Il secondo fronte della politica rivoluzionaria
e la partecipazione alle elezioni

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

La tornata elettorale del 13 giugno 2004 è stata una batosta per Berlusconi e per la sua banda. La sconfitta della banda è una vittoria per le masse popolari. È una sconfitta per tutta la borghesia imperialista, che attorno a Berlusconi si era ritrovata unita e gli aveva affidato il mandato di attuare un programma di “lacrime e sangue” contro le masse popolari italiane, fidando che potesse agire con più arroganza e speditezza rispetto a quanto avevano fatto fino a quel momento i suoi predecessori di centro-sinistra. Il (nuovo) Partito comunista italiano [(n)PCI] il 30 maggio 2004 ha emesso un comunicato in cui si dava indicazione di votare contro la banda Berlusconi e di votare per i partiti di opposizione. Così facendo è entrato nella battaglia politica in corso, nelle contraddizioni tra i gruppi della borghesia imperialista, si è fatto promotore di una linea tattica che si è rilevata vincente per l’affossamento del progetto della banda e lo svilupparsi di una violenta crisi politica tuttora in corso. Gli avvenimenti confermano il legame del (n)PCI con il sentire delle masse e la validità delle sue indicazioni.

La nostra organizzazione ha recepito l’indicazione del (n)PCI con difficoltà. Non ci siamo liberati da un’eredità negativa che pesa sulle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS) del nostro paese (e non solo). I CARC non hanno superato in modo netto l’astensionismo di principio che in una vasta area di tali forze è dominante: mantengono posizioni astensionistiche di fondo anche quando manifestano la necessità di intervenire alle elezioni ed esitano di fronte alla lotta ideologica che un intervento del genere inevitabilmente scatenerà. Infatti l’inimicizia nei nostri confronti di molte FSRS di destra e della destra di molte FSRS è persistente, nonostante il grande lavoro che in questi anni si è fatto con la politica da fronte. Da questo versante sono prevedibili attacchi rivolti nei nostri confronti e mirati contro la ricostruzione del partito.

Se la posizione che noi assumiamo è giusta, proprio lo scontro che ne deriverà quando l’assumiamo apertamente, proprio gli attacchi che i nostri oppositori scateneranno, se li fronteggeremo come si deve produrranno grandi risultati positivi. Chiariranno e rafforzeranno la concezione comunista della società e della lotta di classe nei compagni ancora confusi e oscillanti o ancora ancorati a una semplice posizione di rigetto istintivo, di negazione istintiva dei revisionisti oppure legati a una tradizione che in nome della lotta contro il revisionismo si è dissociata in realtà da tutta l’esperienza storica del movimento comunista, “ha gettato il bambino assieme all’acqua sporca”. Sarà uno scontro che, se ben condotto, chiuderà probabilmente la partita con le vecchie FSRS perché sarà uno scontro chiaro, aperto, comprensibile a milioni di proletari e di proletarie e farà emergere con forza davanti a milioni di proletari e di proletarie la direzione del partito comunista. Sarà insomma una tappa importante nella ricostruzione di un vero partito comunista.

Fin dalla prima Lotta Ideologica Attiva, condotta nei CARC nel 1997, abbiamo imparato che coloro che non intendono avanzare nella ricostruzione del partito comunista dedicano grande parte delle loro energie a dare battaglia contro chi invece ha deciso di andare avanti. Il caso di Linearossa (LR) è un esempio di quanto ci si possa incancrenire in atteggiamenti del genere. LR, infatti, da sempre critica le nostre posizioni come avventuriste. Allude al fatto che dichiariamo come più avanzato, più coerente con le reali relazioni tra le classi nella società attuale e con l’esperienza storica del movimento comunista, più orientato al successo il processo di costruzione del (nuovo) Partito comunista italiano che si svolge a partire dalla condizione di clandestinità (cioè in condizione di massima libertà rispetto alla controrivoluzione preventiva). Allo stesso tempo ci critica per il motivo opposto, dicendo che dipendiamo dai riformisti, per la partecipazione alle elezioni di compagni e compagne dei CARC e del FP - rpc. LR un giorno ci attacca per un motivo, l’altro giorno per un altro, non si cura se i due motivi fanno a pugni l’uno con l’altro, si accontenta del fatto che ogni motivo, preso a sé stante, può servire ad attaccarci.

 Il fondamento di tali attacchi sta nel livore di LR verso il processo concreto di ricostruzione del partito comunista e verso il partito comunista in generale. Ciò è confermato dal fatto che non hanno fatto passi avanti nella ricostruzione del partito, cosa che del resto è coerente con la formazione politica da cui provengono. È confermato dal dispendio di energie che in questi anni hanno dedicato a ostacolare la ricostruzione del partito con le parole e con i fatti, arrivando infine a togliere a Giuseppe Maj, rivoluzionario al confino in Francia, la possibilità di intervenire in una iniziativa contro la repressione prevista a Massa.

Di fronte a tutto questo la soluzione sta sempre nel procedere nella costruzione del partito. Quali che siano le contraddizioni che le FSRS non riescono a superare, quale che sia la portata dei loro attacchi contro di noi e contro tutti coloro che stanno ricostruendo il Partito, la nostra linea nei loro confronti è determinata dalla politica da fronte. Quindi manteniamo intatta la nostra disponibilità a unirci contro la repressione, contro l’imperialismo, per il sostegno alla difesa delle conquiste dei lavoratori e delle masse popolari. Per il resto le responsabilità che ci siamo assunti di fronte alla classe operaia, ai lavoratori e alle masse popolari del nostro paese ci impongono di procedere, e di procedere con maggiore decisione nei fronti della politica rivoluzionaria dove siamo più arretrati. Si tratta oggi di procedere nel secondo fronte di lotta, indicato ne La Voce del (nuovo) Partito comunista italiano come quello dell’“intervento delle masse popolari guidate dal partito comunista nella lotta politica che si svolge tra i gruppi imperialisti.”(1)

Questo è un fronte che “non comprende solo la partecipazione alle elezioni, al Parlamento, alle altre assemblee elettive, ma anche le dimostrazioni di propaganda e di forza nelle strade e nelle piazze, gli scioperi politici, le campagne di orientamento e mobilitazione dell’opinione pubblica e la combinazione di tutte queste forme di lotta.”(2) Tra i vari campi di intervento citati nell’ambito del secondo fronte la partecipazione alle elezioni è quello dove riscontriamo i maggiori ritardi, assieme a buona parte delle altre FSRS. Sia noi che le altre FSRS non abbiamo alcun problema, ad esempio, a partecipare a uno sciopero politico indetto dai sindacati di regime quando riconosciamo che esprime, concentra e mobilita i sentimenti delle masse e le unifica. Manifestiamo invece un astensionismo di principio rispetto alle elezioni indette dai partiti di regime. Dato che tra l’uno e l’altro campo di intervento non c’è una differenza sostanziale (se c’è, ce la spieghino), i problemi sono derivati da limiti nostri.

 

1. Rosa L. Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria, in La Voce del (nuovo) Pci, n. 16, pag. 37. Gli altri due fronti sono il primo la “resistenza del partito comunista alla repressione che la borghesia conduce contro di esso” e il terzo il “promuovere, organizzare e dirigere le lotte rivendicative degli operai e del resto delle masse popolari contro i singoli padroni, contro le associazioni padronali e contro il loro stato.”

 

2. Rosa L. Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria, in La Voce del (nuovo) Pci, n. 16, pag. 37.

 

Noi siamo intenzionati a superare questi limiti e daremo battaglia per farlo. Di fronte alle prossime scadenze elettorali il movimento comunista del nostro paese deve esprimere una capacità di intervento avanzata, e coloro che come noi sono impegnati nel sostenere la ricostruzione del partito comunista devono essere all’altezza della responsabilità che si sono assunti.

Per il superamento di questi limiti serve guardare all’esperienza positiva e negativa del movimento comunista alle nostre spalle, e guardare al futuro, cioè alle possibilità che si aprono di fronte a noi e ai nostri compiti. Nel presente, serve estendere lo sguardo all’esperienza del movimento comunista internazionale, ai partiti che sono di esempio nella lotta contro l’imperialismo e nell’avanzata verso la vittoria del socialismo.

 

Le Tesi sul parlamentarismo dell’Internazionale Comunista e la critica di Lenin all’astensionismo

 

Nel 1920 l’Internazionale Comunista (IC) tiene il suo secondo congresso, e approva, tra l’altro, le Tesi sul  parlamentarismo. Sono tesi che trattano della linea che i comunisti devono tenere rispetto alla partecipazione o meno ai parlamenti borghesi con l’inizio della fase imperialista del capitalismo. Questa fase dura ancora oggi, e quindi sono tesi valide anche per noi. Per questo motivo le abbiamo pubblicate in questo numero, precedute da una presentazione del compagno Giuseppe Maj.

Le Tesi dell’IC sono quelle esposte qualche mese prima nell’opuscolo di Lenin L’estremismo, malattia infantile del comunismo. Lenin tratta la partecipazione alle istituzioni politiche borghesi come misura tattica da adottarsi nei casi necessari. La partecipazione alle elezioni borghesi in gran parte dei casi che hanno interessato il movimento rivoluzionario russo nel periodo antecedente la Rivoluzione d’Ottobre è stato un passaggio obbligato: “… i bolscevichi non avrebbero potuto mantenere (non dico neppure: consolidare, sviluppare, rafforzare) il saldo nucleo del partito rivoluzionario del proletariato negli anni 1908-1914, se attraverso la lotta più aspra, non avessero affermato l’obbligo di combinare le forme illegali della lotta con le sue forme legali, con la partecipazione obbligatoria al parlamento ultrareazionario e a un certo numero di altre istituzioni sottoposte a leggi reazionarie (casse di assicurazione, ecc.)”(3)

L’adozione delle forme di lotta legali resta obbligatoria anche nel caso nostro, come misura tattica per garantire successo alla lotta per la ricostruzione del partito e alla strategia del partito per la conquista del potere. Una parte maggioritaria delle masse popolari del nostro paese è convinta che si viva in un regime democratico, e nonostante i fatti lo smentiscano è tuttora convinta che questo regime possa garantire benessere e progresso e che una rivoluzione comunista non è né possibile né necessaria. Questa parte comprende la maggioranza dei lavoratori e della classe operaia. Questa maggioranza oggi è convinta che le istituzioni borghesi sono espressione della volontà popolare, e noi oggi possiamo dimostrare il contrario utilizzando quelle istituzioni. Lenin scrive: “Anche se… semplicemente una minoranza abbastanza importante degli operai industriali segue i preti cattolici, e una maggioranza importante degli operai di campagna segue i proprietari terrieri e i contadini ricchi … ne consegue già in modo indubitabile … che la partecipazione alle elezioni parlamentari e alla lotta della tribuna parlamentare è obbligatoria per il partito del proletariato rivoluzionario, precisamente al fine di educare gli strati arretrati della propria classe; precisamente al fine di risvegliare e di illuminare le masse rurali, non evolute, oppresse, ignoranti. Finché voi non siete in grado di sciogliere il parlamento borghese e tutte le altre istituzioni reazionarie d’altro tipo, voi avete l’obbligo di lavorare nel seno di tali istituzioni appunto perché là vi sono ancora degli operai ingannati dai preti e dall’ambiente dei piccoli centri sperduti; altrimenti rischiate di essere soltanto dei chiacchieroni.”(4) Di seguito aggiunge: “…la partecipazione a un parlamento democratico borghese, non solo non nuoce al proletariato rivoluzionario, ma gli rende più facile dimostrare alle masse arretrate perché tali parlamenti meritano di essere sciolti, facilita la riuscita del loro scioglimento, facilita il ‘superamento politico’ del parlamentarismo borghese.”(5)

 

3. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, Ed. Riuniti, Roma, 1974, pag. 39.

 

4. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, Ed. Riuniti, Roma, 1974, pagg. 87 - 88.

 

5. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, Ed. Riuniti, Roma, 1974, pag. 89.

 

Lenin conclude il libro con una critica precisa agli astensionisti. Se accampano difficoltà a partecipare e a intervenire dentro alle istituzioni borghesi “si può dire con certezza che essi o non saranno in grado di attuare la dittatura del proletariato e di subordinare a sé e di trasformare su grande scala gli intellettuali borghesi e le istituzioni borghesi, o dovranno completare in fretta la loro educazione, e con questa fretta recheranno danno immenso alla causa del proletariato, commetteranno un maggior numero di errori, dimostreranno debolezza e incapacità superiori alla media…”.

Riferito ai giorni nostri l’astensionismo di principio si è potuto combinare con una sfiducia di fondo nella possibilità che la classe operaia conquisti il potere e instauri la dittatura del proletariato. Questa sfiducia è stata alimentata dalla cultura  borghese di sinistra, e nel modo più organico dalla Scuola di Francoforte, secondo cui si può essere rivoluzionari semplicemente criticando l’esistente, senza alcun obbligo di proporre qualcosa di positivo rispetto a ciò che si critica. Per questo motivo ancora oggi non si hanno remore a presentarsi come anticapitalisti e si trovano invece mille motivi per non dichiararsi comunisti.

In definitiva una buona parte degli astensionisti di principio non si pone il problema del legame da instaurare con le masse popolari oggi perché non si pone il problema del legame da instaurare con quelle masse popolari dopo la conquista del potere. In altre parole costoro non credono nella vittoria della rivoluzione socialista. Non si pongono come rivoluzionari, ma come degli insoddisfatti dell’esistente che non hanno fiducia tuttavia nell’unica alternativa possibile, il socialismo. Se avessero più fiducia in questa alternativa si porrebbero il problema di come realizzarla e quindi considererebbero anche la questione della partecipazione alle elezioni borghesi con minore dogmatismo e presunzione.

 

L’impegno odierno sul secondo fronte della politica rivoluzionaria

 

L’articolo comparso sul numero 16 de La Voce spiega i motivi per cui l’atteggiamento negativo delle FSRS verso la partecipazione alle elezioni è così radicato: “I revisionisti moderni hanno propagandato per decenni la ‘via parlamentare al socialismo’, la ‘via elettorale al socialismo’, la ‘via pacifica e democratica al socialismo’. Essi hanno ridotto tutta la lotta politica del partito alla partecipazione alla vita politica borghese, a fare l’ala sinistra dello schieramento politico borghese (…). La partecipazione alla vita politica borghese è diventata così se non la principale comunque una delle principali vie di corruzione e di disgregazione del partito. È quindi più che comprensibile che molti compagni siano diffidenti se non francamente ostili alla partecipazione alla lotta politica della società borghese.”(6)

 

6. Rosa L. Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria, in La Voce del (nuovo) Pci, n. 16, pag. 39.

 

È comprensibile l’origine storica e psicologica della posizione degli astensionisti, ma questo non la rende una posizione utile alla causa del comunismo, non ne fa una posizione giusta. La corruzione dei rivoluzionari dipende non dall’ambito in cui operano, ma dalla debolezza della concezione e della linea che guidano l’organizzazione che li esprime e a cui appartengono. I fatti lo dimostrano, e questo articolo li indica. I rivoluzionari si sono lasciati corrompere anche quando hanno operato nelle lotte sindacali: non solo i sindacati di regime ma anche i sindacati alternativi sono stati e sono veicoli di corruzione e di disgregazione nei confronti del movimento rivoluzionario. Chi si lancia nella lotta a difesa dei lavoratori se non ha una linea giusta va incontro alla sconfitta, e reagisce in uno dei tre modi seguenti: 1. abbandona la linea sbagliata e riprende la lotta, 2. abbandona la lotta e si ritira a vita privata, 3. cede le armi e passa nel campo del nemico. Questi fenomeni si ripetono uguali anche quando si intraprendono altre forme di lotta, incluse quelle dove contro lo stato borghese si imbracciano le armi. Questo dimostra che la determinazione rivoluzionaria che resiste alla corruzione e che accompagna i rivoluzionari verso la vittoria non sta nella forma di lotta in cui sono impegnati né nel campo di battaglia dove combattono, ma nella concezione e nella linea del partito che li guida.

Gli astensionisti del passato fondavano le proprie posizioni sugli stessi motivi degli astensionisti odierni. Lo dicono le Tesi su parlamentarismo della IC e lo dice Lenin nell’opuscolo che abbiamo citato più volte: “nell’Europa occidentale e in America il parlamento è diventato particolarmente odioso ai rivoluzionari avanzati della classe operaia. Questo è incontestabile. Ed è ben comprensibile, perché è difficile immaginare cosa più ignobile, vile, perfida del contegno della schiacciante maggioranza dei deputati socialisti e socialdemocratici nel parlamento durante e dopo la guerra. Tuttavia sarebbe non tanto irragionevole ma addirittura criminale cedere a un simile sentimento nel decidere come si deve lottare contro questo male riconosciuto da tutti, in molti paesi dell’Europa occidentale. In molti paesi dell’Europa occidentale lo spirito rivoluzionario è oggi, si può dire, una ‘novità’ o una ‘rarità’ aspettata troppo a lungo, invano e con  impazienza, ed è forse per questo motivo che si cede così facilmente al sentimento. Certo senza uno spirito rivoluzionario nelle masse, senza le condizioni che favoriscono lo sviluppo di tale spirito, la tattica rivoluzionaria non può trasformarsi in azione [ma] …la tattica rivoluzionaria non può essere fondata unicamente sullo spirito rivoluzionario. (…) Manifestare il proprio ‘spirito rivoluzionario’ unicamente vituperando l’opportunismo parlamentare, unicamente respingendo la partecipazione al parlamento, è molto facile; ma appunto perché è troppo facile, non è una soluzione del difficile e difficilissimo compito.”(7)

“La lotta sul secondo fronte è una componente indispensabile della nostra lotta per trasformare la guerra non dichiarata di sterminio che la borghesia conduce contro le masse popolari in guerra popolare rivoluzionaria.”(8) La guerra popolare rivoluzionaria è lo strumento necessario per la conquista del potere, la partecipazione alle elezioni borghesi è uno strumento necessario per l’avanzamento della guerra rivoluzionaria. Chi nega queste necessità anziché procedere devia o verso l’opportunismo o verso il militarismo e l’avventurismo.

Deviano verso l’opportunismo tutte quelle FSRS che riducono la lotta politica entro i limiti di quelle “libertà (di pensiero, di propaganda, di agitazione, di organizzazione, di manifestazione, di riunione, di sciopero, di protesta, ecc.) che con la vittoria della Resistenza sono state in qualche misura introdotte nel nostro paese e che in parte sopravvivono ancora alla eliminazione delle conquiste strappate dalla classe operaia e dalle masse popolari che la borghesia imperialista sta sistematicamente operando dalla metà degli anni ‘70 a questa parte.”(9) Queste FSRS a differenza dei neorevisionisti sostengono la necessità della via rivoluzionaria, ma la rimandano a un domani vago, a qualcosa che sta sempre al di là di noi, come il paradiso per i cristiani. Nella pratica quindi non fanno un passo oltre lo stallo a cui i neorevisionisti vorrebbero condannarci per sempre. Riducono la prospettiva rivoluzionaria alla ripetizione di principi e quindi giustamente vengono chiamati dogmatici.

 

7. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, cit., pagg. 94 – 95.

 

8. Rosa L. Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria, in La Voce del (nuovo) Pci, n. 16, pag. 42.

 

9. Progetto di Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano, Ed. Rapporti Sociali, pag. 66

 

Deviano verso l’avventurismo e il militarismo coloro che si oppongono ai neorevisionisti e agli opportunisti di ogni tipo in modo unilaterale e rigido. La borghesia spaccia il proprio regime come stato di libertà e di democrazia compiuta, i neorevisionisti spacciano questa menzogna alle masse popolari, una parte delle FSRS a questa menzogna non sa opporre altro che dichiarazioni di principio. Tutto questo viene giustamente rifiutato, così come fu rifiutato dalle organizzazioni comuniste combattenti negli anni ‘70. A questo tuttavia avventuristi e militaristi oppongono l’esatto contrario, spacciando la condizione attuale come mancanza totale di ogni libertà, dove ai comunisti non è concesso alcuno spazio, dove le masse sono completamente asservite, incapaci di intendere e di volere qualcosa d’altro oltre a ciò che offre loro il capitalismo. Secondo i militaristi e gli avventuristi quindi la partecipazione alle elezioni è inutile, perché la borghesia controlla l’apparato elettorale e la coscienza delle masse. I militaristi e gli avventuristi non si chiedono come mai la loro propria coscienza si sia salvata dall’asservimento generale, visto che anche loro provengono dalle masse popolari. I militaristi e gli avventuristi negano i risultati prodotti dalla lotta della Resistenza, perché descrivono il presente come un fascismo uguale se non peggiore di quello mussoliniano.(10)

 

10. “Oggi è peggio - dicono - perché lo Stato ha le televisioni, e non ha bisogno della repressione.” Non tengono conto che lo Stato fascista aveva il cinema e la radio, e che lo Stato presente ha sempre più necessità di usare la repressione.

 

I CARC in quanto esprimono sostegno al (n)PCI sono criticati da qualcuno come avventuristi, e per la loro posizione  sulla partecipazione alle elezioni da qualcun altro sono criticati come opportunisti (a parte Linearossa, che ci critica per entrambe le deviazioni, e a suo tempo Rossoperaio).(11) La contraddizione non sta nelle prese di posizione dei CARC, ma in quelle di chi li critica. L’incapacità di comprendere il nesso tra i due campi di intervento esprime la scarsa maturità delle FSRS del nostro paese e il carattere poco dialettico del loro metodo di analisi e della loro concezione.

 

11. Vedi al proposito Le critiche di Rossoperaio, in Rapporti Sociali n. 29, pagg. 24 – 25. Rossoperaio a maggio del 2001 ci chiama revisionisti perché abbiamo partecipato alla campagna elettorale, a luglio – agosto ci colloca direttamente nell’area dell’eversione armata.

 

Chi propaganda l’assoluta inutilità della partecipazione alle elezioni fa un servizio al potere borghese. Il potere borghese infatti dedica grandi sforzi per impedire ai rivoluzionari di avere voce in qualsiasi sede, sforzi tanto maggiori quanto più una sede è vasto punto d’ascolto per le masse popolari. La controrivoluzione preventiva non si è limitata in questi anni a perquisire, a intimidire spingendosi dentro nelle case, a sequestrare strumenti e documenti, ad arrestare. Si è preoccupata pure di impedire gli interventi dei rivoluzionari nei luoghi pubblici, nelle sedi istituzionali, nelle case del popolo. La borghesia imperialista considera catastrofico un intervento dei rivoluzionari in parlamento, e perciò il fatto che manchi tra i rivoluzionari il progetto di un intervento del genere le garantisce grande tranquillità. L’astensionismo di principio che favorisce e mantiene l’isolamento delle FSRS, che alimenta la tendenza diffusa tra alcuni rivoluzionari a restare nelle loro riserve indiane, a parlare tra di loro nel loro gergo incomprensibile alle masse popolari, è risparmio di lavoro per gli agenti della controrivoluzione.

D’altro lato la borghesia si sta sforzando di sterilizzare le elezioni, perché riesce sempre meno a guidarne il risultato. Nel 1996 abbiamo scritto: “I contrasti tra i gruppi imperialisti e la perdita di prestigio e di autorevolezza della borghesia imperialista tra le masse confluiscono a far sì che questa non sia più in grado di indirizzare il voto popolare. Non le resta da una parte che restringerne gli effetti e l’importanza.”(12)

La larga maggioranza delle masse popolari nel nostro paese dà valore allo strumento elettorale, e lo fa perché conserva memoria storica della lotta contro le classi dominanti che si è conclusa con il diritto di voto per tutti.(13) Non si tratta poi soltanto del ricordo, dato i rischi che implica questo strumento per la classe dominante odierna che nonostante tutti i suoi mezzi di propaganda e di repressione riesce sempre meno a determinarne gli esiti. Quelle FSRS, dunque, che destituiscono di qualsiasi valore la partecipazione alle elezioni, che criticano le masse popolari e le forze rivoluzionarie che vi partecipano anche in questo senso portano acqua al mulino della classe dominante.

Gran parte degli astensionisti di principio dicono che nessun rivoluzionario potrà fare molta strada in quel senso, che troverà ostacoli insormontabili o che procederà solo a prezzo di farsi corrompere. La Voce dice al riguardo: “Un partito che non è capace di mandare suoi esponenti in un Parlamento senza che si corrompano o si facciano abbindolare, certamente non è ancora un partito che riesce a guidare con successo una guerra popolare rivoluzionaria.”(14) È una conclusione analoga a quella di Lenin, quando afferma che coloro che si spaventano di fronte alle difficoltà che comporta l’intervento nelle istituzioni borghesi non saranno in grado in alcun modo di affrontare le difficoltà dello stesso segno, ma molto più grandi, che comporta la gestione del potere politico con la dittatura del proletariato.

 

12. La putrefazione del regime DC, in Rapporti Sociali, n. 17/18, pag. 10.

 

13. Il suffragio universale è stato il risultato di una lotta che parte dalla metà del secolo XIX e culmina alla metà del secolo XX. Nel nostro e in altri paesi imperialisti poi il diritto di voto non è ancora per tutti, dato che esclude largamente milioni di immigrati.

 

14. Rosa L. Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria, in La Voce del (nuovo) Pci, n. 16, pag. 40.

  

Conclusioni

 

La storia del movimento comunista è piena di esempi in cui i partiti comunisti si sono inseriti nella lotta politica tra i gruppi imperialisti, come scritto nell’articolo de La Voce che abbiamo citato più volte. Il movimento comunista internazionale oggi ci offre altrettanti esempi. I movimenti di liberazione nazionale e le organizzazioni comuniste fanno ogni genere di sforzo per conquistare spazio negli ambiti della cosiddetta “legalità democratica” con cui gli imperialisti coprono i loro regimi di corruzione, di sfruttamento e di guerra contro le masse popolari. Accade in Palestina, nei Paesi Baschi, nelle Filippine, in Nepal e in molti altri luoghi del mondo dove la resistenza all’imperialismo e la rinascita del movimento comunista si esprime in modo alto ed esemplare. La risposta dell’imperialismo è significativa: le organizzazioni rivoluzionarie sono dichiarate illegali, i rivoluzionari sono arrestati e si compilano le “liste nere”. Ciò prova che la presenza dei rivoluzionari entro gli spazi politici della cosiddetta “democrazia borghese” è un rischio per l’imperialismo, e che rigettarli oltre quegli spazi consente un lavoro più agevole agli apparati repressivi e alla loro guerra sporca.

I rivoluzionari e i comunisti devono dunque partecipare allo scontro tra i gruppi imperialisti entrando negli ambiti istituzionali quando possono e finché possono. In Italia la vittoria della Resistenza sul nazifascismo ci lascia in eredità spazi di libertà ancora ampi. La borghesia li tiene parzialmente aperti a dimostrazione della propria “democrazia”. Noi diciamo alle masse popolari che quella è una democrazia falsa, ma per le masse popolari contano i fatti, non i nostri discorsi. Andiamo a occupare quegli spazi (che sono nostri, conquistati dalla guerra partigiana) e quanto più avanziamo tanto più la borghesia li chiuderà. Questo sarà un fatto, ben visibile a tutti, e quello che andiamo dicendo da decenni sarà vero nel senso che la verità è una questione pratica, non è un proclama.

Questi sono gli argomenti che portiamo ai compagni e alle compagne che insistono a non tenere conto degli argomenti e a non essere d’accordo con noi, che tuttavia non hanno chiuso gli occhi di fronte ai fatti e non si sono lasciati incantare dagli attacchi che da molte FSRS ci sono stati mossi in modo opportunistico. I fatti sono questi: la nostra determinazione a partecipare alle elezioni borghesi non è opportunismo, e lo testimonia la resistenza costante contro un’azione repressiva nei nostri confronti che dura da decenni e che mai si è interrotta.

Questi sono gli argomenti che portiamo ai compagni e alle compagne che si sono assunti la responsabilità di sostenere la costruzione del nuovo partito comunista italiano, e che hanno il dovere e la possibilità di compiere decisivi salti di qualità avanzando sulla strada iniziata con la partecipazione alla campagna per le elezioni politiche del 2001 sotto l’insegna del Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista.

 

Rapporti Sociali 1985-2008 - Indice di tutti gli articoli