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1.3. L’imperialismo, ultima fase del capitalismo

 

1.3.1. Le origini dell’imperialismo

 

Nella seconda metà del secolo XIX lo sviluppo economico delle società borghesi più avanzate dell’Europa Occidentale e dell’America del Nord arrivò a una svolta. 1. La divisione della società in classi e il loro antagonismo avevano cessato di essere la condizione più favorevole allo sviluppo delle forze produttive ed erano diventati un freno ad esso. Non nel senso che quindi le forze produttive non si  sviluppavano più, ma nel senso che esse si sviluppavano a un ritmo inferiore a quello che le condizioni raggiunte consentivano: i diritti di proprietà, la sostanziale esclusione delle masse popolari dalle attività specificamente umane,(*) la loro oppressione, il compromesso della borghesia con la nobiltà e il clero, il segreto industriale, commerciale e militare, le crisi economiche ricorrenti e altri aspetti della società capitalista ne frenavano lo sviluppo. 2. La produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza della società dipendevano principalmente non più dalla lotta degli uomini con la natura, ma dal loro ordinamento sociale.

Erano quindi maturate le condizioni oggettive per una superiore organizzazione sociale, il comunismo. Da allora, una volta realizzate le condizioni oggettive che rendono possibile e necessario l’inizio della transizione al comunismo (cioè il socialismo), il fattore decisivo divennero le condizioni soggettive: un livello di coscienza e un grado di organizzazione delle grandi masse del proletariato che rendesse la classe operaia capace di dirigere le masse popolari ad abbattere il potere della classe dominante e a dare inizio alla transizione dal capitalismo al comunismo. L’economia poteva svilupparsi ulteriormente senza traumi solo come appendice della politica. D’altra parte, data la natura della classe dominante, la politica non era in grado di governare l’economia. La sovrastruttura della società era oramai diventata il collo di bottiglia dello sviluppo della struttura. Gli uomini potevano progredire ulteriormente nello sviluppo dei loro rapporti economici solo se creavano le condizioni politiche per dirigerlo: la dittatura del proletariato. In effetti le prime misure che prende in campo economico il proletariato una volta conquistato il potere, consistono, per forza di cose, solamente nell’imporre che le forze produttive esistenti siano usate per il benessere dell’umanità nel modo più ragionevole che oggi conosciamo e che il lavoro sia svolto nelle condizioni più dignitose che oggi sono possibili.(33)

 

Con la rivoluzione europea del 1848 la borghesia aveva preso definitivamente il sopravvento in campo politico sulle classi feudali nei maggiori paesi dell’Europa Occidentale. Ma nel trasformare la realtà in conformità alla sua propria natura,(34) la borghesia doveva tener conto e teneva conto sia della resistenza delle classi della vecchia società, sia della lotta della nuova classe che essa creava (la classe operaia), sia dell’aiuto che poteva ottenere dalle prime nella sua lotta contro la seconda. La rivoluzione borghese non terminò quindi con la completa eliminazione delle vecchie forze feudali (i monarchi con le loro corti, la nobiltà con i suoi ordini, il clero con le sue chiese, il Papato con la sua Chiesa Cattolica Romana, la burocrazia, i magistrati e gli ufficiali di carriera, ecc.) da parte della borghesia rivoluzionaria. Terminò con un accordo della borghesia con le vecchie forze feudali. L’accordo implicava la sottomissione delle vecchie forze feudali alla borghesia. Ma queste assicuravano la loro complicità contro il proletariato, i contadini e la piccola borghesia, in cambio di importanti concessioni.(35) La vecchia struttura statale monarchico-nobiliare-clericale-burocratica continuò ad esistere, anche nei paesi (come la Francia) dove era stata proclamata la repubblica che in realtà risultò così essere una “monarchia senza re”, mentre a loro volta le monarchie divennero monarchie costituzionali, dove la borghesia aveva un ruolo dominante analogo a quello che aveva nelle repubbliche. Quella vecchia struttura statale continuava a governare e a disporre delle forze armate (dove però agli ordini degli ufficiali di mestiere provenienti dalla nobiltà e dall’alta borghesia entrava la truppa di leva del servizio militare obbligatorio universale), della polizia e della Pubblica Amministrazione. Ma ora la sua attività doveva sottostare alla costituzione e alle leggi emanate da assemblee rappresentative della borghesia. Era limitata dal potere autonomo delle assemblee elettive e dal potere autonomo della magistratura di carriera (divisione dei poteri). La monarchia, la nobiltà, il clero, gli ufficiali delle forze armate e i grandi funzionari dello Stato conservavano un grande potere politico, una vasta influenza sociale e privilegi d’ogni genere: la Camera Alta (il Senato) e l’esclusiva (il monopolio) di varie cariche pubbliche, proprietà, rendite, appannaggi, decime per il clero, esenzioni fiscali, immunità, poteri speciali nel campo dell’istruzione, dell’assistenza e della legislazione. Ma quei vecchi gruppi sociali in vari modi si amalgamavano all’alta borghesia. Anche la magistratura era per mille vie legata ad essa. Quali che fossero le leggi elettorali, i grandi proprietari fondiari e l’alta borghesia, insieme a una parte della media borghesia e agli strati più ricchi degli intellettuali, dei professionisti e dei funzionari pubblici, godevano di un peso elettorale sproporzionato al loro numero, tramite il voto censitario e la loro influenza sociale. Tutto ciò a  danno dei diritti democratico-borghesi della piccola borghesia, dei contadini, degli artigiani, dei proletari, degli altri lavoratori poveri e delle donne: voto eguale universale, diretto e segreto, libertà di parola, di coscienza, di stampa, di riunione, di associazione e di sciopero, ecc. La Pubblica Amministrazione, la polizia, le forze armate, il clero, la nobiltà e l’alta borghesia limitavano in mille modi i diritti democratici delle masse popolari, sia pure intesi nell’accezione compatibile con l’ordine sociale capitalista.

In questo contesto, Marx ed Engels proposero e fecero valere nel movimento comunista un orientamento imperniato sulle seguenti concezioni e linee d’azione:

1. Solo la classe operaia è in grado di emancipare se stessa dalla borghesia.

2. Per emancipare se stessa dalla borghesia, la classe operaia deve emancipare l’intera umanità dalla soggezione ai propri rapporti sociali (alienazione), da ogni forma di sfruttamento e di oppressione, dalla divisione della società in classi.

3. La classe operaia trova in massa la via della propria emancipazione solo attraverso la sua esperienza pratica e diretta di lotta di classe e di organizzazione.

4. I comunisti si distinguono dalla massa del proletariato perché hanno una comprensione migliore delle condizioni, dei risultati e delle forme della lotta della classe operaia e sulla base di questa comprensione la spingono sempre in avanti.

5. La lotta della classe operaia comprende le lotte rivendicative sindacali e politiche, l’intervento come classe autonoma nella lotta politica borghese alla testa del resto delle masse popolari, la formazione di associazioni operaie e popolari autonome dalla borghesia in ogni campo di attività, la lotta contro la repressione. La partecipazione diretta alla lotta su questi quattro fronti è la principale scuola di comunismo(*) per la massa degli operai.

6. L’instaurazione del socialismo avverrà attraverso il rovesciamento da parte della classe operaia del potere politico esistente e l’instaurazione del proprio potere, la dittatura del proletariato.

7. Durante la fase socialista la classe operaia dovrà condurre se stessa e le altre classi delle masse popolari a trasformare, sulla base della proprietà pubblica delle forze produttive e della gestione pianificata dell’attività economica instaurate dalla rivoluzione, l’insieme delle proprie relazioni sociali e dei sentimenti, delle concezioni e dei comportamenti connessi, fino alla soppressione di ogni forma di sfruttamento e oppressione, alla fine della soggezione ai propri rapporti sociali e all’estinzione della divisione della società in classi e dello Stato.

In questo orientamento strategico il salto qualitativo e decisivo, storico, di rottura con la società esistente, era indicato nel sesto punto. Come avrebbe la classe operaia instaurato il socialismo?

Per alcuni decenni (1850-1890) i comunisti, ivi compresi Marx e Engels, pensarono che presto nei paesi capitalisti più avanzati dell’Europa Occidentale e dell’America del Nord la classe operaia avrebbe preso il potere nel corso di una insurrezione popolare (di proletari, artigiani, contadini, altri lavoratori poveri, intellettuali rivoluzionari, ecc.) contro l’alta borghesia e i resti delle vecchie classi reazionarie con essa alleate, avrebbe instaurato il socialismo e, attraverso un periodo più o meno lungo di guerre civili e internazionali, avrebbe compiuto la transizione dal capitalismo al comunismo. Proprio su questo punto la realtà ha dato torto ai comunisti e proprio su questo punto il movimento comunista ha incontrato e incontra ancora oggi le maggiori difficoltà ad elaborare una linea adeguata ai problemi che deve affrontare. In nessuno di quei paesi la classe operaia è riuscita finora ad instaurare il socialismo.(36) Questo è il limite maggiore che finora il movimento comunista non ha superato. Questo limite si è ripercosso e si ripercuote negativamente in tutto il movimento comunista a livello mondiale. Il maoismo, terza e superiore tappa del pensiero comunista, sulla base del bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, offre la risposta a questo problema con la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.(*)

 

Il corso degli avvenimenti ha confermato le leggi proprie del capitalismo che Marx aveva scoperto e descritto.(37) Esso ha però mostrato

1. che la sottomissione di tutta la società ai capitalisti (la sussunzione(*) reale della società nel capitalismo) e l’instaurazione del modo di produzione capitalista nel resto del pianeta avvenivano in  forme in parte diverse da quelle che Marx aveva previsto. Esse escludevano una completa polarizzazione della società in un pugno di capitalisti da una parte (soppressione delle altre classi privilegiate, centralizzazione e concentrazione del capitale) e una massa di proletari dall’altra (proletarizzazione della popolazione), benché la polarizzazione fosse una tendenza reale;

2. che la creazione delle “condizioni soggettive del socialismo” era un processo che doveva essere compiuto in seno alla società diretta dalla borghesia, che dal canto suo lo ostacolava con tutte le sue forze, in ogni modo e con ogni mezzo: questo richiedeva un’attività del partito comunista di tipo superiore a quella che Marx ed Engels avevano pensato.

Quindi con l’opera di Marx ed Engels i comunisti non avevano ancora raggiunto una comprensione delle condizioni, dei risultati e delle forme della lotta di classe sufficiente per condurre la classe operaia a instaurare il socialismo. Di conseguenza la massa del proletariato non raggiunse un livello di organizzazione e di coscienza sufficiente perché la classe operaia prendesse la direzione del resto delle masse popolari e le guidasse ad abolire il potere della borghesia e delle altre classi sfruttatrici, stroncare la loro resistenza, instaurare il proprio potere e dare inizio alla transizione dal capitalismo al comunismo. Contrariamente alle previsioni che Marx ed Engels facevano alla metà del secolo XIX, la classe operaia non riuscì dunque a instaurare il socialismo in nessuno dei primi paesi capitalisti.

 

La borghesia aveva creato e continuamente accresceva le condizioni oggettive del socialismo. La rivoluzione socialista era diventata un compito e una necessità pratica immediati. Le condizioni soggettive erano diventate il fattore decisivo. Dato che nei primi paesi capitalisti queste condizioni non vennero create nella misura sufficiente per l’instaurazione del socialismo, anziché passare direttamente al socialismo, i primi paesi capitalisti entrarono in una fase nuova e imprevista: la fase imperialista del capitalismo in cui ci troviamo ancora oggi.

Sul piano economico le caratteristiche principali dell’imperialismo consistevano nella prevalenza del monopolio sulla libera concorrenza, nella prevalenza del capitale finanziario che nasce dalla fusione del capitale industriale col capitale monetario, nella prevalenza dell’esportazione di capitali rispetto all’esportazione di merci, nella divisione completa del mondo in paesi imperialisti e paesi oppressi dalle potenze imperialiste, nella spartizione del mondo tra monopoli capitalisti.

Sul piano politico e culturale, gradualmente la borghesia perse ogni ruolo progressista. Assunse sempre più i caratteri di una classe reazionaria e oppressiva. Essa continuò ad accrescere le condizioni oggettive del socialismo, ma questo avanzamento oggettivo dell’umanità verso il comunismo, compiuto sotto la direzione della borghesia, divenne tanto più tormentoso e distruttivo di uomini, cose, ambiente e civiltà quanto più è tardata l’instaurazione del socialismo.(38)

Il prolungamento del dominio della borghesia nei paesi in cui il capitalismo era più sviluppato, fece sì che si modificasse qualitativamente il contesto internazionale in cui si poneva la rivoluzione socialista rispetto a quello in cui Marx ed Engels avevano svolto la loro attività e da cui avevano tratto la linea che avevano indicato al movimento comunista. Non la rivoluzione socialista, ma la rivoluzione proletaria, combinazione di rivoluzioni di nuova democrazia e di rivoluzioni socialiste, avrebbe posto fine al modo di produzione capitalista.(39) L’imperialismo sarebbe stata la fase della putrefazione del capitalismo, della controrivoluzione preventiva e della rivoluzione proletaria.

La situazione economica, politica e culturale dei singoli paesi assunse caratteristiche impreviste. Tutto il mondo era oramai stretto in un’unica rete di relazioni economiche, politiche e culturali. Da allora le condizioni della rivoluzione socialista in ogni paese non poterono più essere valutate senza tener conto della situazione internazionale. Il marxismo-leninismo sostituì il marxismo come concezione del mondo del partito comunista e suo metodo di trasformazione e di conoscenza.(40)

Il mondo era entrato nella fase imperialista del capitalismo, la fase della decadenza del capitalismo e della rivoluzione proletaria, nella quale ci troviamo ancora oggi. Tre grandi contraddizioni governavano oramai la storia dell’umanità: la contraddizione tra borghesia e classe operaia, la contraddizione tra gruppi e Stati imperialisti da una parte e dall’altra le masse popolari dei paesi oppressi, la contraddizione dei gruppi e degli Stati imperialisti tra loro. La transizione dal capitalismo al comunismo non sarebbe stata né rapida né facile,  benché essa fosse diventata per l’umanità l’unico possibile percorso di progresso. Finché esso non fosse stato compiuto, l’umanità avrebbe vissuto “i travagli del parto”. Nessun politico realista poteva più prescindere da questo. Gli avvenimenti da allora succedutisi l’hanno confermato.

 

1.3.2. Come si era arrivati a quella svolta? Come si manifestava?

 

Una serie ciclica di crisi economiche, culminate negli anni 1815, 1825, 1836, 1847, 1857, 1867, poi la Grande Depressione (1873-1895), avevano spinto la borghesia europea ed americana a mettere in opera una serie di misure atte a contrastare la caduta del saggio del profitto.(41) In particolare essa aveva sviluppato su grande scala le forze produttive, dato una struttura monopolistica alla produzione capitalista ed esteso il raggio dei suoi investimenti finanziari e produttivi a tutti i continenti. Di conseguenza essa aveva accresciuto fortemente il carattere collettivo dell’attività economica soprattutto nei paesi capitalisti dell’Europa Occidentale e nell’America del Nord e aveva, per la prima volta nella storia umana, creato un sistema unitario di produzione e consumo che comprendeva tutta la popolazione del mondo.

Nei paesi capitalisti la concorrenza tra molti piccoli capitalisti era gradualmente passata in secondo piano e i monopoli di un pugno di grandi gruppi capitalisti erano diventati la forza dirigente del processo economico. I piccoli capitalisti non erano scomparsi come gruppo sociale, ma erano diventati dipendenti 1. dai monopoli loro unici fornitori di merci, loro unici clienti o loro fornitori di tecnologia, 2. dal capitale finanziario tramite prestiti, ipoteche e assicurazioni, 3. dallo Stato tramite regolamenti. La stessa cosa era successa per gran parte della piccola borghesia costituita dai lavoratori autonomi, dai professionisti e dagli intellettuali.

II capitale bancario e il capitale produttivo si erano fusi nel capitale finanziario. Esso in varie forme (depositi, assicurazioni, prestiti, ipoteche, borsa, azioni, obbligazioni, ecc.) aveva assunto il controllo anche dei risparmi e delle proprietà delle altri classi.(42)

Di fronte alle difficoltà che incontrava nella valorizzazione del capitale nei suoi paesi d’origine, nella seconda metà del secolo XIX la borghesia europea e americana aveva cercato campi per investimenti finanziari e produttivi e fonti di rendite in ogni angolo del mondo. Essa aveva da tempo esteso a tutto il mondo la sua rete commerciale e con ciò aveva minato i vecchi modi di produzione ivi esistenti. Non solo questa rete divenne sempre più fitta, ma l’esportazione di merci passò in secondo piano e l’esportazione di capitali assunse il ruolo dirigente nelle relazioni economiche internazionali. La borghesia unificò allora il mondo nel modo in cui poteva farlo una classe di sfruttatori in concorrenza tra loro. Quindi suscitò ovunque una resistenza accanita. Ma, eccezion fatta per il Giappone,(43) essa la soffocò spietatamente e con successo. Infatti la resistenza era diretta dalle vecchie classi dominanti e mirava a conservare o ristabilire il vecchio ordinamento sociale di cui l’invasione commerciale borghese rendeva impossibile la sopravvivenza. Stroncando la resistenza delle vecchie Autorità e approfittando delle loro debolezze e divisioni, la borghesia europea e americana colonizzò e sottomise a uno spietato sfruttamento i popoli dei paesi non ancora capitalisti. Essa esportò ovunque lo sfruttamento capitalista del lavoro salariato. Ma nei suoi paesi d’origine essa era già in lotta con la classe operaia e alleata con quanto restava delle vecchie classi reazionarie per conservare il suo ordinamento sociale. Questo le rendeva impossibile condurre a fondo il rivoluzionamento dei vecchi modi di produzione che trovava nei paesi invasi. Essa quindi si combinò con le vecchie classi dominanti e si appropriò, tramite un sistema di interessi, rendite, usura, brevetti, concessioni, prezzi di monopolio all’acquisto e alla vendita, imposte, malversazioni, furti, imbrogli e rapine, di una parte delle ricchezze che continuarono ad essere prodotte nell’ambito dei vecchi sistemi di sfruttamento. A questi però essa tolse i limiti abitudinari, li spinse al loro estremo. Con ciò rese impossibile la loro perpetuazione e accelerò ovunque la rivoluzione democratico-borghese che però essa stessa reprimeva.

Sul finire del secolo XIX il mondo risultò diviso in due parti: un piccolo numero di paesi imperialisti si erano spartiti e dominavano tutto il resto del pianeta formato da colonie e semicolonie dove abitava la maggior parte della popolazione mondiale. Lo sviluppo diseguale dei paesi divenne una legge di questo mondo unificato dalla borghesia. Il sistema coloniale divenne uno dei suoi pilastri.

 I grandi monopoli dei paesi imperialisti incominciarono già allora a ramificarsi in ogni paese, a considerare il mondo intero come un’unica area disponibile per la valorizzazione del proprio capitale e a spartirsi tra loro l’intera attività economica mondiale (internazionalizzazione della produzione, globalizzazione, multinazionali, ecc.): una tendenza che avrebbe assunto un ruolo dirigente nell’economia mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando i gruppi imperialisti americani imposero la loro legge in tutto il mondo non incluso nel campo socialista.

Mentre la borghesia creava le condizioni oggettive del socialismo, queste e l’opera dei comunisti avevano anche fatto sorgere in massa nella classe operaia dei paesi capitalisti, in contrasto con l’ideologia e le abitudini proprie della condizione servile a cui tutti gli operai soggiacevano, i sentimenti, i comportamenti, la coscienza, le attitudini e le capacità organizzative necessarie alla nuova società.

La Lega dei comunisti (1847-1852) aveva creato le condizioni della nascita del marxismo.

La I Internazionale, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (1864-1876), mise a punto e verificò nella pratica nei paesi più avanzati la linea marxista per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie e così facendo risolse vittoriosamente la lotta del marxismo contro le concezioni anarchiche e piccolo-borghesi del socialismo. Queste rifiutavano questa o quella delle lotte necessarie per creare le condizioni soggettive del socialismo e la lotta per instaurare un nuovo Stato, lo Stato della dittatura del proletariato. La I Internazionale diffuse il marxismo tra i lavoratori avanzati e i comunisti di tutto il mondo. La borghesia soffocò selvaggiamente nel sangue la prima rivoluzione proletaria, la Comune di Parigi (1871). Ma questa mostrò per la prima volta la classe operaia al potere, fornì grandi insegnamenti (la necessità del partito comunista della classe operaia, della preparazione delle forze rivoluzionarie e della dittatura del proletariato) e fece conoscere il socialismo agli oppressi di tutto il mondo.(44)

Nei partiti socialisti e socialdemocratici della II Internazionale (1889-1914) il proletariato dei maggiori paesi capitalisti, in particolare europei, acquistò in massa la coscienza che le conquiste delle sue lotte rivendicative (economiche e politiche) potevano essere conservate e sviluppate solo con la trasformazione socialista della società e stabilì un’ampia egemonia sulle altre classi popolari. Esso divenne la classe che incarnava e personificava l’esigenza oggettiva del passaggio al comunismo e creò istituzioni atte a formare ed esprimere la volontà della nuova classe: il proprio partito politico, i sindacati, varie altre organizzazioni di massa.(45)

Da allora, dalla fine del secolo XIX, la lotta contro l’avanzata del comunismo per la conservazione degli ordinamenti esistenti divenne l’aspetto principale dell’attività politica e culturale della borghesia. La borghesia divenne conservatrice e reazionaria. Era definitivamente finita l’epoca della democrazia borghese e del ruolo progressista della borghesia. La controrivoluzione preventiva, la cooptazione delle residue forze feudali e le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale(*) divennero indispensabili strumenti della direzione della borghesia.(46)

 

1.3.3. La controrivoluzione preventiva

 

La controrivoluzione preventiva divenne il nuovo regime politico dei paesi borghesi più avanzati, dei paesi imperialisti. Essa storicamente (cioè dal punto di vista dell’evoluzione storica, del progresso dell’umanità verso il comunismo) costituisce un grande passo avanti rispetto ai regimi che la borghesia aveva instaurato nei paesi dell’Europa Occidentale dopo la rivoluzione europea del 1848. Il regime di controrivoluzione preventiva tiene pienamente conto del nuovo ruolo che le masse popolari hanno nella vita sociale rispetto a quello che avevano nelle società che hanno preceduto la società borghese. Ora non solo la classe dominante organizza direttamente il processo produttivo della società, ma il meccanismo della produzione è diventato direttamente sociale e tutti i rapporti sociali sono strettamente correlati ai rapporti di produzione. La borghesia non può fare a meno della collaborazione delle masse popolari e il suo Stato è responsabile del benessere delle masse popolari. Questo infatti ora dipende più dall’ordinamento della società che dalla lotta contro la natura. Con il regime di controrivoluzione preventiva tuttavia la borghesia ha costruito una barriera all’instaurazione del socialismo che il movimento comunista non è ancora riuscito a varcare in alcun paese imperialista.

Gli USA erano il paese dove il modo di produzione capitalista si era sviluppato più liberamente, meno intralciato dalle eredità feudali. Fu lì che contro il fiorente movimento comunista americano la borghesia tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX mise a punto e collaudò la controrivoluzione preventiva.

In cosa consiste la controrivoluzione preventiva?

I rapporti sociali capitalisti sono tali che la borghesia ha bisogno di un certo grado di collaborazione degli operai, del proletariato e del resto delle masse popolari. Non riesce a sfruttare una massa ostile, basandosi a lungo principalmente sulla forza e il terrore. Questo è uno dei suoi “tallone d’Achille”, su cui noi comunisti possiamo e dobbiamo far leva. La borghesia ha bisogno degli operai per valorizzare il suo capitale. Anche noi comunisti abbiamo bisogno degli operai: il mondo attuale lo possono cambiare solo le masse popolari guidate dagli operai. Fin dal Manifesto del 1848 noi comunisti siamo coscienti che “facciamo la storia” solo perché siamo la loro avanguardia: il partito comunista non è che lo Stato Maggiore della classe operaiadella” che lotta contro la borghesia. Noi comunisti mobilitiamo e organizziamo gli operai perché prendano il potere: senza di loro noi siamo impotenti. Le migliori teorie, i propositi più generosi, l’attivismo più eroico non modificano la società, se non sono fatti propri dalla massa degli operai, se non diventano guida dell’attività della massa degli operai. La volontà e gli sforzi individuali per creare un nuovo mondo sono efficaci se contribuiscono a mobilitare e organizzare gli operai. I comunisti quindi lavorano per accrescere la coscienza  e l’organizzazione degli operai e delle masse popolari. Per questo, a differenza dei codisti, noi non andiamo a parlare agli operai di quello di cui già si interessano: andiamo a parlare di quello di cui devono interessarsi per avanzare (mobilitarsi e mobilitare, organizzarsi e organizzare), lottare e vincere – sta a noi trovare i modi di indurre gli operai avanzati ad ascoltarci. A sua volta la borghesia per indurre gli operai e le masse popolari a collaborare con essa, per mantenere o ristabilire la loro collaborazione, per prolungare il suo dominio deve impedire che il nostro lavoro abbia successo.

Nei primi decenni del movimento comunista la borghesia aveva lottato contro il movimento comunista cosciente e organizzato alla vecchia maniera, grossomodo come il vecchio regime delle monarchie assolute, della nobiltà e del clero aveva lottato contro la borghesia per impedirle di impadronirsi del potere politico. Ma ben presto il movimento comunista rese inefficaci o comunque insufficienti quei metodi. Questo fu ben evidente in Germania nel periodo in cui furono in vigore le Leggi Antisocialiste (1878-1891). Più evidente ancora fu negli USA, un paese dove le eredità feudali erano più deboli. Il movimento comunista sfruttava per l’emancipazione degli operai e, al loro seguito, del resto delle masse popolari dalla borghesia, le nuove condizioni sociali e politiche che la borghesia stessa aveva creato e di cui non poteva fare a meno: le libertà individuali, la cultura e l’istruzione, la libertà di associazione, la partecipazione popolare alla vita politica, il riconosciuto e proclamato diritto universale ad una vita dignitosa e felice. Insomma, tutto quello che nella lotta contro il vecchio regime la borghesia aveva proclamato diritto universale, il movimento comunista grazie alla concezione e alla linea elaborate da Marx ed Engels lo traduceva in strumenti concreti di emancipazione degli operai dalla borghesia: le idee assimilate dalle masse diventavano una forza materiale. La coscienza e l’organizzazione facevano degli operai la forza dirigente della società.

 

Finché il proletariato era stato debole, la borghesia era stata rivoluzionaria. Aveva lottato per la democrazia contro i rapporti di dipendenza personale (patriarcali, schiavisti, feudali, religiosi, ecc.) su cui si basavano le vecchie società; per la libertà, per la sovranità popolare contro il feudalesimo, l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo clericale. Ma Bismarck l’aveva tempestivamente ammonita: “La borghesia ha firmato una cambiale in bianco. Prima o poi il proletariato ne chiederà il pagamento”. Il Papa di Roma non era stato da meno. Infatti l’estensione al proletariato, alle masse dei paesi imperialisti e ai popoli delle colonie dei diritti della democrazia borghese, del riconoscimento formale dell’eguaglianza, dell’eguale diritto di concorrere a determinare l’indirizzo dello Stato e a governare, appena il movimento comunista faceva valere tutto questo praticamente, si scontrava con la necessità, inscritta nei rapporti economici, di mantenere la dittatura della borghesia sulle classi sfruttate e sui popoli oppressi. Finché un paese resta borghese quanto ai rapporti economici (cioè resta basato su relazioni mercantili e sull’iniziativa economica e la proprietà dei capitalisti), lo Stato deve anzitutto difendere e promuovere gli interessi della borghesia. In ogni società capitalista, la dittatura politica della borghesia è economicamente necessaria, benché le forme che essa assume cambino a secondo delle circostanze concrete. D’altronde, se i capitalisti non fanno buoni profitti tutta l’attività economica del paese, finché il suo ordinamento sociale resta borghese e quindi l’iniziativa economica resta appannaggio dei capitalisti, va in rovina e con essa viene sconvolta la vita di tutte le classi. Su queste basi la borghesia poteva far leva per mobilitare al suo servizio anche in campo politico la classe operaia e le altre classi delle masse popolari.

Da quando il proletariato riuscì a creare partiti che partecipavano con efficacia alla lotta politica borghese, a costruire forti organizzazioni sindacali, a creare una rete di svariate organizzazioni di massa e quindi fu in grado di far valere effettivamente per la massa della popolazione i diritti della democrazia borghese che la borghesia si limitava a proclamare, la borghesia non poté più tollerare la democrazia. Essa divenne per forza di cose il centro di raccolta di tutte le forze reazionarie. Nell’attività delle sue Autorità e del suo Stato, la sicurezza del suo ordinamento sociale (ribattezzata “sicurezza nazionale”) prese e doveva prendere il sopravvento sul rispetto dei diritti democratici degli individui e delle associazioni, sulle leggi e sulle costituzioni. Il contrasto tra l’asservimento economico e sociale della massa della popolazione e la democrazia borghese divenne antagonista. La legalità borghese soffocava la borghesia. D’altra parte la borghesia non poteva oramai più escludere le masse popolari dall’attività politica corrente, se non instaurando un regime terroristico, col rischio di scatenare una guerra civile. “Lo Stato sono io”, proclamava Luigi XIV (1638-1715) contro la borghesia che avanzava pretese alla direzione politica del paese. Prima  dell’epoca borghese, nell’ambito dei vecchi rapporti di produzione, lo Stato era emanazione del monarca e questi deteneva il potere per volontà di Dio. La borghesia democratica aveva invece affermato che il potere appartiene al popolo, che lo Stato è emanazione, espressione e rappresentante del popolo, che lo Stato ha il compito di provvedere al benessere del popolo: è questo che lo legittima a comandare. Certo erano solo parole, idee. Ma, quando sono assimilate dalle masse, le idee diventano una forza materiale. Più il modo di produzione capitalista si era affermato liberamente sui vecchi modi di produzione, più le masse avevano assimilato queste idee. Ciò era stato un punto di forza per la borghesia nella sua lotta contro il vecchio regime, ma con lo sviluppo del movimento comunista era diventato un punto di debolezza. Riesce infatti la borghesia a gestire il suo Stato nonostante la partecipazione delle masse popolari? Dipende da come le masse popolari partecipano. Riesce la borghesia ad assicurare al popolo il benessere sia pure inteso nel modo ristretto in cui lo intende la cultura borghese? Esso dipende da vari fattori e la borghesia imperialista non li controlla sempre tutti in ogni paese. Tutti questi problemi si ponevano negli USA più acutamente che in ogni altro paese.

Stante la proprietà capitalista delle forze produttive, la collaborazione della massa dei proletari, pur resa necessaria dal carattere collettivo assunto dalle forze produttive e dall’importanza che la vita associata aveva assunto, non poteva realizzarsi nella forma dell’universale consapevole partecipazione alla gestione degli affari sociali.(2) Richiedeva quindi un vasto e articolato sistema di manipolazione, di corruzione e di repressione. Ciò è facilmente comprensibile se consideriamo l’ordinamento sociale capitalista nella sua forma pura, che il marxismo ha messo in evidenza. Nel capitalismo il proletario è giuridicamente libero, non è legato né alla terra né ad alcun padrone. Egli può andare a chiedere lavoro nell’azienda dell’uno o dell’altro capitalista. Però non può essere libero rispetto alla borghesia nel suo insieme. Privo dei mezzi di produzione, egli è obbligato a cercare di vendere la sua forza-lavoro e a subire perciò il giogo dello sfruttamento. La borghesia ha bisogno della libertà del venditore e del compratore di merci, ma d’altra parte deve impedire che i proletari si coalizzino e riducano il loro sfruttamento. Deve cioè impedire sia che elevino il loro salario al di sopra del valore della loro forza-lavoro sia che riducano il pluslavoro: la differenza tra il tempo effettivo di lavoro e il tempo di lavoro necessario a produrre un valore pari a quello della forza-lavoro. Quindi deve ostacolare la crescita della coscienza e dell’organizzazione della massa dei proletari. Se le è impossibile impedirla in assoluto, deve deviare e periodicamente stroncare e ricacciare indietro le organizzazioni e la coscienza dei proletari. Essa deve periodicamente rompere la sua legalità democratica. Ma questo la contrappone violentemente alle masse popolari. Crea una situazione da guerra civile. Se non basta minacciare la guerra civile, bisogna farla. Questo, oltre che essere dannoso per gli affari, per la borghesia è molto pericoloso. Quando la borghesia contrappone agli operai le armi, prima o poi anche gli operai si armano.

Con la controrivoluzione preventiva, la borghesia cerca di evitare di arrivare a quel punto. Un efficace regime di controrivoluzione preventiva impedisce che l’oppressione della borghesia sul proletariato e sul resto delle masse popolari e la loro opposizione sfocino nella guerra civile. Nella controrivoluzione preventiva la borghesia combina cinque linee di intervento (cinque pilastri che congiuntamente reggono ogni regime di controrivoluzione preventiva).

1. Mantenere l’arretratezza politica e in generale culturale delle masse popolari. A questo fine diffondere attivamente tra le masse una cultura d’evasione dalla realtà; promuovere teorie, movimenti e occupazioni che distolgono l’attenzione, l’interesse e l’attività delle masse popolari dagli antagonismi di classe e le concentrano su futilità (diversione); fare confusione e intossicazione con teorie reazionarie e notizie false. Insomma impedire la crescita della coscienza politica con un apposito articolato sistema di operazioni culturali. In questo campo la borghesia rivalutò e ricuperò il ruolo delle religioni e delle chiese, in primo luogo quello della Chiesa Cattolica, ma non poté limitarsi ad esse, perché una parte delle masse inevitabilmente sfuggiva alla loro presa.

2. Soddisfare le richieste di miglioramento che le masse popolari avanzano con più forza; dare a ognuno la speranza di poter avere una vita dignitosa e alimentare questa speranza con qualche risultato pratico; avvolgere ogni lavoratore in una rete di vincoli finanziari (mutui, rate, ipoteche, bollette, imposte, affitti, ecc.) che lo mettono ad ogni momento nel rischio di perdere individualmente tutto o comunque molto del suo stato sociale se non riesce a rispettare le scadenze e le cadenze fissategli. Se nelle lotte rivendicative contro  la borghesia le masse popolari conquistavano tempo e denaro, la borghesia doveva indirizzarle a usarli per la soddisfazione dei loro “bisogni animali”: doveva quindi moltiplicare e ha moltiplicato i mezzi e le forme di soddisfazione di essi in modo che esauriscano il tempo e il denaro di cui le masse popolari dispongono.(2)

3. Sviluppare canali di partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia in posizione subordinata, al seguito dei suoi partiti e dei suoi esponenti. La partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia è un ingrediente indispensabile della controrivoluzione preventiva. La divisione dei poteri, le assemblee rappresentative, le elezioni politiche e la lotta tra vari partiti (il pluripartitismo) sono aspetti essenziali dei regimi di controrivoluzione preventiva. La borghesia deve far percepire alle masse come loro lo Stato che in realtà è della borghesia imperialista. Tutti quelli che vogliono partecipare alla vita politica, devono poter partecipare. La borghesia però pone, e deve porre, la tacita condizione che stiano al gioco e alle regole della classe dominante: non vadano oltre il suo ordinamento sociale. Nonostante questa tacita condizione, la borghesia è comunque da subito costretta a dividere più nettamente la sua attività politica in due campi. Uno pubblico, a cui le masse popolari sono ammesse (il “teatrino della politica borghese”). Un altro segreto, riservato agli addetti ai lavori. Rispettare tacitamente questa divisione e adeguarsi ad essa diventa un requisito indispensabile di ogni uomo politico “responsabile”. Ogni tacita regola è però ovviamente un punto debole del nuovo meccanismo di potere.

4. Mantenere le masse popolari e in particolare gli operai in uno stato di impotenza, evitare che si organizzino (senza organizzazione, un proletario è privo di ogni forza sociale, non ha alcuna capacità di influire sull’orientamento e sull’andamento della vita sociale); fornire alle masse organizzazioni dirette da uomini di fiducia della borghesia (organizzazioni che la borghesia fa costruire per distogliere le masse dalle organizzazioni di classe, mobilitando e sostenendo preti, poliziotti, affini: le organizzazioni “gialle”, come la CISL, le ACLI, la UIL, ecc.), da uomini venali, corrompibili, ambiziosi, individualisti; impedire che gli operai formino organizzazioni autonome dalla borghesia nella loro struttura e nel loro orientamento.

5. Reprimere il più selettivamente possibile i comunisti. Impedire ad ogni costo che i comunisti abbiano successo: quindi che moltiplichino la loro forza organizzandosi in partito; che elaborino e assimilino una concezione del mondo, un metodo di conoscenza e di lavoro e una strategia giusti, che svolgano un’attività efficace; che reclutino, che affermino la loro egemonia nella classe operaia. Corrompere e cooptare i comunisti, spezzare ed eliminare quelli che non si lasciano corrompere e cooptare.

Con la controrivoluzione preventiva la borghesia cerca insomma di impedire che si creino le condizioni soggettive della rivoluzione socialista: un certo livello di coscienza e un certo grado di organizzazione della classe operaia e delle masse popolari, autonome dalla borghesia. O almeno impedire che la coscienza e l’organizzazione della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari crescano oltre un certo livello. Con la controrivoluzione preventiva la borghesia entra quindi in gara con i comunisti, contende loro il terreno della coscienza e dell’organizzazione delle masse e usa a questo fine tutta la potenza della società che essa dirige. Finché la borghesia sopravanza i comunisti, la sua dominazione si mantiene e il suo ordinamento politico è salvaguardato.

Quale dei due contendenti vincerà? Sta ai comunisti sfruttare la superiorità della loro concezione del mondo e del loro metodo di lavoro, la loro identificazione con gli interessi strategici e complessivi delle masse, i punti deboli della controrivoluzione preventiva e della borghesia in generale. Quindi da questo lato, il successo della controrivoluzione preventiva non è affatto a priori garantito. Tutte le politiche e le misure che la borghesia mette in opera, sono armi a doppio taglio. La sua politica culturale truffaldina toglie credibilità a ogni autorità e a ogni “verità eterna” e contemporaneamente produce strumenti di comunicazione e di aggregazione. Le sue organizzazioni “gialle” possono esserle rivoltate contro, in particolare quando i loro risultati non corrispondono alle promesse. La repressione e la lotta contro la repressione suscitano solidarietà e introducono alla lotta politica. La partecipazione delle masse alla lotta politica quanto più diventa autonoma, tanto più obbliga la borghesia a creare sceneggiate politiche, a nascondere la vera politica: insomma rende più difficile alla borghesia gestire il suo Stato. Il benessere che la borghesia può accordare alle masse dipende dall’andamento generale dei suoi affari e dalla rassegnazione dei popoli oppressi allo sfruttamento. In definitiva sta a noi comunisti imparare a usare le politiche e le misure della controrivoluzione preventiva a vantaggio della causa dell’emancipazione degli operai e delle masse popolari dalla borghesia.

 La controrivoluzione preventiva richiede che i comunisti vi facciano fronte con principi, metodi e iniziative appropriati, diversi da quelli adeguati a una situazione in cui lo Stato, oltre ad esserlo, si presenta anche come un corpo estraneo, ostile e contrapposto alle masse popolari. Con la controrivoluzione preventiva la borghesia è finora riuscita a impedire la vittoria del movimento comunista nei paesi imperialisti principalmente perché il movimento comunista non era ideologicamente abbastanza avanzato per farvi fonte. In particolare vi è riuscita negli USA, perché il movimento comunista americano non è ancora riuscito ad elaborare una concezione del mondo, un metodo di lavoro e una strategia adeguati a superare quel regime e perché l’imperialismo americano ha per un lungo periodo succhiato risorse d’ogni genere dal resto del mondo. La controrivoluzione preventiva è lungi tuttavia dal garantire alla borghesia la sconfitta del movimento comunista e l’integrazione delle masse nel suo regime, come varie correnti disfattiste o militariste hanno sostenuto e sostengono. Essa ha solo segnato una nuova forma e una nuova fase, più avanzate e decisive, della lotta tra il proletariato e la borghesia.

A fronte del fallimento o dell’insufficienza della controrivoluzione preventiva, la borghesia imperialista dispone del ricorso alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Già essa trasforma normalmente ogni contraddizione tra sé e le masse, in contraddizioni tra parti delle masse: se chiude un’azienda, mette i lavoratori di una zona contro quelli di un’altra, ogni gruppo a difesa della sua azienda; analogamente fa quando licenzia, quando produce emarginati, quando produce delinquenti; ecc. Quando il suo Stato non è in grado di provvedere al benessere delle masse popolari, la borghesia deve mobilitare le masse a provvedervi o a spese di un’altra parte delle masse o aggredendo, opprimendo, rapinando e saccheggiando altri paesi, popoli e nazioni: la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Ma anche la mobilitazione reazionaria delle masse popolari è un’arma a doppio taglio. Se non raggiunge il suo obiettivo, se i paesi, popoli e nazioni aggrediti resistono efficacemente, la mobilitazione reazionaria può trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria. Infine in ogni paese la borghesia predispone mezzi, strumenti e strutture in vista della guerra civile, prepara la guerra civile. Perché farà ricorso ad essa se falliranno gli altri sistemi impiegati per impedire la conquista del potere da parte della classe operaia e delle masse popolari.

Queste sono le condizioni politiche che ogni partito comunista dei paesi imperialisti deve comprendere nelle linee generali e nei tratti specifici del paese, far conoscere e denunciare pubblicamente. Un partito che trascura questi aspetti o che mantiene le masse popolari all’oscuro di essi, non è un partito comunista. Ma più importante ancora è che il partito comunista guidi la costruzione organizzativa e l’attività del movimento comunista cosciente e organizzato, e in primo luogo di se stesso, in modo da essere in grado di far fronte con successo a queste condizioni.

Nella società borghese, meno che nelle società che l’hanno preceduta, esistono muraglie cinesi che dividono una classe dall’altra. Per creare un regime di controrivoluzione preventiva la borghesia ha dovuto modificare anche i rapporti tra i membri e i gruppi della classe dominante. I rapporti democratici e regolati da leggi e norme pubblicamente accettate vennero via via sostituiti dal dominio di un pugno di esponenti del capitale finanziario sul grosso della borghesia e da rapporti antagonisti tra i rappresentanti delle frazioni in cui il capitale complessivo della società è diviso. In ogni paese per la borghesia imperialista divennero pratiche correnti la militarizzazione dell’attività statale e dell’intera società, la manipolazione dell’informazione e dell’opinione pubblica, l’intossicazione e la disinformazione, la subordinazione delle istituzioni politiche e sociali sia alla corruzione del capitale finanziario sia al controllo e all’infiltrazione degli organi repressivi, le trame della diplomazia segreta e dei servizi segreti, una vasta attività politica e affaristica condotta dietro le quinte del teatrino della politica borghese da pochi grandi capitalisti e altri “addetti ai lavori”, la formazione di bande armate che si sottraggono agli ordinamenti e alle leggi ufficiali. Le residue società segrete della borghesia nascente (massonerie, mafia, ordini cavallereschi, ecc.) si trasformarono in società finanziarie e criminali.

La borghesia nel campo culturale respinse in secondo piano la ricerca e la diffusione della comprensione del mondo fisico e dei processi sociali. Pose in primo piano la cultura d’evasione, l’elaborazione e la diffusione di teorie che occultavano gli effettivi rapporti sociali, difendevano l’ordine esistente e ne proclamavano l’eternità. Le concezioni e la pratiche religiose e le relative chiese, contro cui la borghesia un tempo si era battuta, vennero dalla borghesia ripescate e la loro autorità imposta nuovamente nello sforzo di  conservare la collaborazione delle masse popolari e arrestarne lo sviluppo politico.

Dappertutto la borghesia cessò di lottare contro le monarchie, il clero, la nobiltà e le altre anticaglie del passato in qualche modo sopravvissute alla rivoluzione borghese (le istituzioni feudali, le chiese, le pratiche oscurantiste, le società segrete, ecc.). Essa le recuperò, ne assunse la difesa e ne fece degli alleati contro il movimento comunista. Sotto la guida del Papa Leone XIII (1878-1903), la Chiesa Cattolica, il suo clero e il suo capo riacquistarono, nel nuovo ruolo di difensori della civiltà borghese, nuovo prestigio anche nei paesi protestanti.(47) I Concordati e altri accordi affini si moltiplicarono. La borghesia assunse la religione come strumento necessario di dominio sulle classi e sui popoli oppressi. La borghesia atea impose nelle scuole l’istruzione religiosa e costituì le religioni in religioni di Stato: esemplare per l’Italia la riforma Gentile della scuola.(48) Ma non solo la Chiesa Cattolica e il suo Papa: la borghesia rimise a nuovo e insignì del ruolo di difensori dell’ordine costituito e di guida delle masse tutte le istituzioni e le Autorità religiose che la rivoluzione borghese non aveva ancora eliminato, nonostante le proteste e le beghe che questo provocava tra le stesse, dato che molte di esse pretendono di avere l’esclusiva.

Il borghese imprenditore aveva disprezzato e invidiato l’aristocratico parassita e vizioso e combattuto il clero reazionario e oscurantista. La borghesia imperialista non ebbe invece alcuna difficoltà ad accogliere tra i nuovi rentiers parassiti, i parassiti aristocratici e il clero. Questi diventarono membri dell’oligarchia finanziaria, senza dover cambiare né abitudini né concezioni. Il clero diede l’esempio e benedisse in nome di Dio la conversione della borghesia e la nuova santa alleanza. Quanto avvenuto nei paesi imperialisti, si estese gradualmente anche ai paesi oppressi: le vecchie classi dominanti e il clero vennero cooptate dalla borghesia imperialista contro l’avanzare della rivoluzione proletaria.

Quel recupero divenne fonte di nuove contraddizioni e crisi e sviluppò nella borghesia nuove attività che tuttavia a loro volta ponevano limiti alla valorizzazione del capitale: rapporti di dipendenza personale, organizzazioni criminali, la sostituzione della concorrenza economica con la violenza e la corruzione, la prevalenza della discrezionalità dei governi, delle pubbliche amministrazioni e dei relativi esponenti sulle leggi, la combinazione dei pubblici funzionari e degli uomini politici con i grandi capitalisti e la loro corruzione, l’eliminazione dei concorrenti, la guerra tra gruppi capitalisti i cui rapporti non potevano più essere mediati da leggi e istituzioni a loro comuni, ecc.

 

1.3.4. Le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale

 

 Ma né la repressione, né la manipolazione delle coscienze, né la collaborazione zelante delle vecchie chiese e religioni sarebbero bastate a fermare il movimento comunista. La borghesia doveva fare sempre più i conti con il carattere già collettivo delle forze produttive. Essa dovette creare in continuazione forme di gestione collettiva (associazioni di capitalisti) che costituissero una mediazione della proprietà individuale capitalista delle forze produttive con il loro carattere collettivo e che fossero, almeno in qualche misura e provvisoriamente, atte a superare gli effetti più devastanti prodotti dal fatto che sopravvivono rapporti di produzione capitalisti benché le forze produttive siano già divenute collettive. Marx le aveva chiamate Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS)(*): società per azioni, associazioni di capitalisti, cartelli internazionali di settore, banche centrali, banche internazionali, sistemi monetari fiduciari, politiche economiche statali, enti economici pubblici, contratti collettivi di lavoro, sistemi assicurativi generali, regolamenti pubblici dei rapporti economici, enti sopranazionali, fino al capitalismo monopolistico di Stato e al sistema monetario fiduciario mondiale.(*)(31) (42) (46)

Le FAUS assunsero un ruolo sempre più importante nella struttura economica e politica della società. Sempre più frequentemente dall’interno della stessa borghesia sorsero tentativi e, ancora più numerose dei tentativi, promesse di dare una direzione stabile e su grande scala all’economia capitalista tramite lo Stato o i consorzi bancari. Ma la società borghese restava nel complesso composta da una miriade di capitalisti individuali, di produttori individuali (piccolo-borghesi) e di venditori e compratori di merci e di forza-lavoro in concorrenza tra loro. Essa restava quindi ingovernabile. Piano del capitale, azienda-paese, cartello capitalistico unico mondiale, governo mondiale dell’economia capitalista, ecc. restarono e restano illusioni o imbrogli e le FAUS sovrastrutture di limitata efficacia, precarie e fragili.(49)

Esse tuttavia erano un indizio della necessità del comunismo, mostravano la sua praticabilità e creavano alcuni strumenti materiali e culturali e alcune premesse per il comunismo. Erano la transizione dalla società capitalista alla società comunista, per come poteva compiersi stante la persistenza della direzione della borghesia che rendeva questa trasformazione dolorosa, lenta, tormentosa e devastante. Lenin fece in particolare notare che il capitalismo monopolistico di Stato costituiva la preparazione materiale del socialismo più completa per quanto era possibile compierla nell’ambito del modo di produzione capitalista, benché tra esso e il socialismo fosse necessario il salto costituito dalla rivoluzione socialista, cioè che la direzione della società passasse dalla borghesia imperialista alla classe operaia. Solo a questa condizione la trasformazione della società capitalista in società comunista avrebbe imboccato la via definitiva, oltre che la più diretta, più rapida e meno dolorosa: la via socialista, della transizione sotto la direzione della classe operaia.

 

1.3.5. Il movimento comunista all’inizio dell’epoca imperialista

 

La strategia che Marx ed Engels avevano proposto al movimento comunista consisteva nel prendere in mano la fiaccola della democrazia che la borghesia aveva lasciata cadere, assumere il potere nel corso di una insurrezione popolare e condurre a fondo la guerra contro il compromesso tra la borghesia e le vecchie forze feudali fino a eliminare l’asservimento economico e sociale delle masse popolari alla borghesia, al clero e a qualunque classe parassitaria e sfruttatrice. Questa strategia si è dimostrata insufficiente alla prova dei fatti, come Engels stesso ha apertamente riconosciuto. Nei primi paesi capitalisti non vi furono più rivoluzioni democratiche. L’essenziale dei compiti della rivoluzione democratica erano realizzati, nei limiti in cui potevano esserlo nell’ambito del modo di produzione capitalista. La rivoluzione socialista aveva forme sue proprie, nettamente distinte da quelle della rivoluzione democratica. La strategia proposta da Marx ed Engels non le definiva in maniera sufficiente. Nei paesi capitalisti più avanzati il movimento comunista cosciente e organizzato aveva sì imboccato la strada dell’accumulazione delle forze nell’ambito della società borghese, ma non definì mai una strategia per l’instaurazione del socialismo, nonostante l’allarme apertamente lanciato da Engels nel 1895. Priva di una strategia adeguata, la classe operaia non tentò neanche di prendere il potere. La borghesia mantenne quindi il potere ed entrò nella fase imperialista del capitalismo. L’imperialismo era la putrefazione della società borghese. Questa putrefazione esplose in tutta la sua gravità solo con la Prima  Guerra Mondiale, ma venne percepita anche prima nel movimento comunista. In esso infatti si aprì uno scontro a livello mondiale tra due linee antagoniste. “La lotta tra le due tendenze principali del movimento operaio, il socialismo rivoluzionario e il socialismo opportunista, riempie tutto il periodo che va dal 1889 al 1914”.(50)

Su scala mondiale nel movimento comunista cosciente e organizzato momentaneamente prevalse la destra. La destra impersonava la controtendenza, rispetto alla tendenza storica principale, la tendenza al comunismo. La sinistra per prevalere e guidare la classe operaia e il resto delle masse popolari verso la rivoluzione socialista aveva bisogno di elaborare una strategia adeguata. Alla destra bastava impedire che la sinistra lo facesse. In questo suo ruolo essa aveva l’appoggio sia spontaneo che cosciente della borghesia ed era aiutata dalla obiettiva difficoltà che la classe operaia incontra a elaborare un proprio corpo di dirigenti (di intellettuali organici) a causa della condizione sociale in cui l’ordinamento sociale capitalista la relega e perché la borghesia non risparmia mezzi per reprimere, corrompere e cooptare quelli che si formano (aristocrazia operaia(*)). La vittoria della destra fu infatti favorita anche dalla inevitabile costituzione di una aristocrazia operaia (funzionari del movimento operaio) e dalla forte presenza nei partiti della II Internazionale di intellettuali provenienti da altre classi. Questi entravano nei partiti degli operai attirati dall’egemonia conquistata dalla classe operaia, ma non venivano riplasmati in funzione del ruolo che svolgevano nel partito. Quindi riproducevano in esso le caratteristiche e i limiti della loro precaria condizione sociale e della loro subordinazione ideologica alla borghesia. Il socialismo opportunista ebbe la sua base teorica nel revisionismo(*) di E. Bernstein. Questi sosteneva che era possibile una trasformazione graduale e pacifica della società capitalista in società socialista perché, sosteneva Bernstein, il capitalismo aveva di fatto imboccato una strada diversa da quella che Marx aveva indicato, la strada dell’attenuazione degli antagonismi di classe, dell’estensione illimitata dei diritti democratici alle masse e del governo cosciente dell’attività economica della società da parte dello Stato democratico. La resa dei partiti socialdemocratici nel 1914 di fronte al ricatto della borghesia (o collaborare con lo sforzo bellico o affrontare la repressione aperta e la guerra civile) segnò l’ingloriosa fine della II Internazionale e la fine di ogni pretesa scientifica del revisionismo di Bernstein. Il movimento comunista cosciente e organizzato rinacque più forte da un’altra parte.(51) Esso ricevette nuovo impulso dalla rivoluzione di nuova democrazia(*) che trionfò nell’Impero Russo nell’ambito della situazione rivoluzionaria in sviluppo(*) creata dalla prima crisi generale del capitalismo (1900-1945). 

 

 

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