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Clandestinità e famiglia: parliamone da comunisti

 

Nel quadro del consolidamento e rafforzamento del (n)PCI, in particolare nel lavoro di reclutamento di rivoluzionari di professione operanti nella situazione di clandestinità, emerge spesso la problematica della famiglia. Il Partito ha accumulato sufficiente esperienza per poter trattare la questione nel dovuto modo.

Nell’affrontare tutte le situazioni, bisogna sempre far leva sul materialismo dialettico, sintesi più alta dell’ideologia della classe rivoluzionaria: il proletariato. Non è una questione di retorica. Solo attraverso un giusto approccio ideologico è possibile affrontare nel giusto modo le sfide sia strategiche che quotidiane che presenta la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Da qui il motivo per cui il Partito afferma la necessità di scovare in ogni frangente le concezioni borghesi, dividerle dalle concezioni proletarie e lottare per l’affermazione di quest’ultime.

La fine del mondo” - La borghesia è una classe che non ha più nulla da offrire all’umanità. È una classe in decadenza. Questa situazione la porta a gridare alla “fine del mondo”. In realtà l’unica cosa che sta per finire è il suo dominio. Il futuro è la nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. La consapevolezza della sua instabilità, porta la classe di parassiti e sanguisughe che ci opprime a rafforzare, da un lato, i suoi regimi di controrivoluzione preventiva e, dall’altro, a cercare di fomentare tra le masse popolari la paura del futuro e, in particolare, del cambiamento. Non a caso con l’avanzare della crisi generale e della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo riaffiorano i vari credi religiosi e le sette: “che dio (o chi per lui) ci salvi dalla fine del mondo!”.

Questo elemento, dunque la paura del futuro e del cambiamento, costituisce un primo asse da tenere in considerazione per quanto concerne la questione della famiglia-scelta della clandestinità.

La morte del comunismo” - Un altro elemento da prendere in considerazione è la continua opera di denigrazione che la borghesia conduce nei confronti del comunismo e, in particolare, nei confronti dei primi paesi socialisti e del compagno Stalin. Il “comunismo è un crimine contro l’umanità”, il “comunismo è morto”, “essere comunisti oggi significa essere completamente staccati dalla realtà”. Insomma, la borghesia ripete l’operazione di intossicazione ideologica fatta dopo la sconfitta della Comune di Parigi. In questo contesto, per fare la scelta della clandestinità è necessaria una grande dedizione alla causa. Per via della debolezza attuale del movimento comunista, la cultura della classe dominante influenza ancora in maniera notevole le masse popolari. Mentre si è considerati un eroe se si lascia la famiglia per andare a fare il mercenario in Iraq o per arruolarsi nei servizi segreti e diventare la principale arma contro le masse popolari o per andare a lavorare in un paese dall’altra parte del pianeta come direttore di un impresa, si è considerati come dei folli se si lascia la famiglia per contribuire senza risparmio di energie al consolidamento e rafforzamento del Partito e, quindi, all’affermazione dell’unica via di uscita per le masse popolari dal marasma materiale e spirituale prodotto dalla borghesia: fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Siamo lontani dal periodo in cui essere comunisti, partigiani era considerato dalla maggior parte delle masse popolari un segno distintivo, in positivo. Ma dobbiamo prenderne atto non per rassegnarci, ma per essere coscienti del lavoro che ci aspetta ed avanzare con efficacia. Torneremo infatti a quella situazione: la storia porta in quella direzione.

La combinazione di questi due elementi propri della cultura della classe dominante, dunque la paura del futuro e la sfiducia nel comunismo, e la loro influenza sulle masse popolari, quindi anche nella nostre fila, creano questa idea sbagliata: la scelta della clandestinità determina una situazione inevitabilmente nera a livello familiare, una catastrofe, un cataclisma, una sofferenza senza fine.

Ebbene compagni le cose non stanno così!

Parlo sia per esperienza personale che come portavoce di tutti i compagni del (n)PCI che hanno lasciato la loro famiglia per contribuire al consolidamento e rafforzamento del Partito. La nostra esperienza, dunque il patrimonio del Partito, conferma esattamente il contrario.

Il ruolo della rottura nella trasformazione - La borghesia teme il cambiamento perché è cosciente che l’unico cambiamento possibile è liberarsi da essa. Tutti i passi in avanti fatti in questa direzione dalle masse popolari, innanzi tutto dotarsi di un vero partito comunista, la terrorizzano. Il cambiamento è legato alla rottura: non c’è nessuna trasformazione senza una precedente rottura. Non a caso la borghesia fomenta nelle masse popolari la paura verso tutte le forme di rottura. Noi comunisti, al contrario, siamo i promotori più coscienti e capaci del cambiamento. Noi non abbiamo paura della rottura: per noi sprigiona l’energia necessaria per trasformare lo stato attuale delle cose. In ogni situazione dobbiamo lavorare per portare fino all’esplosione le contraddizioni tra borghesia imperialista e le masse popolari, producendo la rottura e la contrapposizione tra i due campi sulla base degli interessi di classe. Fatta questa premessa, pongo una domanda: cosa sono i comunisti? Sono elementi delle masse popolari che si staccano da esse (rottura) per poi tornarvi ad un livello superiore e promuovere la loro trasformazione (cambiamento) organizzandole e formandole nella lotta all’ultimo sangue contro il nemico di classe. In sintesi, la dinamica è la seguente: dalle masse-rottura-alle masse-cambiamento. Questo è il primo elemento che è importante evidenziare.

La piramide - La lotta per il socialismo è come la costruzione di una piramide: solo alzando la punta si allarga la base. La parte avanzata solo continuando ad avanzare permette lo sviluppo di tutto il resto, spinge in avanti tutto il resto. In altre parole: rompere per avanzare produce un cambiamento, un salto qualitativo. Questo è un secondo elemento.

Dalla teoria alla pratica” - Tutta questa dinamica vale ovviamente anche in ambito familiare. Mi spiego meglio, passando “dalla teoria alla pratica”. È un dato di fatto che la scelta di vita intrapresa da me e dai miei compagni ha rafforzato il rapporto esistente con la nostre rispettive famiglie, perché, appunto, le ha fatte avanzare. Alcuni nostri familiari prima della nostra scelta non erano politicizzati: adesso partecipano attivamente alle Liste Comuniste oppure alle lotte contro la persecuzione del Partito! La nostra scelta ha rafforzato il legame esistente perché lo ha elevato qualitativamente: in altre parole, si è creata una sintesi superiore.

La lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista rappresenta veramente la sintesi delle aspirazioni della classe operaia e delle masse popolari. Tutti i passi in avanti che noi comunisti facciamo in questa direzione ci permettono di rafforzare il nostro rapporto con le masse popolari. Questo vale anche in ambito familiare.

Adesso che abbiamo fatto chiarezza, possiamo affrontare le due principali posizioni errate presentate dai compagni riguardo la questione: famiglia-scelta della clandestinità.

Affetti - Alcuni compagni dicono che i legami familiari sono talmente forti da non riuscire a staccarsene. Questi compagni presentano le suddette concezioni pessimiste frutto dell’influenza che la borghesia esercita su di loro e che li porta a vedere la partenza in chiave catastrofica. Ma non solo: essi vedono la questione della famiglia in maniera unilaterale e soggettivista – poiché la staccano, la isolano dal contesto in cui invece è immersa. La borghesia conduce contro le masse popolari un guerra di sterminio non dichiarata. Nella situazione storica in cui viviamo bisogna decidere se mettervi fine attraverso l’instaurazione del socialismo oppure subirla passivamente. Non esistono terze vie. Gli affetti e la loro prospettiva non sfuggono a questo dilemma. Restare a casa (come vorrebbe il nemico di classe) vuol dire, di fatto, fomentare e sostenere la rassegnazione davanti alla guerra di sterminio non dichiarata. Quindi, per quanto riguarda la famiglia, legarsi le mani davanti alla barbarie imposta dal nemico di classe, lasciarlo fare, permettergli di entrare in casa indisturbato e di distruggere tutto.

Problemi da risolvere – Altri compagni dicono “vorrei partire ma ho dei problemi familiari da risolvere”. Ebbene, compagni, ci saranno sempre dei problemi familiari: problemi di salute, problemi di casa, problemi economici, ecc. Attendere la fine dei problemi per partire, significa rinviare la partenza all’infinito. Alcuni dei problemi familiari troveranno la loro soluzione creando una sintesi superiore, con la partenza appunto. Altri resteranno. Bisogna essere realisti. La scelta della clandestinità  implica anche dei sacrifici. Alcuni di noi sono partiti e non hanno visto venire alla luce i loro nipoti, altri non hanno potuto essere a fianco dei propri familiari in momenti di lutto o di malattia. Ma, compagni, perché questi sacrifici sembrano “scontati”, “normali” se ci si arruola nell’esercito e si parte in guerra o se si va a lavorare all’estero, mentre appaiono come ostacoli all’entrata in clandestinità? Emerge ancora una volta la questione dell’influenza ideologica del nemico di classe. Influenza che va combattuta e sradicata.

Questo articolo arricchisce quanto detto nello scritto “Sulla clandestinità” pubblicato nel precedente numero de La Voce. Il suo obiettivo è chiarire le idee a tutti quei compagni, soprattutto ai più giovani, che comprendono la necessità della clandestinità ma che vivono ancora delle resistenze di fronte alla scelta di arruolarsi nel Partito come rivoluzionari di professione e di raccogliere l’appello lanciato nel n.19 della rivista (“Appello a tutti i giovani che lottano per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!”).

In ogni situazione bisogna dividere e contrapporre le concezioni: solo in questo modo si conquista e si salvaguarda l’autonomia ideologica dal nemico di classe e si svolge veramente un ruolo di avanguardia. Dobbiamo liberarci dalle concezioni del nemico per poterlo distruggere. Critica, autocritica e trasformazione costituiscono il processo che permette di raggiungere questo obiettivo, la linfa che alimenta la crescita dello Stato Maggiore necessario per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Chiamiamo tutti i compagni a collocarsi in quest’ottica per rendere ancora più coordinata, cadenzata, veloce e determinata la marcia verso il socialismo.

 

Claudio G.