettuale e morale, mette in opera sistematicamente operazioni di diversione, di confusione e di intossicazione. Ma per quanto queste operazioni siano diffuse e per quanto la borghesia dedichi ad esse molte forze e risorse, impieghi tutte le vecchie strutture oscurantiste, in particolare nel nostro paese quelle della Chiesa Cattolica e dispieghi tutti i ritrovati più moderni della psicologia, delle scienze sociali e delle comunicazioni, esse non bastano ad assicurare la collaborazione delle masse popolari. La stessa borghesia ha interessi e volontà contrastanti. Da una parte vorrebbe le masse austere, laboriose e risparmiatrici. Dall’altra le vorrebbe spendaccione e dedite al consumo. Stante la crisi generale in corso, la borghesia imperialista deve fare scelte laceranti al suo interno. Ha in ogni paese bisogno di mobilitare ai suoi ordini una parte importante delle masse popolari (mobilitazione reazionaria) e di ridurre la parte restante al silenzio e alla rassegnazione. La lotta contro la repressione intralcia questa operazione, favorisce l’autonomia delle masse popolari dalla borghesia.

Proprio per raggiungere questo fine, la lotta contro la repressione, la solidarietà con i bersagli della repressione e la resistenza alla repressione devono essere iniziative popolari. Non devono essere limitate alle “avanguardie”, anche quando sono ancora praticate solo da piccole minoranze. Bando a ogni concezione elitaria, a ogni orientamento minoritario nella lotta contro la repressione. Le tesi “le masse non capiscono ...”, “siamo sempre solo noi ...” sono il rifugio di persone che rifiutano di fare un vero lavoro di massa con stile comunista. Se promosse in modo da coinvolgere masse via via più ampie, la resistenza alla repressione, la lotta contro la repressione, la solidarietà indeboliscono la repressione, rendono difficile la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Esse mobilitano i sentimenti e le idee migliori delle masse popolari e fanno avanzare la loro coscienza, le uniscono contro la borghesia imperialista sotto la direzione del partito comunista. Sono una vera scuola di comunismo per le masse popolari.

 

Il ruolo particolare della lotta sul primo fronte

Le lotte sul primo fronte sono l’aspetto politico della resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo. Sono strettamente legate alla resistenza del Partito alla repressione, cioè alla condizione preliminare perché il partito, avanguardia organizzata della classe operaia, assolva ai suoi compiti storici verso il resto della classe operaia e verso le altre classi delle masse popolari: la classe operaia non può sperare di vincere se combatte senza il suo Stato Maggiore. La borghesia aumenta e indurisce la repressione: l’evoluzione di questa tendenza la porterà, con un salto di qualità, a scatenare la guerra civile. Per le classi popolari resistere alla repressione e lottare contro la repressione vuol dire percorrere la strada che, con un salto di qualità, le porterà ad essere capaci di far fronte alla guerra civile che la borghesia prima o poi scatenerà. Non a caso essa si sta preparando su tutti i terreni alla guerra civile: dal reclutamento di mercenari, all’abolizione dell’esercito di leva, al rafforzamento dei sistemi di controllo e schedatura, alla creazione di sistemi di protezione per le personalità e le strutture più importanti, al collaudo di sistemi di condizionamento e di intossicazione dell’opinione pubblica, ecc.

Questo carattere particolare della lotta sul primo fronte dà origine alle difficoltà particolari che incontriamo nello sviluppare su larga scala la lotta contro la repressione, la solidarietà verso i bersagli della repressione e la resistenza alla repressione, nel farle diventare veramente popolari e di massa. Ma è anche il motivo per cui la lotta sul primo fronte ha un’importanza particolare in questa fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Riusciremo a stabilire e a trattare in modo giusto il legame tra la lotta sul primo fronte e le lotte sugli altri fronti solo se comprendiamo bene il ruolo particolare della lotta sul primo fronte. Questa lotta è per sua natura di genere diverso dall’azione umanitaria e ancora più dal “volto umano” con cui le classi dominanti somministrano le loro “medicine amare” (il cappellano che consola il condannato affidato alle mani del boia). Ha uno stretto legame con la lotta condotta sugli altri tre fronti e, nello stesso tempo, è strettamente legata alla resistenza del Partito alla repressione. Cosa che spiega, io credo, la formulazione equivoca del nostro Piano Generale di Lavoro.

La particolarità del ruolo del Partito nella lotta sul primo fronte, rispetto al suo ruolo nella lotta sugli altri fronti, è legata al ruolo particolare che la lotta sul primo fronte ha rispetto al ruolo delle lotte sugli altri fronti, nella strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Le lotte condotte dalle masse popolari sul secondo, terzo e quarto fronte fanno maturare il passaggio dalla prima alla seconda fase della GPRdiLD. La lotta condotta sul primo fronte, oltre a contribuire a quella maturazione, crea le condizioni necessarie perché le masse popolari affrontino con successo il passaggio.

La principale di queste condizioni è la resistenza del Partito alla repressione, la capacità del Partito di continuare a svolgere il suo ruolo dirigente durante tutta la GPRdiLD. La storia del movimento comunista ha mostrato che questa capacità non si inventa d’un colpo, non è frutto solo dell’eroismo dei singoli e neanche solo dell’eroismo delle masse popolari.  È una capacità che si costruisce nel corso stesso dell’edificazione del partito e dello sviluppo delle organizzazioni delle masse popolari, adottando fin da oggi una linea giusta: una linea che nella lotta di oggi costruisce gli strumenti e le condizioni per lottare con successo domani.

 

Conclusione

In base alle considerazioni fin qui esposte, ritengo e propongo che nel Manifesto Programma in corso di redazione, il primo dei quattro fronti del nostro PGL sia indicato nel modo seguente o in uno analogo.

Primo fronte: la resistenza alla repressione, la lotta contro la repressione e la solidarietà. Mobilitazione delle masse popolari nella lotta contro la repressione e nella solidarietà con le organizzazioni e gli individui bersaglio delle misure repressive della borghesia, con l’obiettivo principale di rafforzare la capacità delle masse popolari e delle loro organizzazioni di resistere alla repressione, di accrescere la resistenza morale e intellettuale alla repressione, di sviluppare la coscienza di classe, la coscienza del contrasto antagonista di interessi e la coscienza della lotta che oppone le masse popolari alla borghesia imperialista e in secondo luogo con l’obiettivo di limitare, ostacolare e impedire l’attività repressiva della borghesia. Il Partito deve sostenere tutte le organizzazioni che si propongono questi obiettivi e far confluire tutte le loro lotte particolari in un unico torrente che unisca e rafforzi le masse popolari.”

La riformulazione del contenuto e degli obiettivi delle lotte sul primo fronte comporta certamente anche una riformulazione complessiva del PGL. Occorre indicare, ben distinguendoli nonostante la loro unità dialettica, da una parte il lavoro di costruzione e rafforzamento del Partito (“il partito deve mettersi in condizioni ecc.”) e dall’altra il lavoro di massa che il Partito deve svolgere su ognuno dei quattro fronti, a partire dal primo.

Umberto C.

NOTE:

1    Vedere in proposito Rapporti Sociali, prima serie, n. 1, pag. 26 La verità è rivoluzionaria.

2    La lotta contro la repressione è l’aspetto politico della resistenza delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo. È quindi facile comprendere perché le organizzazioni economiciste sono in difficoltà a impegnarsi apertamente e su larga scala nella lotta sul primo fronte, perché recalcitrano ed esitano ad impegnarsi. Secondo loro gli operai “non capiscono”, non sono in grado di capire l’importanza e il ruolo della lotta contro la repressione e della solidarietà con i perseguitati politici. E “quindi” non bisogna parlare agli operai di argomenti simili. Bisogna lasciarli in preda alla disinformazione e all’intossicazione borghesi. Esse non analizzano le difficoltà che bisogna superare per compiere il nostro lavoro, per trovare come superarle. Le usano al contrario come motivo per evitare di compie- re il lavoro indispensabile e possibile per avanzare sulla via della rivoluzione socialista.

3    L’ordinamento sociale borghese, la sua obsolescenza, il regime politico borghese, le manovre della borghesia per sopravvivere sono all’origine dello stato di grave precarietà e di insicurezza in cui vivono le masse popolari. Ma solo sviluppando una mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, solo organizzando azioni e iniziative rivoluzionarie contro ognuna delle innumerevoli angherie e malversazioni che la borghesia impone alle masse popolari riusciremo ad impedire che la borghesia stessa mobiliti le masse popolari contro questo o quell’aspetto particolare della precarietà e dell’insicurezza quotidiana che ad essa conviene mettere in avanti: contro gli immigrati, contro le donne, contro i giovani, contro i marginali, contro la piccola delinquenza, contro questa o quella minoranza. Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, indirizzare e sfogare contro gli ebrei il malessere di larghe classi delle masse popolari fu un’operazione che portò grandi frutti alla borghesia tedesca. Questa operazione le riuscì su grande scala a causa della mancanza di una efficace campagna rivoluzionaria del partito comunista. Le campagne lanciate dalla Lega Nord, prima con le “camice verdi” ora con le “ronde” già all’opera in provincia di Treviso, di Padova e altrove, mostrano chiaramente che la mancanza di iniziativa rivoluzionaria e di azioni rivoluzionarie lascia campo libero alla borghesia. I revisionisti, i riformisti, i legalitari, i fautori del “meno peggio” e delle mezze misure aprono in realtà la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. La mancanza di iniziativa rivoluzionaria lascia spazio alle iniziative reazionarie. L’esperienza conferma che la miglior difesa è l’attacco.

 

 

Leggi la machette sul: Piano generale di lavoro del (nuovo)Partito comunista italiano