Dibattito
Anzitutto facciamo pulizia nella nostra testa!

Rapporti Sociali 23/24 - gennaio 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

L’editoriale del n. 22 (marzo-giugno ’99) di Il futuro contiene una veemente condanna degli operai dei paesi imperialisti perché rivendicano aumenti salariali. L’autore rinfaccia agli operai dei paesi imperialisti che “il 90% dell’umanità riceve mensilmente ... meno dell’aumento mensile rivendicato” dai metalmeccanici tedeschi nella recente lotta per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, bolla la lotta rivendicativa degli operai dei paesi imperialisti come “deviazione economicista a carattere filoimperialista”, accusa gli operai dei paesi imperialisti che corrono dietro agli aumenti salariali di essere “corresponsabili dello sfruttamento che la borghesia imperialista esercita su sezioni significative dell’umanità” e “cogestori dello sfruttamento imperialista a livello mondiale”.

Tradotte in indicazioni di lavoro, le posizioni espresse dall’editoriale vogliono dire che gli operai dei paesi imperialisti dovrebbero lasciar perdere la lotta economica e la lotta politica rivendicativa (1) e che quindi i seguaci dell’editorialista non devono appoggiare e tanto meno promuovere queste lotte, ma anzi contrastarle e cercare di impedirle.

 

1. La lotta economica è la lotta collettiva degli operai contro i loro padroni per avere migliori condizioni di vendita della forza-lavoro e per migliorare le condizioni di lavoro e di esistenza degli operai.

La connessa lotta politica rivendicativa è la lotta collettiva per ottenere dallo Stato misure legislative e amministrative che soddisfano rivendicazioni economiche e migliorano le condizioni di lavoro e di esistenza.

 

Il pregio di questo editoriale è quello di prendere una posizione chiara e netta su una questione importante della linea del futuro partito comunista: la posizione del partito di fronte alle lotte rivendicative della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari del nostro paese, che è uno dei principali paesi imperialisti.

L’indicazione data nell’editoriale di Il futuro è il contrario di quella enunciata nel Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano che la SN dei CARC ha proposto nell’ottobre ’98 al dibattito di tutte le FSRS e dei lavoratori avanzati. Infatti il Progetto dice (pag. 58) che la linea generale del partito comunista nei prossimi anni è: unirsi strettamente e senza riserve alla resistenza che le masse oppongono e opporranno al procedere della crisi generale del capitalismo, comprendere e applicare le leggi secondo cui questa resistenza si sviluppa, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia fino a trasformarla in lotta per il socialismo, adottando come metodo principale di lavoro e di direzione la linea di massa.

Alcune righe prima, nel Progetto è detto che “la resistenza delle masse al procedere della crisi comprende sia la difesa delle conquiste strappate (aspetto difensivo) sia la lotta contro il regime che le elimina (aspetto offensivo)”. Il Progetto quindi rinvia a un articolo di Rapporti Sociali n. 12/13 dove la difesa delle conquiste e le rivendicazioni economico pratiche (salariali, normative, ecc.) sono chiaramente indicate come componenti del movimento spontaneo delle masse che le FSRS oggi e il partito comunista domani devono appoggiare, promuovere, organizzare, dirigere e trasformare.

È quindi chiaro a ogni lettore che la linea indicata dall’editoriale di Il futuro e la linea esposta dal Progetto sono diverse e incompatibili. Cercheremo di mostrare che anche la concezione del mondo da cui deriva la linea dell’editoriale di Il futuro è differente e incompatibile con la concezione del mondo da cui deriva la linea indicata dal Progetto. Ovviamente starà a ogni lettore decidere quale delle due linee e quale delle due concezioni del mondo giusta, cioè corrisponde agli interessi della classe operaia che lotta per il comunismo (questo per noi il termine di confronto di ogni linea e teoria).

La concezione del mondo da cui Il futuro deriva la sua linea è grossomodo la seguente. Il prodotto annuo di un paese (o  del mondo) è una quantità data di beni e di servizi. Oppure, forse, la quantità di beni e di servizi a disposizione dei lavoratori è una quantità determinata: non ci è chiaro il pensiero dell’autore su questo punto, ma ai fini del nostro ragionamento non è rilevante quale di queste due posizioni corrisponda al pensiero dell’autore. Ciò che è importante è che comunque secondo l’autore l’ammontare del prodotto annuo (beni e servizi) è un dato oggettivo. Questo prodotto viene ripartito tra “gli uomini” (o tra i lavoratori). Siccome quelli che abitano nei paesi imperialisti sono “storicamente più organizzati e socialmente contigui alla borghesia nazionale” [forse l’autore voleva dire “internazionale”] (pag. 3, c. 1, r. 39) essi se ne fanno assegnare una parte importante. Quindi ne resta di meno per quelli che abitano nei paesi semicoloniali. Secondo l’autore, se i lavoratori dei paesi imperialisti si accontentassero di avere meno, ne andrebbe un po’ di più ai lavoratori dei paesi semicoloniali. L’autore non precisa chi ripartisce il prodotto tra i lavoratori né per quale motivo ritiene che quello a cui rinuncerebbero i lavoratori dei paesi imperialisti andrebbe ai popoli delle semicolonie.(2) In conclusione l’autore 1. ritiene che l’ammontare della produzione (beni e servizi) non è un oggetto della lotta di classe, 2. ammette che la ripartizione del prodotto è oggetto di lotta, ma non di lotta tra classe operaia e borghesia, ma di lotta tra i lavoratori dei paesi imperialisti e i lavoratori dei paesi coloniali.

 

2. A partire dalla seconda metà degli anni ’70 i sindacalisti di regime incominciarono a predicare ai lavoratori la moderazione nelle richieste salariali e l’austerità (linea dell’EUR), promettendo che in cambio la borghesia avrebbe fatto investimenti al Sud e che più tardi “tutti” ne avremmo avuto dei vantaggi. Ognuno può constatare come sono in realtà andate le cose e quali sono stati i risultati della moderazione salariale e dell’austerità.

 

La nostra concezione invece è grossomodo la seguente. Nel mondo sopravvive ancora il modo di produzione capitalista. Quindi ogni prodotto ha una duplice natura: è un bene (o un servizio) ed è un valore. Finché il potere è nelle mani dei capitalisti, sono loro che decidono cosa e quanto i lavoratori devono produrre. Salvo errori e deviazioni che i capitalisti stessi correggono, i lavoratori producono annualmente in ogni paese (e nel mondo) la quantità di beni e di servizi che consente ai capitalisti di ricavarne la massima quantità di plusvalore. L’attuale crisi generale si manifesta anche nella sovrapproduzione di beni e di servizi: la quantità prodotta in generale è maggiore di quella che i capitalisti riescono a vendere (questa quantità ovviamente non ha direttamente nulla a che fare con la quantità necessaria a soddisfare i bisogni della popolazione). Inoltre in generale i capitalisti ne fanno produrre meno di quello che sarebbe possibile produrre impiegando tutti i mezzi di produzione e la forza-lavoro disponibili: una gran quantità di impianti restano fermi e un gran numero di lavoratori sono disoccupati o in altro modo emarginati dal processo produttivo.

Quanto al valore del prodotto annuo di ogni paese (e del mondo), esso viene ripartito in tre grandi frazioni: il capitale costante che va a reintegrare il capitale consumato (materie prime e mezzi di produzione), il capitale variabile che va ai lavoratori e il plusvalore che va ai capitalisti. Finché il potere è nelle mani dei capitalisti, sono loro che fanno la ripartizione. La quantità che i capitalisti distribuiscono ai lavoratori dipende in larga misura dai rapporti di forza dei lavoratori nei confronti dei capitalisti. Ciò che non va ai lavoratori, resta ai capitalisti. I capitalisti cercano di dare il meno possibile, i lavoratori cercano di strappare il più possibile. Ma nella società capitalista i lavoratori non sono un tutto omogeneo: la forza-lavoro è proprietà individuale, la sua vendita organizzata per categorie ed oggetto della lotta economica e politico-rivendicativa dei lavoratori. I rapporti di forza dei lavoratori nei confronti dei capitalisti sono determinati da fattori di vario genere che incidono sulla lotta economica politica dei lavoratori contro i capitalisti. La forza dei lavoratori è diversa a seconda della categoria, della regione e del paese.(3) Come influisce la forza dei lavoratori di un paese (di una categoria) sulla forza dei lavoratori degli altri paesi (delle altre categorie)? In linea generale i lavoratori che ottengono maggiori successi contro i capitalisti sono di esempio e di stimolo ai lavoratori più deboli e più arretrati. In particolare, se i lavoratori dei paesi imperialisti sono forti nei confronti dei capitalisti, ciò è un vantaggio per i lavoratori e per le masse popolari di tutto il mondo. Lo stesso criterio vale in generale tra le varie  categorie di lavoratori: i metalmeccanici sono stati per interi periodi la categoria trainante. Ogni gruppo di lavoratori che riesce a stabilire rapporti di forza più favorevoli contro alla borghesia, rafforza anche tutti gli altri lavoratori (perché indebolisce la borghesia, perché crea un precedente e un esempio anche per gli altri lavoratori, perché diventa la locomotiva per i lavoratori degli altri paesi, ecc.). Nel corso dei 150 anni della storia del movimento comunista i fatti hanno confermato questa concezione. I lavoratori e le masse popolari dei paesi coloniali e semicoloniali si sono avvantaggiati della lotta dei lavoratori delle metropoli contro i capitalisti (di cui la lotta rivendicativa è una componente), hanno preso da essi il marxismo come guida delle loro lotte antimperialiste e di liberazione dai residui feudali. Il periodo di maggiore espansione e successo della lotta dei lavoratori delle metropoli (la prima ondata della rivoluzione proletaria) è stato anche il periodo di maggiore sviluppo e successo delle lotte dei popoli delle colonie e delle semicolonie. I periodi di declino della lotta dei lavoratori delle metropoli sono stati anche i periodi di declino della lotta dei popoli delle colonie e delle semicolonie. Il maggiore benessere strappato alla borghesia dai lavoratori delle metropoli, ha corrisposto non a un aumento della miseria dei popoli delle colonie, ma a un’attenuazione della loro miseria: il benessere delle masse popolari delle colonie e semicolonie non è inversamente proporzionale al benessere dei lavoratori dei paesi imperialisti, ma inversamente proporzionale alla forza della borghesia imperialista contro cui lottano sia i popoli delle colonie e semicolonie, sia i lavoratori delle metropoli (e in linea generale sono stati e sono questi ultimi, tra i due, il reparto dirigente).(4)

 

3. Se la concezione dell’editorialista di Il futuro fosse giusta, essa logicamente si applicherebbe non solo alle differenze di reddito tra lavoratori dei paesi imperialisti e lavoratori dei paesi semicoloniali, ma anche alle differenze di reddito tra le categorie dei lavoratori. I lavoratori delle categorie più deboli sarebbero sfruttati dai lavoratori delle categorie più forti che collaborerebbero con la borghesia imperialista allo sfruttamento e all’oppressione dei più deboli. Se invece i più forti moderassero le loro richieste, ciò aiuterebbe i lavoratori delle categorie più deboli ... come insegnava anche Lama all’EUR!

 

4. Nonostante tutto il clamore dei terzomondisti, è un fatto che le rivoluzioni di nuova democrazia e in generale le lotte antimperialiste e di liberazione dai residui feudali hanno avuto un grande sviluppo e raggiunto grandi successi durante il periodo di avanzamento della rivoluzione socialista in Europa e in America del Nord (1910-1945) e hanno ristagnato durante il successivo periodo di ripiego della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Il carattere effimero delle rivoluzioni dirette dalla borghesia nazionale in alcuni paesi semicoloniali durante il periodo di ripiego della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti (Iran, il movimento islamico, ecc.) sta a confermare i limiti del ruolo che l’accerchiamento delle cittadelle imperialiste da parte delle campagne delle colonie e semicolonie (v. Viva la vittoria della guerra popolare, vol. 22 delle Opere di Mao Tse-tung) ha nello sviluppo complessivo della rivoluzione proletaria.

 

Queste sono le due concezioni e i due bilanci della storia che stanno a monte delle due linee opposte. Valuti ogni lettore quale delle due concezioni corrisponde ai fatti.

La concezione dell’autore dell’editoriale di Il futuro è una concezione interclassista: non dà alla contraddizione tra operai e capitalisti l’importanza che essa ha realmente, mentre inventa una contraddizione tra operai delle metropoli imperialiste e popoli dei paesi semicoloniali. Pone al centro della lotta la ripartizione del prodotto tra nazioni, paesi e categorie, anziché l’eliminazione del sistema imperialista (e quindi anche del sistema di produzione e di ripartizione che gli è proprio). Ovviamente se la realtà corrispondesse alla concezione dell’autore, principale non sarebbe l’unità tra lavoratori dei paesi imperialisti e popoli delle semicolonie nella lotta contro la borghesia imperialista, ma la lotta tra i lavoratori dei paesi imperialisti e i popoli delle semicolonie.

I marxisti sostengono 1. che la lotta (economica, politica, culturale) dei lavoratori delle metropoli contro la borghesia imperialista avvantaggia i popoli dei paesi semicoloniali e 2. che la lotta economica e la lotta politica rivendicativa dei lavoratori delle metropoli contro la borghesia imperialista è uno degli aspetti indispensabili della comune lotta per l’eliminazione del sistema imperialista. Lungi dal condannarla o scoraggiarla, occorre che i comunisti ne prendano la direzione e ne valorizzino tutte le potenzialità ai fini della lotta per il comunismo. In termini più generali, i marxisti sostengono che la contraddizione tra paesi imperialisti e paesi semicoloniali è derivata dalla contraddizione tra il  sistema borghesia imperialista e classe operaia: il sistema di sfruttamento capitalista vigente nelle metropoli estendendosi dall’Europa Occidentale e dall’America del Nord al mondo lo ha diviso in un pugno di paesi imperialisti e una maggioranza di paesi oppressi. La contraddizione tra paesi imperialisti e paesi semicoloniali sarà risolta non grazie alla “moderazione” della classe operaia dei paesi imperialisti nella sua lotta economica contro la borghesia, ma al contrario grazie al massimo sviluppo su tutti i tre fronti (economico, politico e teorico) delle lotte della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari dei paesi semicoloniali.

Qui potrei fermarmi, ma la mia sarebbe una cattiva critica se non mettesse in luce il problema reale a cui, forse senza esserne pienamente consapevole, l’autore dell’editoriale ha cercato di dare una risposta (e a cui ha dato una risposta sbagliata). La deviazione di Il futuro cerca di dare risposta a un problema reale. La necessità di lottare contro l’economicismo tra le FSRS. È necessario lottare contro quelle FSRS che concepiscono la lotta economica (quindi le rivendicazioni salariali) come unico o come principale fronte di lotta degli operai o come indispensabile propedeutico degli operai alla lotta politica (alla lotta per il potere, alla lotta per il comunismo), che limitano gli operai dei paesi imperialisti alle lotte rivendicative contro i capitalisti per migliorare salari e norme (lotta economica) e alle lotte politiche rivendicative per ottenere dallo Stato miglioramenti legislativi e amministrativi.

Effettivamente l’economicismo è oggi una deviazione che paralizza molte FSRS. Esso è importante come concezione che isterilisce l’azione di molte FSRS. Esso invece (come il riformismo) ha scarsa importanza come linea guida di un effettivo movimento delle masse perché per quanto gli economicisti (i riformisti) si sforzino, non riescono e non riusciranno a creare un grande movimento rivendicativo. Non c’è riuscito Bertinotti col PRC, non ci riusciranno né la CCA né la Rete dei Comunisti. La vita stentata dei “sindacati di sinistra” (SLAI COBAS, ecc.) lo conferma. L’economicismo oltre che una concezione anticomunista, oggi è un’illusione. Infatti è il tentativo, velleitario in questa fase di crisi, di creare (o rafforzare e prolungare, nella misura in cui nel periodo del capitalismo dal volto umano si era creato) tra la borghesia imperialista e la classe operaia e in generale il proletariato e le masse popolari dei paesi imperialisti un legame (un’alleanza, una tregua) basato sul miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari dei paesi imperialisti.

Anzitutto è una concezione contraria alla realtà e interclassista (cioè una concezione che nega o sminuisce il ruolo della lotta di classe) ritenere che le conquiste del periodo del capitalismo dal volto umano (1945-1975) siano state il risultato di un accordo (“compromesso fordista” lo chiamano le teste d’uovo dell’operaismo francofortese) tra borghesia imperialista e classe operaia o di un astuto “piano del capitale” per “integrare la classe operaia nel sistema”. Esse sono state il sottoprodotto della prima ondata della rivoluzione proletaria (1910-1945).

In secondo luogo, non è chiaro che la borghesia imperialista sta distruggendo quanto resta di quel “legame”? I fatti che si svolgono sotto il nostro naso ci mostrano che la borghesia imperialista da circa vent’anni in qua distrugge ed elimina le conquiste che la classe operaia, il proletariato e le masse popolari dei paesi imperialisti hanno strappato nel periodo 1945-1975 come sottoprodotto della prima ondata della rivoluzione proletaria. Essa sta allargando le differenze e i contrasti di classe nei paesi imperialisti [cosa che confusamente anche il nostro autore ammette: “... privilegi, anche se relativi, soprattutto in un futuro prossimo” (pag. 2, c.1, r.44)].

Più del 20% della popolazione dei paesi imperialisti vive già oggi al di sotto del livello di povertà di quei paesi! “Contratti atipici” e lavoro nero riguardano già oggi circa il 50% dei lavoratori della UE. L’emarginazione, l’abbrutimento, la depressione, il ritorno alle superstizioni, il rifiuto di occuparsi di se stessi e del proprio avvenire e la disperazione sono già oggi pane comune di grandi masse della popolazione dei paesi imperialisti.

In realtà nella fase attuale l’unica “alleanza” che si può stabilire tra la borghesia imperialista e la classe operaia e in  generale il proletariato e le masse popolari dei paesi imperialisti, stante la crisi generale del capitalismo, avrebbe il carattere essenziale e inevitabile della collaborazione delle masse popolari dei paesi imperialisti con la borghesia imperialista contro le masse popolari dei paesi semicoloniali.

La “unità” tra le masse popolari dei paesi imperialisti e la borghesia imperialista oggi, stante “la crisi del sistema imperialista” [cui l’autore accenna (pag. 3, c.1, r.45) senza però usarla come chiave per capire il mondo], non può più realizzarsi come movimento della classe operaia che riesce a strappare conquiste (come riedizione del capitalismo dal volto umano, la veste in cui si realizzò nel periodo 1945-1975 - ma allora anche le masse popolari dei paesi semicoloniali conseguirono grandi progressi). Stante la crisi generale in corso, la “unità” può realizzarsi solo come mobilitazione reazionaria, nella guerra interimperialista e nella guerra per opprimere i paesi semicoloniali. E la mobilitazione reazionaria diventerà tanto più facile alla borghesia imperialista, se le masse non troveranno nei comunisti i difensori più accaniti, irriducibili e capaci della loro vita e delle loro conquiste.

 

*****Manchette

Risorse limitate e privilegi dei lavoratori dei paesi imperialisti

A volte borghesi e loro portavoce lanciano grida perché “la popolazione dei paesi imperialisti, il 20% della popolazione mondiale, consuma l’80% della produzione mondiale”. È sottinteso che se gran parte dei 6 miliardi di persone che compongono la popolazione mondiale vivono nella miseria e nell’abbrutimento, la colpa è di tutto quel 20%, o perlomeno, che per migliorare la loro condizione quel 20% dovrebbe rinunciare a una parte consistente delle proprie conquiste. Questa è una concezione che fa a pugni con la realtà ma molto utile alla borghesia per contrastare il movimento comunista e in generale i lavoratori.

Non è per nulla necessario che, in nome di risorse naturali limitate o di far posto ai lavoratori dei paesi semicoloniali, i lavoratori dei paesi imperialisti rinuncino a una parte dei beni e dei servizi che attualmente fanno parte delle loro condizioni di vita. Anzi nel socialismo e nel comunismo essi potranno produrre condizioni di vita migliori delle attuali. Con le forze produttive attualmente disponibili, una volta che saranno liberate dalle restrizioni che i rapporti di produzione pongono al loro pieno impiego, possiamo produrre beni e servizi in quantità praticamente illimitata. Il socialismo e il comunismo porranno fine all’esclusione della maggioranza degli uomini e delle donne dal patrimonio culturale e scientifico. Essi libereranno così un enorme potenziale di conoscenza e di ricerca che oggi il capitalismo soffoca, disperde, trascura o spreca. La storia passata fa ritenere che questo enorme potenziale una volta liberato porterà le forze produttive degli uomini a un livello che noi oggi non riusciamo neanche a immaginare e darà ai beni e ai servizi prodotti caratteristiche tali da essere pienamente compatibili con la conservazione e il rinnovamento delle risorse naturali a cui noi attingiamo.

Allora finalmente l’umanità uscirà per la prima volta dal regno della necessità ed entrerà nel regno della libertà. Allora e solo allora il materialismo storico cesserà di essere una legge che governa lo sviluppo della società umana, perché la ricerca di cibo, di casa e di tutti gli altri beni indispensabili agli uomini e alle donne per la loro esistenza avrà cessato di essere l’occupazione principale della stragrande maggioranza degli uomini.

Le teorie sui limiti delle risorse disponibili (che la borghesia elabora e rielabora da duecento anni a questa parte, da T.R. Malthus (1766-1834), all’ONU, al Club di Roma, alla Commissione Trilaterale) sono costruzioni menzognere, regolarmente smentite dalla realtà, create per giustificare la miseria che il capitalismo impone alla maggioranza degli uomini e, in questi anni, anche come strumento per contrapporre i lavoratori dei paesi imperialisti ai lavoratori dei paesi coloniali, i lavoratori di una categoria o di un paese ai lavoratori di un’altra categoria o paese: come se la miseria degli uni fosse la condizione necessaria per conservare le conquiste strappate dagli altri, come se il progresso degli uni potesse avvenire solo al prezzo del regresso degli altri.

Gli allarmi lanciati in occasione della Giornata della popolazione mondiale (12 ottobre) dall’ONU e dalle altre organizzazioni imperialiste per il contenimento delle nascite sono inconsistenti dal punto di vista scientifico, ma importante strumento per intralciare la lotta degli sfruttati e degli oppressi contro i responsabili veri dalla miseria e dell’abbrutimento che rovinano la vita di miliardi di uomini, di donne, di bambini e di anziani. Gli uomini sono la principale fonte di ricchezza per gli altri uomini: il guaio è il capitalismo da cui dobbiamo ancora liberarci.

 

*****

 

A torto l’autore confonde l’economicismo delle FSRS (che dobbiamo combattere) con la lotta dei lavoratori a difesa delle proprie conquiste e per aumenti salariali e per miglioramenti normativi (che dobbiamo favorire in ogni modo).  L’autore parla della “crisi del sistema imperialista che si amplificherà e si acuirà esponenzialmente” (addirittura!), ma quando affronta il problema del che fare, salta fuori che teme che possa ancora realizzarsi un “capitalismo dal volto umano” (così come G. Riboldi della CCA teme che l’attuale ordine imperialista sia stabile o possa stabilizzarsi - v. La Voce n. 01 - 1999). Ambedue costruiscono da sé gli oggetti delle proprie paure contro cui poi si scagliano, perché non assumono la realtà come essa è: cioè la crisi generale del capitalismo come fenomeno fondante di tutto il movimento economico, politico e culturale nella fase attuale. Parlano della crisi, ma non la usano come chiave per comprendere quello che avviene attorno a loro e per definire i compiti.

Stante questo errore di analisi, questo timore infondato, questo “mulino a vento” contro cui l’autore vuole combattere, egli indica alle FSRS e a quanti vogliono combattere contro l’economicismo (delle FSRS) una strada fallimentare: opporsi a quello che i lavoratori cercano con difficoltà di fare (la difesa), anziché appoggiarla, promuoverla, organizzarla e valorizzarla per formare e raccogliere le forze per la rivoluzione socialista. E indica una strada che, se fosse seguita, faciliterebbe gli sforzi della borghesia imperialista per legare a sé una parte delle masse popolari dei paesi imperialisti e scagliarla contro le altre, cioè proprio quello che l’autore non vuole. Infatti se i lavoratori non troveranno nei comunisti i campioni più accaniti e più capaci della difesa delle loro conquiste, per forza di cose cercheranno un’altra direzione. Nella crisi generale la borghesia imperialista lega a sé una parte delle masse non perché queste le strappano aumenti salariali, ma perché le guida a depredare e rapinare altre masse.

Politicamente la strada indicata dall’autore vuol dire distogliere i comunisti dalle lotte rivendicative dei lavoratori e lasciare queste lotte nelle mani dei riformisti (senza riforme) e degli economicisti. L’errore che hanno già fatto i marxisti-leninisti negli anni ’60 e ’70 e le Brigate Rosse negli anni ’70 e ’80. Ciò vuol dire non sfruttare la lotta economica, la lotta politica rivendicativa e le lotte di difesa ai fini della rivoluzione, della formazione e della raccolta delle forze rivoluzionarie. Siccome poi in realtà le lotte di difesa i lavoratori le fanno e ad esse partecipano anche quei seguaci di Il futuro che lavorano in fabbriche e aziende di dimensioni appena appena rilevanti, la linea indicata si traduce nel fatto che alle lotte economiche, alle lotte politiche rivendicative e alle lotte di difesa chi si attiene alle indicazioni di Il futuro partecipa con una concezione economicista. Mentre per ricostruire il partito dobbiamo prendere risolutamente nelle nostre mani anche questo campo insopprimibile e anzi molto importante dell’attività delle masse e in particolare della classe operaia, ma prenderlo nelle nostre mani con una concezione comunista, trattarlo come scuola di comunismo, come strumento per la raccolta e la formazione di forze rivoluzionarie.

È probabile che l’autore dell’editoriale di Il futuro non si riconosca nella concezione del mondo che sta alla base della linea che egli ha enunciato o che dissenta comunque da vari elementi di questa concezione. È parimenti probabile che egli indignato indichi alcune frasi dell’editoriale che dicono esattamente il contrario della concezione che in questo scritto gli ho attribuito. Non ho nessuna difficoltà ad accettare che l’autore sia assolutamente sincero e in buona fede nelle sue proteste contro questo mio scritto e nelle sue grida che il suo pensiero viene completamente travisato. Sarò anzi lieto di ascoltare le sue proteste contro la concezione che gli ho attribuito. Ma ogni lettore può constatare che l’autore ha effettivamente scritto quello che ho citato e verificare da sé la connessione logica tra quello che l’autore ha scritto e la concezione che gli ho attribuito. Dove sta la spiegazione di questo apparente paradosso? Nella superficialità, nell’eclettismo, nel pressappochismo dell’autore dell’editoriale. Egli mette una accanto all’altra nello stesso articolo delle tesi contrastanti (la crisi esponenziale e il benessere dei lavoratori dei paesi imperialisti, le “masse che sempre più numerose si ribellano” e la partecipazione allo sfruttamento imperialista, ecc.) senza constatarne l’incompatibilità, senza verificare di ognuna di esse con cura la conformità alla realtà se la conosce, senza preoccuparsi di conoscere la realtà a cui si riferiscono, senza portare le varie tesi alle loro conclusioni logiche, senza vedere la luce che una tesi affermata  rispetto ad un problema getta su altri problemi, senza curarsi delle connessioni tra le varie cose e del loro movimento.(5)

Proprio per questa caratteristica, probabilmente l’autore griderà che questo articolo ha travisato il suo pensiero. È un atteggiamento comune a ogni persona superficiale. E in generale si tratta di un atteggiamento sincero perché il superficiale effettivamente non vede le implicazioni e i corollari delle cose che afferma, non vede la connessione tra le cose che afferma a distanza di alcune righe.

La superficialità, l’eclettismo e il pressappochismo sono oggi cosa corrente tra le FSRS (e nella cultura borghese di sinistra) nella stesura di articoli per la carta stampata (“la carta prende tutto” dice un proverbio), ma inaccettabile in ogni lavoro pratico, come la ricostruzione del partito comunista.(6) Di sicuro è incompatibile col lavoro che dobbiamo svolgere in questi mesi al centro del quale vi è il dibattito per l’elaborazione del programma del futuro partito comunista. La teoria per noi comunisti è una guida per l’azione. Non ci possiamo permettere “la libertà che si permettono i professori che oggi scrivono una cosa e domani un’altra, alla TV dicono una cosa, nel salotto un’altra e a lezione una terza.

 

5. Facciamo notare, senza fermarci qui a dimostrarlo, che l’autore implicitamente travisa la teoria di Lenin sull’aristocrazia operaia. Lenin indica con questa espressione non la massa dei lavoratori dei paesi imperialisti (che nel complesso allora come oggi hanno condizioni di vita e di lavoro migliori delle masse popolari delle colonie e delle semicolonie), ma quei lavoratori a cui la borghesia affida posticini ben retribuiti nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, negli enti di gestione e di controllo, ecc. o che occupano posti di funzionari nelle case editrici, nelle cooperative, nei sindacati, nelle organizzazioni di massa del movimento operaio, ecc.: un insieme di individui circondati di mille privilegi grandi e piccoli e di mille agganci per l’arricchimento individuale che si contrappone alla massa dei lavoratori e collabora al suo sfruttamento grazie alle “capacità maturate nel movimento operaio e ai mille legami con la massa dei lavoratori. Gramsci nel 1922 valutò che su 90.000 iscritti rimasti nel Partito socialista italiano, ben 30.000 appartenevano all’aristocrazia operaia intesa come abbiamo indicato.

 

6. Per non citare il noto insegnamento di Lenin, citiamo da Antonio Gramsci (La via pratica dell’unità, in l’Unità, 9 gennaio 1926): “Finché la borghesia esiste, è naturale e inevitabile che essa, attraverso i propri agenti più svariati, introduca continuamente nella classe operaia la propria ideologia a contaminare e a deviare l’ideologia proletaria. La scissione risoluta e netta da tale ideologia è inevitabile e assolutamente necessaria. Prima dividersi, ossia dividere l’ideologia rivoluzionaria dalle ideologie borghesi (socialdemocrazia di ogni gradazione); poi unirsi, ossia unificare la classe operaia attorno all’ideologia rivoluzionaria

 

È per questo che noi comunisti abbiamo bisogno di una concezione del mondo, di esprimere nella maniera più precisa e chiara di cui siamo capaci la concezione del mondo che ci guida, di verificarla e migliorarla nel corso della nostra attività. Elaborare il nostro programma è per noi comunisti un passo essenziale per permetterci di progredire nella nostra attività per trasformare il mondo. Partecipare all’elaborazione del programma è sia una forma del nostro nascere come comunisti sia una lotta per affermare l’autonomia della classe operaia in campo teorico. “Senza teoria rivoluzionaria, non c’è movimento rivoluzionario”.

Oggi il compito principale dei “settori più avanzati della coscienza comunista dei proletari e degli oppressi” (per usare un’espressione cara all’autore bersagliato da questo scritto) è unirsi su una comune, giusta e dichiarata concezione del mondo, costituendo un’organizzazione centralizzata e disciplinata. Solo avendo realizzato questa premessa, essi possono porsi realisticamente il compito di dirigere le varie forme della resistenza che le masse oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo, resistenza che grazie a questa direzione diventa lotta per il socialismo.

Riteniamo utile una postilla. L’autore dice che compito dei “settori più avanzati della coscienza internazionalista [sic! ma forse è un refuso per comunista] dei proletari e degli oppressi” è mobilitarsi “contro l’unico vero nemico” e con la loro mobilitazione “dimostrare ai settori più arretrati il funzionamento perverso e antiumano del sistema di produzione e riproduzione del capitale” (pag. 2, c.1). L’autore omette di dire che la mobilitazione consiste nella costituzione del  partito comunista, né dice cosa dovrebbero fare per “dimostrare”. Detto per inciso, a mio parere è sbagliato anche indicare tale “dimostrazione” come elemento importante (o peggio ancora essenziale) della funzione che i settori più avanzati devono svolgere nei confronti dei settori più arretrati. Ma ciò che più mi importa far notare oggi che, visto il complesso dell’editoriale e più in generale degli scritti delle FSRS, occorre che i “settori avanzati” anzitutto sottopongano a un serio esame critico la loro “avanzata coscienza” alla luce della concezione marxista del mondo e dell’esperienza, per vedere cosa essa ha di valido, avanzato e corrispondente alla realtà e al punto di vista della classe operaia che lotta per il potere e cosa invece non è che pattume della cultura borghese di sinistra che confonde le nostre idee e intralcia la nostra lotta. Prima di andare a insegnare e a dimostrare, preoccupiamoci di avere delle conoscenze reali. Questo a mio parere il lavoro preliminare che devono fare i “settori avanzati” e tutte le FSRS. Per questo chiamiamo l’autore e i collaboratori di Il futuro a partecipare attivamente alla preparazione del programma del futuro partito comunista italiano. È questo il contesto in cui esporre in modo organico e sistematicamente la propria concezione del mondo e la propria concezione dei compiti dei comunisti nella fase attuale e sottoporre entrambe alla verifica dell’esperienza e della critica dei compagni con i quali vogliamo ricostruire il partito comunista. Con la pubblicazione del Progetto di Manifesto Programma la Segreteria Nazionale dei CARC ha fatto il primo passo in questo senso e attende che altri compagni compiano anch’essi il loro criticando, correggendo e arricchendo.

 

Marco Martinengo

 

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