Metodo e analisi scientifica
Contro il diffuso atteggiamento antiscientifico e irrazionale

Rapporti Sociali n. 26/27 - gennaio 2001 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Riproduciamo di seguito un articolo di Roberto Zanetti, pubblicato su “Nuova Unità” (8/1999). Questo testo prosegue il tema sviluppato nell’articolo precedente. Ambedue gli articoli trattano del ruolo positivo della conoscenza razionale e dell’innovazione tecnologica nello sviluppo dell’umanità. Riteniamo quanto mai importante l’argomento dato che anche nelle forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) l’irrazionalismo borghese è imperante, con le annesse paure per gli sviluppi scientifici moderni nel campo della conoscenza, dell’informatica e della biotecnologia. Riteniamo che affermare il ruolo positivo del metodo scientifico sia molto importante ora che tra le FSRS si sta discutendo della natura del futuro partito comunista, della sua concezione del mondo, del suo programma e della sua linea. L’importanza è ancora accresciuta dal fatto che le grandi innovazioni in atto nel campo della biotecnologia e della genetica suscitano tra le masse preoccupazioni giustificate per l’uso che ne farà la borghesia imperialista. La borghesia imperialista cerca di incanalare queste preoccupazioni verso le scoperte in se stesse e di alimentare per tale via il terrore, la disperazione e l’irrazionalismo. Il Vaticano e le altre Chiese diventano paladine delle preoccupazioni delle masse e quindi rafforzano un circuito vizioso di subordinazione delle masse popolari alla borghesia imperialista, proprio la classe dominante che terrorizza e alimenta l’irrazionalismo. In realtà le scoperte in corso danno una brillante conferma della concezione materialista dialettica e potrebbero alimentare in seno alla borghesia imperialista la contraddizione tra la sua esigenza economica di sviluppare nuove forze produttive e le sue chiese che per loro natura fanno leva su concezioni reazionarie. Se a questo aggiungiamo quanto connesso con l’inarrestabile introduzione dell’informatica nell’economia e la disoccupazione e l’emarginazione che ne derivano stante il modo di produzione capitalista è ancora più evidente l’importanza della battaglia a cui appartengono i due articoli in questione.

 

Viviamo in una società in declino; i segni della sua decadenza sono visibili ovunque e i benpensanti lamentano la disintegrazione della famiglia e l’epidemia della droga, del crimine, della cieca violenza e di tutto il resto, ma l’unica loro risposta è di intensificare la repressione statale: più polizia, più carceri, punizioni più brutali, persino l’investigazione genetica sui presunti “caratteri ereditari criminali”. Quello che non vedono o non vogliono vedere è il fatto che questi fenomeni sono il sintomo della strada senza uscita in cui si trova il sistema sociale che essi rappresentano.

Sono questi i difensori delle “forze di mercato”, delle stesse forze irrazionali che attualmente condannano milioni di persone alla disoccupazione. La moralità prevalente è quella del mercato, cioè quella della giungla. In effetti, la ricchezza della società si concentra sempre più in poche mani, nonostante tutta la demagogia sulla presunta “libertà di mercato”. Ci dicono che viviamo in una democrazia, eppure un pugno di grandi banche, monopoli e speculatori in borsa (spesso la stessa gente) decide sul destino di miliardi di persone. Questa piccola minoranza dispone di potentissimi strumenti per manipolare l’opinione pubblica; ha il monopolio sui mezzi di comunicazione, su stampa, radio e televisione.

Negli Stati Uniti (paese guida del capitalismo), in definitiva, l’ideale è sempre quello della sindrome di John Wayne, ovvero “il giustiziere nordamericano che si fa giustizia con la pistola”.

La crisi di un sistema si esprime attraverso ogni tipo di degenerazione e di tendenze irrazionali: la classe sociale dominante compie tagli profondi alla spesa pubblica; le facoltà scientifiche universitarie vengono chiuse o rese meno  accessibili e la ricerca e lo sviluppo vengono frenati o pilotati contro l’interesse collettivo; i grandi monopoli della TV, dell’editoria e del cinema fanno fortuna con programmi che incoraggiano a credere nell’occulto, nell’astrologia e nella superstizione in generale. La diffusione di queste incoerenze non è così innocente come potrebbe sembrare: nella migliore delle ipotesi si potrebbe configurare come delitto di informazione, ma fa parte di una pilotata tendenza generale verso il raggiungimento di un irrazionalismo di massa e di élite che conducono al rifiuto pregiudiziale della razionalità. L’ignoranza è naturalmente uno dei prerequisiti indispensabili per la nascita e il consolidamento di false idee. A chi diventa vittima di tali manipolazioni diventa impossibile fornire spiegazioni a sostegno della razionalità e delle forme più avanzate di elaborazione del pensiero; esse vengono rigettate vigorosamente. Quindi il fine di queste manipolazioni è quello di permettere ai detentori dei privilegi offerti loro da questa società, di continuare a mantenerli, malgrado l’aumento delle contraddizioni, rendendo così i popoli, che ne sono vittime, impossibilitati nel comprendere l’origine delle continue ingiustizie e di conseguenza incapaci di organizzarsi e ribellarsi efficacemente.

In questa triste situazione il primo compito necessario è quello di elevare la capacità di analisi per opporre razionalismo all’irrazionalità e conoscenza all’intuizione, quindi: chi desidera elevare la propria cultura oltre i problemi quotidiani per l’esistenza, ma soprattutto chi si occupa di problematiche sociali, ha il dovere di porsi nelle condizioni di capire come si producono i fenomeni fondamentali che ci avvolgono e coinvolgono. Perciò diventa indispensabile avere come precondizione la conoscenza almeno approssimata di quanto ha prodotto fino ad oggi il genere umano, e necessariamente, l’applicazione di quanto vi è di più avanzato: il metodo marxista.

L’utilizzo razionale delle potenzialità intellettive di cui disponiamo non è cosi semplice come si potrebbe pensare, l’inquinamento intellettivo non è riconoscibile in modo altrettanto semplice come quello fisico, per cui, il mondo è pieno di persone che confondono le proprie opinioni (o, molto spesso, quelle che credono proprie) con la realtà, e che ritengono “verità” quelle che sono semplicemente loro convinzioni personali, maturate molto spesso attraverso un bombardamento di informazioni giornalistiche incontrollate e spesso tendenziosamente false. In queste condizioni per molti diventa più forte il desiderio di veder confermate le proprie convinzioni che quello di capire. Ma per chi vuole usare la razionalità e non i sentimenti nell’interpretazione della realtà, esiste un metodo inequivocabile, che da secoli si utilizza per distinguere la realtà dalle illusioni. Un metodo che si basa sulla continua verifica dei fatti e che consente tra l’altro di tracciare un confine tra quello che realmente si sa e quello che, invece, si crede di sapere. Questo metodo, che non assume come premesse convinzioni filosofiche o convinzioni soggettive, è il metodo scientifico che si basa sulla continua verifica dei fatti e sulla riproducibilità dei medesimi.

Il metodo di analisi scientifico più avanzato di cui disponiamo oggi per analizzare il mondo in cui viviamo è il materialismo dialettico e storico. Ovvero un metodo altrettanto rigoroso quanto privo di certezze conclusive, lontano dal senso comune e quello mitologico, superficiale, assoluto, denso di certezze, caratteristico delle credenze irrazionali e superficiali che inducono alla falsa convinzione di aver trovato una prospettiva equilibrata: la famosa apertura mentale. Però, al contrario di quanto si possa credere, in mancanza (ma sarebbe meglio dire privazione) di una cultura scientifico-razionale e in presenza di continui problemi di sussistenza diventa “naturale” la ricerca di “soluzioni semplici”, “definitive”! Diventando così prede di ogni irrazionalità e nel contempo, ostili al razionalismo che non può (e non vuole) offrire le medesime illusioni.

Dell’atteggiamento ostile e diffidente nei confronti del metodo razionale scientifico, vi è indubbiamente una molteplicità di cause, ma la principale è, come sempre, l’ignoranza. C’è chi accusa la scienza di attentare agli aspetti più elevati della spiritualità umana, primi fra tutti la soggettività, la libertà e la spontaneità di ciascun individuo. La ricerca razionale e disciplinata, tipica del metodo scientifico, spaventa molta gente che contrappone ad esse la sfera, tipicamente soggettiva, della fantasia, della libera invenzione e dell’emotività. Ma vi è anche chi trova molto più semplice e comodo usare un “metodo” umanistico che non l’impegno, lo studio, la fatica e la costanza che richiede un  approccio di carattere scientifico. Alla scarsa considerazione rivolta alla scienza nel passato (sia in ambito politico, ma non solo), si è, infatti, diffusamente sostituito un atteggiamento di netto rifiuto e di inquietudine tanto che, per evidenziare questa situazione emergente, si può certamente parlare di un comportamento nemico della scienza, indotto dai mezzi di persuasione di questa società, compresi anche quelli apparentemente innocui, che diffondono un’immagine minacciosa e talvolta apocalittica delle conseguenze prodotte dalla scienza (e non magari dall’uso distorto che di essa può fare una società disumanizzata come quella in cui viviamo e che si regge sull’unico stimolo del profitto e potere personali).

Ingredienti di questo preoccupante atteggiamento anti-scientifico sono una crescente paura nei confronti della civiltà tecnologica; l’esaltazione di un idilliaco stato di natura oramai perduto e, naturalmente, la ricerca di dottrine che, alla “fredda” razionalità scientifica, contrappongono l’emotività arcana del dogma, dell’occulto, della magia, del paranormale e, in generale, di tutto ciò che è esotico e alternativo rispetto alle forme culturali “scientifiche”. L’espressione “sostanza chimica” terrorizza moltissima gente, che non si rende assolutamente conto che anche tutto ciò che si trova in natura è costituito da “sostanze chimiche”.

Il clima di diffidenza nei confronti della scienza, così diffuso a livello popolare, rappresenta il terreno di coltura ideale su cui possono facilmente prosperare credenze irrazionali nei confronti di discipline pseudoscientifiche, pratiche esoteriche e magiche. Ogni sforzo diretto a contrastare la diffusione di comportamenti e credenze irrazionali non può pertanto essere disgiunto da un serio impegno mirato a rimuovere le cause della diffusa ostilità nei confronti del metodo scientifico (che, ripeto, non ha nulla a che vedere con l’uso distorto che ne fa questa società), ma d’altro canto, chi si aggrappa all’irrazionalità, all’egocentrismo e all’emotività, ovviamente, deve respingere ogni approccio scientifico.

I comportamenti soggettivi trovano alimento anche in chi, abbandonata la prospettiva di una modifica radicale del modello di produzione e scambio capitalista, va alla ricerca di un’alternativa culturale che gli consenta, perlomeno, una prospettiva di liberazione a livello individuale. Il “rifiuto dell’occidente” diventa rifiuto dell’idea di Ragione che ha consentito quel tipo di sviluppo. Ad esso viene contrapposta un’altra visione nella quale trova spazio tutto ciò che si definisce alternativo: medicine alternative, mitologie alternative, credenze religiose inconsuete e nuove (poco importa se poi sono ancor più alternative e inconciliabili fra loro). Tutto ciò, purtroppo, senza individuare con precisione nuovi criteri (per quanto deboli o suscettibili di modifica) di verità, ma semplicemente definendosi in opposizione che, alla fine, opposizione non è. Un simile comportamento che rifiuta testardamente (quanto negativamente) l’oggettiva irreversibilità dell’avanzamento tecnologico, finiscono, loro malgrado, col concedere al capitalismo di mantenerne il controllo assoluto, incontestato, e alla fine vincente. Nella medesima ottica si spiega anche la nascita di una sorta di fondamentalismo ecologista che pretende di contestare la società capitalista semplicemente individuandone alcune contraddizioni e sottolineando i rischi che queste provocano per l’ambiente. Questo rifiuto della tecnologia rischia di sottovalutare i reali effetti benefici, in termini di qualità e quantità della vita, che lo sviluppo tecnologico ha assicurato a miliardi di persone (malgrado l’uso irrimediabilmente distorto che ne fa il capitalismo). E quanto di più si sarebbe potuto ottenere per l’umanità se l’opposizione ai progetti del capitale fosse più sistematicamente scientifica e non deviata da così deleteri soggettivismi e altrettanto dannose semplificazioni. Ogni rivendicazione che sia rivolta ad uno sviluppo tecnologico più “umano”, che pretenda un irrinunciabile rispetto dell’ambiente o quant’altro serva per una vita più dignitosa, non è possibile vederla slegata da una contestualità globale di gestione capitalistica e quindi la necessità di contrapporvisi, cogliendone questa completezza, nell’ambito di un progetto altrettanto globale di cambiamento radicale della società.

Un accanimento particolare è riservato all’ambito della scienza che concerne la salvaguardia della salute: medicina e farmacologia. Il risultato è che, invece di accusare le speculazioni delle case farmaceutiche perché mettono in vendita medicinali di nessuna utilità concreta e non investono abbastanza nella ricerca e nelle direzioni più opportune, viene  alimentata una credenza nelle pseudoterapie definite impropriamente alternative, che non hanno alcun reale riscontro sperimentale di efficacia.

Questa sembra essere, quindi, la nuova “ideologia”: che ad ognuno sia permesso di credere e fare ciò che ritiene più giusto (la sindrome di John Wayne).

Indubbiamente la posizione è suggestiva e si concilia assai bene con le esigenze di salvaguardia del concetto comunemente diffuso di libertà e dell’autonomia dei singoli. Purtroppo, però, questa opinione non è che una semplificazione borghese e comunque non ha alcun senso pratico, specialmente se intesa in senso assoluto. La libertà non si misura certamente con questi parametri, ma attraverso una visione di classe dei rapporti di produzione esistenti nella data società.

Un’ultima ragione che spiega questa deriva irrazionalista può essere ritrovata nella convinzione che l’irrazionale sia una forma di conoscenza popolare contrapposta al sapere ufficiale. Si tratta in questo caso di un grande malinteso. In realtà, a prescindere da valutazioni sulla sua efficacia, l’irrazionale (la magia, ad esempio) è una forma di approccio al reale assolutamente antidemocratica e antipopolare. Ciò riguarda sia la sua pratica, riservata a pochi eletti, sia le sue procedure, segrete ed inaccessibili ai profani, cioè tutti gli altri. Per quanto riguarda poi le pseudo-medicine, la loro presunta efficacia si basa su convinzioni filosofiche vecchie di secoli, oltretutto inequivocabilmente smentite dall’esperienza e dalle conoscenze scientifiche che si sono accumulate nel tempo, ma completamente ignorate dalle vittime che se ne servono.

Quel che maggiormente sorprende in questi atteggiamenti brevemente descritti è la loro distanza da quell’importante tradizione storica ed intellettuale che ha sempre contraddistinto, nel passato, la sinistra: guardare alla scienza come ad un ambito il cui sviluppo potesse portare reali benefici a tutti i cittadini, proiettando nel contempo una immagine dell’uomo come artefice di progresso e libero dalla schiavitù dell’ignoranza, della superficialità, dell’egocentrismo, dell’irrazionale. Se comunque, la sinistra in generale nel suo passato si è opposta all’irrazionalità, per quanto riguarda i comunisti l’analisi scientifica è sempre stata il fondamento del proprio metodo politico. Al contrario, la sedicente sinistra odierna, giunta ad assolvere il compito di gestire il potere borghese, lo gestisce come ha fatto ogni altro servo del passato: utilizzando gli strumenti del proprio padrone (che è rimasto il medesimo) per cui, come già gli altri, diffonde sempre più pregiudizi irrazionali, con lo scopo, secondo i suoi progetti, di utilizzarli come valvole di sfogo per le sempre maggiori incertezze in cui caccia i cittadini indotti a cercare la soluzione alle crescenti difficoltà nelle bische gestite dalle Stato. Quel medesimo Stato, che per lavarsi la coscienza, promette di investire una parte degli utili così ottenuti nella “difesa dei Beni Culturali del Paese”. Come se la dignità del cittadino che in questo modo calpesta, non fosse il più prezioso “Bene Culturale da difendere”!

In accordo alla situazione sopra accennata, anche il sistema scolastico non fornisce un’adeguata istruzione, l’insegnamento delle materie scientifiche e il conseguente sviluppo della razionalità vengono attuate senza l’apprendimento del “metodo” che vi sta alla base, ma più semplicemente come una serie di dati e di nozioni accumulate.

Dunque, la lotta all’idealismo, al soggettivismo e all’irrazionalità non può essere disgiunta da una contemporanea opera di seria educazione nei confronti della scienza, indicata correttamente non come un principio assoluto, ma semplicemente come un metodo che, all’atto pratico, ha dato prova di ottimo funzionamento, e che quindi non è legittimo attaccare senza proporre nulla di superiore in alternativa. Il metodo scientifico non è infallibile, ma è il migliore che abbiamo. Solamente una corretta conoscenza dei suoi metodi, dei suoi obiettivi e dei suoi risultati può far apparire la scienza per quello che in realtà è: un raffinato sistema di sapere, indispensabile per comprendere noi stessi e la realtà in cui viviamo (e di cui ci occupiamo). In quest’ottica, essa, anziché contrapporsi alle esigenze sentimentali dell’uomo rivela la sua natura profondamente umanistica in quanto capace di fornire contributi insostituibili al  soddisfacimento delle fondamentali domande che l’uomo si pone. È innegabile che l’elaborazione scientifica di Marx abbia avuto alla base un grande e profondo amore per il genere umano.

L’antidoto contro il diffuso atteggiamento antiscientifico sembrerebbe dunque relativamente semplice: fornire un’immagine corretta di ciò che la scienza è e di cosa può offrire un metodo scientifico di analisi costantemente sottoposto a rigorosa verifica.

In realtà la maturazione è il risultato di un processo lungo di apprendimento, mentre le sirene dell’idealismo, dell’irrazionalità, della semplificazione e del soggettivismo, dal richiamo intenso e seducente, esercitano un’attrazione molto forte e impulsiva. Basterebbe semplicemente spostare la centralità del problema dal proprio essere, e cercare al di fuori di sé il criterio di analisi, per fare il primo passo. Ma non è semplice come sembrerebbe.

Osservare il mondo con un approccio scientifico abitua anche ad usare la qualità più preziosa che abbiamo: l’intelligenza. In un mondo dominato dall’emotività e spesso dall’irrazionalità, non è cosa da poco.

Il marxismo si propone (tra le altre cose) di dimostrare che la società si presta a uno studio scientifico. In contrasto con coloro che vedono solo confusione (o “troppo” ordine), i marxisti concepiscono lo sviluppo umano come il prodotto di forze materiali e individuano una descrizione scientifica delle categorie sociali come le classi. Tuttavia, come Marx ed Engels hanno sempre sostenuto, l’economia politica non è una scienza esatta; se da un lato è possibile delineare tendenze e sviluppi di portata generale, dall’altro non è possibile una conoscenza dettagliata e profonda di tutte le variabili in gioco e di tutte le condizioni. Con le infinite interazioni tra innumerevoli soggetti, la politica e l’economia costituiscono un sistema talmente complesso che al suo confronto il sistema climatico planetario può sembrare un meccanismo ad orologeria. Tuttavia, come nel caso di altri sistemi “caotici”, la società può essere studiata con metodo scientifico purché, come per il clima, si comprendano i limiti di tale indagine.

Comunque, Marx non basò la sua interpretazione della storia sulle leggi della fisica, come alcuni suoi denigratori affermano. Le leggi dello sviluppo sociale devono essere derivate da un accurato studio della società stessa. Marx ed Engels dedicarono l’intera vita a questo studio, basandolo su una colossale mole di dati meticolosamente accumulati, come mostra anche una pur superficiale scorsa del Capitale. Fra l’altro, Marx ed Engels erano fortemente critici nei confronti del determinismo meccanicista in generale e di Newton in particolare. Quindi il tentativo di stabilire qualche parallelo tra il metodo di Marx e quello di Newton e Laplace non ha nessun fondamento.

Se il metodo marxista non fosse possibile, ogni tentativo di arrivare a una comprensione razionale dello sviluppo umano dovrebbe essere abbandonato, almeno fino a che non venga formulata una nuova elaborazione. Ma se, come invece crediamo fermamente, la storia umana procede secondo le stesse leggi dialettiche che osserviamo nella natura (e perché la specie umana dovrebbe rivendicare l’improbabile “privilegio” di essere del tutto esentata dalle leggi oggettive di sviluppo?) allora il procedere della storia umana per la prima volta comincerebbe ad acquistare un senso. Può essere spiegata, può persino, entro certi limiti, essere prevista, sebbene le previsioni di fenomeni complessi non sono così elementari come quelle che comportano semplici processi lineari. È quindi necessario condurre una lotta implacabile contro ogni tentativo di confondere la mente degli uomini con credenze idealiste e mistiche che hanno origine nella tenebrosa preistoria del pensiero umano. La scienza è cresciuta e si è sviluppata proprio in quanto ha voltato le spalle ai pregiudizi accumulati nel passato.

Lamentarsi delle scoperte scientifiche, come fanno ormai molti, è oggi tanto inutile quanto lo era distruggere le nuove macchine ai tempi della Rivoluzione industriale, come facevano alcuni gruppi di lavoratori esasperati. Le scoperte scientifiche e tecnologiche sono parte vitale dello sviluppo della società, in quanto permettono all’umanità di acquisire un crescente superamento sulle costrizioni imposte dalla natura. Solo per questa via l’umanità potrà essere realmente libera. Per fare un esempio basti vedere che la speranza di vita nell’antico Egitto era di 22 anni e nell’arco di tempo di alcune migliaia di anni, fino al 1700, essa è salita solo di 4/5 anni, mentre le scoperte scientifiche e tecnologiche degli  ultimi due secoli hanno prodotto una spinta notevole, per cui nel 1800 la speranza di vita è salita a 50 anni e nell’attuale secolo ha raggiunto i 77. Indubbiamente i dati degli ultimi secoli riguardano solo il mondo occidentale capitalistico che per le sue premesse esclude dai benefici il rimanente del mondo, ma appunto per questo il nemico è il capitale, che per sua natura non può dare i medesimi diritti a tutti, quindi è evidente l’assurdità di combattere la scienza e la tecnica e non il capitale che le utilizza in ragione dei suoi principi mercantili.

I problemi non sono generati dalle scoperte della mente umana in quanto tali, bensì dall’uso che eventualmente ne viene fatto. I progressi della scienza aprono un panorama eccezionale di uno sviluppo umano illimitato, ma questo presenta indubbiamente un lato preoccupante se dovessero rimanere appannaggio del capitale anche in futuro. Il ventesimo secolo fornisce esempi eloquenti di quali orrori porti con sé il capitalismo nell’epoca del suo declino, e la prospettiva (ad esempio) che le tecniche dell’ingegneria genetica siano lasciate in mano a monopoli privi di controllo, che hanno come unico scopo il raggiungimento del massimo profitto, si pone come una minaccia terribile.

Può sembrare strano, ma tutti hanno un proprio modo di vedere il mondo e di come risolverne i problemi. Tutti noi siamo convinti di saper distinguere il giusto dall’ingiusto, il buono dal cattivo, il vero dal falso; queste sono invece problematiche talmente complesse da aver impegnato a fondo, nel corso della storia, le più grandi menti. In effetti, a dispetto delle migliori convinzioni e malgrado tutti i più buoni propositi di tantissime persone il capitalismo, pur decadente, ci pone continuamente, quanto impunemente, di fronte alla tremenda realtà delle sue leggi come: la diffusione della disoccupazione di massa; i massacri perpetrati in tante aree geografiche; le decine di migliaia di morti, per fame e per malattie curabili, che avvengono quotidianamente in tanti paesi del mondo. Queste poche righe di esempio dovrebbero far riflettere sulla superficialità e approssimazione di tante convinzioni, invece, sempre più spesso, affiorano altre convinzioni superficiali che ricorrono a vaghi accenni ad una presunta “natura umana”, considerata la suprema fonte dei nostri mali.

Quindi, se il nostro scopo è quello di costruire per noi stessi una comprensione razionale del mondo in cui viviamo e dei processi fondamentali in atto in natura, nella società e nel nostro pensiero, e coltiviamo la volontà di occuparci dei problemi sociali, allora dobbiamo essere in grado di vedere le cose per quello che realmente sono, anche se le vorremmo diverse: la comprensione reale della nostra collocazione e del ruolo che ci compete è raggiungibile solo attraverso la conoscenza (e non la supposizione che si può avere della medesima), la quale, a sua volta, è acquisibile solamente attraverso uno strumento adatto, e per quanto riguarda i problemi sociali, fino ad oggi, il materialismo dialettico e storico si configura come il migliore.

Se vogliamo opporci ad un sistema ingiusto lo dobbiamo fare in modo professionale, non improvvisando, nel qual caso saremmo, nostro malgrado, utili a quelli che vorremmo combattere. Chi non è provvisto di un bagaglio culturale elaborato coerentemente è destinato inevitabilmente a riflettere e a far proprie le idee, e con esse i pregiudizi, della società e dell’ambiente in cui vive. Ciò significa, in questo contesto, che avrà la testa infarcita di idee inculcategli dai giornali, dalla televisione, dal pulpito o dalla cattedra, idee che sono il riflesso degli interessi e della morale della società presente, pur se la convinzione soggettiva è di tutt’altro avviso. La conservazione dell’ignoranza non è una incapacità evolutiva del genere umano ma è invece una necessità vitale per una società che si fonda sull’interesse privato e sulla competizione di ognuno contro tutti, che perpetua così le leggi animali della violenza. Una società più evoluta, al servizio dello sviluppo umano, non ha bisogno di perpetuare violenza e ignoranza, ma necessita, in modo altrettanto vitale, della diffusione capillare della conoscenza che si tradurrebbe in una generalizzata capacità di ognuno di collaborare allo sviluppo di tutti.

Chiunque desideri comprendere la vita e non concepirla come una serie di eventi casuali senza significato o subirla come una logorante routine a cui non si presta attenzione, deve elevare il pensiero e la capacità di analisi oltre i problemi immediati dell’esistenza quotidiana. È necessario che acquisisca una comprensione concreta dell’argomento  da analizzare come un sistema integrato (non come frammenti isolati) con tutte le necessarie interconnessioni; non avulso dal contesto generale in cui si trova, ma inserito nel suo processo vitale e dinamico; non come qualcosa di statico e senza vita. Solo in questo modo è possibile cominciare a realizzare il potenziale di esseri umani coscienti e liberi, dotati di volontà e capaci di prendere il controllo del proprio destino.

Hegel spiegava che la vera libertà consiste nel saper riconoscere la necessità. Quanto più uomini e donne saranno in grado di comprendere le leggi che governano natura e società, tanto più essi potranno impadronirsene e rivolgerle a proprio vantaggio. Le basi materiali su cui l’umanità può rendersi libera sono state poste dallo sviluppo di industria, scienza e tecnica. Soltanto in un sistema sociale organizzato razionalmente, in cui i mezzi di produzione siano pianificati con equilibrio e controllati in modo consapevole, si potrà veramente parlare di un libero sviluppo umano. Come disse Engels, è questo il “balzo dell’umanità dal mondo della necessità a quello della libertà”. Nello stesso modo, il cosiddetto senso comune o buon senso non è altro che una semplice generalizzazione delle nozioni e delle abitudini che abbiamo accumulato durante la vita di ogni giorno. È una condizione ben definita di conoscenza che riflette un particolare livello di esperienza effettuata in una ben precisa realtà societaria di cui, consapevoli o meno, siamo “figli legittimi”. In definitiva, il “buon senso” è il risultato dei rapporti di produzione che agiscono sui singoli soggetti sociali.

L’intuizione che tradizionalmente è stata circondata di un’aura magica e poetica è, di fatto, la forma più semplice di pensiero, caratteristica di bambini molto piccoli o di adulti con bassissimo livello culturale. Consiste nel fatto che le impressioni immediate fornite dai cinque sensi, provocano in noi reazioni “spontanee”, cioè non meditate, a fronte di determinate circostanze. Il rigore della logica e del pensiero coerente non c’entra. Tali intuizioni, talvolta, possono riuscire azzeccate in modo spettacolare e l’apparenza spontanea del “lampo d’ispirazione” fornisce l’illusione di una profonda comprensione di origine misteriosa e proveniente “da dentro”, forse divinamente ispirata. Nella realtà, l’intuizione non proviene dalle oscure profondità dell’animo umano, ma dall’interiorizzazione dell’esperienza, non ottenuta scientificamente, ma nella forma di immagini ed altri simboli simili. È molto probabile che una persona con una certa esperienza arrivi a risolvere puntualmente questioni anche piuttosto complesse sulla base di scarse informazioni. Nel caso di menti eccezionali, tali improvvise intuizioni sono considerate un sintomo di genialità: in realtà, in tutti questi casi, quella che sembra il prodotto di una pulsione spontanea è invece il distillato di anni di esperienza e riflessione. Più frequentemente, comunque, la semplice intuizione porta a forme di conoscenza superficiale, distorte e, pertanto, insufficienti. Per concludere, in una società in cui prevalgono mistificazione e speculazione sulla credulità altrui, ci si aggrappa a convinzioni approssimate e conseguentemente sbagliate perché la vita e i corrotti mezzi di comunicazione di massa ci offrono informazioni incomplete e ambigue della realtà e i tentativi imperfetti di interpretarla inducono a credere che, semplicemente, non è così. Per cui si tende a mettere in evidenza ciò che più ci colpisce e a lasciarci impressionare dai fatti che sembrano convalidare le nostre convinzioni più che da quelli che le mettono in crisi, di farci condizionare da preferenze personali e preconcetti.

Non ci si ferma all’osservazione dei fatti, ma implicitamente, in ogni ambito, si arriva a ben precise conclusioni, in una inconsapevole esagerazione tendenziosa di autostima, per cui la credenza si autoconferma.

Così può accadere il paradosso per cui, nella ferma convinzione di delegittimare l’attuale sistema sociale, si combatte ciò che si ritiene lo rappresenti, cosicché vari milioni di cittadini italiani (tanto per fare un esempio di cui parleremo più diffusamente in un’altra occasione), convinti di opporsi alle speculazioni che le aziende farmaceutiche fanno sulle malattie che colpiscono l’umanità, di fatto rifiutano la medicina di carattere scientifico e finiscono con l’utilizzare “rimedi alternativi”, prodotti (come sempre) da multinazionali della farmacologia presunta alternativa e venduti (ancora una volta) a prezzi determinati dalle (solite) leggi di mercato e quindi (vista la tendenza in crescita) astronomici.

 

Roberto Zanetti

 

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