Argentina

Rapporti Sociali n. 29 - marzo 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Il fallimento dell’ordinamento che i gruppi imperialisti USA impongono nel mondo.

Le masse popolari all’attacco.

 

La crisi argentina ha impressionato il pubblico italiano a partire dalla seconda metà dello scorso dicembre. I legami familiari e i rapporti esistenti tra i due paesi hanno fatto sì che questa crisi in Italia destasse un’impressione maggiore delle analoghe crisi di altri paesi: l’Argentina è il paese più italiano dopo l’Italia (circa il 40% dei 37 milioni di abitanti sono di origine italiana). Ha impressionato anche il fatto che l’Argentina cinquant’anni fa era uno dei paesi più ricchi e più civili del mondo, in condizioni molto migliori dell’Italia. Milioni di italiani avrebbero voluto emigrarvi in cerca di fortuna. Alla fine della seconda guerra mondiale la borghesia argentina era ricca dei proventi delle esportazioni che la guerra aveva favorito. L’Argentina era il granaio del mondo e la maggiore fornitrice di carne. Dopo la guerra divenne anche il rifugio di gerarchi e industriali fascisti (ad esempio i Rocca che fondarono il grande monopolio internazionale Techint), nazisti, ustascia e altri che, tramite organismi svizzeri, vaticani e spagnoli, vi trasferirono i frutti delle razzie e i profitti di regime e di guerra.

Com’è che l’Argentina è decaduta fino alla condizione attuale?

Nello sviluppo diseguale intrinseco al capitalismo, l’Argentina fa parte di quei paesi in cui la borghesia non ha avuto la forza economica e politica per imporre alle masse popolari le trasformazioni che il capitalismo richiedeva e per partecipare nelle nuove condizioni allo sfruttamento del resto del mondo, mentre le masse popolari a loro volta non hanno mai trovato né l’unità di indirizzo né la forza organizzativa necessari per instaurare il socialismo. Per quanto riguarda i rapporti tra la classe dominante e le classi oppresse, la storia politica dell’Argentina è da un secolo a questa parte caratterizzata dall’alternanza di periodi di feroce repressione militare che decapita il movimento delle classi oppresse e poi lascia il posto a una politica di concessioni. Le concessioni, siccome non risolvono il problema di fondo, non completano l’eliminazione delle forze rivoluzionarie, ma al contrario danno nuovo spazio ad esse, legittimano la loro ragion d’essere e alla lunga le rafforzano. Quindi al periodo delle concessioni segue un altro di feroce repressione. La classe dominante a sua volta dalla nascita dell’Argentina come Stato indipendente (1816) è stata a lungo divisa tra una componente compradora (legata al capitale finanziario prima inglese, poi americano e ora misto americano ed europeo) e una componente nazionalista che aspirava a giocare un ruolo indipendente nel mondo. Il regime (1946-1955) di Juan Domingo Peron (col suo Partido Justicialista - PJ) è stato il periodo in cui le masse popolari argentine hanno strappato le maggiori conquiste. Da allora il peronismo è stato la forma specificamente argentina di mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione della classe dominante. La dittatura militare del 1976-1983 è stato il più recente periodo di repressione. Con circa 30.000 desaparecidos e varie decine di migliaia di persone passate per le carceri e la tortura, ferite, esiliate, indotte al silenzio, alla “conversione” e al “pentimento”, alla collaborazione e alla delazione, alla dissociazione o alla rassegnazione, la selvaggia repressione delle forze armate, sostenuta dal governo di Washington (Piano Condor di Kissinger), ha forse decapitato per un po’ il movimento rivoluzionario, ma non ha dato vigore all’oligarchia argentina. Questa anzi è uscita da quel periodo più che mai priva di ogni fiducia di poter essa stessa dirigere il suo paese e più convinta che mai di doversi appoggiare ai grandi monopoli internazionali. Da allora infatti la linea che è prevalsa in essa è stata quella di vendere ai monopoli internazionali quello che essi sono disposti a comperare, arraffare più soldi possibile, esportare il suo denaro-capitale così accumulato e investirlo in titoli finanziari e semmai partecipare allo sfruttamento delle risorse del paese nella veste di azionisti di monopoli internazionali, protetti dalla forza economica e politica del sistema imperialista mondiale di fronte alle vicissitudini della vita politica del paese. La corruzione e la debolezza morale dell’oligarchia sono di conseguenza cresciute a dismisura, in parallelo con la dipendenza politica ed economica. La vecchia divisione tra borghesia compradora e borghesia nazionalista è stata sostituita dalla divisione tra i gruppi dipendenti dagli  imperialisti americani e quelli dipendenti dagli imperialisti europei.(1)

 

1. Sul piano politico in Argentina dettano legge gli imperialisti americani. Essi hanno formato i quadri militari e polizieschi, controllano le forze armate e gli organi di repressione e formano gran parte dei quadri politici. Gli USA hanno in Argentina cinque basi militari. Il governo di centro-sinistra di Fernando De la Rua ha permesso perfino che organizzassero in Argentina grandi manovre militari interamericane violando la Costituzione argentina (ma la Corte Costituzionale ha rigettato ogni ricorso contro la decisione del governo, come è successo in Italia quando il governo D’Alema ha preso parte alla guerra in Jugoslavia violando la Costituzione italiana).

 

Gli attuali uomini politici argentini sono complici dei militari a cui hanno dato il cambio nel 1983 quando la repressione aveva esaurito il suo compito e la vergognosa sconfitta nella guerra contro l’Inghilterra per le Malvinas (Falkland) aveva convinto i militari ad abbandonare il potere. Sotto il regime che la classe dominante ha messo in piedi dopo la dittatura militare (presidente Raul Alfonsin della Unione Civica Radicale - UCR, 1983-1989) il movimento rivendicativo delle classi oppresse ha tuttavia ripreso vigore. Il risultato è stato un’inflazione galoppante che ha indotto Alfonsin a rassegnare le dimissioni prima della scadenza del suo mandato. Gli è succeduto Carlos Menem (1989-1999). Questi è uno dei maggiori esponenti del PJ, ma, in rottura con la tradizionale linea nazionalista del movimento peronista, è strettamente legato ai gruppi imperialisti americani. Durante il suo mandato lo Stato argentino ha seguito la politica dettata dai gruppi imperialisti americani tramite il Fondo Monetario Internazionale: privatizzazioni, libertà d’azione per i gruppi imperialisti e i ricchi, abolizione dei “privilegi” dei lavoratori (minimo salariale, sicurezza del posto di lavoro, diritti sindacali, ecc.). Per cui l’attuale fallimento dell’Argentina è il fallimento dell’oligarchia argentina e del sistema che gli imperialisti USA hanno imposto.

Dal 1989 al 1999 lo Stato argentino ha venduto ai monopoli internazionali il settore industriale, estrattivo e bancario pubblico, ha privatizzato molti servizi pubblici (elettricità, gas, telefoni, acqua, trasporti, ecc.) e ha permesso il libero aumento delle tariffe (una telefonata urbana a Buenos Aires costa cinque volte una telefonata urbana a Milano), ha abolito ogni controllo pubblico sui prezzi, ha ridotto in larga misura le conquiste strappate dalla classe operaia durante il periodo peronista. Solo tra il 1994 e il 2001 i maggiori monopoli americani ed europei dei settori bancari, industriali, dei servizi e della distribuzione hanno comperato in Argentina industrie, banche, supermarket e concessioni per quasi 100 miliardi di dollari, così ripartiti per paese d’origine: 31,07 USA, 25,71 Spagna, 10,82 Francia, 5,44 Italia, 4,58 Regno Unito, 6,08 altri paesi europei, 5,25 Cile, 2,58 Brasile, 6,43 altri. Parallelamente decine di migliaia di operai e impiegati sono stati licenziati. Prestiti e appalti per opere pubbliche hanno continuato ad arricchire le grandi società di infrastrutture e uomini politici locali e stranieri secondo una consolidata tradizione: il Ministero della Cooperazione Internazionale fondato a Roma da Craxi ha avuto un ruolo attivo anche nel saccheggio dell’Argentina (la Metropolitana di Buenos Aires è rimasta famosa). Ortolani, Gelli, il Banco Ambrosiano, il Vaticano (lo IOR) hanno fatto affari d’oro in Argentina.

Per alcuni anni questa politica ha fatto gridare la borghesia di tutto il mondo al “miracolo argentino”. In concreto la riforma monetaria Cavallo garantiva le entrate e i profitti dei monopoli internazionali dall’inflazione e dalle pressioni politiche cui il governo argentino era sottoposto e quindi li spinse a gettarsi sull’Argentina. Il “miracolo” sarebbe stato il risultato dell’obbedienza al FMI e della riforma monetaria che aveva vincolato la Banca centrale argentina a emettere moneta locale (pesos) solo a fronte di riserve in dollari (currency board) nel rapporto un peso-un dollaro. Menem e il suo ministro dell’economia, Domingo Cavallo, sono stati esaltati come geni ed eroi. Eltsin chiamò addirittura Cavallo a dare i suoi ben remunerati consigli in campo monetario su come depredare anche il popolo russo. La cuccagna però finì già nel ’98. Anzi dall’agosto del ’98 il Prodotto Interno Lordo (PIL) argentino è sempre diminuito generando e aggravando la crisi politica che è precipitata nello scorso dicembre. Le manifestazioni clamorose della crisi politica sono state, dalla parte delle masse popolari, le rivolte isolate in singole città e quartieri, gli assalti ai negozi (le “spese proletarie”) e infine la rivolta generale di dicembre durante la quale la polizia ha arrestato varie migliaia di dimostranti e ne ha  ucciso almeno 31. Dalla parte dell’oligarchia dominante, le dimissioni e la fuga il 20 dicembre del presidente della Repubblica eletto alla fine del ’99 (2) e il successivo balletto di presidenti effimeri fino all’elezione il 2 gennaio, da parte del Parlamento, di Eduardo Duhalde (uno dei capi del Partido Justicialista). Cosa era accaduto?

La condotta dettata dal FMI ha trascinato il paese in un movimento rovinoso. I gruppi che hanno avuto in mano il potere nel paese hanno venduto le grandi imprese pubbliche e le risorse naturali ai grandi gruppi imperialisti, si sono impadroniti del ricavato e lo hanno investito all’estero, soprattutto negli USA che è il rifugio più sicuro per gli imperialisti di tutto il mondo (e lo resta anche dopo gli attentati di settembre). Non solo, ma hanno contratto una montagna di debiti all’estero, come prestiti di istituzioni finanziarie pubbliche e come obbligazioni vendute a privati (con interessi altissimi e commissioni d’oro alle banche che collocavano i prestiti), il cui ricavato ha fatto la stessa fine del ricavato delle privatizzazioni. Perché investire in fabbriche e imprese, con tutti i connessi problemi con i dipendenti e per lo smercio, quando si può fare investimenti finanziari a New York sotto la protezione dello Stato USA? È difficile valutare l’ammontare del debito pubblico o semipubblico, dello Stato federale e degli altri organismi pubblici, ma esso dovrebbe essere compreso tra 150 e 250 miliardi di dollari.

 

2. Fernando De la Rua, candidato di una coalizione di centro-sinistra costituita da UCR e sinistra riformista, aveva vinto le elezioni presidenziali e si era installato alla presidenza il 10 dicembre ’99. Egli continuava la politica di Menem, forse un po’ più spostata verso i gruppi imperialisti europei. Proprio questo “spostamento” ha probabilmente facilitato il suo crollo, spinto anche dagli imperialisti americani.

 

I monopoli internazionali che si sono impadroniti dell’economia nazionale fanno produrre in Argentina solo quello che le particolari caratteristiche naturali o storiche del paese consentono di produrre con più profitto che altrove. Per le banche e le società che amministrano il risparmio è conveniente fare come i grandi ricchi del paese: investire nel mercato internazionale del capitale finanziario. I gruppi internazionali in forza delle relazioni, degli accordi e dei rapporti di forza vigenti a livello internazionale sfuggono alla volontà delle autorità politiche del paese. Del ricavato della produzione in Argentina ritornano al paese solo i salari che essi pagano ai loro dipendenti (gli operai e gli agenti locali che essi assumono alle loro dipendenze), le imposte che permettono alle autorità politiche di imporre e gli eventuali investimenti. In linea generale essi sono in grado di comandare alle autorità politiche del paese, 1. sia minacciando delocalizzazioni e facendo leva sulla loro importanza nel paese come contribuenti e come datori di lavoro, 2. sia in forza del ricatto che dall’estero possono esercitare sulle autorità politiche del paese tramite gli organismi internazionali [concessione o meno di prestiti, ammissione o meno alle attività internazionali (trasporti internazionali, reti di comunicazione, trattati commerciali, protezione consolare, accordi di polizia, ecc.), alla “comunità internazionale”, embargo, boicottaggio], 3. sia per la corruzione che sono in grado di esercitare sui singoli uomini, partiti e associazioni, per le interferenze che sono in grado di esercitare nella vita politica del paese (finanziando giornali e TV, montando scandali, assoldando agenzie e uomini). In più da anni gli USA (e in misura minore la UE) risucchiano dall’Argentina non solo denaro-capitale, ma anche gli individui professionalmente più qualificati. Con le loro leggi razziste e classiste, USA e UE ammettono all’immigrazione, a volte addirittura con facilitazioni, solo individui molto qualificati ed escludono manodopera comune. In questo modo drenano dall’Argentina e dai paesi che si trovano nelle sue condizioni quella che è una delle grandi risorse di ogni paese: il know-how economico e professionale, la conoscenza, la formazione, il talento.

D’altra parte l’Argentina è stata aperta alla libera importazione di ogni merce (beni e servizi). La produzione nazionale di merci, per la parte che riguarda beni trasportabili e servizi che non si devono per forza rendere sul posto accanto al compratore, è stata di conseguenza travolta dalle merci prodotte nel mondo in sovrabbondanza. I monopoli hanno favorito lo smercio dei loro prodotti con vendite a rate, prestiti commerciali, dumping e altre facilitazioni. Ciò è stato tanto più facile perché il commercio all’ingrosso e le grandi catene di vendite al dettaglio erano finite nelle mani di grandi società di distribuzione francesi, spagnole e americane. L’appalto per la fornitura di latte agli ospedali di Buenos Aires è  stato aggiudicato a una società olandese! La parità peso/dollaro ha reso invendibili all’estero tutte le merci che non sono monocoltura dei grandi monopoli, specie dopo che nel ’98 il Brasile (cui l’Argentina è legata dall’accordo del Mercosur), travolto dalla crisi finanziaria di quell’anno, ha svalutato la sua moneta. I capitalisti locali hanno smesso di produrre merci: hanno venduto le imprese che i grandi gruppi volevano comperare e hanno chiuso per fallimento le altre. Schematizzando, la massa della popolazione argentina è stata sempre più indotta a consumare merci che vengono acquistate all’estero con dollari. Decine di migliaia di operai argentini sono diventati forza-lavoro inutile, esuberi e disoccupati. La pressione sugli operai ancora occupati è diventata sempre più forte e le loro condizioni peggiori e più precarie.

Per lo più i borghesi, con la loro mentalità arretrata ferma all’epoca in cui la produzione capitalista era limitata a casi marginali o isolati nel mare stagnante dell’economia feudale, semifeudale o “naturale”, pensano ancora oggi che la riduzione dei posti di lavoro sia un problema che riguarda solo l’impresa che licenzia e i lavoratori licenziati che in qualche modo si arrangeranno. In realtà in una società che ha raggiunto un grado di capitalizzazione relativamente alto,(3) ed è il caso dell’Argentina, la riduzione dei posti di lavoro nel settore capitalista dell’economia produce effetti economici e morali a catena in tutta la società.

 

3. Il grado di capitalizzazione di un paese è dato dalla percentuale di lavoratori dipendenti da imprese capitaliste (operai) sul totale della popolazione adulta. In Italia è di circa 7 milioni su 44 milioni, il 16% (e circa 32% il rapporto percentuale di tutti i lavoratori dipendenti rispetto all’intera popolazione adulta). Negli USA è circa 20% (e circa 39% il grado di proletarizzazione). L’Argentina è il paese a più alto grado di capitalizzazione di tutta l’America Latina.

 

L’economia è oramai collettiva. Il carattere collettivo dell’attività economica degli individui vuol dire che ogni individuo può svolgere la sua attività solo se almeno la gran parte degli altri svolge la sua. Se per qualche motivo una parte degli individui cessa la sua attività, anche l’attività degli altri viene turbata e, in determinate condizioni, sconvolta. E tutta la società viene sconvolta in tutti i campi, non solo in campo economico. La capacità di resistenza della società alla crisi che colpisce una sua parte, oltre che dalla grandezza e dal ruolo della parte colpita e dalla durata della sua crisi, dipende dalle dimensioni dell’intera società in questione, dalla sua struttura (ruolo della produzione per l’autoconsumo - economia “naturale” -, grado di capitalizzazione della società, ecc.), dai poteri effettivi delle sue pubbliche autorità e dalla loro capacità di attutire gli effetti sociali della crisi (ammortizzatori sociali, indebitamento, sfruttamento dell’estero, sistema del credito). La massa dei proletari, tolti quelli dipendenti dalla pubblica amministrazione e da enti e imprese non capitaliste, svolge un’attività economica solo se i ricchi (cioè quelli che possiedono denaro e dispongono delle altre condizioni necessarie per la produzione - know-how e relazioni) possono con essa arricchirsi ulteriormente. La grande massa dei proletari non è più in grado di svolgere una autonoma attività mercantile, né vi sarebbe un mercato per le merci da essi prodotte. Quindi i proletari che vengono cacciati dal settore capitalista dell’economia vengono meno anche come potere d’acquisto. Se gli operai estromessi dalla produzione sono una parte anche solo importante della popolazione, la diminuzione del potere d’acquisto complessivo della società riduce gli affari anche delle imprese non capitaliste e dei lavoratori autonomi (piccola borghesia). Quindi provoca ulteriore disoccupazione: dei proletari impiegati alle loro dipendenze e di una parte degli stessi lavoratori autonomi. Tutto ciò riduce ulteriormente anche le entrate della pubblica amministrazione che a sua volta o ricorre a prestiti o riduce le sue spese in acquisti e in salari, licenzia e riduce la quantità e la qualità dei servizi pubblici.

Cosa significa la diminuzione del PIL argentino che si protrae dall’agosto del ’98? Significa appunto che diminuisce il complesso delle attività svolte da quella parte della popolazione che le statistiche borghesi chiamano “popolazione attiva” (operai, dipendenti della pubblica amministrazione, altri proletari attivi, lavoratori autonomi, capitalisti produttori di merci) e misurate dal reddito che a qualsiasi titolo ne ricavano. Una massa crescente della popolazione è quindi spinta ai margini dell’attività economica, ridotta a consumare i risparmi o a vivere di elemosina, di proventi di attività illegali e di sotterfugi, ad attività di sopravvivenza.

 In Argentina una parte importante della popolazione è diventata per i capitalisti inutile come forza-lavoro (esuberi) e via via si è esaurita anche come mercato. I salari di quelli che hanno ancora un lavoro negli ultimi vent’anni sono stati ridotti del 50% come potere d’acquisto reale. Tutto il paese avrebbe dovuto lavorare per pagare interessi e rate del debito estero. Ma i monopoli internazionali non vogliono sentir parlare di imposte e per questo basta loro corrompere gli uomini politici giusti e premere sul resto. Tutto il peso dovrebbe gravare sui salari e su quanto resta di impresa locale.

I lavoratori estromessi come dipendenti non solo non possono svolgere un’attività commerciale, ma non possono neanche svolgere le attività di produzione per l’autoconsumo (economia “naturale”) un tempo diffuse. In linea di massima non possono ricavare di che vivere direttamente dalle risorse naturali (terra, foreste, acque, ecc.) sia perché in generale queste sono proprietà privata sia perché essi non sono più capaci di farlo. E in ogni caso la produzione per l’autoconsumo sarebbe la regressione a un livello di vita asociale e primitiva. Essi devono sviluppare le attività da emarginati, legali e illegali, quelle attività che ogni individuo può svolgere senza capitali e relazioni ai margini della società e contro di essa, con know-how elementari e facilmente acquisibili, oppure vivere di accattonaggio, di ripieghi e di assistenza. Per chi si rassegna a percorrere questa strada, ciò vuol dire il degrado della morale individuale e delle relazioni sociali. Ne seguono il degrado generale della morale, il peggioramento delle condizioni di sicurezza pubblica, l’aumento della delinquenza, il peggioramento dell’igiene, la regressione dell’intera società in ogni settore. In Argentina il governo De la Rua, messo alle strette dal FMI (cioè dagli USA) che gli negò un prestito già promesso di 1.3 miliardi $, all’inizio di dicembre arrivò a ridurre salari e pensioni e a sospenderne il pagamento. Oltre a ciò limitò il prelievo dei risparmi depositati nelle banche. Allora scoppiò la rivolta generale di dicembre.

Questo è grosso modo quello che è successo in Argentina. Ed è la minaccia che l’ordinamento imperialista fa gravare su altri paesi intermedi tra i maggiori paesi imperialisti e i paesi capitalisticamente più arretrati. I rapporti capitalisti di produzione non sono oramai più adatti a incanalare, inquadrare, regolare, promuovere i rapporti sociali necessari alla produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza con le forze produttive effettivamente esistenti e, di conseguenza, all’esplicazione e alla riproduzione delle altre condizioni moderne della vita degli uomini. Essi al contrario costringono la massa, o una parte importante della popolazione, ai margini della vita civile. Questa emarginazione si propaga nell’intera società e la sconvolge.

Abbiamo così lo spettacolo di un paese immenso (2,8 milioni di Kmq), ricco di risorse naturali e con un elevato livello culturale, abitato da quasi 40 milioni di persone di cui più di 14 milioni sono in riconosciuta miseria. Nell’ambito dei rapporti di produzione borghesi essi non possono ricavare di che vivere da quelle risorse e non hanno ancora raggiunto la forza politica per imporre un sistema socialista. La borghesia ha, dall’interno e nelle relazioni con gli imperialisti americani, la forza per ostacolare lo sviluppo in quella direzione. Un pugno di ricchi e di parassiti, con i conti in banca a New York, gozzoviglia sulla miseria diffusa, militari e poliziotti sono agli ordini di Washington e le dame di S. Vincenzo organizzano mense popolari. Il nuovo presidente, Duhalde, è un portavoce dei primi e sua moglie Hilda organizza le dame di S. Vincenzo.

Un quadro senza vie d’uscita per le masse popolari? No, perché accanto al degrado e alla demoralizzazione, nelle masse popolari si è sviluppato anche il suo contrario: la ripresa della lotta per la propria emancipazione dal capitalismo. Le ampie ed eroiche proteste delle masse popolari sono probabilmente il segno che le forze rivoluzionarie del popolo argentino sono nuovamente in marcia. L’eroica rivolta generale di dicembre è stata un progresso rispetto alle numerose rivolte isolate dei mesi precedenti. In essa si sono combinati rivendicazioni e obiettivi politici. Essa conserva tuttavia i limiti più gravi del movimento dei mesi precedenti: “grande spontaneità, mancanza di una direzione rivoluzionaria, grande partecipazione della classe media e scarsa partecipazione della classe operaia, tendenze nazionaliste al grido di ‘Argentina, Argentina’ che prevalgono su una linea di classe, manifestanti che condannano tutti i partiti politici senza distinguerne i ruoli, presenza di elementi criminali e di provocatori peronisti...”. Manca ancora “...la direzione di un’orga nizzazione politica di militanti e quadri, dotati di una ideologia, una tattica e una strategia, di centralismo democratico e di disciplina, con una struttura solida in tutti i campi, con una tradizione e un’acuta percezione del nuovo che le masse stanno generando”.(4)

 

4. Dalla Risoluzione politica del IX congresso del Partido de la Liberacion tenuto a Buenos Aires il 5 e 6 gennaio. I lettori possono trovare l’intera Risoluzione e altri documenti consultando il sito www.pl.org.ar.

 

Tuttavia la rivolta generale di dicembre non è solo un’esplosione dettata dalla fame, dalla miseria, dall’indignazione per la disoccupazione, la corruzione e l’arroganza dei ricchi, né è solo il frutto delle manovre e delle manipolazioni degli avversari (interni ed esteri - leggi USA) del governo di centro-sinistra di Fernando De la Rua. Essa è anche il frutto del lavoro paziente e di lungo respiro svolto da varie organizzazioni comuniste e rivoluzionarie. Alcune le conosciamo (Partido de la Liberacion, Refundacion Comunista, Quebracho, Coordinadora Anibal Veron-MTD, Movimiento de los Trabachadores Revolucionarios, Convergencia Socialista, MIJP-CND, HIJOS, Madres de Plaza de Mayo, Tendencia Clasista 29 de Mayo, TUPAC, ecc.), altre le ignoriamo. Da anni i disoccupati protestano con blocchi stradali (movimento dei piqueteros) e in altri modi. Scioperi parziali, rivolte locali e scioperi generali hanno costellato la vita dell’Argentina degli ultimi anni.

La già citata Risoluzione dice anche: “L’Argentina sta entrando in una fase rivoluzionaria, cioè in una fase in cui la questione del potere è la questione principale: sia per le classi superiori che lo vogliono conservare, sia per le classi oppresse che vogliono instaurare il loro potere. Sintetizzando questa questione centrale, il IX Congresso del PL ha indicato il terreno su cui le forze popolari devono avanzare in conformità con la nuova situazione creata dalla rivolta di dicembre: dalla rivolta generale alla rivoluzione popolare. Ossia dalle rivolte popolari alla presa del potere da parte dei lavoratori e del popolo, per assicurare pane, lavoro, libertà, terra e indipendenza con un governo onesto espressione delle classi oppresse.

Anzitutto bisogna sconfiggere il governo di “unità nazionale” messo insieme da Duhalde (PJ) e da Raul Alfonsin (UCR) che ha deciso di ridurre i salari, sovvenzionare le banche, finanziare i grandi monopoli e gli agrari, rinegoziare col FMI per riprendere a pagare il fraudolento debito estero, ecc.

È perfettamente possibile eliminare questa congrega di partiti falliti a condizione di continuare sulla strada della rivolta generale di dicembre e innalzare le forme di lotta delle masse. Dopo questo, quando Duhalde sarà solo un ricordo del passato come già oggi lo è De la Rua, è probabile che gli Stati Uniti e i grandi gruppi economici cerchino di arrestare la ruota della storia con un colpo di Stato usando l’esercito del generale Ricardo Brinzoni.

Migliorare il nostro intervento nel movimento delle masse. Mobilitare e creare nuove organizzazioni di massa, come il movimento della gioventù ribelle. Elaborare politiche adeguate per ogni svolta della situazione. Agitare la parola d’ordine di un governo popolare rivoluzionario diretto dalla classe operaia. Imparare a padroneggiare ogni forma di lotta. Unire i rivoluzionari in un fronte politico. Generalizzare l’autodifesa delle masse e le nuove forme di lotta che il movimento popolare e le sue avanguardie naturali vanno elaborando. Questi e altri simili sono i compiti che la sinistra rivoluzionaria deve risolvere per sconfiggere Duhalde e accumulare forze per costituire un fronte contro il colpo di Stato.”

L’Argentina ha mostrato dove l’imperialismo sta portando il mondo. Ci auguriamo che le masse popolari argentine mostrino anche la nuova vita del movimento comunista che sta nascendo.

 

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