I comunisti e la lotta del popolo basco per l’autodeterminazione

Rapporti Sociali 31-32 - dicembre 2002  (versione Open Office / versione MSWord)

 

Nota introduttiva

Questo articolo era già composto quando la stampa spagnola del 28 settembre ha dato notizia che il capo del governo autonomo basco, Juan José Ibarretxe, il 27 settembre aveva presentato al Parlamento basco un piano del suo governo per dare a Euskadi uno statuto di libera associazione con la Spagna e di nazione associata in Europa, basato sulla doppia sovranità, basca e spagnola. In quel contesto Ibarretxe dichiarava che il suo governo avrebbe messo in opera il suo piano entro un anno, con o senza l’accordo di Madrid. Lo stesso giorno Otegi, portavoce del gruppo parlamentare di Batasuna che ha assunto la denominazione di “Sinistra Socialista di Alava, Biscaglia e Guipuzcoa” faceva osservare che perché uno Stato basco possa decidere di condividere con lo Stato spagnolo la propria sovranità, anzitutto bisogna che esista uno Stato basco sovrano e il piano di Ibarretxe non indica i mezzi per crearlo: è cioè una carnevalata del PNV per accalappiare voti. La reazione del governo e dei partiti centralisti di Madrid è stata di rabbia, fino a minacciare l’intervento delle Forze Armate nei Paesi Baschi se il governo autonomo tentasse di realizzare di sua iniziativa il suo piano.

Quella di Ibarretxe è certamente una manovra per far dimenticare alle masse popolari basche la collaborazione del governo autonomo basco e del PNV con il governo di Madrid nella repressione del MLNV. Ma, come ogni manovra, rivela qualcosa di vero. In questo caso conferma la tesi chiave dell’articolo di M.C.: il diritto all’autodeterminazione è un obiettivo profondamente radicato nel popolo basco e nelle sue relazioni con l’oligarchia spagnola. Nel momento in cui lanciano o partecipano a un nuovo attacco contro il MLNV, i suoi avversari devono fare i conti e ognuno a sua maniera fa i conti con questa realtà. Come in generale succede alle manovre dei reazionari quando i rivoluzionari continuano la lotta, se il MLNV persevererà nella lotta la manovra di Ibarretxe si ritorcerà contro i suoi promotori: allargherà e rafforzerà nel popolo basco e negli altri popoli oppressi dalla borghesia imperialista spagnola la coscienza del proprio diritto all’autodeterminazione nazionale e che la vittoria è possibile.

I comunisti devono appoggiare la lotta del popolo basco contro la borghesia imperialista spagnola. È significativo che la stampa padronale italiana non ha dato neanche notizia dell’iniziativa del governo autonomo basco.

 

Lunedì 26 agosto il Tribunale Speciale di Madrid ha decretato la sospensione dell’attività di Batasuna per tre anni, prorogabili a cinque, con la motivazione che Batasuna sarebbe il braccio politico dell’organizzazione armata ETA.(1) Lo stesso giorno la Camera dei Deputati di Madrid, riunita in sessione straordinaria, ha approvato a maggioranza la proposta del governo Aznar di chiedere alla Cassazione la messa fuori legge di Batasuna ai termini della nuova legge sui partiti politici.(2) Hanno votato a favore 295 deputati (Partito Popolare (PP), Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), Coalizione Canaria, Partito Andaluso), contrari 10 (Partito Nazionalista Basco (PNV), Eusko Alkartasuna (EA), Sinistra Repubblicana della Catalogna (ERC), Iniziativa per la Catalogna (IC)) e astenuti 29 (Blocco Nazionale Galiziano (BNG), Convergenza e Unità (CiU), Sinistra Unita (IU), Giunta Aragonese).(3)

 

1. Batasuna fa parte del Movimento di Liberazione Nazionale Basco (MLNV). Essa è un’organizzazione politica legale che ha sempre operato pubblicamente. In sostanza la borghesia imperialista spagnola lo conferma: infatti accusa Batasuna di perseguire nella legalità lo stesso obiettivo di ETA, cioè l’indipendenza dei Paesi baschi. Del MLNV fanno parte anche ETA e varie organizzazioni di massa, le più note delle quali sono indicate nel corso dell’articolo.

 

2. La nuova legge sui partiti politici è stata approvata dalla Camera dei Deputati di Madrid il 4 giugno di quest’anno con 304 voti a favore (PP, PSOE, CiU, Coalizione Canaria, Partito Andaluso) e 16 contrari (PNV, EA, ERC, IU, BNG). In Senato fu approvata il 25 dello stesso mese con 220 voti a favore e 14 contrari. Il motivo contingente della sua elaborazione e promulgazione è la volontà e la necessità per la borghesia imperialista spagnola di mettere fuorilegge Batasuna. Essa però sancisce legalmente l’esclusione dall’attività politica pubblica e legale (dall’agibilità politica) di ogni organizzazione sovversiva. Questo stesso divieto nell’ordinamento della borghesia imperialista italiana è sancito dall’articolo 270 del Codice Penale. È l’articolo introdotto nell’ordinamento italiano dal regime fascista. Nella sua formulazione originaria (Codice Rocco) esso vietava espressamente le “organizzazioni comuniste e anarchiche”. Sulla sua base funzionò il Tribunale Speciale per la difesa dell’ordine fascista. In base ad esso furono condannati A. Gramsci e altri comunisti. Il regime DC eliminò il riferimento esplicito a comunisti e anarchici, introdusse l’indicazione generica di “associazione sovversiva” e per anni “lasciò in sonno” l’articolo. Esso è stato riesumato e rafforzato dai governi di centro-sinistra a cavallo dell’anno 2000 come base legale per contrastare la rinascita del movimento comunista e in specifico la ricostruzione del partito comunista.

 

3. Sia i voti contrari alla messa fuorilegge di Batasuna che gli astenuti sono dovuti più a questioni formali o di opportunità (alleanze politiche, calcoli elettorali, la pressione esercitata dalla base popolare dei partiti) che a una posizione di principio contro questa misura antidemocratica e repressiva.

 

 Perché nello stesso giorno due colpi, ognuno dei quali da solo stroncava l’attività di Batasuna? Non è un caso. Il governo Aznar, spalleggiato dal PSOE, vuole che la messa fuori legge giudiziaria e quella politica si rafforzino e completino a vicenda. Ciò significa che i vari corpi repressivi dello Stato spagnolo hanno bisogno di garantirsi la reciproca complicità e collaborazione compromettendo ognuno di essi nella nuova offensiva contro il popolo basco e che nemmeno la borghesia imperialista spagnola ha molta fiducia nell’efficacia delle sue misure, benché ritenga indispensabile prenderle per rafforzare l’autorità del suo Stato sia di fronte al popolo basco e alle altre nazionalità della penisola iberica che essa opprime, sia di fronte alle masse popolari della nazione spagnola dominante, per nascondere i ripetuti fallimenti dei suoi tentativi di corrompere o schiacciare l’espressione organizzata del movimento del popolo bas co per l’indipendenza nazionale (il MLNV) e di ostacolare il più possibile l’attività di Batasuna e, in generale, la lotta del popolo basco per far valere il suo diritto all’autodeterminazione. Tutto ciò è, in definitiva, un altro sintomo della debolezza del potere politico della borghesia imperialista spagnola.

La messa fuorilegge politica, che deve passare per la Cassazione e seguire un lungo iter procedurale, dovrebbe rafforzare e assicurare continuità alla messa fuorilegge giudiziaria che sarà certamente contestata anche sul piano legale (persino il governo autonomo basco ha già depositato il ricorso) sia in Spagna a Madrid che in Europa a Strasburgo. Questa a sua volta ha però permesso al governo del PP di risolvere per ora il problema rapidamente. All’alba del 27 agosto, l’Ertzaintza (la polizia autonoma basca), agli ordini del Governo della Comunità Autonoma Basca (CAV) e le forze repressive comandate da Madrid cominciarono a chiudere sedi e uffici di Batasuna, dopo aver cacciato con la forza i militanti indipendentisti che facevano opposizione. La prima si è incaricata del lavoro nelle province di Vascongadas (Biscaglia, Alava e Guipuzcoa), mentre la Polizia Nazionale e la Guardia Civil hanno fatto lo stesso lavoro in Navarra.(4)

 

4. I Paesi Baschi (Euskal Herria) hanno una superficie di circa 20.850 kmq e una popolazione di circa 2.900.000 abitanti. Comprendono 1. la Comunità Autonoma Basca (CAV) conosciuta anche come Vascongadas con capitale Vitoria (Gasteiz). Essa è formata dalle province di Biscaglia (2.217 kmq e 1.184.000 abitanti), Alava (3.047 kmq e 260.000 abitanti) e Guipuzcoa (1.997 kmq e 698.000 abitanti); 2. La Comunità della Navarra (CFN) con capitale Pamplona (Iruñea) con 10.421 kmq e 527.000 abitanti; 3. I territori di Lapurdi, Zuberoa e Bassa Navarra che fanno parte del Dipartimento francese dei Pirenei Atlantici. Questi territori insieme arrivano a 3.160 kmq e 230.000 abitanti. Le due prime formano Hegoalde o Euskal Herria del sud, mentre i territori baschi francesi costituiscono Iparralde o Euskal Herria del nord. La CAV è retta dallo Statuto di Guernica, mentre Navarra è retta da una costituzione che è un adattamento dei vecchi statuti locali. Questi, come quelli di Alava, furono in parte mantenuti anche dal franchismo, dato l’importante contributo che i carlisti della Navarra e di Alava diedero alla ribellione fascista e alla sua vittoria nella guerra civile. Euskadi è un’altra denominazione dei Paesi Baschi, introdotta da Sabino Arana, il fondatore del PNV, alla fine del secolo XIX.

 

La messa fuorilegge di Batasuna costituisce un primo e grave precedente di soppressione di un partito democratico legale in uno Stato dell’Unione Europea (UE) a partire dalla caduta del fascismo e del nazismo in Italia e Germania (a parte la soppressione del Partito Comunista di Germania decretata dalla Corte Costituzionale nel 1956.(5) Questa misura, chiaramente fascista, dello Stato spagnolo non colpisce solo il movimento democratico e comunista del resto della Spagna.(6) Essa apre la via all’introduzione di nuove misure legali per reprimere anche il movimento democratico e comunista degli altri Stati imperialisti dell’UE. Gli stessi motivi che hanno spinto la Gran Bretagna a tentare di chiudere a tutti i costi “la piaga” dell’Ulster, che spinge la Francia a cercare di chiudere quella della Corsica e ora la  Spagna a lanciare una nuova offensiva per chiudere quella dei Paesi Baschi, spingono ogni Stato imperialista europeo a pacificare a ogni costo “il fronte interno”. Ciò spiega l’appoggio che tutti i governi europei, seguendo l’esempio USA, hanno dato alla messa fuori legge di Batasuna e l’importanza di questo appoggio per lo Stato spagnolo.

 

5. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il Partito Comunista di Germania (KPD) operò pubblicamente nelle zone di occupazione americana, inglese e francese trasformate nel 1949 nella Repubblica Federale Tedesca. Fu messo fuorilegge nel 1956 in base all’articolo 21 della Costituzione della RFT secondo il quale “sono anticostituzionali i partiti che per il loro programma o per il comportamento dei loro membri tendono ad attentare all’ordine liberale e democratico o a sopprimerlo oppure a mettere in pericolo l’esistenza della RFT”. Il partito comunista venne in seguito legalizzato, il 28 ottobre 1968, a condizione che cambiasse nome: assunse il nome di Partito Comunista Tedesco (DKP).

 

6. Qui e nel seguito col termine Spagna indichiamo il territorio dominato dall’attuale Stato spagnolo. I nazionalisti baschi, galiziani e catalani usano il termine Spagna per riferirsi al resto del territorio dominato dallo Stato spagnolo escluse la Galizia, la Catalogna e i Paesi Baschi, per rimarcare che essi non sono spagnoli. Invece la borghesia imperialista spagnola non considera la Spagna solo come uno Stato, ma anche come una unica nazione. In realtà la Spagna come nazione unica non si è mai formata né è mai esistita. L’idea della Spagna come Stato-nazione sorge all’inizio del secolo XIX ad opera della borghesia liberale. I suoi precedenti storici furono l’unione dinastica di Castiglia e Aragona, la conquista e la colonizzazione dell’America, la centralizzazione operata dai Borboni attorno al regno di Castiglia, l’espansione della lingua e della cultura castigliane a scapito delle altre lingue iberiche come il galiziano, il catalano e il basco (euskera). Un po’ alla volta castigliano e spagnolo divennero sinonimi in diversi campi, come quello linguistico. Ciò in contrasto con la decadenza e l’arretratezza dei territori propriamente castigliani e della loro incapacità di fungere da nucleo di una nazione castigliana o spagnola. Questo fatto è il risultato dell’incapacità della monarchia degli Asburgo di creare uno Stato centralizzato moderno, ma, soprattutto, dello sviluppo tardivo, come ben indica Marx in uno dei suoi scritti sulla rivoluzione in Spagna, delle “condizioni specifiche della società moderna”, cioè del ritardo della rivoluzione borghese e dello sviluppo capitalista in Spagna. Questi fattori spiegano anche sia la sopravvivenza delle particolarità linguistiche e culturali collettive in Catalogna, nei Paesi Baschi e in Galizia, sia il tardivo e lento risveglio della loro coscienza nazionale. Di fronte all’esistenza sotto lo Stato spagnolo di altre tre nazioni, all’assenza di una coscienza nazionale castigliana propriamente detta e alla tendenza degli abitanti dei vari territori di lingua castigliana ad adottare, nonostante il radicato particolarismo regionale, la condizione comune di spagnoli quale frutto della comune storia recente, si tende anche nella letteratura democratica ad usare l’espressione nazione spagnola invece di nazione castigliana, ma senza la connotazione sciovinista che le diede il franchismo e che le danno oggi i partiti di destra e di sinistra del regime attuale.

 

Che posizione dobbiamo adottare noi comunisti europei?

Noi dobbiamo non solo appoggiare il movimento di liberazione nazionale dei Paesi Baschi e la sua forma organizzata (il MLNV), protestare contro questa misura antidemocratica della borghesia imperialista spagnola, ma anche denunciare gli Stati imperialisti europei che l’appoggiano e smascherare il legame di questa misura con la guerra che la borghesia imperialista europea conduce contro le masse popolari degli stessi paesi imperialisti oltre che contro quelle dei paesi oppressi e con la preparazione di una nuova guerra interimperialista. Si tratta di un aspetto imprescindibile della lotta per la rinascita del movimento comunista, per affermare da subito la sua indipendenza e contrapposizione rispetto ai gruppi imperialisti europei e ai loro Stati.

In Europa alcune FSRS considerano anacronistici i movimenti di liberazione nazionale nelle nazioni che fanno parte di paesi imperialisti e sostengono che nell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria questi movimenti hanno tutti un carattere reazionario. Alcune assimilano il MLNV alla reazionaria Lega Nord di Bossi o ai movimenti nazionalisti tipo UCK (Kosovo) fomentati dalla borghesia imperialista per smembrare Stati che ostacolano le sue manovre, come l’ex Repubblica Federale Jugoslava e l’URSS e mettere alcuni paesi contro altri per meglio dominarli. Altre, anche se in numero minore, fanno eco alla propaganda imperialista spagnola e considerano il MLNV come un movimento razzista, nazista o fascista. In questo scritto mostreremo che queste valutazioni e questi paragoni sono assolutamente sbagliati. Politicamente essi portano a ritenere che la lotta della borghesia imperialista spagnola per soffocare il MLNV è una contraddizione interna alla borghesia imperialista e quindi distolgono dal mobilitare le masse popolari in solidarietà con esso e soffocano o per lo meno ostacolano la lotta per difendere i diritti democratici che è invece una parte imprescindibile della lotta per il socialismo nei paesi imperialisti della UE.

 

 1.

Nei paesi imperialisti la lotta per il diritto all’autodeterminazione fa parte della lotta per la democrazia e il socialismo

Siamo comunisti, non nasciamo oggi come movimentisti qualsiasi né siamo gente che viene dal nulla. Siamo eredi e continuatori di un movimento che ha più di 150 anni di storia. Incominciamo quindi dall’esame delle posizioni elaborate dal movimento comunista nel campo di cui ci stiamo occupando.

Il marxismo esige che, per analizzare il problema dell’oppressione nazionale, come qualunque altro problema sociale, lo si inquadri nella sua cornice storica concreta e che si tenga conto sia delle particolarità concrete dei movimenti nazionali delle nazioni oppresse sia delle condizioni del movimento comunista a livello internazionale nella concreta epoca storica.

Questo, in primo luogo, comporta che bisogna distinguere con chiarezza due epoche distinte del capitalismo. Da una parte, l’epoca del capitalismo in ascesa, della lotta della borghesia contro il feudalesimo e l’assolutismo. In quest’epoca si formano le nazioni nel senso moderno del termine, si costituiscono per la prima volta movimenti nazionali di massa e si creano gli Stati nazionali. Ciò risponde alla necessità della borghesia di costituire e delimitare il suo mercato e di creare le premesse di uno sviluppo capitalista indipendente e moderno. Dall’altra parte, l’epoca imperialista, di decadenza del capitalismo. In quest’epoca in tutti i paesi europei la rivoluzione democratico-borghese è oramai compiuta e, per dirla con le parole di Lenin, “il capitalismo sviluppato, avvicinando e amalgamando ogni giorno più nazioni già pienamente coinvolte nello scambio commerciale, mette in primo piano l’antagonismo tra il capitale fuso a livello internazionale e il movimento operaio internazionale”.(7) Un’epoca, insomma, nella quale nei paesi imperialisti è all’ordine del giorno la rivoluzione socialista.

 

7. V.I. Lenin, Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione in Opere, vol. 20.

 

Alla luce di queste considerazioni, è evidente che il movimento di liberazione nazionale dei Paesi Baschi, che si sviluppa in piena epoca imperialista, in un paese imperialista e da parte di una nazione oppressa che ha già un’economia capitalista avanzata e una numerosa classe operaia, non ha a che fare con la teoria elaborata da Marx ed Engels sulla questione nazionale durante l’epoca di ascesa del capitalismo. Anche Lenin e Stalin si sono occupati della questione nazionale principalmente nell’ambito del passaggio dalla rivoluzione democratica alla rivoluzione socialista, all’inizio dell’epoca imperialista, quando nella Russia zarista e in altri paesi europei come la Spagna, ma specialmente in Europa Orientale e in Asia, era ancora all’ordine del giorno la rivoluzione democratico-borghese o il suo completamento. Il nostro problema quindi non ha a che fare neanche con le concezioni elaborate a proposito della questione nazionale da Lenin e da Stalin, fatta però eccezione delle loro considerazioni circa la lotta per il diritto all’autodeterminazione di nazioni che degli Stati imperialisti mantengono sottomesse contro la loro volontà. Proprio queste considerazioni ci indicano come inquadrare il caso del movimento di liberazione nazionale dei Paesi Baschi dove, come nel resto della Spagna, non è all’ordine del giorno nessuna rivoluzione democratico-borghese, bensì la rivoluzione socialista.

L’orientamento più chiaro per rispondere a questa domanda ci è dato da Lenin nel suo lavoro Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economismo imperialista” (1916) e in altri suoi scritti della stessa epoca. In essi Lenin attacca Piatakov, Bukharin e altri socialdemocratici russi che sostenevano che nell’epoca imperialista la lotta per la democrazia e la parola d’ordine del diritto all’autodeterminazione erano oramai prive di senso e sostenevano che democrazia e autodeterminazione erano oramai irrealizzabili. Questa concezione era ideologicamente analoga a quella sostenuta dagli “economisti” negli anni 1894-1902 ed era già stata sostenuta con vari sotterfugi e in varie sfumature negli anni 1903-1913 da opportunisti russi (Gvozdiev, Martov e Ckheidze) che continuavano a sostenerla anche durante la guerra.(8)

 

8. Gli “economisti” russi degli anni 1894-1902 erano una corrente che sosteneva che gli operai dovevano astenersi dalla lotta politica giustificando questo con argomenti basati sui rapporti economici. In sostanza concepivano in modo sbagliato la relazione tra il movimento politico e il  movimento economico della società; ne avevano una concezione schematica, deterministica, a senso unico.

 

Secondo Lenin, l’affermazione che il diritto delle nazioni all’autodeterminazione è irrealizzabile dentro i limiti del capitalismo può interpretarsi in un senso assoluto, come “economicamente impossibile” cioè incompatibile con l’ordinamento economico o in un senso relativo, come “politicamente impossibile” cioè contrastante con l’indirizzo politico prevalente. Nel primo caso, tale affermazione è radicalmente sbagliata anche dal punto di vista teorico. Il dominio del capitale finanziario, come quello del capitale in generale, non può essere eliminato con nessuna trasformazione nella sfera della democrazia politica, sfera alla quale appartiene interamente ed esclusivamente il diritto all’autodeterminazione, ma solo con la rivoluzione socialista, condizione indispensabile per farla definitivamente finita con ogni genere di oppressione nazionale. “Pertanto - afferma Lenin - ogni argomentazione sull’irrealizzabilità nel senso economico sotto il capitalismo di una delle rivendicazioni della democrazia politica, non è altro che una definizione teoricamente inesatta delle relazioni generali e basilari tra il capitalismo e la democrazia politica in generale”.(9)

 

9. V.I. Lenin, Bilancio della discussione sul diritto all’autodeterminazione in Opere, vol. 22.

 

Dal punto di vista politico poi, quella dell’impossibilità è un’affermazione inesatta e parziale, perché - afferma Lenin - “non solo il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, bensì tutte le rivendicazioni fondamentali della democrazia politica sono “realizzabili” anche nell’ambito dell’imperialismo, ma in forma incompleta, deformata e come rara eccezione (per esempio, quando la Norvegia si separò dalla Svezia nel 1905)”.(10) Lenin, pur riconoscendo che quelle rivendicazioni democratiche sono difficili da realizzare per ragioni politiche o che sono irrealizzabili senza il concorso di una serie di rivoluzioni, non conclude da ciò che la socialdemocrazia deve rinunciare alla lotta immediata e decisa per tutte quelle rivendicazioni, compresa quella del diritto all’autodeterminazione. Secondo lui quella rinuncia gioverebbe solo alla borghesia e alla reazione. Egli giustamente sostiene, al contrario, “la necessità di formulare e mettere in pratica queste rivendicazioni, ma non alla maniera riformista, bensì al modo rivoluzionario; di non lasciarsi rinchiudere nella cornice della legalità borghese, ma di romperla; di non limitarsi agli interventi parlamentari e alle proteste verbali, ma di attrarre le masse alla lotta attiva, ampliando e ravvivando la lotta per ogni rivendicazione democratica fondamentale fino all’attacco diretto del proletariato contro la borghesia, cioè fino alla rivoluzione socialista che espropria la borghesia”.(11) Con ciò Lenin vuole mettere ben in chiaro che tutte quelle rivendicazioni, benché nell’ambito dell’imperialismo siano difficili da conquistare e siano limitate e precarie, con la lotta rivoluzionaria resta tuttavia possibile conquistarle. Il caso della separazione della Norvegia dalla Svezia, conquistata “senza guerra e senza rivoluzione” (12) e resa possibile dalla ferma posizione internazionalista degli operai svedesi e dalla situazione imperialista internazionale (Gran Bretagna, Russia e Germania erano tutte interessate all’indipendenza norvegese), è secondo Lenin “una rara eccezione”. Lenin indicava anche che la rivendicazione dell’immediata liberazione delle colonie, formulata allora da tutti i socialdemocratici rivoluzionari, era “irrealizzabile nell’ambito del capitalismo senza una serie di rivoluzioni”. Cosa che è stata pienamente confermata dal fatto che fu la Rivoluzione d’Ottobre che diede slancio alla lotta anticoloniale e che, qualche anno dopo, la vittoria dell’URSS sul nazi-fascismo e la costituzione del campo socialista cambiarono a favore della rivoluzione e della lotta di liberazione nazionale la correlazione delle forze a  livello mondiale. Nonostante ciò i paesi coloniali dovettero impugnare le armi e nella maggioranza dei casi dovettero condurre una sanguinosa e dura lotta contro l’imperialismo.

 

10. V.I. Lenin, ibidem.

 

11. V.I. Lenin, ibidem.

 

12. V.I. Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione in Opere, vol. 22.

 

Queste concezioni di Lenin contrastano chiaramente con le tesi di quelli che considerano come anacronistica in Europa la lotta di una nazione oppressa da uno Stato imperialista per il diritto all’autodeterminazione. Esse contrastano anche con i discorsi di quelli che ritengono impossibile o si mostrano scettici circa la possibilità che una piccola nazione oppressa possa sottrarsi allo Stato e separarsi dalla nazione che l’opprimono. Per Lenin la chiave perché questa possibilità possa trasformarsi in realtà sta nella lotta del popolo oppresso per quel suo diritto.

Nella seconda parte di questo scritto mostreremo che il MLNV ha ampiamente dimostrato di essere il promotore, l’organizzatore e il portavoce politico della lotta del popolo basco per far valere il suo diritto all’autodeterminazione, in conformità con una diffusa aspirazione che si è manifestata in più modi e circostanze e nel corso di un lungo periodo. Da tempo la borghesia imperialista spagnola mantiene con la forza i Paesi Baschi sotto il suo Stato e rifiuta ogni misura che permetta la libera espressione della volontà del popolo basco. Questa sua ostinazione è un’espressione del suo carattere antidemocratico, reazionario e brigantesco espresso anche contro le altre nazioni oppresse e contro le stesse masse popolari spagnole e concorre a rafforzarlo.

 

2.

Il MLNV ha un carattere democratico e progressista

Abbiamo fin qui visto le concezioni generali con cui il movimento comunista ha affrontato la questione dell’autodeterminazione delle nazioni, del loro diritto a separarsi e costituire Stati a se stanti nell’epoca imperialista e in paesi imperialisti. Chiunque si dice comunista, e lo dice in modo serio, non può prescindere dalle concezioni del movimento di cui si dichiara parte, che costituiscono parte della sua identità. Vediamo ora su che cosa basiamo la nostra convinzione che in concreto oggi è giusto e necessario che i comunisti appoggino la lotta del popolo basco per l’autodeterminazione e il MLNV che ne è l’espressione.

Da dove è nata questa lotta? Quanto l’autodeterminazione nazionale è effettivamente un’aspirazione del popolo basco? È vero che la borghesia imperialista spagnola da tempo mantiene a forza il popolo basco sotto il proprio Stato e l’opprime anche come nazione?

Gli imperialisti spagnoli e francesi e i loro portavoce sciovinisti della sinistra, per ottenere l’appoggio delle masse contro il movimento di liberazione nazionale basco, normalmente mettono in avanti la parentela dello stesso col movimento reazionario e clericale carlista.(13) Essi si appoggiano persino sulla caratterizzazione che Marx ed Engels fecero del carlismo come movimento controrivoluzionario. In realtà Marx ed Engels distinsero chiaramente la lotta del popolo basco per difendere le libertà popolari che già nel Medioevo aveva strappato con le sue lotte ai monarchi e ai signori feudali della Castiglia, della Francia o della Navarra, raccolte negli Statuti (Fueros),(14) dalla strumentalizzazione che di quella lotta popolare la reazione monarchico-feudale fece in Spagna, come in Francia e in  altri paesi europei aveva sfruttato analoghe lotte popolari contro la Rivoluzione del 1789 e la sua estensione negli altri paesi europei e come in Italia, dopo il 1860, il Papato e i Borboni strumentalizzarono la lotta dei contadini del Meridione per la terra e in difesa dei loro diritti sulle terre demaniali ed ecclesiastiche (già allora la classe dominante chiamò briganti i rivoltosi e brigantaggio la loro guerra).

A Marx (che aveva ben studiato la cacciata dei contadini dalle terre in Gran Bretagna) e a Engels non era sfuggito che il contadino povero, legato ad antiche forme di sfruttamento della terra, vedeva negli usi e nelle abitudini sanciti dagli Statuti un baluardo contro l’avidità dei contadini ricchi e dei borghesi delle città. Questi, in nome della proprietà privata, desideravano sopprimere gli Statuti per impadronirsi delle terre comuni, dei demani municipali e delle proprietà della Chiesa di cui i contadini poveri facevano uso. Per questo il contadino povero di Vascongadas e di Navarra assieme agli artigiani, alla piccola nobiltà e al basso clero si univa sotto le bandiere del carlismo alla media e alta nobiltà e all’alto clero baschi, alla Chiesa e a una parte importante della media e bassa nobiltà di alcune regioni spagnole, anche in difesa della monarchia assoluta e del pretendente al trono, il principe Don Carlos di Borbone. D’altra parte l’aristocrazia latifondista di Castiglia, Andalusia ed Estremadura, che fin dal 1830 tendeva già a stabilire un’alleanza con gli strati più alti della borghesia commerciale, non appoggiava il carlismo. Solo in un contesto simile, nel quale un popolo si trasforma inconsapevolmente in strumento della controrivoluzione, si può capire come mai Engels si commuova davanti a un così tragico destino e si riferisca ai baschi come “residuati di una nazione spietatamente calpestata dalla storia”.(15)

 

13. Nel 1833, alla morte del re Ferdinando VII, il fratello di questi, don Carlos di Borbone, rifiutò di riconoscere la successione di Isabella, figlia di Ferdinando, appoggiata dalla borghesia liberale e dalla grande nobiltà che stava oramai fondendosi con la grande borghesia. Don Carlos raccolse l’appoggio dell’alto clero spagnolo e di tutta l’ala monarchico-reazionaria del paese. Grazie a questo appoggio per quasi quattro decenni scatenò ripetutamente guerre per impadronirsi del potere. Ad un certo punto i carlisti presero posizione a favore dei particolarismi e degli Statuti locali contro l’accentramento che il governo di Madrid stava realizzando. Da quel momento il carlismo divenne anche il portavoce politico della resistenza dei contadini, in particolare di quelli della Navarra e delle altre province basche, contro l’abolizione dei loro diritti tradizionali.

 

14. Gli Statuti (Fueros) erano un insieme di norme regolatrici della vita politica, amministrativa, giuridica ed economica, “concesse” dai monarchi della Castiglia, della Navarra e della Francia al popolo. Di essi si avvantaggiavano sia i contadini e i borghesi sia la nobiltà basca.

 

15. Citato in Marx e i nazionalismi separatisti, San Miguel, Bilbao, 1974.

 

La reazione monarchico-feudale non aveva prospettive di vittoria a lungo termine e il movimento carlista (come centro della reazione monarchico-feudale) perse definitivamente la partita alla fine degli anni ‘70 del secolo XIX. Invece la lotta del popolo basco contro la borghesia spagnola per i suoi diritti, per le sue tradizioni e per la sua identità continuò diretta dal clero e dalla piccola nobiltà basche. Con l’avanzata della trasformazione borghese del paese basco stesso, la sua direzione venne gradualmente assunta dalla piccola e media borghesia locale, mentre la grande borghesia industriale e finanziaria basca si fondeva completamente con quella spagnola. Nel 1895 fu fondato il Partito Nazionalista Basco (PNV), diretto da Sabino Arana. Il nazionalismo basco, benché rompesse col carlismo dal momento che si pose l’obiettivo dell’indipendenza dei Paesi Baschi (“Euskadi è la nostra patria, noi non siamo né spagnoli né francesi”), restò ancora a lungo segnato ideologicamente dall’influenza che il carlismo aveva tra la popolazione basca, specialmente quella rurale, con il suo clericalismo e la sua ostilità verso gli operai, dall’impatto dell’industrializzazione sulla vita rurale e dalla persistenza nel popolo del ricordo degli Statuti persi.(16) Lo conferma anche il fatto che, assieme alla parola d’ordine dell’indipendenza di Euskadi come patria dei baschi, il PNV adottò il motto del movimento carlista “Dio e l’antica legge” che si riferiva alla religione e agli Statuti. Di essi il PNV rivendicò la restaurazione fino a una data ben avanzata della II Repubblica (1931-1939).

 

16. Mentre il PNV si radicò in Vascongadas e soprattutto nella provincia di Biscaglia, il carlismo mantenne come suo feudo la Navarra, la Vandea spagnola, dove gli Statuti non furono aboliti che parzialmente. La sopravvivenza del carlismo come movimento di massa in Navarra fino agli anni ‘60 del secolo XX si spiega, soprattutto, per il carattere agrario della stessa e la sua tardiva industrializzazione. Ancora oggi il PNV non è riuscito a radicarsi in Navarra, mentre, al contrario, vi si è radicato il MLNV.

 

Il PNV si liberò da alcune influenze ideologiche carliste solo man mano che avanzava il processo di industrializzazione dei Paesi Baschi. A ciò contribuirono anche l’afflusso nelle sue fila di professionisti e di impiegati e l’influenza esercitata sui lavoratori baschi dal PSOE e dall’UGT (Unione Generale dei Lavoratori). La graduale proletarizzazione dei contadini poveri e degli artigiani baschi e l’arrivo massiccio di operai immigrati dalla Castiglia e da altre regioni  spagnole verso le miniere e le fabbriche della Biscaglia, indussero il PNV a impegnarsi a preservare gli operai euskaldunes (17) dalla “influenza perniciosa del socialismo e del comunismo”.

 

17. Col termine euskaldún si indicano quelli che parlano la lingua basca, lo euskera.

 

18. Il SOV nel 1933 cambiò il suo nome in Solidarietà dei Lavoratori Baschi (STV) per aggregare anche il Sindacato degli Impiegati Baschi.

 

L’antioperaismo iniziale si trasformò allora nel PNV in avversione e discriminazione razzista nei confronti degli operai non di origine basca. Nel 1914 il PNV costituì il sindacato Solidarietà degli Operai Baschi (SOV).(18) Contemporaneamente però il PNV moderò il suo discorso indipendentista per ottenere l’appoggio della borghesia industriale basca e adottò una posizione possibilista o gradualista. La nuova composizione di classe propria della società borghese si faceva insomma largo, sia pure per vie tortuose, anche nei Paesi Baschi e nel loro movimento politico.

Durante la II Repubblica spagnola (1931-1939), il PNV, stante i suoi legami col clero, per un po’ si alleò col movimento carlista che in Navarra era rimasto una forza reazionaria e si schierò contro le leggi progressiste che abolivano i privilegi della Chiesa, come quella della separazione tra Chiesa e Stato e quella sulle congregazioni religiose. Il PNV ruppe l’alleanza coi carlisti quando i municipi baschi cominciarono a elaborare lo Statuto di Autonomia. Questo fu accolto molto favorevolmente in Vascongadas, ma non in Navarra per cui si applicò solo alle tre province di Alava, Guipuzcoa e Biscaglia. Nonostante gli intralci frapposti da repubblicani e socialisti, il 5 novembre ‘33 venne sottoposto a referendum. Ottenne il consenso dell’84% degli elettori e lo stesso mese venne presentato alla Camera dei deputati di Madrid perché lo approvassero.

Nel 1934 però nella Repubblica il potere cadde in mano al partito di destra Confederazione dei Diritti Autonomi (CEDA) che, nell’intento di instaurare il fascismo per via parlamentare, cercò di annullare tutte le conquiste strappate dalle masse da quando nel 1931 era stata proclamata la Repubblica e in particolare impedì l’approvazione dello Statuto di Autonomia dei Paesi Baschi. Nonostante questo il PNV non si unì al grande movimento popolare di protesta che culminò nello sciopero insurrezionale dell’ottobre ‘34, ma si tenne in disparte. Un comportamento che annunciava la linea che avrebbe seguito negli anni successivi.

Quando scoppiò la rivolta fascista (18 luglio 1936), la maggioranza dei dirigenti del PNV non si schierò per la Repubblica, ma sostenne che il conflitto non riguardava i Paesi Baschi. Il loro atteggiamento fu molto favorito dal fatto che la Repubblica non riconobbe subito lo Statuto di Autonomia. Fu solo il primo governo di Fronte Popolare, costituito nell’ottobre ‘36, che lo riconobbe dietro pressione del Partito Comunista.(19) La costituzione nel 1935 del Partito Comunista di Euskadi ebbe anch’essa una grande importanza perché indebolì molto l’influenza del nazionalismo borghese sul popolo basco.(20) I comunisti baschi non solo impugnarono la bandiera del diritto dei Paesi Baschi all’autodeterminazione, ma la legarono alla lotta per la liberazione sociale dei lavoratori e all’internazionalismo  proletario e lottarono conseguentemente in difesa dei Paesi Baschi contro il fascismo. Tutto questo contribuì a indebolire l’influenza della socialdemocrazia, molto forte nella provincia di Biscaglia e a unire il proletariato basco.

Sotto la pressione della crescente influenza dei comunisti baschi sulle masse popolari basche e della sua stessa base popolare nazionalista, il PNV quando il governo di Fronte Popolare riconobbe lo Statuto di Autonomia prese posizione a favore della Repubblica, ma sempre con esitazioni dovute alla paura della lotta rivoluzionaria del proletariato.(21) Questo si manifestò nella sua tendenza a capitolare davanti ai fascisti, tendenza che la borghesia nazionalista basca condivideva con la borghesia repubblicana catalana e spagnola; nella sua opposizione alla costituzione di un comando unico dell’esercito repubblicano; nella sua tendenza a salvare i fascisti dalla giustizia popolare e a proteggere le loro proprietà, che portò i dirigenti del PNV a opporsi alla distruzione degli Alti Forni di Biscaglia e di altre grandi fabbriche anche davanti all’avanzata delle truppe fasciste, fino al punto da inviare le loro milizie contro i comunisti e altri antifascisti. Il popolo basco non ha mai dimenticato la resa del 1937, a Santoña, dei battaglioni del PNV, che costituivano un terzo dell’intero esercito basco, alle truppe fasciste italiane, mentre comunisti, socialisti, anarchici e nazionalisti di ANV (22) continuavano la lotta, trasferendosi su altri fronti.

 

19. Il Fronte Popolare aveva vinto le elezioni del 16 febbraio ‘36, ma solo in ottobre l’intera coalizione del FP entrò a far parte del governo.

 

20. Data l’importanza del problema delle nazioni oppresse per la rivoluzione in Spagna e l’influenza del nazionalismo borghese sul proletariato e altri settori delle masse popolari, l’Internazionale Comunista consigliò sia la costituzione di un partito comunista in ognuna delle nazionalità oppresse, sia la loro stretta unione col PCE, in modo da non ostacolare l’esigenza di un centro dirigente della lotta rivoluzionaria contro il comune nemico. Per primo fu costituito nel 1932 il Partito Comunista di Catalogna (PCC). Nel 1935 fu costituito il Partito Comunista di Euskadi, con il compito di combattere sia l’influenza del nazionalismo borghese sul proletariato basco sia lo sciovinismo spagnolista del PSOE e dell’UGT, molto influenti tra gli operai delle grandi fabbriche di Biscaglia. Senza vincere queste due tendenze era impossibile unire la classe operaia in un unico fronte di classe. Il PC di Euskadi fece parte del primo governo autonomo basco ed ebbe un gran peso nella resistenza dell’esercito basco di fronte alle truppe fasciste, benché in alcuni momenti tendesse ad assoggettarsi al PNV come il PCE tendeva ad assoggettarsi alla borghesia, soprattutto durante la fase finale della guerra. Nel 1936, secondo gli stessi criteri, fu costituito il Partito Comunista della Galizia.

 

21. Perfino dopo avere preso partito a favore della Repubblica, per alcuni mesi i dirigenti del PNV mantennero contatti con il Governo fascista installato a Burgos offrendo di cambiare campo se il governo di Burgos riconosceva l’autonomia dei Paesi Baschi.

 

22. Azione Nazionalista Basca (ANV) fu una scissione del PNV, del 1930. Era, allora, un movimento della piccola borghesia nazionalista, liberale e laica. Per reazione al confessionalismo e al clericalismo del PNV si dichiarò oltre che indipendentista anche aconfessionale. Fu sempre disposta a collaborare con i partiti repubblicani spagnoli. Fece parte del Fronte Popolare e del primo governo autonomo basco. Nel 1978 entrò a far parte di Herri Batasuna.

 

Dopo la vittoria dei franchisti, il nuovo regime sottopose i Paesi Baschi a una repressione particolarmente feroce. Alla repressione di classe si combinò e si aggiunse la repressione nazionale. Essa colpì anche il clero basco vicino al nazionalismo e la popolazione della Navarra di lingua basca. Ogni manifestazione della particolarità nazionale (l’uso della lingua basca in strada e nelle scuole, le pubblicazioni in basco persino quelle religiose, le manifestazioni culturali, le insegne e le bandiere, ecc.) venne vietata e crudelmente repressa col ferro e col fuoco. Il regime franchista perseguì insomma una sistematica politica di cancellazione di ogni traccia dell’identità nazionale e anche a questo fine favorì l’immigrazione da altre regioni. Una linea simile a quella seguita dal regime fascista italiano in Alto Adige contro i tedeschi e nel Friuli-Venezia Giulia, in Istria e in Dalmazia contro gli sloveni e i croati.

Di fronte a questa situazione il PNV restò sostanzialmente in una posizione di attesa simile a quella seguita in Italia durante il regime fascista dagli esponenti dei partiti borghesi, in particolare da quelli del disciolto Partito Popolare (cattolici ligi al Vaticano). Anche durante la II Guerra Mondiale i suoi esponenti si limitarono a fare progetti di lotta armata contro il franchismo che rimasero sempre sulla carta e a prendere contatti con agenzie USA, inglesi e vaticane e rendere ad esse servigi nel campo dello spionaggio confidando che i Paesi Baschi sarebbero arrivati all’indipendenza grazie alle Potenze Alleate.

Contro questa situazione, dalle file stesse del PNV insorse una corrente di giovani nazionalisti. Essi nel 1958 costituirono Euskadi Ta Askatasuna (ETA). Raccogliendo la tradizione dei partigiani baschi (gudaris), molti dei quali comunisti, che si erano battuti durante la guerra civile, la guerriglia antifranchista e la Resistenza contro i nazisti in Francia, ETA prese in mano la lotta del popolo basco contro il fascismo e per la liberazione dei Paesi Baschi, mentre il PCE veniva distrutto dai seguaci di Carrillo che inalberavano la bandiera della “riconciliazione nazionale”.

All’inizio la rottura di ETA col PNV fu più una rottura organizzativa e generazionale che ideologica. Né poteva essere diversamente dopo tanti anni di assenza di un vero partito comunista che assumesse e promuovesse conseguentemente la lotta contro il fascismo e per il diritto dei Paesi Baschi all’autodeterminazione come aveva fatto il Partito Comunista  di Euskadi durante il periodo repubblicano. Questo, decimato dalla repressione, da tempo era stato definitivamente liquidato dagli opportunisti della direzione del PCE col pretesto che era influenzato dal nazionalismo. Cosa che, assieme alla liquidazione del PSUC,(23) spianò la strada al revisionismo di Carrillo perché gli permise di centralizzare il suo lavoro di liquidazione e di distruggere più facilmente il PCE.

Tuttavia presto ETA cominciò a staccarsi dall’eredità del nazionalismo del PNV anche ideologicamente, sotto l’influenza del movimento comunista e dei movimenti di liberazione nazionale più avanzati delle colonie e dei paesi oppressi. ETA diede inizio a una marcia che ha portato il MLNV a staccarsi sempre più dal nazionalismo borghese e ad accostarsi al movimento comunista. Questa marcia è in corso ancora oggi e, come vedremo, è una questione di vita o di morte per il MLNV.

Già negli anni ‘60 ETA assunse un carattere apertamente antifascista e progressista. Nella sua V Assemblea, nel 1966, si definì addirittura un’organizzazione socialista e marxista-leninista, condannò il nazionalismo ristretto della piccola borghesia e rivendicò la sua solidarietà coi popoli spagnolo e francese in lotta contro l’oppressione dell’oligarchia finanziaria. In quella Assemblea, ETA proclamò anche che la classe operaia è la classe più rivoluzionaria e quella che pertanto doveva dirigere la Rivoluzione Basca, cioè la lotta per il socialismo.(24) Fu precisamente in quella Assemblea che ETA adottò una struttura interna frontista, ad imitazione del movimento di liberazione nazionale vietnamita, costituendosi in un’organizzazione politico-militare.

 

23. Il Partito Socialista Unificato di Catalogna (PSUC) fu costituito nel luglio 1936 su consiglio dell’IC. Vi confluirono l’Unione Socialista di Catalogna (USC), la Federazione Catalana del PSOE, il Partito Comunista Proletario (PCP) e il Partito Comunista di Catalogna (PCC). La sua formazione fu motivata dalle particolari condizioni della Catalogna. Infatti c’era un proletariato molto numeroso ma diviso e influenzato dall’anarchismo e anche il nazionalismo borghese aveva molta influenza tra le masse popolari. Il PSUC fu diretto fin dall’inizio da Joan Comorera, morto nel campo di sterminio di Burgos nel 1958. Il grande lavoro fatto dal PSUC lo trasformò in poco tempo nel più importante partito operaio di massa della Catalogna e nel pilastro fondamentale della resistenza al fascismo. La sua fondazione e attività ridussero notevolmente l’influenza anarchica sulla classe operaia. Fin dalla sua fondazione il PSUC proclamò la sua adesione ai principi del marxismo-leninismo e all’Internazionale Comunista a cui in breve tempo venne ammesso. La formazione del PSUC e la sua ammissione, al pari dei partiti delle altre nazionalità, come membro di pieno diritto dell’IC fino alla sua dissoluzione (1943), non furono di ostacolo a mantenere una stretta relazione col PCE. Negli anni ‘40, a seguito di un complotto organizzato da dirigenti opportunisti del PCE, una cricca di uomini di Carrillo e di suoi seguaci nel PSUC che aveva il controllo degli apparati dell’esterno e dell’interno, Joan Comorera e altri dirigenti furono destituiti dalla direzione, espulsi e denigrati in modo infame.

 

24. Paulo Iztueta e Jokin Apalategui, Il marxismo e la questione nazionale basca, Itxaropena, Zarauz, 1977.

 

ETA si dedicò inizialmente a un lavoro interno di formazione politica, alla propaganda e a operazioni di sabotaggio. La prima azione armata importante di ETA fu l’esecuzione il 2 agosto 1968, dieci anni dopo la sua costituzione, di Melitón Manzanas, noto torturatore di antifascisti, nazionalisti e comunisti. Ma il colpo più audace e importante, per le sue ripercussioni politiche, fu l’azione compiuta a Madrid nel dicembre 1973 contro il capo del governo franchista, Carrero Blanco.

La repressione del regime contro ETA fu particolarmente sanguinosa. Molti militanti furono assassinati dalla polizia politica e dalla Guardia Civil e molti altri vennero sadicamente torturati. Nel 1970 in un processo sommario del Tribunale militare di Burgos il regime condannò a morte 6 membri di ETA ma non osò eseguire la sentenza stante la grande mobilitazione popolare che vi fu nei Paesi Baschi, in Spagna e a livello internazionale. Il 27 settembre 1975, dopo un altro processo sommario del Tribunale militare di Burgos contro militanti di ETA e un altro a Madrid contro militanti antifascisti del FRAP (Fronte Rivoluzionario Antifascista e Patriottico), due membri di ETA e tre attivisti antifascisti vennero fucilati, mentre ad altri la pena di morte venne commutata in ergastolo. La mobilitazione popolare  contro questi assassinii nei Paesi Baschi, in Spagna e nel resto d’Europa, assieme alle azioni armate condotte da ETA nei Paesi Baschi e dai GRAPO (Gruppi di Resistenza Antifascista Primo Ottobre) il 1° ottobre mentre il regime festeggiava la sua orgia di sangue nella piazza d’Oriente a Madrid, obbligarono il regime ad annullare molti altri giudizi sommari che aveva già posto in calendario e fecero fallire la sua campagna terroristica.

Questi avvenimenti conclusero una prima tappa della lotta del MLNV contro la borghesia imperialista spagnola. In quella fase il MLNV non solo contribuì in modo decisivo, assieme al movimento di resistenza delle masse operaie e popolari dei Paesi Baschi e del resto della Spagna, a obbligare la borghesia spagnola a cambiare regime ma sviluppò la coscienza nazionale del popolo basco e diede un grande impulso alla lotta rivoluzionaria del proletariato e dei movimenti di liberazione nazionale anche delle altre nazioni oppresse.(25)

 

25. La lotta del popolo basco e in particolare del MLNV ebbe un ruolo decisivo nel costringere la borghesia imperialista spagnola a riconoscere alcune prerogative alle nazioni oppresse, sia pure limitate nell’ambito degli Statuti di Autonomia. Per non riconoscere apertamente il diritto della Catalogna, della Galizia e dei Paesi Baschi all’autodeterminazione nazionale, essa ha decentralizzato l’apparato amministrativo dello Stato e ha creato un sistema di autonomie regionali in tutta la Spagna.

 

Dopo la morte di Franco alla fine del 1975, l’oligarchia spagnola per salvare il salvabile lanciò la Riforma e in particolare dovette riconoscere alle nazioni oppresse una certa autonomia al fine di placare la loro lotta per il pieno riconoscimento dei loro diritti nazionali. ETA però non abboccò all’esca, non pose termine alla sua attività armata ma la rafforzò. Allo stesso tempo, approfittando della libertà di azione che la lotta popolare aveva imposto alla borghesia imperialista spagnola, favorì la formazione di altri fronti di lotta per promuovere un vasto movimento di liberazione nazionale. Allora, esattamente il 27 aprile 1978, si costituì Herri Batasuna (HB, Unità Popolare).

Contemporaneamente si costituirono varie organizzazioni di massa di tipo settoriale: il sindacato LAB, Gestoras pro Amnistia (organizzazione di appoggio ai prigionieri messa fuorilegge nel dicembre 2000 e sostituita da Askatasuna); l’organizzazione giovanile Jarrai sostituita più tardi da Haika e poi da Segi man mano che il governo spagnolo metteva fuorilegge; Egizan, organizzazione delle donne; Eguzki, organizzazione ecologista; Ikasle Abertzaleak, organizzazioni degli studenti, per citare solo le più note. Senza dimenticare il quotidiano Egin, soppresso dal governo di Madrid nel luglio 1998 e sostituito poco dopo da Gara, la stazione radiofonica Egin Irratia e la rivista di denuncia Ardi beltza.

La formazione di Herri Batasuna come coalizione elettorale fu un passo molto importante per la costituzione e il consolidamento del MLNV. In essa confluirono quattro organizzazioni di differente indirizzo politico (Partito Socialista Rivoluzionario Popolare (HASI), Partito Rivoluzionario dei Lavoratori Patrioti (LAIA), Euskal Socialista Biltzarea (ESB) e Azione Nazionalista Basca (ANV)), diverse personalità politiche basche e le prime giunte o comitati di appoggio che cominciarono a crearsi in varie località. Il compito che HB si assegnò fu quello di servire da asse alla mobilitazione popolare e di agire come una coalizione elettorale e di lottare per l’unità e il rafforzamento della sinistra indipendentista basca. HB col tempo si andò dotando di una struttura di unità di base nei villaggi e nei quartieri a funzionamento assembleare. Per vari anni, fino al 2 giugno 1986 in cui fu riconosciuta dalla Cassazione, HB fu costretta a essere formalmente un’organizzazione illegale. Questo non le impedì però di realizzare un lavoro aperto e perfino legale, presentarsi alle elezioni e compiere un’ampia attività.

La prima campagna di HB fu contro la Costituzione. Nel referendum indetto il 6 dicembre 1978 dall’oligarchia spagnola per fare approvare il nuovo regime con cui voleva sostituire il franchismo, HB chiamò a votare no. Considerando assieme le tre province di Vascongadas e Navarra (cioè tutto Hegoalde), la Costituzione fu respinta da più del 65% degli elettori. L’attuale Costituzione spagnola quindi non è mai stata approvata dai baschi.

HB si presentò agli elettori per la prima volta nelle elezioni politiche generali del 1° marzo 1979 e ottenne in Hegoalde 174.600 voti su 1.911.000 elettori, di cui 634.000 si astennero. Essa divenne la quarta forza politica di Hegoalde dopo il  PNV (290.000 voti), l’Unione del Centro Democratico (UCD, 254.000 voti) e il PSOE (246.000 voti). La partecipazione alle elezioni politiche generali era stata decisa dopo un intenso e ampio dibattito e alla condizione che gli eletti non avrebbero preso possesso dei loro seggi a Madrid: in effetti li occuparono solo eccezionalmente. Nelle liste dei candidati figuravano 4 membri di ETA prigionieri, cosa che da allora divenne abituale. Un mese più tardi, nelle elezioni municipali del 3 aprile 1979 in Hegoalde HB raccolse 223.000 voti e divenne la seconda forza politica dietro il PNV che ottenne 360.000 voti.

Il regime rispose ai primi successi di HB con attentati delle forze di polizia e di formazioni squadriste contro i suoi militanti, i suoi dirigenti e gli eletti, assassinando e ferendo vari di essi. Molti suoi membri subirono arresti, perquisizioni e fermi.

Nel marzo 1980 ebbe luogo il referendum sullo Statuto di Autonomia per Vascongadas, con l’esclusione della Navarra (lo Statuto di Guernica, dal nome della città dove si trova la quercia millenaria sotto la quale già nel Medioevo si riuniva l’assemblea popolare della Signoria di Biscaglia, rasa al suolo dall’aviazione nazista nel dicembre 1936). Tutte le forze politiche, eccetto HB, chiamarono ad approvarlo, ma solo il 53% degli elettori si pronunciò a favore. Nelle prime elezioni autonomistiche di Vascongadas, il 9 marzo 1980, HB risultò comunque la seconda forza politica. Essa ottenne buoni risultati anche nelle prime elezioni del Parlamento della Navarra.

Quando nel 1982 Felipe González divenne capo del governo di Madrid sull’onda di 10 milioni di voti ricevuti dal PSOE, la borghesia imperialista spagnola approfittò delle illusioni riposte dalle masse popolari in quel partito per compiere un’ampia campagna di assassinii selettivi di militanti di ETA e della sinistra indipendentista basca in Francia, Spagna e in alcuni paesi dell’America latina, come il Venezuela. Essa mobilitò sia le forze ufficiali di polizia sia squadroni della morte creati appositamente (GAL). Santi Brouard, presidente di HB, venne assassinato il 20 novembre 1984. Cinque anni più tardi nello stesso giorno, benché il 2 giugno 1986 dopo ripetuti tentativi di evitarlo la Cassazione avesse infine registrato legalmente l’esistenza di HB, i parlamentari di HB furono bersaglio di un attentato promosso dalla polizia mentre andavano a presentare le loro credenziali a Madrid, Josu Muguruza, massimo responsabile di HB, restò ucciso mentre un altro dirigente di HB rimase gravemente ferito.

Nonostante questo HB realizzava un gran lavoro di mobilitazione a favore dei prigionieri politici baschi, contro il terrorismo di Stato, per il no nel referendum sull’adesione della Spagna alla NATO, contro l’autostrada di Leizarán, ecc. In Hegoalde, nel referendum sulla NATO, celebrato in tutta la Spagna il 12 marzo ‘86, il rifiuto della NATO fu massiccio: su 2.025.417 elettori, ci furono solo 434.553 sí, 828.721 no e 762.143 voti nulli, in bianco o astenuti.

Nelle prime elezioni al Parlamento Europeo, dopo l’entrata della Spagna nella CEE, il 10 giugno di 1987, HB si presentò in tutto lo Stato spagnolo perché la legge elettorale contemplava un’unica circoscrizione. Ottenne 363.000 voti, di cui 112.000 fuori da Hegoalde. Questo dà un’idea della simpatia che il MLNV riscuoteva nel resto della Spagna, in particolare in Catalogna, dove HB ottenne quasi la metà dei 112.000 voti.(26)

 

26. Nelle elezioni europee del 15 giugno ‘89 Euskal Herritarrok ottenne in Hegoalde solo 216.000 voti e solo 53.000 nel resto della Spagna. Ciò a causa dell’effetto negativo di un attentato compiuto da ETA in un supermercato di Barcellona. La polizia, benché avvisata per tempo della presenza di una bomba, non diede l’allarme e non fece sfollare l’edificio in modo che ci fu un gran numero di vittime: così lo Stato poté fare una grande campagna contro ETA.

 

Il contributo di HB alla lotta dell’insieme del MLNV è stata molto importante. Grazie al suo abile uso della legalità, alla tattica flessibile con cui a seconda dei casi ha combinato il boicottaggio con la partecipazione alla vita delle istituzioni per denunciare la repressione e all’ampia e attiva partecipazione di tutti i suoi membri e della sua base sociale popolare alle assemblee con cui ha supportato le sue decisioni, essa ha saputo conquistare l’appoggio di una parte importante dei lavoratori baschi.

 Riassumendo, nel periodo del governo dello PSOE (1982-1996) il MLNV nel complesso riuscì a far fronte con successo alle ripetute offensive squadristiche e repressive dello Stato spagnolo condotte dal governo del PSOE con la stretta collaborazione del governo autonomo basco diretto dal PNV. Punto centrale di queste offensive era stato il Patto di Ajuria Enea, firmato nel gennaio 1988 dai partiti centralisti (PSOE, PP e IU) e dal PNV, dopo il fallimento dell’offensiva terroristica dei GAL contro il MLNV.(27) Il Patto di Ajuria Enea mirava principalmente a soffocare ogni iniziativa politica della sinistra nazionalista e in secondo luogo a promuovere la partecipazione del popolo basco alla repressione mediante la mobilitazione reazionaria di cui il PP si farà poi principale promotore. Si trattava insomma di trasformare la lotta del popolo basco per il diritto all’autodeterminazione in una guerra civile tra baschi. Ma questo Patto non ebbe lunga vita poiché non raggiunse l’obiettivo di isolare la sinistra indipendentista basca o di farla flettere dal suo impegno indipendentista e quindi finì morto. Questo rese più acute le contraddizioni e più forti i litigi tra le forze nazionaliste borghesi e i partiti centralisti.

 

27. Il Patto di Ajuria Enea (ufficialmente “Accordo per la normalizzazione e la pacificazione di Euskadi”) fu firmato mentre erano in corso ad Algeri colloqui tra rappresentanti del governo di Madrid e dell’ETA. Un altro obiettivo del Patto era infatti sostituire il confronto tra PSOE e PNV al confronto tra governo spagnolo ed ETA. In questo modo il PSOE sarebbe stato il maggiore beneficiario di un eventuale successo dei colloqui.

 

Essi peggiorarono ancora più dal momento in cui il PP, arrivato al governo nel 1996, lanciò una controffensiva generale contro il MLNV, includendo in essa come obiettivo collaterale anche l’indebolimento del PNV e la sua estromissione dal governo autonomo basco.

Nel settembre 1998 il governo di Madrid fece arrestare tutta la direzione nazionale di HB e HB, temendo di essere messa fuorilegge, lasciò il posto come coalizione elettorale ad Euskal Herritarrok (Cittadini Baschi, EH). Con ciò il MLNV cercava anche di creare una coalizione elettorale più ampia che aggregasse anche organizzazioni politiche non particolarmente legate ad esso e un maggiore numero di movimenti sociali e di organizzazioni popolari di massa. La coalizione EH ottenne nelle elezioni autonomistiche, municipali ed europee i migliori risultati elettorali raggiunti finora dalla sinistra indipendentista basca. Nelle elezioni autonomistiche, tenutesi il 13 giugno 1999 nella CAV, EH ottenne 224.000 voti e 14 seggi. Per formare nella CAV un governo stabile PNV ed EA dovettero venire a patti con EH.(28) Nelle elezioni per il Parlamento europeo tenutesi lo stesso giorno EH ebbe 306.508 voti. Di questi però solo 36.260 fuori di Hegoalde, benché EH fosse appoggiata da un numero maggiore di forze politiche spagnole (tra cui anche il PCE(r)) rispetto a HB nel 1987: segno evidente dell’indebolimento delle forze democratiche e rivoluzionarie nel resto della Spagna e del rigetto popolare di alcuni attentati indiscriminati compiuti da ETA.

 

28. Eusko Alkartasuna (EA) è nata da una scissione del PNV negli anni ‘80 a causa delle concessioni fatte dal PNV alla Unione del Popolo Navarro, un’organizzazione vicina ad Alleanza Nazionale, il partito che poi dette origine al PP fondato da Fraga Iribarne, ex ministro franchista. I due partiti nazionalisti PNV ed EA si avvicinarono alla vigilia dell’Accordo di Lizarra. EA ha sempre avuto col PP e il PSOE relazioni difficili. EA ha fatte sue prima del PNV le parole d’ordine dell’indipendenza e della sovranità.

 

Nel frattempo davanti all’offensiva del PP da una parte e, soprattutto, alla pressione del MLNV dall’altra, il PNV aveva dovuto riconoscere il fallimento del tentativo di integrare i Paesi Baschi nella Spagna configurato nello Statuto di Guernica. Il PNV si vide obbligato ad adottare la cosiddetta linea della sovranità nazionale (il riconoscimento a voce del diritto dei Paesi Baschi all’indipendenza, pur continuando in realtà a sabotarlo) e ad accordarsi col MLNV per promuovere un’alleanza tra le forze nazionaliste, aperto ad altre forze politiche basche. Questo sfociò nell’Accordo di Lizarra (Estella) che fu firmato il 12 settembre 1998 dalle forze del nazionalismo borghese e della sinistra indipendentista basca, da diversi movimenti sociali e da altre forze come Esker Batua (Sinistra basca) che  l’appoggiarono per opportunismo. Davanti a questo passo, ETA proclamò per la prima volta una tregua a tempo indeterminato a partire dal 18 settembre 1998.

I punti più importanti dell’Accordo di Lizarra furono i seguenti:(29)

1. Riconoscimento dell’origine e natura politica del conflitto basco che implica gli Stati spagnolo e francese la cui risoluzione, pertanto, dovrà essere per forza di cose politica.

2. Le questioni fondamentali da risolvere sono: l’estensione del territorio dei Paesi Baschi, il protagonista della decisione e la sovranità politica.

3. Il dialogo sarà aperto senza esclusioni di sorta e ad esso prenderà parte la società basca nel suo insieme.

4. Il processo deve passare attraverso due fasi. Nella prima fase ci dovranno essere trattative multilaterali senza condizioni preliminari. La fase risolutiva, accertati oramai la volontà e l’impegno di affrontare le cause del conflitto, avverrà in condizioni che escludano in via definitiva ogni forma di violenza.

5. La trattativa risolutiva, oltre a non comportare imposizioni specifiche, dovrà rispettare la pluralità della società basca, dare pari opportunità a tutti i programmi politici, approfondire la democrazia. La chiave della soluzione consisterà nel fatto che il popolo basco avrà diritto di discutere e di decidere e gli Stati implicati dovranno rispettare la sua decisione.

L’Accordo di Lizarra mise in risalto l’origine e la natura politica del conflitto che contrappone il MLNV allo Stato spagnolo e la via per la sua soluzione: il riconoscimento del diritto del popolo basco all’autodeterminazione, a scegliere liberamente il suo futuro, compresa la separazione dalla Spagna. In questo senso è stato un fatto molto positivo, come lo è stata la tregua di ETA per dimostrare alle masse popolari che sono la borghesia imperialista spagnola e il suo Stato i veri responsabili della guerra.

Nel gennaio 2000, davanti alle manovre dilatorie del PNV, ai suoi tentativi di dividere il MLNV e al suo persistente rifiuto di compiere passi pratici idonei all’esercizio del diritto del popolo basco all’autodeterminazione,(30) ETA ruppe la tregua. A seguito di ciò e delle forti pressioni di Madrid il PNV smise anche formalmente di appoggiare l’Accordo di Lizarra. La rottura dell’accordo ebbe come conseguenze la dissoluzione della coalizione elettorale Euskal Herritarrok e la trasformazione nel giugno 2001 di Herri Batasuna in partito politico sotto il nome di Batasuna (Unità). Il nuovo cambiamento di nome mirava non solo a evitare la messa fuorilegge, ma a “spostare il centro della lotta della sinistra nazionalista”.(31) Nel senso che “se HB alla sua nascita nel 1978 si era data come obiettivo la difesa dagli attacchi dello Stato spagnolo, quindi era stata una specie di coalizione di sbarramento, Batasuna invece si propone di promuovere la costituzione di una effettiva rappresentanza nazionale creando istituti specifici del popolo basco. L’obiettivo insomma è la costruzione nazionale”. Come conseguenza di ciò e della rottura della tregua da parte di ETA, diverse correnti aggregate in EH, contrarie alla lotta armata di ETA, come Batzarre, Zutik (trotzkista) o Aralar (favorevole, d’altra parte, alla subordinazione al nazionalismo borghese), si separarono da Batasuna.

 

29. Herri Batasuna analizza l’attuale situazione nei Paesi Baschi, Commissione di HB per le Relazioni Internazionali.

 

30. Gli unici passi pratici compiuti da PNV ed EA furono l’appoggio al Patto di unità d’azione stipulato dal sindacato ELA-STV con LAB, la collaborazione dei partiti del nazionalismo borghese con EH nel parlamento autonomo basco nelle istituzioni locali e nell’assemblea dei municipi baschi “Udalbiltza”. La rottura di Lizarra mise fine a tutto ciò.

 

31. Batasuna: un nouveau parti, Euskadi European n. 1, novembre 2001.

 

La rottura dell’Accordo di Lizarra ha posto fine, almeno per il momento, al tentativo della sinistra indipendentista basca di costituire anche col PNV ed EA un Fronte di tutto il popolo basco che esigesse dagli Stati spagnolo e francese una soluzione politica democratica del conflitto e il rispetto della volontà nazionale e democratica del popolo basco, del diritto all’autodeterminazione e dell’integrità territoriale dei Paesi Baschi. Questo passo indietro è il segnale di una fase di debolezza che il MLNV attraversa. La sua debolezza politica si è evidenziata anche nei risultati delle elezioni  autonomistiche di maggio 2001: EH perse l’appoggio di più di 80 mila elettori a vantaggio del PNV-EA, passando dai 224.000 voti ottenuti nel 1999 a 143.100 e, pertanto, da 14 a 7 seggi nel parlamento della CAV.

La rottura dell’Accordo di Lizarra ha in sostanza messo in evidenza la persistenza di una certa dipendenza ideologica della sinistra indipendentista basca dal nazionalismo borghese e della tendenza di un settore importante della stessa a impostare la lotta per l’indipendenza nazionale senza tener conto della lotta di classe. Per ora ci basta aver mostrato che la lotta capeggiata dal MLNV è profondamente radicata nella storia del popolo basco ed esprime una situazione che può essere risolta positivamente solo tramite l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

 

3.

I comunisti devono appoggiare la lotta del popolo basco per far valere il suo diritto all’autodeterminazione

 

I risultati e i progressi della lotta del MLNV confermano che le tesi leniniste contro l’“economismo imperialista” sono giuste. È significativo il fatto che il MLNV, che organizza direttamente solo una frazione minoritaria seppure importante della popolazione, ha costretto anche i partiti della borghesia nazionalista basca a pronunciarsi verbalmente, per non smascherarsi davanti al popolo e anche alla loro stessa base popolare, a favore del diritto all’autodeterminazione (Accordo di Lizarra). Come lo è anche il fatto che la vita politica spagnola sta girando da anni intorno al conflitto basco. Tutti questi fattori, uniti alla graduale acutizzazione delle contraddizioni interimperialiste, sono precisamente quelli che fanno sì che la separazione dei Paesi Baschi dalla Spagna sia possibile e realizzabile, nonostante la debolezza del movimento comunista tanto a livello dei Paesi Baschi e della Spagna che a livello internazionale. Il fatto che, per esempio, Aznar, capo del governo spagnolo, si sia preoccupato di ottenere dai suoi soci del Partito Popolare Europeo l’impegno a non appoggiare alcun cambiamento delle frontiere interne di nessun paese dell’UE,(32) e che in questo sia stato appoggiato dai suoi compari dell’Italia, della Francia, del Portogallo, del Lussemburgo e dell’Olanda ma non dai suoi compari tedeschi della CDU, indica che attualmente in Spagna e in Europa esistono condizioni almeno perché la parte dei Paesi Baschi sotto sovranità spagnola riesca a separarsi dalla Spagna. Se non fosse così la borghesia imperialista spagnola non si preoccuperebbe tanto di strappare ai suoi soci europei e in particolare ai tedeschi un impegno del genere. Un impegno che però sa molto bene che, quando gli imperialisti si scontrano, è carta straccia come ogni trattato e ogni accordo segreto. Gli imperialisti spagnoli temono che l’aggravamento delle contraddizioni interimperialiste, un’altra delle condizioni necessarie assieme alla forza raggiunta dalla lotta del MLNV, faciliti la conquista dell’indipendenza da parte dei Paesi Baschi.

 

32. el Pais, 20 settembre ‘02.

 

Tuttavia noi comunisti non siamo in assoluto a favore della frammentazione degli attuali paesi imperialisti. Preferiamo che essi mantengano la loro integrità territoriale, stante i vantaggi che ciò implica per la vittoria della rivoluzione socialista e il successivo sviluppo del socialismo. Per questo siamo radicalmente contrari al mantenimento di pseudostati come il Vaticano, Monaco, Lichtenstein, San Marino, Malta, Lussemburgo, Andorra, le isole del Canale della Manica, ecc. Questi pseudostati traggono la loro origine dal passato feudale, anche se alcuni hanno assunto la denominazione di repubblica. Essi hanno una parvenza di indipendenza: in realtà continuano a esistere solo perché strutture di comodo dell’uno o dell’altro Stato imperialista per differenti ragioni politiche ed economiche. Non è un caso che la maggioranza di essi sono paradisi fiscali della grande borghesia, zone extraterritoriali che permettono ai gruppi imperialisti di eludere le leggi dei loro stessi Stati, di mettere al riparo parte delle loro ricchezze, di condurre i loro loschi traffici e di preparare con maggiore tranquillità le loro manovre.

Per lo stesso motivo noi comunisti non appoggiamo il “diritto all’autodeterminazione” reclamato ora da questi ora da quelli per entrare a far parte di questo gruppo di “strutture di servizio extraterritoriali” dei grandi gruppi imperialisti. È  ad esempio il caso di Gibilterra che in nome dell’autodeterminazione continuerebbe a funzionare come base militare per l’imperialismo inglese.

Inoltre noi comunisti combattiamo radicalmente, proprio in nome degli interessi delle masse popolari e della classe operaia sia dei paesi aggrediti sia dei paesi aggressori, le manovre di sovversione, destabilizzazione e colonizzazione che gli Stati e i gruppi imperialisti conducono camuffandosi dietro la rivendicazione dell’autodeterminazione nazionale di gruppi fascisti o reazionari da essi risuscitati o creati e comunque organizzati, armati e appoggiati allo scopo. Che è in generale ciò che Stati e gruppi imperialisti hanno fatto nell’ultimo decennio nella penisola balcanica, in Europa Orientale e nel territorio che costituiva l’Unione Sovietica.

Marx, Engels, Lenin, Stalin e tutto il movimento comunista danno al diritto all’autodeterminazione un valore storico relativo e lo subordinano all’interesse generale della causa del socialismo. Precisamente perché da quando il diritto all’autodeterminazione nazionale è entrato a far parte dei diritti democratici, le classi reazionarie hanno incominciato a camuffare i loro sporchi e inconfessabili interessi anche dietro di esso (come in generale lo fanno dietro le parole d’ordine della libertà, della democrazia e dei diritti umani) e a strumentalizzare il diritto all’autodeterminazione delle nazioni oppresse per soggiogarle e utilizzarle come avamposto della controrivoluzione. Fu quello che fece lo zarismo coi cechi e con gli slavi del sud. Esso durante il secolo XIX se ne servì come avamposti della controrivoluzione feudale per schiacciare la nascente rivoluzione borghese in differenti paesi dell’Europa centrale e orientale. Fu per questo motivo che Marx ed Engels, per la vittoria della lotta per la rivoluzione democratico-borghese in Europa, si rifiutarono di appoggiare il diritto all’autodeterminazione di queste nazioni allora dominate dall’Impero Austroungarico. Come il regime zarista si comportò il governo di Napoleone III per ostacolare l’unità nazionale e lo sviluppo della rivoluzione democratica in Germania e in Italia, mantenere i due paesi in una situazione di dipendenza e annettere parti del loro territorio. Un altro esempio è l’uso che del diritto all’autodeterminazione fece l’imperialismo tedesco sia nel periodo imperiale dopo il 1870 sia durante la Repubblica di Weimar. Prima per annettere e dominare differenti nazioni europee; poi per estendere lo “spazio vitale” tedesco, ostacolare la rivoluzione socialista in molti paesi dell’Europa, disintegrare l’URSS e seppellire il socialismo. La stessa cosa hanno fatto il regime fascista italiano e il Reich nazista soprattutto in Europa orientale dove crearono Stati ed eserciti “nazionali” loro satelliti (in Croazia, in Albania, nei Paesi Baltici, in Ucraina, in Cecenia, ecc.). La stessa cosa hanno fatto i gruppi imperialisti USA ed europei (in particolare il Vaticano) per disintegrare l’URSS, nei Balcani e in altre zone del mondo, per estendere le loro aree di influenza e di saccheggio e creare i maggiori ostacoli possibili alla rinascita della lotta dei popoli per il socialismo.

Se noi comunisti siamo a favore della separazione di una nazione da un’altra è perché siamo favorevoli “all’avvicinamento e alla fusione liberi, decisi di loro propria volontà dalle rispettive nazioni e non imposti con la forza. Unicamente per questo!”.(33) Per questa ragione, mentre difendiamo il diritto delle nazioni oppresse a separarsi nell’interesse dell’uguaglianza di diritti dei popoli e del loro avvicinamento, non appoggiamo incondizionatamente la separazione delle stesse se con ciò si indebolisce la rivoluzione socialista nel paese oppressore o a livello mondiale. Insomma, noi teniamo in conto la situazione concreta, in modo da sapere se la separazione di una nazione oppressa dalla nazione che opprime favorisce o pregiudica l’avanzamento della rivoluzione socialista in entrambe.

 

33. V.I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economismo imperialista” in Opere, vol. 23.

 

Noi comunisti non siamo favorevoli a movimenti che cercano di isolare più di quanto lo siano già oggi singole parti della popolazione l’una dall’altra facendo leva sulle diversità ereditate dalla storia in termini di cultura, abitudini, religione, lingua, grado di sviluppo, tipo di attività, ecc. Al contrario noi siamo favorevoli a ogni iniziativa che permette e facilita che le varie parti della popolazione si avvicinino liberamente e volontariamente, si conoscano e si fondano più di quanto lo sono oggi, perché rompano sulla base della loro diretta esperienza i pregiudizi che li allontanano e creino assieme e  liberamente relazioni di convivenza e di collaborazione su basi assolutamente di pari dignità e del tutto volontarie. Questo nostro obiettivo è conforme e asseconda il massimo sviluppo delle forze produttive e creative materiali e spirituali degli uomini di tutti i paesi e nella pratica è possibile realizzarlo pienamente e stabilmente solo se si superano i rapporti di produzione capitalisti che per loro natura sono rapporti che mettono gli individui, i gruppi sociali e i paesi in contrapposizione e in concorrenza tra loro e rendono antagonisti i rispettivi legittimi interessi. In generale, per realizzarlo, dove ereditiamo dalla storia legami imposti e mantenuti con la forza o l’inganno, questi rapporti vanno anzitutto sciolti onde potere poi costruire liberamente e volontariamente nuovi rapporti.

Oggi, data la debolezza del movimento comunista nell’insieme della Spagna e del movimento comunista internazionale e dato che, di conseguenza, non si scorge la possibilità di una rivoluzione socialista a breve termine in Spagna e in Francia o in altro paese imperialista europeo, i comunisti spagnoli, francesi e degli altri paesi dell’Europa devono, come i comunisti baschi, appoggiare l’indipendenza dei Paesi Baschi dagli Stati spagnolo e francese e questo finché non cambierà la situazione di qualcuno di questi paesi o il contesto generale. Infatti la separazione dei Paesi Baschi indebolirebbe soprattutto la borghesia imperialista spagnola. Non solo per quello che comporterebbe per lei la perdita di una delle zone più sviluppate e ricche della Spagna, ma anche perché ciò servirebbe da stimolo sia alla lotta dei popoli catalano e galiziano per la loro autodeterminazione, sia alla lotta del proletariato e delle masse popolari del resto della Spagna per il socialismo.

Questa posizione distingue noi comunisti dai dogmatici e dagli opportunisti che vedono il riconoscimento del diritto delle nazioni oppresse all’autodeterminazione, cioè il diritto alla separazione, come qualcosa di contrario all’internazionalismo proletario e alla rivoluzione socialista. Ma ci distingue anche dal nazionalismo piccolo-borghese che concepisce il diritto all’autodeterminazione come “semplice riconoscimento dell’uguaglianza di diritti di tutte le nazioni, mantenendo intatto l’egoismo nazionale. Al contrario l’internazionalismo proletario esige: 1. la subordinazione degli interessi della lotta proletaria in un paese agli interessi della lotta proletaria a livello mondiale; 2. che la nazione che trionfa sulla propria borghesia sia capace e sia disposta a fare i maggiori sacrifici nazionali per rovesciare il capitalismo a livello internazionale”.(34) In altre parole, per i comunisti gli interessi della democrazia in un paese devono essere subordinati all’avanzamento della rivoluzione socialista in uno o in vari paesi o a livello mondiale.

 

34. V.I. Lenin, Primo abbozzo delle tesi sui problemi nazionale e coloniale (Per il II Congresso dell’Internazionale Comunista) in Opere, vol. 31.

 

D’altra parte, benché non sia in questo momento oggetto specifico del nostro interesse, la concezione della lotta per la democrazia in generale nei paesi imperialisti che Lenin espone approfittando del suo discorso sul diritto delle nazioni oppresse all’autodeterminazione, smentisce categoricamente anche quelli che sottovalutano, negano o deformano opportunisticamente, con vari sotterfugi, la possibilità che le masse, sia in un regime di controrivoluzione preventiva sia in un regime apertamente fascista, impongano alla borghesia imperialista mediante la lotta l’una o l’altra rivendicazione democratica, per quanto temporaneamente, con risultati limitati e precari. “Tutta la ‘democrazia’ - sottolinea Lenin - consiste nella proclamazione e realizzazione di ‘diritti’ che in regime capitalista non sono realizzabili che in piccolissima misura e in una forma molto relativa; ma senza questa proclamazione, senza che la lotta per i diritti sia portata avanti da subito e senza esitazione, senza che le masse siano educate nella necessità di simili lotte, il socialismo è impossibile”.(35) Perciò noi comunisti dobbiamo, anche nei paesi imperialisti, appoggiare e metterci alla testa della lotta per la democrazia, per “incompleta e deformata” che essa sia, e, quindi, in particolare appoggiare il diritto delle nazioni oppresse alla separazione, per favorire la rivoluzione socialista. Senza un’organizzazione realmente democratica delle relazioni tra le nazioni e, quindi, senza la libertà di formare uno Stato separato, è impossibile abbattere la borghesia imperialista di un determinato paese e instaurare il socialismo.

 

35. V.I. Lenin, A proposito di una caricatura ..., op. cit.

 

 Nella guerra di lunga durata per il socialismo che le masse operaie e popolari devono sostenere contro la borghesia imperialista, la lotta per la democrazia politica non solo è possibile ma è anche ineludibile e necessaria, benché l’imperialismo tenda verso la reazione politica più sfrenata. La rivoluzione socialista negli Stati imperialisti europei, data la molteplicità di interessi, interni e internazionali, che sono in gioco, dato che non esiste più un campo socialista e data l’acutizzazione delle contraddizioni interimperialiste, non ha un percorso lineare né sarà fatta solo dalla classe operaia. Perciò mai come oggi è pertinente la conclusione alla quale arrivava Lenin nel 1916: “La rivoluzione socialista in Europa non può essere altro che un’esplosione della lotta di massa di tutti e di ognuno dei settori oppressi e scontenti. Vi prenderanno sicuramente parte la piccola borghesia e gli operai arretrati - senza la loro partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione. Essi porteranno nel movimento, anche questo è inevitabile, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma obiettivamente attaccheranno il capitale. L’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità obiettiva della lotta di masse distinte nell’apparenza e per le parole d’ordine, variopinte e apparentemente senza relazioni tra loro, potrà unificarla e dirigerla, prendere il potere, impadronirsi delle banche, espropriare i trusts odiati da tutti (benché per motivi distinti!) e applicare altre misure dittatoriali che costituiscono nel loro insieme il rovesciamento della borghesia e la vittoria del socialismo, vittoria che non potrà liberarsi subito dalle scorie piccolo borghesi”.(36)

 

36. V.I. Lenin, Bilancio della discussione sul diritto all’autodeterminazione, op. cit.

 

La lotta per il diritto all’autodeterminazione e l’uguaglianza di diritti delle nazioni fa parte, come diceva Lenin, della lotta per la democrazia ed è la migliore scuola affinché la classe operaia possa dirigere le masse verso il rovesciamento dello Stato capitalista, educarle nella democrazia più conseguente e costruire il socialismo. Nello specifico, i comunisti devono appoggiare la lotta del popolo basco per la sua liberazione nazionale e il MLNV che è l’espressione organizzata di questa lotta e devono sostenere la classe operaia basca perché prenda definitivamente nelle sue mani questa lotta e la diriga fino alla vittoria.

 

4.

Le prospettive del movimento di liberazione nazionale basco e due strategie differenti ma complementari per soffocarlo

 

Dato il suo carattere democratico e progressista, il MLNV non si scontra solo con gli interessi politici ed economici della borghesia imperialista spagnola, della quale l’oligarchia finanziaria basca è una delle componenti fondamentali, ma anche col nazionalismo borghese del PNV e di EA, partiti che rappresentano gli interessi della borghesia non monopolista basca che è il loro principale sostegno politico e sociale. Il MLNV mantiene una posizione di lotta radicale con la prima, la borghesia imperialista spagnola. Invece la relazione del MLNV con il nazionalismo borghese è duplice. Da una parte, cosciente che il nazionalismo borghese ha contrasti di interessi con Madrid, tenta di coinvolgerlo nella lotta per l’indipendenza. Dall’altra denuncia le sue oscillazioni e la sua collaborazione coi partiti centralisti e con il Governo di Madrid oppure lo fa bersaglio delle azioni armate di ETA e delle azioni militanti della kale borroka (lotta giovanile di strada) quando le forze repressive del governo basco reprimono o aggrediscono ETA o altre forze indipendentiste basche.

Questo rapporto di unità e lotta può essere sviluppato con successo solo se il MLNV si libererà da quanto ancora resta della sua dipendenza ideologica dal nazionalismo borghese e dall’influenza che la borghesia nazionalista esercita su una parte di esso.

Ciò avverrà soltanto quando la direzione del MLNV sarà assunta dal proletariato rivoluzionario basco, l’unico capace, con la direzione di un partito comunista, di rompere definitivamente il cordone ombelicale che ancora lega il MLNV al  vecchio nazionalismo e di arginare l’influenza riformista e dello sciovinismo spagnolo su una parte importante della classe operaia e delle masse popolari basche.(37) Questo è attualmente il punto più debole del MLNV che deve far fronte sia alla grande borghesia centralista spagnola sia al nazionalismo borghese basco. È quello che riconosce una corrente del movimento indipendentista basco che ha assunto il nome di Comunisti Baschi (EHK). Essa afferma infatti che “nell’attività della sinistra indipendentista basca la classe operaia è la grande invisibile o la grande assente... vista con diffidenza e sfiducia. Questo atteggiamento deve cambiare perché la classe operaia è la classe più progressista e quella che può aggregare attorno a sé l’ampia maggioranza della società”.(38) A favore di questa trasformazione esiste già un fatto ben noto: l’alta percentuale di operai che vi è sempre stata nelle file di ETA e il gran numero di operai presenti in altre organizzazioni del MLNV, come LAB. È questo fatto che spiega, in parte, la coerenza di ETA e, in generale, del MLNV nella sua lotta contro la borghesia imperialista spagnola, la sua fermezza di fronte alla tendenza del PNV a svendere la causa indipendentista, la posizione di unità e lotta che il MLNV mantiene rispetto al nazionalismo borghese. Il problema è che, se la classe operaia non dirige il movimento di liberazione nazionale basco, sarà la borghesia quella che avrà sempre l’ultima parola. Ma non per lottare per il conseguimento dei diritti nazionali del popolo basco, bensì per usarli come merce di scambio col capitale finanziario spagnolo o venderli al migliore offerente. Cioè per cercare l’appoggio di un altro paese imperialista e mettersi al suo servizio.

 

37. Il PSOE-Partito Socialista di Euskadi raccoglie molti voti tra i lavoratori baschi, anche tra quelli di origine basca. Altrettanto fa IU (Esker Batua), benché meno che il PSOE e pure il PP. Nelle ultime elezioni autonomistiche della CAV, i partiti nazionalisti raccolsero complessivamente il 55% dei voti nel ‘99 e il 53% nel 2001, mentre i partiti centralisti raccolsero rispettivamente il 45% e il 47%.

 

38. Il marxismo e la questione nazionale basca, pubblicato da EHK (Comunisti Baschi) nell’estate 2000.

 

Quanto alle relazioni del MLNV con la sinistra del resto della Spagna, nel complesso esse non sono molto strette, anche se la sinistra nazionalista basca ha relazioni cordiali con alcuni settori ad essa affini della sinistra nazionalista catalana e galiziana. Il MLNV ha tentato sempre di trovare nella sinistra extraparlamentare spagnola alleati che appoggino la causa dell’indipendenza. Ha mantenuto rapporti con gruppi e organizzazioni che si sono scisse dal PCE, come il Partito Comunista dei Popoli di Spagna e con gruppi delle Asturie e dell’Andalusia che si dichiarano nazionalisti. Complessivamente tuttavia le relazioni con la sinistra spagnola sono state molto marcate dai rispettivi limiti. A questo hanno contribuito l’incomprensione da parte della sinistra spagnola del problema dell’oppressione nazionale come problema che rientra nel quadro della lotta per la democrazia, il suo rifiuto in molti casi della lotta armata condotta da ETA (in particolare dopo gli attentati indiscriminati che ETA ha compiuto negli ultimi anni), l’influenza dello sciovinismo spagnolista su di essa. Vi ha contribuito parimenti la tendenza del MLNV a sottovalutare l’importanza strategica per la causa del popolo basco dell’appoggio del proletariato e delle masse popolari spagnole. Infine alla poca solidità delle relazioni tra il MLNV e la sinistra spagnola ha contribuito la debolezza del movimento di resistenza fuori dai Paesi Baschi, un fatto dovuto alla debolezza e alla frammentazione del movimento comunista sia nei Paesi Baschi sia nel resto della Spagna, a loro volta causate dall’influenza che esercitano sullo stesso il dogmatismo, il settarismo e ogni tipo di opportunismo. Questo vale anche per un partito come il PCE(r), che per le sue posizioni, compresa quella assunta rispetto all’oppressione nazionale in Spagna (il PCE(r) ha sempre dichiarato di appoggiare il MLNV) e la sua traiettoria di lotta è quello che più si avvicina a meritare la denominazione di partito comunista.

La debolezza delle relazioni del MLNV con la sinistra spagnola non giova né alla lotta di liberazione nazionale dei Paesi Baschi e delle altre nazioni oppresse né alla lotta per il socialismo nell’insieme della Spagna. Infatti la vittoria o la sconfitta del MLNV dipenderà principalmente dalla linea che esso adotterà verso la classe operaia dei Paesi Baschi e  dalla linea che esso adotterà verso il movimento comunista e popolare del resto della Spagna e rispetto al movimento comunista nel resto dell’Europa: due linee che del resto si condizionano strettamente tra loro.

Quanto alle relazioni tra i partiti nazionalisti borghesi baschi (PNV ed EA) e i partiti centralisti spagnoli (in sostanza PP e PSOE) e, quindi, tra la borghesia nazionalista e la borghesia imperialista spagnola, anch’esse hanno un carattere duplice. Da un lato, essi sono uniti da un comune interesse di classe e condividono lo stesso obiettivo: farla finita con ETA e il MLNV. Col risultato che il PNV ha mantenuto per molti anni nella CAV un governo di coalizione col PSOE e nel parlamento spagnolo ha appoggiato il PSOE e dato il consenso alle sue “leggi antiterrorismo” e ad altre misure politiche ed economiche antipopolari, in cambio del trasferimento di competenze alla Comunità Autonoma Basca. Questa collaborazione, benché ad un livello inferiore, il PNV l’ha mantenuta anche col governo del PP. Esso ha appoggiato il PP in alcune decisioni parlamentari e ha collaborato col Ministero dell’Interno a livello poliziesco. D’altra parte, a causa della dipendenza della borghesia nazionalista basca dal capitale finanziario spagnolo, le relazioni del PNV-EA col PSOE e col PP, ma soprattutto con quest’ultimo, hanno avuto anche fasi di grande tensione. Fino al punto che, con la campagna del PP contro il PNV ed EA iniziata alla vigilia della firma dell’Accordo di Lizarra, le relazioni diventarono molto conflittuali, raggiungendo la massima tensione in occasione delle elezioni autonomistiche del marzo 2001, quando con un’offensiva comune il PP e il PSOE cercarono di estromettere il nazionalismo borghese dal governo di Vitoria.

Il primo round di questa lotta fu vinto da PNV-EA grazie al loro appoggio al Patto di Lizarra e ai voti ottenuti a spese di Batasuna nelle elezioni autonomistiche del 2001. Ma essa continua ancora. Ora, con la messa fuorilegge di Batasuna e la sua possibile assenza dalle prossime elezioni municipali, il PSOE ed il PP cercano di creare migliori condizioni per far fare al PNV e a EA il ruzzolone elettorale che nel 2001 hanno fatto loro. Eliminato Batasuna dalla mappa elettorale, pensano che sarà loro più facile ottenere la maggioranza nei municipi e nelle province, e anche nel Parlamento basco nelle prossime elezioni autonomistiche. Per questo i partiti centralisti concepiscono le elezioni municipali che si terranno nel 2003 come un primo gradino per aumentare la loro influenza nei Paesi Baschi e strappare al nazionalismo borghese l’egemonia politica che ancora detiene. Questa vittoria è per il PP una condizione indispensabile, assieme alla cacciata della CiU dal governo autonomo catalano e alla permanenza al governo a Madrid, per portare a termine la proclamata controriforma delle autonomie, cioè per rafforzare la “unità della Spagna” di fronte ai conflitti interimperialisti che si avvicinano. Non a caso Aznar ha fatto della mobilitazione reazionaria delle masse contro il “terrorismo basco” e della “pacificazione” o “normalizzazione” dei Paesi Baschi il suo principale cavallo di battaglia per raggiungere questi ed altri obiettivi. Perciò non è strano che la coalizione nazionalista catalana Convergenza i Uniò (CiU) e i settori della grande e media borghesia catalana che essa rappresenta non siano affatto d’accordo con alcuni degli obiettivi del PP.

Le relazioni tra PNV-EA e PP-PSOE sono state sempre molto condizionate anche dalle strategie divergenti degli uni e degli altri rispetto all’obiettivo di farla finita col MLNV e in particolare con ETA. PNV-EA seguono una strategia nella quale le manovre negoziali e di indebolimento politico del MLNV prevalgono sulla repressione. PP-PSOE, con sfumature diverse, seguono una strategia di liquidazione e di resa incondizionata di ETA, nella quale la repressione del MLNV svolge il ruolo principale. Accettare apertamente la messa fuorilegge di Batasuna e, pertanto, la strategia centralista, supporrebbe per il nazionalismo borghese farsi il harakiri, perdere consenso tra i lavoratori baschi e, pertanto, il controllo di Ajuria Enea e di altre istituzioni: in definitiva consegnarsi mani e piedi legati alla borghesia imperialista spagnola senza ottenere in cambio niente di sostanziale. Il risultato è che PNV-EA cercano sempre di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, come si è visto quando si è trattato di mettere in pratica la messa fuorilegge di Batasuna.(39) Mentre prende l’iniziativa di fare ricorso contro il decreto del Tribunale Speciale, il governo autonomo basco invia la polizia basca che è ai suoi ordini a chiudere con la forza le sedi e gli uffici di Batasuna.

 

39. Il PNV ed EA sono contrari alla messa fuorilegge di Batasuna perché essa mette in evidenza nell’ambiente nazionalista la loro complicità con Madrid e ostacola il loro sforzo di isolare e assorbire il MLNV. Essa favorisce elettoralmente il PP e il PSOE.

  

Il fatto è che le due strategie nella pratica si completano tra loro. Da una parte il governo centrale approfitta dell’indebolimento del MLNV, prodotto dai suoi limiti ed errori e dall’uso che di essi ha fatto il nazionalismo borghese, per stringere la sua tenaglia repressiva. Dall’altra parte PNV-EA sfruttano i colpi che le forze repressive dello Stato spagnolo assestano al MLNV per intensificare le loro manovre e offrirsi a Madrid come unico garante della pacificazione dei Paesi Baschi. Perciò non è un caso che il governo Aznar si sia lanciato in questo momento nella messa fuorilegge di Batasuna e di altre organizzazioni della sinistra indipendentista basca.

Quanto alle relazioni di PNV-EA coi partiti nazionalisti borghesi della Catalogna e della Galizia, di norma esse sono relativamente cordiali, benché non siano esenti da frizioni e pugnalate a secondo della posizione che adottano con Madrid sulla questione delle competenze delle Autonomie, sul quadro delle Autonomie o rispetto al MLNV. Ciò fa sì che, a sua volta, anche la sinistra indipendentista basca adotti rispetto al nazionalismo borghese della Catalogna e della Galizia una posizione duplice, con leggere differenze la stessa che mantiene con PNV-EA.

 

5.

Il contributo del MLNV alla rinascita del movimento comunista in Europa

 

È possibile che molti restino sorpresi e che i dogmatici restino scandalizzati se affermiamo che il MLNV, dato il ruolo progressista che sta svolgendo, sta contribuendo obiettivamente alla rinascita del movimento comunista e alla lotta per il socialismo in Europa. Ma è proprio così per quanto possa sembrare strano e suscitare scandalo.

Il MLNV ha dato risposte pratiche, benché limitate, in condizioni sommamente difficili e sotto una dura e incessante repressione,(40) ad alcuni problemi con i quali ci scontriamo tutti noi comunisti dei paesi imperialisti europei e a cui noi non abbiamo ancora saputo dare una risposta soddisfacente a causa del disorientamento nel quale ci ha immersi la crisi del movimento comunista.

 

40. Nel solo periodo che va dall’introduzione della Riforma (1978) fino ad oggi, più di diecimila militanti baschi sono stati arrestati, più di duecento di essi sono stati assassinati dalle forze repressive e dagli squadroni della morte nei Paesi Baschi e all’estero (perfino in America latina!), più di un migliaio hanno dovuto andare in esilio e varie migliaia sono passati per il carcere. Attualmente sono circa 800 i patrioti baschi imprigionati in differenti prigioni in Spagna e in Francia.

 

A nostro giudizio, il contributo del MLNV alla rinascita del movimento comunista riguarda tre questioni importanti della strategia leninista.

1. La necessità di combinare la clandestinità col lavoro aperto o semiclandestino.

2. La possibilità di usare la legalità borghese e perfino le stesse istituzioni borghesi per rafforzare il legame con le masse e rafforzare la clandestinità.

3. La necessità di utilizzare e combinare tutte le forme di lotta.

Può darsi che alcuni ci dicano che stiamo inventando l’acqua calda, perché si tratta di tre verità consacrate dall’esperienza dei bolscevichi e del movimento comunista internazionale. Certamente essi hanno ragione. Certo, si tratta di tre verità arcinote. Tuttavia, benché siano arcinote, nessuno le ha mai messe in pratica in un paese imperialista in modo più creativo e più rivoluzionario del MLNV. La realtà è lì a dimostrarlo. Altri ci diranno che nei tempi difficili in cui viviamo è più facile organizzare e sviluppare un movimento nazionalista, o un partito riformista che nuota nel senso della corrente, che un partito comunista. E anche questo è certamente vero. Ma nessuno negherà che le poche organizzazioni comuniste che con così poco successo hanno finora tentato di mettere in pratica quelle verità tanto note che abbiamo appena ricordato, non le hanno tenute realmente in conto e non sono state capaci, pertanto, di tradurle  sufficientemente nella pratica. Non per mancanza di esperienza né a causa della repressione o delle difficoltà della lotta rivoluzionaria, bensì a causa di loro propri limiti, carenze o errori.

I tre contributi pratici se non teorici del movimento indipendentista basco hanno molto a che vedere col problema dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie che è precisamente il problema davanti al quale, chi in un modo e chi in un altro, nei paesi imperialisti sono falliti i neocostituiti partiti comunisti dell’epoca della Terza Internazionale influenzati dal settarismo e da una concezione elitaria dell’avanguardia comunista. Perciò non è strano che Lenin e, più tardi, i dirigenti dell’Internazionale Comunista facessero della soluzione del problema dell’accumulazione delle forze uno dei loro principali cavalli di battaglia. È questo chiaramente un problema che non può essere risolto da partiti comunisti vincolati alla legalità, ma solo da partiti comunisti clandestini che sappiano legarsi alle larghe masse.

Perciò l’appoggio dei comunisti al MLNV non può consistere solamente nel difendere e far conoscere ai lavoratori il suo carattere democratico e progressista e nel denunciare il carattere reazionario del governo Aznar e dello Stato della borghesia imperialista spagnola, includendo in esso anche i suoi servitori socialsciovinisti della sinistra. Esso deve consistere anche nel ricavare e applicare i suoi insegnamenti affinché servano per sviluppare il movimento comunista in ognuno dei nostri paesi.

Opporsi alla messa fuorilegge di Batasuna e appoggiare il MLNV con la mobilitazione dei lavoratori è un dovere internazionalista, ma è anche una necessità per la rinascita del movimento comunista.

Che la controrivoluzione imperialista non abbia vita facile e che ciò contribuisca al rafforzamento della solidarietà, dell’internazionalismo proletario e alla rinascita del movimento comunista!

 

Mario Cué*

 

* Mario Cué è un comunista spagnolo. La redazione di Rapporti Sociali condivide le tesi essenziali del suo scritto sul movimento comunista e sul movimento di liberazione nazionale del popolo basco che qui pubblichiamo.

 

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