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1.2. Le classi e la lotta di classe

 

1.2.1. La nascita della divisione dell’umanità in classi

 

Da circa 150 anni nei paesi più avanzati è l’ordinamento sociale che limita la produzione e la massa della popolazione, il proletariato, ottiene la sua parte nella distribuzione del prodotto principalmente lottando  contro la borghesia e l’ordinamento sociale che essa incarna. Questo è il motivo per cui il superamento dell’ordinamento sociale capitalista apre una nuova fase della storia dell’umanità. Prima che l’umanità raggiungesse, con la società borghese, questo nuovo stato, per millenni, in tutte le società finora esistite, l’occupazione di gran lunga principale per la grande maggioranza degli uomini e delle donne, il loro maggiore assillo e la loro dannazione, è stata la lotta contro la natura per strapparle quanto necessario per vivere. Per questo la storia passata dell’umanità ha la sua base nella storia dei suoi modi di produzione.(3)

Ogni modo di produzione è caratterizzato da una specifica combinazione di forze produttive(5) e di rapporti di produzione.(20) Questa combinazione costituisce la struttura della società: la base materiale, economica, della sua esistenza e della sua riproduzione. Da millenni le forze produttive e i rapporti di produzione hanno costituito un’unità di opposti, due termini distinti costitutivi della struttura sociale in rapporto di unità e lotta tra loro. Date forze produttive hanno favorito l’affermazione di determinati rapporti di produzione. Questi hanno favorito lo sviluppo di forze produttive superiori che a loro volta hanno favorito nuovi rapporti di produzione.

Da svariati millenni a questa parte, i rapporti di produzione sono principalmente rapporti tra classi di sfruttati e di sfruttatori, di oppressi e di oppressori. In tutte queste società la lotta tra le classi dominanti e le classi oppresse si è combinata con la lotta per strappare alla natura quanto necessario per vivere. Queste due lotte, per millenni, sono state le principali forze motrici dello sviluppo delle società divise in classi. Solo nella moderna società borghese la ricerca scientifica ha incominciato ad acquistare il ruolo di terza forza motrice. Ciò ha reso definitivamente obsoleto il furto di tempo di lavoro altrui come fonte della ricchezza sociale, su cui si sono basate e si basano tutte le società divise in classi.(23)

Ma la divisione della società in classi non è sempre esistita. La divisione degli uomini e delle donne in classi è legata a una determinata fase di sviluppo delle loro forze produttive. Lo studio della preistoria e delle società primitive sopravvissute nell’epoca storica ha mostrato che nelle società più antiche a cui giunge la nostra conoscenza, non esistevano classi. Esso ha permesso anche di ricostruire, a grandi linee, i passaggi attraverso i quali esse gradualmente si sono formate.(6)

Nelle società primitive la divisione del lavoro era legata al sesso e all’età, grossomodo come avviene ancora oggi nelle specie animali superiori. Da qui spontaneamente (ossia senza che gli uomini avessero coscienza di quello che, spinti dalle condizioni pratiche della loro esistenza, stavano in realtà facendo) si sviluppò la divisione del lavoro tra individui e gruppi all’interno di ogni singola comunità. Essa si impose perché rendeva più produttivo il lavoro. Un gruppo di uomini o di donne svolgeva permanentemente una specifica attività e aveva determinati rapporti con gli altri gruppi.(24) Con la divisione sociale del lavoro e i rapporti che l’accompagnavano nelle condizioni primitive in cui sorse, si sviluppò il possesso privato dei mezzi e delle condizioni della produzione, in primo luogo l’uso privato della terra e del bestiame. Questo gradualmente sostituì l’uso in comune. I rapporti sociali gradualmente si svilupparono fino al punto in cui alcuni individui non partecipavano più alla produzione delle condizioni materiali della loro esistenza. Essi svolgevano unicamente attività da cui restavano esclusi gli altri membri della società e vivevano del prodotto del lavoro di questi. Questo sviluppo interno alla comunità si combinò con le relazioni di saccheggio, di rapina e di sottomissione tra comunità. La combinazione dei due processi portò alla divisione in classi nelle singole comunità. Nacquero così le società divise in classi.

La divisione degli uomini e delle donne in classi di sfruttati e di sfruttatori, di oppressi e di oppressori creava un contesto adatto allo sviluppo delle forze produttive e alla nascita di livelli superiori di civiltà. Solo la separazione in classi sfruttatrici e dominanti e in classi sfruttate e oppresse costringeva uomini e donne a produrre sistematicamente e in quantità crescente più di quanto essi stessi consumavano (plusprodotto) e permetteva che altri sviluppassero sistematicamente attività a cui nelle condizioni di allora gli uomini e le donne non potevano dedicarsi in massa. Essa si impose quindi perché la sopravvivenza della società era ancora precaria. Le società senza classi da allora sono sopravvissute solo come forme di civiltà inferiore, isolate dalla corrente principale. Questa le ha gradualmente travolte e cancellate.

 La divisione dell’umanità in classi è quindi legata a determinate condizioni che le conferivano un ruolo progressista. La società borghese ha fatto venir meno quelle condizioni e ha reso al contrario l’estinzione della divisione dell’umanità in classi la condizione necessaria di ogni ulteriore progresso.

 

1.2.2. La lotta di classe e lo Stato

 

La lotta di classe ha fatto sorgere fin dai tempi remoti lo Stato quale strumento della classe sfruttatrice: associazione dei suoi membri per tenere a bada le altre classi, per regolare i loro affari e per dirigere l’intera società.(7) Come ha ben spiegato Lenin, “lo Stato sorge nel luogo, nel momento e nella misura in cui le contraddizioni di classe non possono oggettivamente conciliarsi”. Lo Stato è uno strumento della classe sfruttatrice per reprimere le classi sfruttate. Con lo Stato la classe sfruttatrice ha, per tenere sottomesse le classi sfruttate, nuovi mezzi che si combinano con l’egemonia morale e culturale della classe dominante e con la forza e il ruolo generale che ha ogni ordinamento sociale una volta costituito, dato che ogni società per sopravvivere ha bisogno di un ordinamento sociale.

L’essenza dello Stato consiste nel fatto che la classe sfruttatrice avoca a sé, come suo monopolio e diritto esclusivo, l’uso della violenza e lo vieta alle altre classi.(25) In una società divisa in classi di sfruttati e di sfruttatori il cui contrasto è inconciliabile, il monopolio della violenza esercitato da una classe diversa da quella degli sfruttatori è oggettivamente incompatibile con la costituzione economica della società.(26) L’uso persistente, diffuso, sistematico della violenza da parte degli sfruttati non può che dar luogo alla guerra civile.(27)

Monopolio della violenza e diritto di sfruttare vanno di pari passo. Ma ogni classe dominante ha cercato di alimentare nelle classi oppresse la convinzione che il suo monopolio della violenza è nell’ordine naturale delle cose, è volontà di Dio. Che la classe dominante è depositaria di questo monopolio perché i suoi membri sono per natura intellettualmente e moralmente superiori: più saggi, più colti, più dotati di senso della giustizia e di autocontrollo, più capaci di dirigere. Ha usato lo stato di abbrutimento in cui essa mantiene i membri delle classi oppresse per dimostrare che essi farebbero per loro natura un uso scriteriato della violenza. I veri rivoluzionari hanno sempre mirato a distruggere questo scudo ideologico del monopolio della violenza nelle mani degli sfruttatori. Hanno denunciato l’uso insensato della violenza fatto pubblicamente e privatamente dai membri della classe dominante: denuncia delle guerre, della repressione e della criminalità dei ricchi. Hanno denunciato e combattuto l’abbrutimento in cui la classe dominante ha relegato e cerca di mantenere le classi oppresse: i pregiudizi razziali, l’oppressione sulle donne e sui bambini, l’odio tra nazioni, la difesa dei privilegi, l’ignoranza, la depravazione morale, la miseria, l’esclusione dal patrimonio culturale della società. Hanno promosso l’educazione delle classi oppresse all’uso della violenza e delle armi: “il potere nasce dalla canna del fucile”. Chi è contrario all’uso della violenza da parte delle classi oppresse e alla loro educazione all’uso delle armi, non è un rivoluzionario: in un modo o nell’altro, consapevolmente o meno, favorisce la conservazione dell’ordinamento sociale esistente.(28)

 

1.2.3. Le due classi fondamentali della società borghese

 

A seguito dell’affermarsi del modo di produzione capitalista, nella società si sono formate due grandi classi contrapposte: la borghesia e la classe operaia.(29)

Al principio la lotta tra queste due classi assunse la forma di lotta economica. Un gruppo di operai si organizzava e scendeva in lotta contro un solo capitalista, ora in una ora in un’altra fabbrica, per alleviare le proprie condizioni. Questa lotta riguardava solo la distribuzione del prodotto e le condizioni di lavoro, non coinvolgeva ancora le basi del sistema di sfruttamento (il sistema di produzione) e la sovrastruttura politica e culturale che lo difende. L’obiettivo delle lotte degli operai non era di eliminare lo sfruttamento, ma di attenuarlo, di aumentare il salario e migliorare le condizioni di lavoro. Benché limitata nei suoi obiettivi, dal punto di vista di tutte le classi dominanti questa lotta collettiva metteva tuttavia in questione “l’ordine  naturale delle cose”: la soggezione degli sfruttati ai loro sfruttatori. Contro di essa scesero quindi in campo, non solo i padroni interessati, ma tutte le potenze dell’ordinamento sociale, in primo luogo lo Stato e il clero.

Da parte loro i capitalisti, oltre a far ricorso a ricatti e licenziamenti, svilupparono su scala crescente metodi e tecniche di divisione tra gli operai, contrapponendo individui e piccoli gruppi alla massa dei lavoratori, alle loro organizzazioni di lotta e alla loro solidarietà di classe. La lotta puramente economica unisce gli sfruttati per lottare con successo contro i padroni. Ma essa può anche dividere gli sfruttati, portando alcuni ad accaparrarsi il favore dei padroni o a migliorare le proprie condizioni alle spalle di altri sfruttati. La borghesia cerca sistematicamente di trasformare ogni contraddizione tra sé e gli sfruttati in contraddizioni tra gruppi di sfruttati. Storicamente questa prima forma di lotta svolse tuttavia un ruolo importante, perché educò gli operai e li spinse ad organizzarsi. Allo stesso tempo questa lotta mise anche in luce i propri limiti. L’intervento dello Stato e del clero a difesa dei capitalisti nella lotta economica, aiutò e ancora aiuta gli operai a comprendere che la loro lotta doveva assumere carattere politico e stravolgere l’intero ordinamento della società. La borghesia aveva aperto in un certo senso la strada agli operai: tramite propri organismi rappresentativi aveva imposto limiti alla libera attività dello Stato e leggi favorevoli alle proprie attività. Anche gli operai dovevano imporre allo Stato nemico leggi e regole a proprio favore (lotta politica per le riforme) e resistere alla sua repressione. D’altra parte essi dovevano forgiare una propria concezione del mondo e, in definitiva, imporre un nuovo ordinamento sociale.

Per difendere il suo potere, la classe sfruttatrice cerca di presentare il suo Stato come un’istituzione al di sopra delle classi, espressione dell’intera società e depositario responsabile degli interessi generali della società. In effetti lo Stato democratico è al di sopra di ogni singolo capitalista ed è espressione dell’intera borghesia. Quindi gli sfruttati cercano di obbligare lo Stato della borghesia a limitare lo sfruttamento e la repressione tramite leggi e regole (lotta politica per le riforme). Gli sfruttatori cercano a loro volta di usare le riforme per intensificare lo sfruttamento o di aggirarle. Le riforme creano condizioni di cui le classi sfruttate, se seguono una linea rivoluzionaria, approfittano per rafforzare la loro lotta. La lotta politica per le riforme è un terreno favorevole per l’educazione e l’aggregazione delle classi oppresse in vista della guerra civile. Questa, quando non raggiunge la vittoria, produce riforme che creano un terreno più favorevole all’ulteriore sviluppo della lotta delle classi oppresse. Questa è la dialettica riforme-rivoluzione, quando le classi sfruttate lottano per la propria emancipazione (vale a dire quando il partito comunista ha una linea giusta).

Nella società borghese la prosperità dell’azienda capitalista non dipende solo dai suoi proprietari. Essa dipende anche dall’andamento generale degli affari. Per la natura stessa dell’ordinamento sociale capitalista (libera iniziativa economica individuale del capitalista), l’andamento generale degli affari sfugge al controllo del singolo capitalista e anche delle loro associazioni e del loro Stato. Quindi in definitiva per rimediare ai loro guai agli operai non bastava stabilire un rapporto di forza con il proprio padrone, e neanche imporre leggi e regole: dovevano cambiare l’ordinamento sociale.

La lotta contro la repressione e l’andamento congiunturale dell’attività economica (per cui a momenti di attività intensa succedono momenti di ristagno a cui succedono nuovi momenti di attività intensa) aiutarono e ancora aiutano gli operai a comprendere che né la lotta economica né la lotta politica per le riforme possono liberare la classe operaia dalla miseria della sua condizione. La stessa lotta per una ripartizione meno ineguale delle ricchezze può svilupparsi con successo su larga scala solo se si combina ed è guidata dalla lotta per instaurare un sistema di produzione comunista e quindi un ordinamento generale comunista della società.

Col marxismo gli operai raggiunsero la coscienza più piena della propria situazione sociale. La loro lotta diventò più cosciente, fino ad assumere un carattere superiore. Divenne lotta politica rivoluzionaria, lotta per abbattere lo Stato della borghesia, costruire un proprio Stato e, grazie al potere conquistato, creare un nuovo sistema di produzione e un nuovo ordinamento sociale, eliminare lo sfruttamento e la sua espressione storica: la divisione della società in classi. Da allora la lotta economica, la lotta politica per le riforme, la lotta per il progresso intellettuale e morale delle masse e la lotta contro la repressione divennero quattro campi distinti di lotta oggettivamente legati tra loro, parti e aspetti della lotta rivoluzionaria per il socialismo. Gli economicisti(*) e gli spontaneisti evitano di distinguere questi differenti campi della lotta di classe e parlano genericamente di “lotta”. Oppure li confondono riducendo arbitrariamente l’uno all’altro. In questo caso le loro parole d’ordine sono varie secondo i tempi e le circostanze: solo la lotta economica è “concreta”,  politicizzare la lotta economica, trasformare la lotta economica in lotta politica, ecc. Il lato comune e dannoso di queste parole d’ordine degli economicisti e degli spontaneisti consiste nell’occultare il ruolo, l’importanza e l’autonomia della lotta politica rivoluzionaria e nell’impedire o frenare lo sviluppo delle forme e dei mezzi specifici della lotta politica rivoluzionaria. In ogni caso gli economicisti e gli spontaneisti non sono in grado di combinare le distinte lotte nel modo adatto all’emancipazione della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari dalla borghesia. Il partito comunista è l’organo specifico della lotta politica rivoluzionaria: promotore, organizzatore e dirigente della lotta politica rivoluzionaria. Esso è in grado di combinare le varie lotte nel modo giusto. Deve promuovere e dirigere la lotta economica, la lotta politica per le riforme, la lotta per il progresso intellettuale e morale delle masse e la lotta contro la repressione in modo da fare di ognuna di esse e di ogni singolo episodio di ognuna di esse una scuola di comunismo,(*) facendole così contribuire a creare le condizioni soggettive del socialismo e servire alla lotta politica rivoluzionaria.(30)

 

1.2.4. La lotta della classe operaia diventa lotta per il comunismo

 

Nonostante tutte le proclamazioni e pretese di democrazia ed eguaglianza e nonostante le conquiste strappate dalle classi oppresse nelle società democratiche borghesi che hanno preso il posto delle vecchie società monarchiche, clericali e nobiliari, anche nella società borghese la lotta tra le classi non si limita all’ambito della vita economica. È tipico degli opportunisti e dei riformisti concepire la lotta di classe come qualcosa che riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro e la “distribuzione della ricchezza”, qualcosa che si traduce in contratti e accordi tra capitalisti e operai, tra organizzazioni padronali e sindacati o, al massimo, nella “redistribuzione del reddito” operata dallo Stato. Essi concepiscono e proclamano che le lotte rivendicative sono le uniche “lotte concrete”. I più avanzati di essi concepiscono la lotta politica, però solo come estensione della lotta sindacale (“politicizzare le lotte rivendicative”, “trasformare le lotte rivendicative in lotta politica”). È una concezione primitiva e limitata della lotta di classe che anche la borghesia accetta quando non ne può fare a meno. Il sindacalismo borghese ne è la manifestazione. Anzi, nei momenti di burrasca, la borghesia contrappone la lotta economica e la lotta politica per le riforme alla lotta politica rivoluzionaria delle classi oppresse. In realtà non solo il motivo dell’esistenza del potere politico, ma anche la chiave della struttura del potere politico e del suo ruolo stanno proprio nella relazione tra sfruttati e sfruttatori. Perciò la lotta tra le classi antagoniste diventa lotta per il potere politico: “ogni lotta di classe è in ultima istanza lotta politica”. La divisione in classi impregna fin dal suo inizio tutta la vita della società e coinvolge tutto il sistema di relazioni sociali. Essa si manifesta quindi in tutti gli ambiti della sovrastruttura: nella politica, nell’ideologia, nell’arte e, in generale, in tutta la vita spirituale, nelle concezioni e nei sentimenti, nei comportamenti e nella morale. La lotta di classe ha le sue radici nell’economia, nella relazione tra sfruttati e sfruttatori, ma coinvolge l’intero ordinamento sociale e ha qui la sua soluzione. L’obiettivo e il compito della classe operaia non è la “redistribuzione del reddito” (o una diversa distribuzione del reddito), ma il cambiamento dell’ordinamento sociale: quindi la rivoluzione politica e, sulla sua base, la rivoluzione sociale per creare la società comunista.

 

1.2.5. L’ampliamento del ruolo dello Stato nella società borghese

 

Nella società borghese il monopolio della violenza si è tradotto in un insieme sistematico e crescente di strumenti professionali di repressione basati sulla divisione del lavoro: forze armate, polizie, servizi segreti, sistemi di controllo, magistrature, carceri, codici, leggi e processi. Esso oramai nella società moderna assorbe enormi e crescenti risorse sociali ed è arrivato a costituire un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive e della civiltà. Il segreto militare si combina col segreto industriale e con l’oppressione di classe e assieme  cospirano ad ostacolare la ricerca e rallentare lo sviluppo delle forze produttive e, più in generale, della conoscenza.

Accanto al ruolo di depositario monopolistico della violenza, a fronte della crescita del carattere collettivo dell’attività economica e del moltiplicarsi delle attività sociali, la borghesia ha sviluppato per il suo Stato, al massimo grado compatibile con il modo di produzione capitalista, un altro ruolo: quello di centro che esprime la volontà comune della società e la attua, organizza e dirige gli affari sociali con un suo corpo di pubblici funzionari. Essa ha quindi cercato di far funzionare il suo Stato come organo dirigente della società, come depositario della sua unità, come delegato e rappresentante dell’intera società. Questo ruolo fa però a pugni con l’antagonismo delle classi che è nella natura della società borghese: in ogni paese capitalista esistono due nazioni distinte e potenzialmente contrapposte. La pretesa della borghesia imperialista ha raggiunto la sua massima realizzazione nel capitalismo monopolistico di Stato: il suo Stato è diventato il centro dei suoi affari, delle sue macchinazioni e delle sue lotte intestine.(31) Il rovescio della medaglia è che ora essa è costretta a condurre tutte queste sue attività dietro la maschera ipocrita della cura e della regolazione degli affari dell’intera società e dell’osservanza delle leggi pubblicamente vigenti (il “teatrino della politica borghese”). Nella società socialista, con la dittatura della classe operaia, quella che per la borghesia imperialista è una pretesa economicamente irrealizzabile, diventerà invece realtà rispetto alla stragrande maggioranza della società. Gli operai e gli altri lavoratori avranno nello Stato della dittatura del proletariato uno strumento per riorganizzare la società in funzione dei loro interessi secondo i criteri intellettualmente e moralmente più avanzati. Poi gradualmente, con la scomparsa della vecchia borghesia e l’estinzione della divisione in classi e dei rapporti e delle concezioni che ne sono derivati, si estinguerà lo Stato come monopolio della violenza. Si svilupperà invece un sistema di organi dell’associazione di tutti i lavoratori, attraverso cui i lavoratori gestiranno i loro affari comuni, gli affari dell’intera società. (vedere cap. V – Obiezione 8)

 

1.2.6. La classe operaia è per sua natura la classe che dirige le altre classi sfruttate e oppresse dalla borghesia

 

La borghesia opprime e schiaccia anche altre classi, oltre alla classe operaia. Ma solo la classe operaia può assumere la direzione della lotta comune contro la borghesia imperialista e portarla alla vittoria definitiva. La classe operaia, a differenza di tutte le altre classi delle masse popolari, è coinvolta direttamente nella concorrenza tra le frazioni di capitale e subisce direttamente gli effetti delle leggi che fanno parte della natura del capitale. Per il ruolo che svolge nella stessa società capitalista, essa è la più cosciente e organizzata tra tutte le classi proletarie e popolari. Infine è la sola tra le classi oppresse che, per il ruolo che svolge nel sistema della produzione capitalista, arriva a concepire in massa un nuovo superiore sistema di produzione e un nuovo superiore ordinamento sociale: il comunismo. Questo è il solo ordinamento sociale che supera definitivamente il capitalismo. Esso infatti nasce dai presupposti creati dal capitalismo stesso, risolve le sue contraddizioni, permette lo sviluppo delle forze produttive togliendo ad esse il carattere distruttivo degli uomini e dell’ambiente che nel capitalismo in declino è diventato dominante, preserva e sviluppa gli avanzamenti che il capitalismo e la produzione mercantile hanno portato alla civiltà umana. La classe operaia può migliorare stabilmente e su grande scala la propria condizione nella società solo abolendo il sistema di produzione capitalista e più in generale la proprietà privata dei mezzi di produzione, instaurando rapporti di produzione pienamente corrispondenti al carattere collettivo già raggiunto dalle forze produttive, mettendo fine a ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, a ogni divisione in classi e alla connessa divisione sociale tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra dirigenti e diretti, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, regioni e paesi avanzati e settori, regioni e paesi arretrati, creando sentimenti, concezioni, comportamenti e istituzioni corrispondenti alla nuova società. Nella società moderna la classe operaia, quando lotta, assume un ruolo di catalizzatore delle lotte del resto delle masse popolari e, se segue una linea non corporativa ma di lotta contro la borghesia, ne assume facilmente la direzione.

   

1.2.7. La lotta della classe operaia per la propria emancipazione e l’estinzione della divisione in classi

 

La nascita delle classi è stata il risultato di uno sviluppo spontaneo. Gli uomini e le donne, a milioni e nel corso di migliaia di anni, lo hanno compiuto senza rendersi conto e senza avere alcuna nozione di quello che in realtà stavano creando, spinti dalle necessità della propria sopravvivenza.(12) Al contrario, la scomparsa delle classi può essere solo il risultato della lotta cosciente e organizzata della classe operaia, che conduce all’instaurazione della sua dominazione politica, il socialismo. Questo è la fase di transizione necessaria sulla via della formazione di una società senza classi e dell’associazione cosciente di tutti i lavoratori: la società comunista.

La borghesia, per i propri interessi e intendendo fare tutt’altro, crea inevitabilmente le condizioni oggettive favorevoli alla lotta per instaurare il socialismo: un certo grado di concentrazione del capitale (e quindi anche degli operai) e di proletarizzazione dei lavoratori, un grande sviluppo della produzione. Sta alla classe operaia creare le condizioni soggettive per l’instaurazione del socialismo: un certo grado di organizzazione e un certo livello di coscienza della massa del proletariato. Il partito comunista è sia una di queste condizioni sia il promotore principale della loro creazione. È possibile creare le condizioni soggettive del socialismo solo in concomitanza delle condizioni oggettive. Ma una volta che la borghesia ha creato le condizioni oggettive, e queste nei maggiori paesi dell’Europa Occidentale esistono dalla seconda meta del secolo XIX, la creazione delle condizioni soggettive diventa il fattore decisivo dell’instaurazione del socialismo.

La contraddizione fondamentale della società borghese crea condizioni favorevoli per l’elevamento della coscienza della classe operaia e per la sua organizzazione. La sostituzione del comunismo al capitalismo è un evento inevitabile, nel senso preciso che il capitalismo, finché non sarà scomparso, spingerà e costringerà la classe operaia ad assumere il proprio ruolo. Ogni volta che essa verrà meno al suo compito storico, il capitalismo creerà le condizioni perché nel seno della classe operaia e della società sorgano nuove schiere di comunisti che riporteranno la classe operaia alla lotta per il potere e per il comunismo. È per questo che la lotta per il comunismo prosegue inarrestabile: rinasce dopo ognuna delle sconfitte che accompagnano il suo sviluppo come hanno accompagnato e accompagnano lo sviluppo di ogni grande impresa degli uomini.

Ma la coscienza e l’organizzazione della classe operaia si formano nella misura necessaria all’instaurazione del socialismo solo grazie all’azione propagandistica e organizzativa del partito comunista e all’esperienza pratica della lotta di classe in ogni campo guidata dal partito secondo una linea e un metodo giusti. Il partito comunista è l’organizzazione della più alta coscienza della contraddizione tra la classe operaia e la borghesia e della contraddizione tra le masse popolari e la borghesia imperialista. Esso fa leva su queste contraddizioni per compiere la sua missione.

La rivoluzione proletaria è più difficile di qualsiasi rivoluzione precedente nella storia umana. Sia perché non si tratta di una classe privilegiata che subentra ad un’altra e quindi si forma all’interno della vecchia società usufruendo del monopolio del patrimonio economico, culturale e morale già costituito dalla vecchia classe dominante, se ne appropria e, in quanto portatrice di una forma di sfruttamento per certi versi più vantaggiosa per la stessa classe dominante, finisce con l’assorbirne in vari modi una parte. Sia perché il nuovo modo di produzione non si forma spontaneamente, bensì richiede una partecipazione cosciente e organizzata della massa dei lavoratori: ma questi mai hanno avuto a loro disposizione né coscienza né organizzazione e la borghesia in mille modi sistematicamente li esclude da esse. Sia infine perché la borghesia oppone e opporrà una resistenza più ostinata, più feroce, più astuta ed evoluta di quella opposta da qualsiasi altra classe dominante che l’ha preceduta. Infatti essa usa e userà a sua difesa tutte le conquiste scientifiche e culturali e mobiliterà a suo sostegno tutti i residuati reazionari della storia dell’umanità con tanto più accanimento in quanto i suoi membri non potranno riciclarsi in massa nella nuova classe dominante. Essi hanno visto e vedranno nell’avvento del socialismo la fine del loro mondo, in breve quindi la fine del mondo.

All’esperienza pratica degli operai e delle altre classi delle masse popolari la borghesia imperialista contrappone la sua influenza ideologica. Con la sua propaganda, con mille attività di disinformazione, di diversione, di evasione, di confusione e d’intossicazione, la borghesia imperialista cerca di manipolare la  coscienza delle classi oppresse e d’impedire che la loro esperienza diretta si traduca in sentimenti, concezioni e istituzioni che le guidino alla vittoria nella lotta di classe. La manipolazione dell’opinione pubblica ha preso, nella società moderna, il posto della cappa di “verità rivelate”, di “verità eterne” e di pregiudizi che un tempo il clero e i notabili facevano gravare sulla massa della popolazione. Essa si avvale di strumenti e di metodi imponenti e raffinati; ha dato luogo a nuovi settori produttivi e a nuovi settori di ricerca scientifica; impiega un gran numero di lavoratori. Tuttavia essa è lontana dal raggiungere l’efficacia conservatrice dell’oscurantismo clericale del tempo antico. È tipico dei disfattisti e dei liquidatori del movimento comunista ingigantire l’efficacia delle operazioni di manipolazione della coscienza condotte dalla borghesia. Questa invece accresce senza posa le risorse già enormi dedicate a tali operazioni, proprio a causa della loro ridotta e decrescente efficacia nel fronteggiare la situazione. Per lo stesso motivo essa ha cercato e cerca con ogni mezzo, nonostante le molte contraddizioni, di richiamare in vita e di dare nuova forza alla Chiesa Cattolica e alle altre chiese, perché impongano nuovamente la cappa di piombo delle loro “verità rivelate”: il Papa di Roma con il suo Vaticano e la sua Chiesa è diventato nuovamente centro mondiale dell’attività delle classi dominanti per quanto esse siano atee o comunque non cristiane cattoliche. Disfattisti e liquidatori rifiutano di analizzare apertamente e francamente i limiti del movimento comunista che in definitiva sono il vero principale ostacolo al suo successo. In più essi rifuggono e distolgono dal compiere lo sforzo necessario per rendere il movimento comunista capace, facendo leva sui fattori e sulle condizioni a noi favorevoli, di far fronte alla borghesia nella misura necessaria anche nel campo della formazione della coscienza di classe.

La prima ondata della rivoluzione proletaria ha elevato di molto il livello di coscienza e il grado di organizzazione delle masse popolari, non solo nei primi paesi socialisti,(*) ma anche nei paesi imperialisti e nei paesi oppressi. La nefasta opera dei revisionisti moderni(*) e il crollo di gran parte dei primi paesi socialisti hanno cancellato solo in parte quel progresso. Inoltre, per sua natura, la società capitalista fa vivere alle masse popolari un’esperienza pratica di continua trasformazione; le coinvolge nelle lotte aperte tra i membri della stessa classe dominante; ricorre alla repressione in ogni caso in cui la manipolazione delle coscienze non basta.

La sostituzione del comunismo al capitalismo è una legge oggettiva della società capitalista.(32) Questa legge è stata scoperta da Marx ed Engels studiando la natura del capitalismo. Tale sostituzione non è dettata dalle concezioni e dai sentimenti degli uomini: è dettata dalle relazioni pratiche che essi vivono. Queste fanno sorgere le concezioni e i sentimenti necessari per realizzare la sostituzione. La classe operaia attua questa legge, trasforma la realtà in conformità a questa legge con il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte, la sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari. Solo il partito comunista però è in grado di dare alla classe operaia un orientamento rivoluzionario e rende la rivoluzione socialista un’impresa possibile. L’esperienza pratica spinge la classe operaia ad assumere il ruolo di dirigente di tutte le altre classi delle masse popolari nella loro lotta contro la borghesia imperialista. Ma l’esperienza pratica diventa coscienza e linea d’azione solo attraverso passaggi che, per la condizione sociale a cui la borghesia la relega, la classe operaia non può compiere spontaneamente e in massa. Il partito comunista, che è il reparto d’avanguardia e organizzato della classe operaia, è l’espressione, al più alto livello di coscienza e di organizzazione, del ruolo dirigente della classe operaia e porta il complesso della classe a svolgere questo ruolo verso il resto delle masse popolari. Esso fa leva in modo scientifico e organizzato sull’esperienza pratica della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari per sviluppare la loro coscienza e la loro organizzazione fino a renderle capaci di instaurare il socialismo. Gli economicisti(*) e gli spontaneisti negano o sottovalutano il ruolo dell’elemento cosciente e organizzato nello sviluppo del movimento comunista, si affidano unilateralmente alla spontaneità anziché elaborare l’esperienza dei movimenti spontanei, cioè predicano e praticano lo spontaneismo e lasciano alla borghesia il monopolio in campo ideologico.

Lo studio dell’esperienza pratica permette al partito comunista anche di capire l’origine, il significato reale e il ruolo delle concezioni, dei sentimenti, degli stati d’animo e dei comportamenti della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari e di elaborare linee e metodi per trasformarli. Mentre in generale è vano il tentativo di spiegare la realtà esistente cercando la sua origine nelle concezioni, nei sentimenti, nelle aspirazioni e nelle volontà degli individui, dei gruppi e delle classi sociali. La fonte prima e ineliminabile  delle sensazioni, dei sentimenti e delle concezioni, con cui gli uomini rappresentano a se stessi la loro vita e con cui si orientano nelle lotte che essa comporta, è l’esperienza della produzione e della lotta tra le classi, cioè l’esperienza pratica che ognuno dei membri della società compie. Il partito comunista elabora l’esperienza della classe operaia che lotta contro la borghesia e forgia la coscienza e l’organizzazione rivoluzionaria della classe operaia.

Con un lavoro sistematico e organizzato il partito comunista può e deve trasformare questa esperienza pratica in teoria rivoluzionaria e condurre, già nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie,(*) un’attività sistematica di propaganda e di orientamento della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari alla lotta di classe, alla guerra civile e al socialismo: “dall’alto” tramite i suoi organismi e i suoi strumenti e “dal basso” tramite le organizzazioni di massa, gli operai avanzati e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari. È compito specifico del partito rafforzare anche spiritualmente la classe operaia e le altre classi delle masse popolari e prepararle anche spiritualmente al loro compito storico: instaurare il socialismo. Una volta date le condizioni oggettive del socialismo, che in Europa esistono da più di un secolo, per la vittoria della rivoluzione socialista il fattore decisivo sono le condizioni soggettive. Un partito che non si occupa di creare nella massa del proletariato l’organizzazione e la coscienza necessarie, tradisce la sua missione. Se manca un partito capace di fare questo, cercare altrove le cause della mancanza di un movimento rivoluzionario o della sua sconfitta vuol dire nascondere il vero problema. Ogni bilancio della lotta di classe che prescinde dal ruolo del partito comunista è un bilancio sbagliato, spontaneista, liquidatore, disfattista. Il partito comunista è il fattore decisivo per la creazione delle condizioni soggettive necessarie per l’instaurazione del socialismo e per la vittoria della lotta per instaurare il socialismo, ed è anche il fattore più difficile da costruire. Il motivo per cui la classe operaia non ha ancora instaurato il socialismo in nessun paese imperialista sta nella difficoltà particolare che incontra, proprio nei paesi imperialisti, a costruire un partito comunista all’altezza del suo compito e del suo ruolo.

 

La vittoria del revisionismo moderno(*) nel movimento comunista nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, la ripresa dell’influenza ideologica della borghesia e del clero sulle masse popolari, le grandi conquiste strappate dalle masse popolari grazie alla prima ondata della rivoluzione proletaria e alla fine della prima crisi generale del capitalismo,(*) l’eliminazione di quelle conquiste in corso da quasi trent’anni a questa parte nell’ambito della seconda crisi generale del capitalismo,(*) la rinascita del movimento comunista sono processi materiali e spirituali che si influenzano e si determinano l’un l’altro. Il partito comunista deve comprendere sempre meglio il legame dialettico tra questi processi e trarne la sua linea per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nell’attuale fase di difensiva strategica.(*) Il progredire della seconda crisi generale del capitalismo è la base materiale della sconfitta del revisionismo moderno e di ogni partito e corrente riformisti: la borghesia non può più concedere nulla alle masse popolari tramite i riformisti, anzi si riprende anche quello che aveva dovuto concedere. A loro volta la classe operaia e le altre classi delle masse popolari non hanno più alcun motivo di essere soddisfatte dei riformisti. Questi perdono credito presso le masse popolari e diventano inutili per la borghesia. L’ora è alla mobilitazione rivoluzionaria(*) e alla mobilitazione reazionaria.(*) Una nuova ondata della rivoluzione proletaria avanza in tutto il mondo.

 

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