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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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La Voce n.49 del (n)PCI

Saluto del (nuovo) Partito comunista italiano alle masse popolari italiane

Trasformare l’indignazione e l’odio per i crimini perpetrati dalla borghesia e dal clero contro le masse popolari italiane e contro gli immigrati, in volontà di lottare e vincere!

Comunicato CC - 20 aprile 2015

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Comunicato CC 12/2015 - 5 maggio 2015

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La classe operaia deve prendere la direzione del paese!

 

La politica spettacolo di Renzi è il ballo dei gruppi imperialisti sul Titanic che affonda!
Renzi le sue vittorie le strappa solo sui suoi concorrenti nei vertici della Repubblica Pontificia!
Il Primo Maggio di Milano parla di alternativa alla Repubblica Pontificia!

 

Il contrasto tra le luminarie e i proclami della politica spettacolo di Renzi e la crisi economica, ambientale, intellettuale e morale che si aggrava nel nostro paese e nel mondo con il seguito di miseria, di morti, di distruzioni, di delitti e di guerre imperialiste, ricorda che solo instaurando il socialismo porremo fine alla crisi generale del capitalismo.

Costituire il Governo di Blocco Popolare è nel nostro paese la via più diretta e per le masse popolari la meno dolorosa e distruttiva per instaurare il socialismo.

 

Molti intellettuali del nostro paese si domandano con sincero stupore da dove Renzi e la sua cricca traggono la loro forza, da dove viene il successo folgorante che Renzi ha avuto nelle file del PD e l’attrazione che esercita nelle file di Forza Italia. A causa dei loro pregiudizi non si capacitano che la debolezza dei residui della sinistra borghese (SEL, PRC e affini) e degli oppositori di Renzi nello stesso PD (Prodi, D’Alema, Bersani, Bindi e simili) deriva dal fatto che Renzi sta attuando il loro programma, il programma comune della borghesia imperialista. La forza della cricca Renzi deriva dal fatto che essa sta facendo con ostentazione e arroganza quello che da anni Prodi, D’Alema, Bersani, Bindi, Bertinotti e altri come loro pensano che bisogna fare ma che facevano esitando, quello che Berlusconi e la sua banda dichiaravano e promettevano che avrebbero fatto, ma non riuscivano a fare.

Il motivo dell’esitazione degli uni è che non volevano perdere tra le masse popolari quello che restava del seguito e del consenso che avevano ereditato dalla storia, dalla sconfitta del movimento comunista e dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria: Renzi invece li dà oramai per persi. Il motivo dell’impotenza degli altri è la stesso motivo per cui in tutti i paesi europei solo grazie a “governi di sinistra” sono state eliminate o sono in corso di eliminazione le conquiste che le masse popolari avevano strappato alla borghesia e al clero durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Infatti proprio i “governi di sinistra” paralizzano le masse popolari perché, a seguito della sconfitta del movimento comunista, le masse popolari sono rimaste con centri dirigenti che fanno parte della “sinistra di governo” al servizio della borghesia imperialista. La CGIL di Sergio Cofferati fermò il governo Berlusconi che voleva abolire lo Statuto dei Lavoratori e ridurre le pensioni. La CGIL di Sergio Cofferati, di Guglielmo Epifani e di Susanna Camusso ha lasciato fare le stesse cose ai governi PD e amici.

La lezione è che senza un centro dirigente le masse popolari e la stessa classe operaia non sono una forza politica.

“Quindi non esistono”, direbbero Marco Revelli e compagnia. “Sono una forza politica solo se hanno un centro dirigente”: diciamo noi comunisti. Il seguito dipende poi dalla natura del centro dirigente.

 

Il governo Renzi porta a fondo le riforme che Berlusconi proclamava e che Prodi, Monti e Letta facevano con precauzione. Contemporaneamente però Renzi si protegge le spalle eliminando i puntelli istituzionali che le fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia usano per farsi la guerra tra loro, perché l’investitura di Papa Bergoglio non è senza  condizioni. Da qui l’amputazione anche formale della mai applicata Costituzione del 1948, la legge elettorale truffa, la riduzione della divisione dei poteri e delle autonomie locali: “il paese deve avere un governo stabile!”. I suoi avversari cedono uno a uno perché contro le masse popolari Renzi e la sua cricca effettivamente attuano il programma comune che essi non riuscivano ad attuare. Ma Renzi non può niente contro la crisi generale del capitalismo. La sua libertà di manovra è ristretta come quella di tutti i governi dei paesi della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani, sionisti e associati. Il governo Renzi è impotente come loro. Contro gli effetti devastanti della crisi generale del capitalismo, le sue vittorie si riducono a proclami, profezie e promesse, come le vittorie di Berlusconi e della sua banda.

 

Il corso delle cose mostra che la borghesia imperialista è impotente contro la crisi del suo sistema sociale, che la sua libertà di manovra è confinata nei limiti dettati dalla crisi generale del capitalismo. Ma dimostra anche che essa non può prescindere dalle masse popolari. La società borghese per sua natura non può funzionare senza un certo grado di consenso, di disgregazione, di diversione, di impotenza delle masse popolari. Il futuro prossimo si decide su questo punto. Riusciranno i gruppi imperialisti e il clero a mobilitare o neutralizzare le masse popolari dei paesi imperialisti o riusciremo noi comunisti a mobilitarle, organizzarle e guidarle a instaurare il socialismo?

Questo dipende da noi comunisti.

 

Va da sé che costringendo i vertici della Repubblica Pontificia in una camicia di forza, Renzi e la sua cricca riducono anche i margini esistenti per le lotte rivendicative delle masse popolari: quindi si aggrava la crisi del riformismo conflittuale (sempre minori sono i risultati ottenuti con le lotte rivendicative) e del riformismo democratico nel senso della democrazia borghese (l’azione per miglioramenti della legislazione ha sempre meno spazio ed è sempre più difficile avere accesso alle assemblee elettive). I gruppi promotori delle lotte rivendicative si scontrano con le difficoltà prodotte dalla crescente sterilità della loro azione. La rivoluzione socialista emerge dalla realtà stessa del corso delle cose come l’unica alternativa alla catastrofe economica, ambientale e sociale con cui la borghesia imperialista e il clero cercano di sopravvivere nonostante la crisi generale del capitalismo.

È sbagliato, è impossibile, sono inutili gli sforzi di unirsi nell’azione politica, di unirsi organizzativamente, se non si è uniti ideologicamente, cioè se non si ha una concezione comune dei problemi rilevanti per l’attività politica. Quindi oggi l’alternativa tra quelli che limitano la mobilitazione delle masse popolari a piattaforme rivendicative e a proteste e noi comunisti, promotori della rivoluzione socialista, è irriducibile. Noi possiamo e dobbiamo valorizzare anche le loro iniziative, ma solo se manteniamo assoluta libertà d’iniziativa rispetto a loro, se difendiamo con forza la concezione comunista del mondo e l’applichiamo. Noi comunisti non rivendichiamo dalla borghesia e dal clero, ma promuoviamo un’alternativa di potere e di sistema sociale.

 

Rivoluzione socialista vuole dire ruolo dirigente della classe operaia. Le masse popolari sono una forza politica solo se dirette dalla classe operaia e la classe operaia è classe dirigente, riesce a dirigere solo se ha il suo partito comunista: la storia, la realtà ha dimostrato che questo è possibile; che con il partito comunista la classe operaia era diventata classe dirigente; che con la direzione della classe operaia le masse popolari avevano assunto un ruolo politico quale non avevano mai prima avuto.

Abbracciare la causa della rivoluzione socialista implica quindi fare radicalmente i conti con la sinistra borghese, con la sua concezione del mondo. Chi esamina la questione alla luce del materialismo dialettico, vede bene che la sinistra borghese ha un’ideologia ben definita anche se fatta di pregiudizi contraddittori, benché si proclami post-ideologica e rifugga da ogni scienza della società, per quanto si rifugi nelle “narrazioni” e nelle aspirazioni, per quanto rifiuti la verifica della pratica e della logica e proclami la libertà di ognuno di pensarla come vuole e di tenersi stretti i suoi  giudizi e i suoi pregiudizi. Le “verità fondamentali” della dottrina comune della sinistra borghese sono la negazione della divisione della società in classi sociali, la negazione della lotta di classe come motore della trasformazione della società, la negazione del ruolo particolare della classe operaia (i lavoratori delle aziende capitaliste) nel superamento del modo di produzione capitalista e della società borghese: in sintesi la negazione della concezione del mondo che ha guidato il movimento comunista. A queste “verità” per la sinistra borghese tanto scontate che non ritiene neanche necessario dimostrarle, la sinistra borghese oggi aggiunge la “verità” che la globalizzazione è un nuovo modo di produzione, che avrebbe soppiantato “il vecchio capitalismo”. Il capitale non sarebbe un modo di produzione, ma la ricchezza che per una qualche aberrazione sarebbe mal distribuita, sempre peggio distribuita.

In realtà con la globalizzazione la borghesia imperialista ha solo guadagnato tempo, ha fatto fronte alla sovrapproduzione assoluta di capitale nei paesi imperialisti aprendo il mondo alle libere scorrerie dei loro gruppi finanziari, commerciali e industriali, assorbendo nella produzione capitalista funzioni che ancora erano svolte come comuni attività umane, accrescendo la divisione del lavoro. Oggi effettivamente sembra che per la propria produzione e riproduzione un paese dipenda da un altro quasi come nella società borghese un individuo dipende da un altro: in realtà ogni paese dipende dai gruppi imperialisti. La globalizzazione è solo una sovrastruttura del vecchio capitalismo, una sua superfetazione, come lo era la mondializzazione imposta all’inizio del secolo scorso. Oggi come allora è una caricatura del marxismo sostenere che non si torna indietro perché una divisione della produzione a livello mondiale è più produttiva della vecchia divisione monetaria e industriale tra paesi. Costretti dalla crisi generale del loro sistema, i gruppi imperialisti hanno sì unificato il mondo, ma l’unità mondiale che essi hanno costruito è incompatibile con la vita e il progresso dell’umanità. Quindi l’umanità per procedere sulla sua strada la distruggerà. È quello che accadrebbe se spinti dal bisogno di avere abitazioni avessimo costruito un quartiere che però risulta inabitabile: non c’è altra soluzione che demolirlo per ricostruirlo con criteri diversi.

Gettare una netta discriminante tra noi comunisti e la sinistra borghese sul terreno della concezione del mondo è quindi indispensabile. La discriminante tra noi e la sinistra borghese è un aspetto imprescindibile della nostra autonomia dai gruppi che limitano l’attività delle masse popolari alla rivendicazione e alla protesta, che non vedono altro mondo oltre il mondo capitalista.

 

Il limite della lotta rivendicativa e della protesta è ben evidenziato dallo svolgimento della lotta contro il monumento alla speculazione e allo spreco eretto dalla Repubblica Pontificia con l’EXPO 2015 a Milano.

Dopo la manifestazione del 1° maggio sono iniziati il can can dei politicanti e della stampa di regime su “isolare i violenti”, la persecuzione dei dimostranti e assieme a questo le lodi di Renzi e Pisapia “ai lavoratori che con il loro impegno hanno permesso di concludere i lavori per l’apertura di EXPO” e la manfrina del Papa che occorre “pane e lavoro per tutti”.

Rispetto a “isolare i violenti”, diciamo anzitutto che bisogna effettivamente isolare i responsabili della violenza della disoccupazione, delle stragi di migranti in mare, del crollo delle scuole, dei morti sul lavoro, delle guerre imperialiste, dell’abbrutimento. In secondo luogo diciamo che quanto più contro il marasma della crisi e le operazioni tipo EXPO 2015 con cui la borghesia prolunga la vita del suo sistema, avanzerà la lotta per costituire il Governo di Blocco Popolare, tanto più le azioni militanti dei “ribelli” prenderanno una piega costruttiva. Allora anziché distruzione di vetrine e incendi di macchine, avremo spese proletarie, tornelli delle metropolitane aperti ai viaggiatori, occupazioni di case, banche obbligate a fare crediti alle fabbriche gestite dagli operai organizzati, ecc.: avremo le mille iniziative di base con cui le masse popolari organizzate renderanno l’Italia ingovernabile ai governi emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia e faranno ingoiare a questi la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

 

 Ma per una valutazione d’insieme della lotta contro EXPO 2015, facciamo integralmente nostro il comunicato diffuso subito dopo il 1° maggio dalla Federazione Lombardia del Partito dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo). Lo riproduciamo integralmente qui di seguito.

 

Il Primo Maggio di Milano parla di alternativa

 

La campagna mediatica attorno ad auto, banche, negozi incendiati ha la funzione di distogliere l’attenzione dagli aspetti principali di una giornata di mobilitazione che racchiude molti insegnamenti. La criminalizzazione sensazionalistica da una parte, e le giustificazioni dell’opera di alcune centinaia di contestatori radicali dell’EXPO (o i tentativi di “capire”), rispondono entrambe, benché con funzioni diverse, alla manovra diversiva.

Quello che la classe dominante dice di quella mobilitazione è in definitiva ciò che dice sempre e comunque, che ne abbia “il pretesto” o meno: è la liturgia trita e ritrita, con la bava alla bocca, della difesa di valori, morale, relazioni sociali ed economiche di una società in agonia. Chi assume quella lettura, quei valori, quella morale e si identifica nelle relazioni sociali ed economiche di questa società in agonia, non può che trovare del tutto “normale” e istintivo assumere anche la diversione che l’informazione di regime produce e alimenta.

Non ci interessa qui controbattere la propaganda infame e strumentale con cui tanti servetti dei vertici della Repubblica Pontificia ammorbano le masse popolari. Più cocci di vetrine, più carcasse di auto, più banche e negozi incendiati sono inevitabili: cresceranno esponenzialmente. Quanto più aumentano gli effetti della crisi, tanto più è destinata a crescere la ribellione; disordinata, caotica, primitiva, ragionata, organizzata, spontanea, distruttiva che sia. Con buona pace di chi oggi vuole primeggiare nella gara alla dissociazione e, con ciò, più o meno coscientemente e compiutamente si fa promotore del clima di linciaggio e delazione. Qualunque valutazione ognuno faccia dalla manifestazione NO EXPO del Primo Maggio, riteniamo decisivo e dirimente esprimere solidarietà agli arrestati, ai fermati, agli indagati e agli espulsi: nessun tribunale e nessuna legge degli speculatori, degli assassini, degli sfruttatori sono legittimati a reprimere la ribellione al sistema di morte e oppressione che servono.

 

Ribellismo, azioni militanti e ingovernabilità dal basso

 

Ci rivolgiamo qui a quanti vogliono andare oltre la diversione e “il gioco delle parti” e valorizzare ciò che questa mobilitazione ha espresso, ha da insegnare a chi vuole imparare e può esprimere.

 

Nel loro complesso le “5 giornate NO EXPO di Milano” sono ulteriore e ultimo esempio (in ordine di tempo) che ogni ambizione di costruire movimenti di massa senza il coinvolgimento diretto e il protagonismo dei lavoratori e della classe operaia è destinata ad alimentare e diffondere frustrazione. Beninteso, non è una critica caustica a chi da anni promuove la mobilitazione contro l’EXPO, ma una critica ideologica, franca, a chi si ostina a ripetere che “la classe operaia non esiste più”, “i soggetti di riferimento sono nuovi e diversi”. L’unica iniziativa che ha davvero bloccato la città contro EXPO è stato lo sciopero dei mezzi pubblici del 28 di aprile (mezzi di superficie scarsi, metropolitane bloccate), indetto da un sindacato di base, la CUB, che ha raccolto un’adesione ben al di sopra delle sue dimensioni e del suo radicamento. Si è trattato della sola mobilitazione sindacale convocata chiaramente contro EXPO. L’adesione allo sciopero e i suoi effetti dimostrano due cose: la prima è che non sono i lavoratori a non essere interessati alla questione, ma è chi si oppone all’EXPO che deve trovare modi, strumenti e metodi per coinvolgerli. La seconda è la conferma (per alcuni una scoperta) che quando i lavoratori si mobilitano hanno un ruolo decisivo. La loro assenza da un movimento, pure, è decisiva. Tutto il resto delle mobilitazioni programmate, alcune riuscite, altre meno, altre abortite dopo il Primo Maggio, per quanto dense di contenuti e in certi casi comunicative, non hanno bloccato un bel niente.

  

Altro aspetto da portare a casa come insegnamento generale è che al NO occorre combinare un PER. Al netto dei creduloni che volevano “un altro EXPO” di legalità, tutele, posti di lavoro e opere durature, cioè al netto di chi crede che gli speculatori le speculazioni le possano fare e le facciano a fin di bene, sempre i tranvieri danno la linea: hanno scioperato per ottenere nuove assunzioni. Posti di lavoro. Non solo soldi, turni, diritti, tutele, ma posti di lavoro.

Hanno sintetizzato la prospettiva del PER da affiancare e combinare al NO: posti di lavoro contro il modello EXPO, le sue forme, i suoi contenuti e le sue speculazioni.

L’abisso che esiste fra il mondo reale da un lato della barricata e dall’altro tutto ciò che riguarda EXPO, è ben rappresentato dal fatto che la mobilitazione dei tranvieri si è repentinamente manifestata a 3 giorni dal “grande evento” (nel duplice significato di inaugurazione dell’EXPO e della May Day NO EXPO) a fronte di quasi 10 anni di mobilitazione, dal fatto che è passata “inosservata” (come fosse un corpo estraneo) e dal fatto che altrettanto repentinamente è ripiombata nel silenzio (a beneficio delle vetrine, delle auto, delle banche, delle delazioni, degli anatemi, delle dissociazioni).

Non serve a niente incolpare “gli spaccavetrine” se ora si parla delle vetrine e non dei contenuti della manifestazione, non serve a niente incolpare i vertici dei sindacati di regime che si sono venduti, che hanno fatto affari, che hanno sostenuto e sostengono la Speculazione Universale di Milano 2015: che abbiamo fatto, che avete fatto per piantare le radici di questo Primo Maggio nella lotta di classe in corso?

Qualche furbetto affermerà che fra le migliaia in corteo (e pure fra le centinaia in mantello nero) c’erano tanti e tanti lavoratori e precari, oltre che studenti e pensionati… e ci mancherebbe altro che fossero scesi in piazza amministratori delegati e quadri d’azienda…. La questione era, è e rimane la prospettiva. Se scendiamo in piazza per dire NO, la scena (e i modi, le forme, oltre che i contenuti) sono di chi dice NO in modo più radicale. Dire il PER è più faticoso e difficile. Ma necessario, sia per togliere ritualità alle proteste, sia per fare di ogni mobilitazione la tappa per quella successiva.

 

Il Primo Maggio NO EXPO di Milano parla di alternativa. Chi è troppo affranto per le vetrine e preoccupato delle conseguenze (più che delle prospettive), ripete ossessivamente che “è morto sul nascere un movimento”. Non si accorge di avere la funzione di un disco rotto: nessun movimento muore per 10 o 100 vetrine rotte o 10 o 100 macchine incendiate. Nessun movimento muore perché il governo inasprisce la legislazione contro le manifestazioni (a proposito, oltre che lamentarsi, cosa fanno le schiere di parlamentari, consiglieri, amministratori per opporsi ai “giri di vite” repressivi?) e una volta l’anno (la media con cui in Italia qualcuno va in piazza a spaccare vetrine e incendiare auto e banche) si ripete l’epitaffio per questo o quel movimento. Chi vuole vedere oltre la cortina di fumogeni e gas al CS invece lo può vedere bene.

Il Primo Maggio di Milano parla della necessità di mettere al centro della mobilitazione la lotta contro gli effetti della crisi, prima fra tutti la disoccupazione, parla della necessità e possibilità di mettere al centro la lotta per un lavoro utile e dignitoso per tutti. Parla della necessità di allargare il ragionamento su mobilitazione, conflitto e consenso su ambiti “nuovi”: quelli in cui la mobilitazione non si esaurisce con la testimonianza di una protesta (o di una rivendicazione), ma spinge i protagonisti ad assumere un ruolo attivo nell’indicare le misure concrete contro gli effetti della crisi e li chiama ad attuarle, a organizzarsi e organizzare per attuarle.

Parla del fatto che mille lotte rivendicative non fanno un movimento unitario ma tanti spezzoni che curano ognuno il proprio orticello e su questa linea finiscono per ostacolarsi a vicenda (benché tutti parlino di “unità delle lotte”).

 

Alla fine l’EXPO era già un fallimento prima che iniziasse, lo è ugualmente adesso che è iniziato e lo sarà anche dopo che sarà concluso. Speculatori, mafiosi e politicanti hanno fatto tutto da loro. A noi, a tutti noi, rimane la questione che  esisteva pure prima: costruire l’alternativa. Riprendiamo il discorso da qui. Costruire l’alternativa all’EXPO significa costruire l’alternativa ai vertici della Repubblica Pontificia italiana, costruire la nuova governabilità dal basso, scoprire e sviluppare la relazione (che esiste già, è oggettiva) fra i lavoratori e tra la miriade di lotte territoriali. Il centro sono i lavoratori delle aziende capitaliste e delle aziende pubbliche.

Costituire organizzazioni operaie nelle aziende private e organizzazioni popolari nelle aziende pubbliche. OO e OP che si occupino sistematicamente della salvaguardia delle aziende prevenendo le manovre padronali per ridurle, chiuderle o delocalizzarle, studiando in collegamento con esperti affidabili quale è il futuro migliore per l’azienda, quali beni e servizi può produrre che siano necessari alla popolazione del paese o alle relazioni (di solidarietà, di collaborazione e di scambio) con altri paesi, predisporre in tempo le cose. Questo è oggi il primo passo: lo chiamiamo “occupare l’azienda”. Stabilire collegamenti con organismi operai e popolari di altre aziende, mobilitare e organizzare le masse popolari, i disoccupati e i precari della zona circostante a svolgere i compiti che le istituzioni lasciano cadere, a gestire direttamente parti crescenti della vita sociale, a distribuire nella maniera più organizzata di cui sono capaci i beni e i servizi di cui la crisi priva la parte più oppressa della popolazione, a non accettare le imposizioni dei decreti governativi e a violare le regole e le direttive delle autorità. E’ il contrario che restare chiusi in azienda ed è il salto decisivo: lo chiamiamo “uscire dall’azienda”.

Le organizzazioni degli operai e degli altri lavoratori che fanno questo sono la base per costituire un governo d’emergenza popolare e farlo ingoiare ai padroni. Il Partito dei CARC sostiene e organizza ogni operaio e ogni lavoratore che si mette su questa strada, che decide di prendere in mano il proprio futuro!.

 

“Quando c’è un ordine sociale ingiusto, il disordine è il primo passo per instaurare un ordine sociale giusto” scriveva Romain Rolland. Sacrosanto. Ai lavoratori, ai giovani, alle donne, agli immigrati oggi la situazione impone di combinare le due cose: rendere ingovernabile il paese per ogni autorità della Repubblica Pontificia, imparando a costruire la rete della nuova governabilità dal basso, imparando a diventare classe dirigente della società con la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

 

Ben detto: è in questo spirito che il CC del (n)PCI esorta tutti i lavoratori, le donne, i giovani, i pensionati e gli immigrati a rafforzare la lotta contro l’EXPO 2015, a fare di essa una componente del movimento per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

 

Gli operai avanzati devono diventare comunisti: in questo modo prendono in mano le sorti del paese, fanno della classe operaia la nuova classe dirigente del paese!

Quelli che aspirano a diventare comunisti devono costituire ovunque, in ogni azienda capitalista, in ogni azienda pubblica, in ogni zona d’abitazione Comitati di Partito (CdP) clandestini.

I Comitati di Partito devono fare di ogni lotta rivendicativa e di ogni protesta una scuola di comunismo, devono approfittarne per far sorgere Organizzazioni Operaie in ogni azienda capitalista e Organizzazioni Popolari in ogni azienda pubblica e in ogni zona d’abitazione, per orientarle a coordinarsi tra loro fino a costituire il Governo di Blocco Popolare, farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia e marciare verso l’instaurazione del socialismo.

 

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Per mettersi in contatto con il Centro del (n)PCI senza essere individuati e messi sotto controllo dalla Polizia, una via consiste nell’usare TOR [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html], aprire una casella email con TOR e inviare da essa a una delle caselle del Partito i messaggi criptati con PGP e con la chiave pubblica del Partito [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html].

 

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