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1.8. Conclusioni

 

L’esperienza della lotta di classe che abbiamo riassunto ci insegna che il comunismo è diventato economicamente necessario oltre che possibile. È cioè economicamente possibile e necessario che la classe operaia prenda il potere. Il movimento politico delle società borghesi, per cause economiche che la borghesia non può eliminare, è tale che periodicamente si presentano lunghi periodi di crisi e di instabilità politica (situazioni rivoluzionarie di lungo periodo). Per l’avvio della transizione occorre che la classe operaia risolva i problemi politici e culturali della sua trasformazione in classe dirigente, in sostanza che si doti di un “vero” partito comunista, onde approfittare di quelle situazioni rivoluzionarie per accumulare forze fino ad arrivare  in condizioni favorevoli ad uno scontro decisivo con la borghesia imperialista e instaurare il proprio potere come unico potere politico sull’intero paese.

Rispetto ai comunisti che svolsero il loro compito nella prima ondata della rivoluzione proletaria, che cosa è cambiato?

 

1. Abbiamo a nostro favore l’esperienza della prima crisi generale e della prima ondata della rivoluzione proletaria e l’esperienza dei primi paesi socialisti. Queste esperienze sono sintetizzate nel maoismo, terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo.

 

2. Il fallimento del revisionismo moderno come politica proletaria è oggi manifesto a tutto il mondo: ogni sua pretesa di verità e di scientificità è stata smascherata dalla pratica.

Nei paesi socialisti i revisionisti moderni hanno per un lungo periodo cercato di restaurare pacificamente il capitalismo corrodendo e corrompendo passo dopo passo le istituzioni e le strutture della società socialista, rendendone impossibile il funzionamento, facendo marcire e incancrenire le contraddizioni, ridando spazio in campo economico, politico e culturale a tutti gli elementi e a tutte le pratiche arretrati ereditati dalla vecchia società borghese o feudale. Il progetto di restaurazione pacifica del capitalismo è però fallito grazie alla resistenza delle masse. I revisionisti moderni sono solo riusciti a precipitare i paesi socialisti nel caos e a condurre la situazione ad un punto tale che un nuovo scontro aperto si è reso inevitabile. I revisionisti moderni sono andati a gambe all’aria, il loro posto viene preso dai fautori aperti della restaurazione decisi a realizzarla a prezzo di ogni violenza e coercizione, a prezzo di qualsiasi sacrificio e sofferenza per le masse. La delimitazione dei fronti tra i fautori della ripresa dell’avanzata verso il comunismo e i fautori della restaurazione del capitalismo, le nuove “guardie bianche” e lo schieramento delle rispettive forze compongono il processo che si manifesta nelle scaramucce di questi anni.

Nei paesi imperialisti i revisionisti moderni hanno potuto sorgere e affermarsi grazie alla fase di espansione e sviluppo economici avutasi nei trenta anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Essi sono stati gli organizzatori e gestori delle istituzioni e delle pratiche in cui il progetto di costruire un capitalismo dal volto umano si è concretizzato e sono stati i predicatori dell’illusione che esso potesse durare ed espandersi indefinitamente. Da quando c’è stata la svolta e la borghesia ha iniziato a smantellare una dopo l’altra le istituzioni e le pratiche del capitalismo dal volto umano, è venuto meno il terreno su cui i revisionisti moderni poggiavano, è iniziato il loro inarrestabile declino. Il riformismo ha perso la base reale (le conquiste economiche, politiche e culturali) che gli dava forza, è diventato e diventa ogni giorno di più riformismo senza riforme, velleità, avventurismo, discorso vuoto da cui le masse rifuggono. La forza dei gruppi e dei partiti riformisti e delle loro vecchie organizzazioni di massa (sindacati, ecc.) proviene proporzionalmente sempre meno dal sostegno delle masse e sempre più dai favori della borghesia. Ma la borghesia potrà sempre meno fare affidamento sui riformisti per governare le masse e quindi sempre meno elargirà a loro i suoi favori, benché essi rimangano la sua risorsa estrema per dividere le masse in misura sufficiente per reprimerle con successo: essi aprono infatti la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse, di cui però diventeranno almeno in parte anche vittime.

Nei paesi semicoloniali la conciliazione con l’imperialismo ha mantenuto la maggior parte dei paesi semicoloniali in uno stato di arretratezza economica e culturale e di dipendenza e fragilità politica. Chiamati nel linguaggio degli imperialisti “paesi in via di sviluppo”, la crescita economica e culturale è rimasta per la maggior parte di essi un miraggio. Lo sviluppo della crisi generale strappa giorno dopo giorno inesorabilmente il sipario dei “miracoli economici” e mette a nudo lo sfruttamento, la miseria, la fame e i crimini che la borghesia imperialista celava con esso. La dominazione dell’imperialismo e dei gruppi indigeni feudali e capitalisti-burocratici e compradori ha distrutto le condizioni sia pur primitive di sopravvivenza di larghe masse, ha gettato la maggior parte della popolazione mondiale (che abita in questi paesi) in uno stato di emarginazione e di sottoalimentazione cronica che la spinge sempre più all’emigrazione selvaggia nei paesi imperialisti. In quasi tutti i paesi semicoloniali però sono cresciuti il proletariato e le forze rivoluzionarie. L’avidità e la rapacità dei banchieri imperialisti e dei loro servi locali fanno della rivoluzione di nuova democrazia l’unica via di sopravvivenza per le ampie masse.

 

 3. La contraddizione tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione capitalisti è diventata più aperta e più acuta. Il processo produttivo delle società attuali è diventato ancora più profondamente e diffusamente opera collettiva di un organismo mondiale; ogni parte di questo può funzionare solo se funzionano anche le altre e grazie al funzionamento di tutte le altre. Nei sessanta anni trascorsi dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale sono stati ulteriormente ridotti gli ambiti dei sistemi autonomi individuali o locali di produzione. Sul piano economico il mondo è diventato in senso più stretto un organismo unico, anche se sempre più lacerato da contraddizioni proprio a causa del carattere capitalista dei rapporti tra le parti che lo costituiscono. L’unità del mondo creata dal capitalismo diventa più profonda, ma proprio per questo le forme borghesi di questa unità diventano sempre più una fonte di malessere, di sopraffazione, di ribellione, di guerre, di rivoluzioni, di devastazione e saccheggio. I capitalisti e i loro seguaci pretendono infatti di basare ancora il funzionamento di un organismo del genere sul possesso individuale delle forze produttive e sul furto di tempo di lavoro altrui, come ai tempi in cui il funzionamento e il risultato delle forze produttive dipendeva principalmente dalle risorse e dall’energia del singolo individuo o gruppo che ne disponeva. Nelle società borghesi gli speculatori sono diventati gli “eroi del nostro tempo”. È impossibile eliminare questa contraddizione se non si elimina il capitalismo: i contrasti che lacerano le singole società imperialiste e la società mondiale (ivi compresa in particolare la distruzione dell’ambiente che negli ultimi cinquanta anni è diventata una contraddizione universale) in definitiva derivano da questo contrasto fondamentale, anche se derivano da esso attraverso una serie di passaggi intermedi che a volte danno alle manifestazioni concrete apparenze del tutto diverse. La realtà è che quelli che hanno i soldi e quindi possono avere iniziativa economica, vogliono e devono guadagnare subito e tanto, il massimo e le masse devono sprecare le proprie energie per loro, distruggendo se stesse e le condizioni della propria vita.

 

4. La borghesia non ha alcuna possibilità di porre direttamente fine all’attuale crisi, può solo travolgere nuovamente il mondo in un lungo periodo di guerre e rivoluzioni di dimensioni che oggi non immaginiamo ancora.

Le strutture che dirigono il processo produttivo delle società attuali (il capitalismo monopolistico di Stato, il capitale finanziario, i monopoli mondiali) sono sovrastrutture, escrescenze del capitalismo vecchio stile fatto di capitalisti produttori, commercianti e banchieri, speculatori e profittatori, produttori e venditori di merci che costituiscono ancora il grosso delle società borghesi.(73) Quelle strutture poggiano sulla larga base della produzione mercantile capitalista e della proprietà individuale capitalista delle forze produttive. Ogni associazione di capitalisti e ogni accordo tra capitalisti è quindi temporaneo, funzionale al profitto dei capitali individuali e minato dall’interno dalla contraddizione tra le frazioni individuali di capitale. La vantata capacità degli Stati e delle associazioni nazionali e internazionali di capitalisti di pianificare il movimento economico della società, di dirigerlo secondo un piano preventivamente tracciato, di controllare e dirigere il movimento economico, politico e culturale della società, insomma la pretesa di essere entrati in un nuovo modo di produzione, il neocapitalismo, che avrebbe superato i punti deboli del vecchio capitalismo, si rivela sotto i nostri occhi un’illusione di alcuni, una menzogna interessata di altri, un incubo allucinato di altri ancora. Il piano del capitale è esistito solo come vanteria delle teste d’uovo del capitale e come speculazione degli “operaisti”(*) e dei loro maestri della “scuola di Francoforte”.(74) (75)

 

5. La classe operaia è più numerosa e più diffusa nel mondo e la proletarizzazione è cresciuta. L’espansione del modo di produzione capitalista in Cina, in India, in molti altri paesi dell’Asia, dell’America latina e dell’Africa ha moltiplicato le forze motrici del nuovo ordinamento sociale. La mondializzazione, l’espansione dei monopoli internazionali (multinazionali) e l’emigrazione di massa che la borghesia imperialista impone alle masse popolari di tutto il mondo, vengono creando un proletariato internazionale come figura concreta: l’internazionalismo proletario acquista nuovi strumenti di forza. Vaste masse hanno avuto con i primi paesi socialisti un’esperienza recente, pratica e diretta del socialismo.

 

 6. La lotta delle donne per la loro emancipazione e per assumere un ruolo paritario nella vita sociale è diventata una componente più importante e più consapevole del movimento comunista. Con lo sviluppo che l’umanità ha avuto nell’ambito del modo di produzione capitalista, sono state oramai definitivamente eliminate tutte le condizioni oggettive su cui per millenni si è basato l’asservimento delle donne agli uomini: la procreazione come opera essenziale alla conservazione della specie, la forza muscolare come componente essenziale della forza-lavoro e dell’attitudine al combattimento, ecc. La discriminazione delle donne, come la discriminazione razziale, la religiosità e altri aspetti arretrati della società, sopravvive solo perché è utile alla borghesia per prolungare la sopravvivenza del suo ordinamento sociale. La borghesia ostacola l’emancipazione delle donne, perché fa leva su ogni divisione tra le masse popolari, perché ha arruolato a proprio sostegno tutte le forze sopravvissute dal passato (in particolare la Chiesa Cattolica) e perché la mobilitazione delle donne ad assumere nella vita sociale un ruolo paritario con gli uomini contrasta con la necessità che ha la borghesia di mantenere il complesso delle masse popolari in uno stato di soggezione. Al contrario la lotta contro il capitalismo richiede la mobilitazione delle operaie e delle casalinghe delle famiglie operaie, la lotta per l’instaurazione del socialismo richiede la mobilitazione delle donne delle masse popolari, la marcia verso la società comunista richiede l’eliminazione delle disuguaglianze tra uomini e donne: tre fattori che rendono necessario l’assunzione da parte del movimento comunista dell’emancipazione delle donne come suo obiettivo e aprono la via alla mobilitazione delle donne per la loro emancipazione. La lotta delle donne per la propria emancipazione è diventata una componente del movimento comunista e allarga il campo delle forze motrici della nuova ondata della rivoluzione proletaria.(76)

 

7. Il disastro ecologico è diventato una dimostrazione oggettiva e universale della necessità di superare il modo di produzione capitalista.

La crescita illimitata della produzione di merci in quanto veicolo della produzione di plusvalore che per sua natura il capitale spinge illimitatamente in avanti, gli effetti della concorrenza tra capitalisti produttori di merci sulla natura delle merci e sul processo produttivo (della forma della produzione sul contenuto della produzione), l’esclusione in massa della maggior parte dell’umanità dalle attività specificamente umane,(2) la crescita del consumo di massa in quanto strumento di ordine pubblico (uno dei pilastri della controrivoluzione preventiva),(*) la proprietà privata delle risorse naturali, l’anarchia connessa alla divisione del capitale tra più capitalisti, il freno che il modo di produzione capitalista pone alla ricerca scientifica e all’applicazione delle scoperte scientifiche alla produzione di beni e servizi e al resto delle attività umane sono i sette fattori che hanno prodotto e incrementano il saccheggio delle risorse naturali, l’inquinamento dell’ambiente e la devastazione del pianeta fino a rendere l’eliminazione del modo di produzione capitalista una condizione indispensabile per la sopravvivenza della specie umana. L’esperienza ha smentito tutte le teorie con cui alcuni esponenti e sostenitori della borghesia hanno cercato di attribuire il disastro ecologico ad altro che al capitalismo stesso. In particolare ha mostrato che esso non dipende dalla crescita della popolazione né dalla quantità limitata delle risorse naturali. Non a caso essi hanno incominciato a lanciare le loro profezie quando la popolazione mondiale era un terzo dell’attuale. Le risorse che gli uomini attingono all’ambiente e ancora di più le condizioni del ricambio tra la specie umana e il resto della natura cambiano con il tipo di attività che gli uomini svolgono, con i progressi nella padronanza degli uomini sulla natura, cioè con i progressi della scienza e della tecnica, con l’ordinamento sociale. L’associazione sempre più aperta dell’ecologia borghese con l’oppressione di classe (chi può pagare può inquinare, chi non può pagare deve restringersi) e con la discriminazione razziale e nazionale (i paesi oppressi non devono raggiungere i livelli di vita dei paesi imperialisti) rendono sempre più chiaro il carattere di classe del disastro ambientale.(76) Ciò allarga il campo delle forze che la classe operaia può mobilitare nella sua lotta contro il capitalismo e per l’instaurazione del socialismo.

 

La nuova crisi generale ha generato e genera una nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo. Le masse popolari sono spinte dalla condizione oggettiva a mobilitarsi e anche la classe dominante dovrà favorire la loro mobilitazione per far fronte ai propri problemi. Essa cercherà di mantenere la propria direzione su di esse sviluppando la loro mobilitazione reazionaria. Non ha altre strade. Compito dei comunisti nei prossimi  anni è far prevalere la direzione della classe operaia nella mobilitazione delle masse, trasformandola così in mobilitazione rivoluzionaria, in lotta per il socialismo.

Come possiamo raggiungere questo obiettivo?

Le masse popolari si mobilitano per resistere al procedere della seconda crisi del capitalismo. Lo sconvolgimento materiale e spirituale oggi in corso tra le masse è il modo in cui esse cercano di far fronte alle situazioni di fronte alle quali le pone il procedere della crisi.

La resistenza delle masse al procedere della crisi comprende sia la difesa delle conquiste strappate (aspetto difensivo), sia la lotta contro il regime che le elimina, sia la lotta contro la repressione con cui esso cerca di soffocare individui e organizzazioni promotrici della resistenza (aspetto offensivo).(77)

Questa è l’impresa che le masse devono compiere e su questo terreno si scontrano le due classi antagoniste, la borghesia imperialista per conservare il potere e la direzione sulle masse popolari e la classe operaia per conquistarli. Ciò definisce la linea generale del partito comunista nei prossimi anni:

unirsi strettamente e senza riserve alla resistenza che le masse oppongono e opporranno al procedere della crisi generale del capitalismo, comprendere e applicare le leggi secondo cui questa resistenza si sviluppa, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia fino a trasformarla in lotta per il socialismo, adottando come metodo principale di lavoro e di direzione la linea di massa.”

L’applicazione conseguente di questa linea generale porta il partito comunista a definire, sulla base del bilancio dell’esperienza, le linee particolari da applicare in ogni paese e fase per fase, le forme di lotta e le forme conseguenti di organizzazione (la via alla rivoluzione proletaria nel proprio paese).

 

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Capitolo II
Il movimento comunista in Italia