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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Comunicato CC 41/2013 - 19 novembre 2013

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A tutti i comunisti!

A tutti quelli che si considerano comunisti!

A tutti quelli che vogliono fare i comunisti e agire da comunisti!

Per portare a compimento l’opera del PCI, fare dell’Italia un paese socialista, bisogna superare i limiti che hanno impedito al PCI di completare la sua opera!

 

Da ottobre a oggi, le proteste e le lotte rivendicative si moltiplicano e crescono di forza. Bisogna fare di ogni iniziativa di protesta, di ogni lotta rivendicativa lo spunto per promuovere l’organizzazione delle masse popolari, perché costituiscano Organizzazioni Operaie e Popolari. Bisogna trasformare ogni protesta, ogni lotta rivendicativa e ognuna delle mille iniziative di base in lotta delle OO e OP per costituire un loro governo d’emergenza e farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia (RP). Ogni OO e OP deve diventare il centro locale del Nuovo Potere che prende il posto del potere dei vertici della Repubblica Pontificia e ha alla sua testa il Governo di Blocco Popolare.

Tutti quelli che consapevolmente o di fatto cercano di mettere un qualche riparo allo sfacelo in corso principalmente o, peggio ancora, solo tramite le istituzioni della Repubblica Pontificia, ricorrendo a referendum, a nuove elezioni, a una qualche altra forma di lunga marcia attraverso le istituzioni della RP, resteranno amaramente delusi. Se portano altri su questa strada, fanno del danno. Non è che “la normativa fa acqua da tutte le parti”, non è questione di casi di corruzione e di malfunzionamento: sono le istituzioni della RP che sono irrimediabilmente asservite al modo di produzione capitalista che è in preda a una crisi irreversibile.

Le istituzioni della RP vanno distrutte. Sono marce, crollano a pezzi ma fanno ancora del danno. Sono per loro natura al servizio del capitale finanziario, l’ultima escrescenza a cui per sua necessità il modo di produzione capitalista ha dovuto ricorrere e di cui non può fare a meno, un mostro che distrugge uomini e cose, sfrutta e inquina, estende a macchia d’olio le aggressioni e, se gli lasciamo libero corso, porta l’umanità verso il nazifascismo e una nuova guerra mondiale. Il nostro paese è come tutto il mondo coinvolto in una crisi generale la cui natura e il cui decorso sono incomprensibili per i professionisti della cultura dominante: non perché la crisi è complessa, ma perché non ha soluzione restando nell’ambito del capitalismo e quindi quelli che con le loro concezioni, nella loro testa, non fuoriescono da quell’ambito, non ne capiscono le ragioni e il percorso e la trovano incomprensibile: cercano nei posti sbagliati.

Se le OO e OP del nostro paese costituiranno un loro governo d’emergenza deciso a rompere con le costrizioni del mercato finanziario e a sostenere i provvedimenti che caso per caso le OO e OP prenderanno per far valere gli interessi delle masse popolari contro gli interessi dei capitalisti, il nostro paese aprirà la strada anche alle masse popolari di altri paesi e si gioverà della loro solidarietà. Solo per questa via si costruirà un nuovo superiore sistema di relazioni internazionali, una sana e costruttiva unità mondiale. Il capitalismo è un sistema mondiale. È impossibile farla finita con il capitalismo in un paese solo, ma solo degli ingenui e degli opportunisti, che non vedono che il disastro in corso proviene dall’oppressione della borghesia sul proletariato e sulle altre classi delle masse popolari, possono aspettarsi che in tutti i paesi le masse popolari rompano contemporaneamente le catene della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. Non esiste né può esistere una unità di intenti cosciente e organizzata delle masse popolari di tutti i paesi perché la facciano finita simultaneamente con le rispettive classi dominanti. Ma in tutti i paesi le masse popolari devono fronteggiare problemi analoghi. Proprio per questo il primo paese che partirà, aprirà la strada su cui via via si incanaleranno anche le masse popolari degli altri paesi, analogamente a come avvenne nel secolo scorso dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e la costituzione dell’Unione Sovietica guidata dal Partito comunista con alla testa prima Lenin e poi Stalin. Ma ora la rivoluzione socialista andrà fino in fondo, perché dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e dalla conseguente decadenza dei primi paesi socialisti fino al riassorbimento in larga misura di gran parte di essi nel sistema imperialista mondiale, abbiamo imparato come evitare una sconfitta del genere.


Noi comunisti abbiamo il grande vantaggio di sapere che per farla finita con la crisi del capitalismo, bisogna instaurare il socialismo e quando diciamo socialismo intendiamo il potere nelle mani degli operai organizzati alla testa del resto delle masse popolari organizzate e la produzione dei beni e dei servizi tolta di mano ai capitalisti e affidata ad aziende pubbliche . Ma quale è il ruolo che i comunisti devono svolgere? Come svolgerlo con successo?

Il nostro ruolo consiste nell’approfittare di ogni occasione e appiglio per moltiplicare le OO e OP; per portare ognuna di esse a non accontentarsi di protestare e rivendicare, ma svolgere le funzioni di organo locale del Nuovo Potere, assumere la direzione del resto delle masse popolari e mobilitarle per far fronte alla crisi del capitalismo, prendere il posto delle istituzioni della Repubblica Pontificia che lasciano andare in malora la produzione di beni e servizi necessari, devastano l’ambiente e disgregano la società; per portare ognuna di esse a collegarsi con le altre per costituire insieme un proprio governo d’emergenza e farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia. Sarà un salto in avanti, l’inizio di una lotta di classe di livello superiore che non finirà nella restaurazione del pieno potere della borghesia e del clero come nel secolo scorso finirono i governi di Fronte Popolare in Francia e in Spagna e la Resistenza in Italia, in Francia e in Belgio, ma sfocerà nell’eliminazione della Repubblica Pontificia e nell’instaurazione del socialismo. Perché noi comunisti abbiamo tirato gli insegnamenti dalle sconfitte e dalle vittorie del secolo scorso.

Noi comunisti abbiamo alle spalle una storia relativamente lunga di vittorie e di sconfitte. In Italia oggi decine di migliaia di persone si dicono comuniste e sono convinte che per porre fine al disastroso corso attuale delle cose bisogna instaurare il socialismo. Ma siamo dispersi, perché molti di noi ancora esitano a tirare le lezioni dall’esperienza del passato e sono ancora frastornati e abbattuti per le sconfitte che il movimento comunista ha subito nella seconda parte del secolo scorso. Eppure le sconfitte che abbiamo subito sono ricche di insegnamenti quanto i successi che avevamo raggiunto.

Il principale insegnamento è che instaurare il socialismo è possibile, ma che decisivo perché gli operai e al loro seguito le masse popolari lo facciano è che il Partito comunista sia all’altezza del suo ruolo di direzione intellettuale, morale e pratica della classe operaia e delle masse popolari. E che il Partito comunista sia all’altezza del suo ruolo, dipende da noi comunisti, da quanto assimiliamo e usiamo il materialismo dialettico come metodo per conoscere le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe e come metodo per trasformare il mondo. Sono i nostri limiti in questo campo che ci hanno portato a subire sconfitte, non la forza della borghesia e del clero. Sono i nostri limiti in questo campo che dobbiamo superare. Dobbiamo imparare dalla nostra storia.

Il movimento comunista cosciente e organizzato è nato nel 1848, con la pubblicazione del Manifesto del partito comunista redatto da Marx ed Engels. Con la prima Internazionale (1864-1872) sotto la direzione di Marx venne avviata la mobilitazione pratica delle organizzazioni operaie e socialiste in tutti i paesi d’Europa e dell’America del Nord. Ma il primo tentativo di conquista del potere, la Comune di Parigi del 1871, venne rapidamente sconfitto dalla borghesia e dal clero: gli operai avevano formato solo gruppi isolati e divisi, in nessun paese avevano ancora formato propri partiti né avevano ancora conquistato egemonia sul resto delle masse popolari.

La seconda Internazionale (1889-1914) fece crescere grandi partiti socialisti di massa in ogni paese d’Europa e in molti paesi di altri continenti. Essi ebbero il merito storico di porre in tutti i principali paesi capitalisti la lotta degli operai contro i capitalisti al centro della lotta politica, ma la loro incapacità di condurre gli operai a instaurare il socialismo divenne palese con lo scoppio proprio in Europa della prima Guerra mondiale (1914-1918): non solo non furono capaci di prevenirla, ma gran parte dei loro dirigenti collaborarono con la borghesia dei rispettivi paesi nel costringere le masse popolari a scannarsi a vicenda a beneficio dei loro padroni e sfruttatori.

Solo il Partito socialista russo, guidato da Lenin, aveva formato e selezionato le sue file in modo da essere capace di condurre la classe operaia e le masse popolari dell’impero russo a prendere il potere, vincere l’aggressione delle potenze imperialiste di tutto il mondo, stroncare la controrivoluzione interna e fondare l’Unione Sovietica. Grazie a questa grande vittoria, nel resto dell’Europa e anche in Italia si costituirono partiti comunisti basati sul marxismo-leninismo, partiti di livello superiore rispetto ai partiti socialisti sul piano della concezione del mondo e del metodo di lavoro e sul piano organizzativo. Grazie a questi partiti, gli operai e il resto delle masse popolari condussero in tutti i paesi europei lotte di livello superiore al passato, arrivarono a costituire governi di Fronte Popolare in Spagna e in Francia, a condurre la Resistenza in Francia, in Belgio e in Italia e vincere i nazifascisti. Ma anche i partiti comunisti nati sulla scia della Rivoluzione d’Ottobre non riuscirono a instaurare il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti. Benché indeboliti la borghesia e il clero mantennero il potere, un po’ alla volta lo consolidarono cooptando i dirigenti più corrotti degli stessi partiti comunisti e dei sindacati, presero nuovamente il sopravvento sulle masse popolari rimaste senza guida rivoluzionaria. I partiti comunisti si disgregarono, corruppero e dissolsero e la classe operaia venne nuovamente ridotta a non essere più il soggetto politico che era diventata con i partiti comunisti, al punto che alcuni sociologi borghesi (come Francis Fukuyama) proclamarono che “la storia era finita” con il trionfo definitivo della borghesia, altri (come Marco Revelli) sostennero che “non c’era più classe operaia” e altri (come Toni Negri) si misero alla ricerca di “un nuovo soggetto rivoluzionario”.

In realtà la borghesia e il clero liberi dall’incubo del movimento comunista, da quaranta anni a questa parte sotto l’incalzare della nuova crisi del loro sistema in ogni paese imperialista stanno eliminando le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano loro strappato, quello che i professori e uomini politici borghesi chiamano “lo stato sociale” e hanno ricolonizzato molti dei vecchi paesi coloniali che grazie allo sviluppo del movimento comunista nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria si erano liberati. E da quando nel 2008 la crisi del capitalismo è entrata nella sua fase acuta e terminale, la borghesia e il clero ci stanno precipitando in un vortice senza fine di distruzione e sofferenza in cui già si profilano la mobilitazione reazionaria delle masse popolari e la guerra.

La lezione che dobbiamo trarre è che la debolezza attuale del movimento comunista cosciente e organizzato non è caduta dal cielo, non ha fonti misteriose, non deriva dalla forza della borghesia che avrebbe trovato l’elisir di lunga vita per il suo sistema sociale (che al contrario è allo sfascio). Essa viene dal fatto che i partiti comunisti dei paesi imperialisti, per quanto resi dagli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre e dal marxismo-leninismo più forti dei partiti socialisti da cui si erano staccati, non si erano elevati, quanto alla comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe nei rispettivi paesi, a un livello sufficiente per svolgere con successo il loro compito: instaurare il socialismo e avviare la transizione al comunismo. La nostra difficoltà non è qualcosa di strano: i partiti comunisti dei paesi più arretrati, ivi compreso quello dell’Unione Sovietica, avevano un compito più facile del nostro: per arrivare alla conquista del potere, si sono potuti giovare sia degli insegnamenti della rivoluzione borghese sia degli insegnamenti del movimento comunista mondiale. Come ben disse Lenin: “Da noi, in Russia, era più facile che da voi incominciare la rivoluzione, ma sarà più difficile proseguirla. Da voi è più difficile incominciare la rivoluzione, ma una volta incominciata sarà più facile proseguirla”. Il problema è che non l’abbiamo incominciata. Grazie alla forza propulsiva del movimento comunista internazionale avevamo fatto dei progressi, ma non siamo riusciti a fare la nostra parte e siamo tutti finiti nello attuale stato di debolezza. Dobbiamo quindi non cercare di rattoppare a qualche modo la situazione, come cercano oggi di fare molti compagni (del PRC, del PdCI, di CSP-PC e di altri gruppi comunisti), riprendendo il discorso da dove il declino è diventato palese: dalla espulsione dal Parlamento nel 2008, dallo scioglimento del PCI nel 1989, dalla svolta dell’EUR del 1978, dal compromesso storico del 1973, dall’VIII congresso (quello della “via italiana al socialismo”) del 1956 o dall’espulsione dal governo De Gasperi nel 1947. Dobbiamo riprendere il discorso dal PCI della Resistenza e capire perché la sinistra del Partito, la parte dedita senza riserve alla causa del comunismo, non ha saputo tener testa a Togliatti e all’ala destra che portò il PCI a cedere terreno al Vaticano, agli imperialisti angloamericani e alla borghesia. Non sono i traditori che rovinano la nostra causa: Lenin ebbe nel Comitato Centrale del suo Partito persone, Zinoviev e Kamenev, che rivelarono ai nemici che il CC aveva deciso di lanciare l’insurrezione dell’Ottobre 1917 e persone come Trotzki che si era costantemente opposto al percorso rivoluzionario con cui i bolscevichi arrivarono a instaurare il potere sovietico. Eppure il Partito riuscì sempre ad avanzare perché la sinistra, capeggiata prima da Lenin e poi da Stalin, seppe tracciare la linea giusta grazie alla quale neutralizzò gli sforzi della destra.

I compagni che vogliono contribuire a che nel nostro paese il movimento comunista risalga la china, devono cercare i limiti che il vecchio PCI si trascinò dietro dal PSI (la cui incapacità di fare la rivoluzione si è rivelata pienamente durante al prima Guerra mondiale e nel Biennio Rosso), dalla sua corrente massimalista (Serrati & C) e da Bordiga. Deve partire dai motivi che nel 1923 spinsero l’Internazionale Comunista a porre d’autorità Antonio Gramsci alla testa del PCI, dall’elaborazione strategica che Gramsci fece, prima, fino al 1926, alla testa del PCI e poi confinato fino alla morte nelle prigioni fasciste e che ci ha lasciato nei suoi preziosi Quaderni del carcere. Sono i suoi propri limiti che hanno impedito che il PCI guidasse la classe operaia e il resto delle masse popolari italiane a instaurare il socialismo, pur avendo condotto una eroica lotta contro il fascismo. Nell’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni pubblicato nel n. 26 di La Voce (luglio 2007) abbiamo indicato i limiti dell’ala sinistra del PCI, analizzando una situazione concreta ma esemplare.

O. Diliberto e altri come lui sostengono che non ci sono neanche oggi le condizioni oggettive per instaurare il socialismo in Italia. Altri dicono che negli anni ’40 dopo la vittoria della Resistenza non c’erano le condizioni oggettive per instaurare il socialismo. Queste persone appartengono alla serie di quelli che nel 1917 sostenevano che i comunisti in Russia non dovevano prendere il potere e di quelli che, quando negli anni ’20 fu evidente che in nessun paese d’Europa si sarebbe al momento instaurato il socialismo, sostenevano che i comunisti dovevano cedere alla borghesia il potere anche in Russia.

Lenin (vedi ad esempio il rapporto del 13 novembre 1922 al IV congresso dell’IC, Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale - in Opere complete vol. 23), Stalin, l’Internazionale Comunista, Gramsci e il Partito comunista d’Italia (in particolare con le Tesi di Lione del 1926) sostennero al contrario che le condizioni oggettive per instaurare il socialismo esistevano in Europa e in particolare anche in Italia. Che l’Unione Sovietica sarebbe stata la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale. Che il compito prioritario dei comunisti era elevare i partiti comunisti al livello ideologico, politico e organizzativo necessario per giovarsi delle condizioni oggettive.


Quelli che sostengono che in Italia (e negli altri paesi imperialisti) non esistono neanche oggi le condizioni oggettive per instaurare il socialismo, rinnegano la concezione del movimento comunista e in particolare di Lenin, di Stalin, di Gramsci e del vecchio PCI che con questa concezione guidò la Resistenza. Se non ammettono che la rinnegano, se lo nascondono, se dicono il contrario, sono anche degli imbroglioni.

Quelli che condividono la concezione del movimento comunista e sostengono che le condizioni oggettive esistono già dagli anni ’20 del secolo scorso, devono spiegare a se stessi e ai loro compagni, quali furono i limiti per cui il PCI (come ogni altro partito comunista dei paesi imperialisti) non instaurò il socialismo e come fare a superarli, cioè a creare anche le condizioni soggettive per vincere. Se non cercano di farlo, sono degli opportunisti: si accodano al senso comune, cercano consensi per fare carriera come esponenti della Repubblica Pontificia.

Noi condividiamo la concezione di Lenin, di Stalin, dell’IC, di Antonio Gramsci e del PCI. Abbiamo quindi cercato e trovato. Nel nostro Manifesto Programma abbiamo esposto i risultati della nostra ricerca, la concezione che ci guida. Stiamo mettendola in opera nella lotta di classe che si combatte nel nostro paese, nel corso della seconda crisi generale del capitalismo e, dal 2008, della fase acuta e terminale di essa.

Sta anche a voi, compagni, valutare se il risultato della nostra ricerca è valido e verificarlo nella lotta di classe.


Il Partito comunista si basa sulla concezione comunista del mondo, la elabora, la porta alla classe operaia e grazie ad essa e all’analisi della situazione concreta elabora la linea per avanzare. Il Partito comunista fa una politica di principio, non basa la sua linea sulle mode, le opinioni correnti e i sondaggi, benché ne tenga conto nella sua tattica. Non ha nulla a che fare coi politici che giustificano la loro linea ricorrendo al senso comune (per lo più in larga misura prodotto nelle masse popolari dalla classe dominante) e cercano l’obiettivo o la piattaforma “unificante” per acquisire consensi, al modo di politicanti alla ricerca di voti. Il Partito comunista non dice alle masse quello che esse già pensano, al modo dei codisti. Non è il partito dei luoghi comuni. Il partito comunista deve indicare alle masse quello che esse non vedono e non conoscono, stante la condizione in cui la società borghese le costringe. Deve indicare alle masse quello che devono fare per emanciparsi dalla borghesia e dal clero e farla finita con le costrizioni e le sofferenze che le affliggono. Deve portarle a farlo tenendo conto che esse imparano principalmente dalla loro esperienza diretta. La classe operaia per la posizione che occupa nella società e per il ruolo che vi svolge è potenzialmente classe dirigente della rivoluzione socialista, ma lo diviene di fatto solo se ha come avanguardia organizzata un partito comunista che ha assimilato il materialismo dialettico e lo usa per conoscere le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe e per trasformare la società. Per tutto questo il Partito comunista è indispensabile: altro che “ognuno continui a pensare come vuole” e “ognuno tenga pure le sue abitudini servili e le sue idee sbagliate”! Chi vuole farla finita con il capitalismo, deve cercare la via da seguire, finché non l’ha trovata. La verità è concreta, ma in ogni situazione concreta è una sola, mentre gli errori e le fantasie sono innumerevoli. La borghesia e il clero alimentano in mille modi e per mille vie diversioni e fantasticherie, e dispongono di grandi mezzi per farlo. Il Partito comunista deve cercare la verità, come fa chiunque deve compiere un’opera concreta, come in ogni scienza e professione.

Il nuovo Partito Comunista non cerca di accalappiare consensi mentendo e nascondendo la sua concezione, la sua linea e la sua azione, adattandola all’interlocutore. Esso proclama e ricerca la verità ed educa chi vuole il socialismo a trovare la strada per instaurarlo. Il Manifesto Programma è l’esposizione più organica benché sintetica della concezione del mondo che lo guida nella sua azione. Esso la propone a tutti quelli che cercano la via per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione socialista che avanza in tutto il mondo, a tutti quelli che vogliono diventare comunisti, a tutti quelli che si considerano comunisti, a tutti quelli che vogliono fare i comunisti, agire da comunisti!


Instaurare il socialismo è possibile! Sta a noi comunisti trovare la strada perché la classe operaia lo instauri!

Assimilare la concezione comunista del mondo, il marxismo-leninismo-maoismo e applicarlo nella lotta di classe!

Creare ovunque Comitati di Partito clandestini!

Portare ovunque gli operai e le masse popolari a organizzarsi per conseguire i propri obiettivi particolari ma soprattutto a coalizzarsi e costituire il proprio governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare!

 

 

È disponibile sul sito http://www.nuovopci.it il n. 45 di La Voce del nuovo Partito comunista italiano (novembre 2013), dedicato a Vo Nguyen Giap, morto il 4 ottobre 2013.

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