TRIBUNA LIBERA

Rapporti Sociali n. 22 - giugno 1999 (versione Open Office / versione MSWord )

 

In queste pagine la redazione di Rapporti Sociali ospiterà interventi firmati (se del caso con pseudonimi) di compagni dei CARC, di compagni di altre FSRS, di lettori e in generale di tutti quelli che vorranno portare il loro contributo all’elaborazione del Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano. Riflessioni, critiche e proposte verranno pubblicate integralmente e portate a conoscenza di tutti i lettori, in modo da promuovere un lavoro collettivo per verificare e rafforzare le idee giuste e smascherare ed estirpare le idee sbagliate, migliorare l’analisi della fase, arrivare a una comprensione più profonda della lotta di classe in corso nel nostro paese e nel mondo, tirare le conclusioni più giuste per rafforzare e condurre alla vittoria la lotta della classe operaia e delle masse popolari per il socialismo.

A 6 mesi dalla pubblicazione del Progetto di Manifesto Programma il dibattito incomincia, un po’ alla volta, a svilupparsi. Alla SN sono pervenuti diversi interventi che non possono essere pubblicati su questo numero della rivista. Le pagine a disposizione per questo dibattito sono già insufficienti e questo ci costringe a pubblicare solo estratti, a rimandare la pubblicazione di alcuni interventi e alla pubblicazione a puntate.

Per permettere lo sviluppo di un più ampio e immediato dibattito sul Manifesto programma la Segreteria Nazionale dei CARC lancia un appello alle altre FSRS singole e organizzate per la costituzione di una redazione che pubblichi un Bollettino di discussione. Una rivista che ha l’obiettivo di sviluppare il dibattito sul Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano tramite la raccolta e la pubblicazione di interventi di organismi, singole FSRS, rivoluzionari prigionieri (non dissociati), esuli e latitanti (non dissociati).

I singoli compagni e gli organismi interessati a lavorare su questo progetto possono scrivere o telefonare alla SN Edizioni Rapporti sociali.

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La questione dei detenuti

“... Se l’uomo non è libero nel senso materialista della parola, cioè libero non per la capacità negativa di evitare questo o quello, ma per il potere positivo di far valere la sua vera individualità, ciò che occorre fare non è punire il delitto del singolo ma distruggere le fonti antisociali del delitto... Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze.”

Cosi si esprime Marx in Battaglia critica contro il materialismo francese del XVIII secolo e ben si adatta alla questione che il Progetto di Manifesto non ha affrontato: quella dei detenuti. Che si tratti di una questione non è perché i detenuti e le loro famiglie, i non detenuti (quelli affidati ai servizi sociali, o posti sotto sorveglianza, o in attesa di condanna definitiva) e le loro famiglie sono una fetta non trascurabile della popolazione. Costituiscono una questione perché sono uno dei tanti aspetti particolari del malessere generale della attuale società e uno dei tanti lasciti di cui il socialismo si dovrà far carico.

Ora per definire il comportamento dei comunisti rispetto alla “questione” bisogna analizzare le circostanze di cui parla Marx nel presente e confrontarle con quelle della società socialista. Circostanze nel presente alle quali si può risalire da un semplice esame della tipologia del delitto che si può classificare in tre grandi categorie: 1- delitto contro la persona; 2- delitto contro il patrimonio (quello dello Stato compreso); 3- delitto contro l’Ordine Costituito. Il delitto inteso come assassinio è sempre finalizzato alle categorie sopra dette.

 La prima categoria di delitti (per motivi passionali, per turbe psichiche ecc.) sono dovuti solitamente a distorsioni avvenute nel corso dell’evoluzione della personalità. Che cosa determina queste distorsioni se non l’incapacità di affrontare positivamente il conflitto sociale di cui tutti, consapevoli e non, siamo protagonisti? Quanto i valori di una società, dominata da un soggetto minoritario - la borghesia, intenta solo a conservare sé stessa e le sue posizioni - influiscono positivamente nella formazione dell’individuo? Non sono forse l’individualismo, l’aiutati che dio ti aiuta, la competitività, la sottomissione la rassegnazione, il ribellismo, la solidarietà di convenienza, il non riconoscersi quale soggetto sociale e storico, non sono questi i valori che la borghesia attraverso le sue istituzioni impone alla società?

Se questi delitti sono da condannare, ancor più lo sono le circostanze, determinate da chi imprime il suo marchio alla società, la borghesia, sfornando mostri in numero sempre crescente perché più che proporzionale allo sviluppo del conflitto sociale: la velocità alla quale corrono i problemi creati dal capitalismo è superiore a quella dei provvedimenti che dovrebbero risolverli.

Una volta che verranno meno le circostanze che creano l’abbrutimento non ci saranno più mostri. La società verso la quale andiamo, quella socialista, in quanto diretta dalla maggioranza del popolo, non ha interesse a scatenare il conflitto al suo interno se non quello volto a reprimere le vecchie circostanze e i soggetti che oggi le fanno valere. La società per la quale ci battiamo avrà un forte e positivo atteggiamento pedagogico e sarà capace di produrre circostanze favorevoli allo sviluppo della persona in armonia con se stessa e con i suoi simili. Per questo non dobbiamo temere gli effetti dell’eredità che riceveremo da questa società.

Vengono quindi i delitti contro il patrimonio per i quali si distinguono due tipi di protagonisti: quello della cosiddetta micro-criminalità, ovvero tutte quelle persone che non trovano nulla di meglio per sbarcare il lunario se non quello di scippare, spacciare, far rapine, arruolarsi come manovali nelle file delle mafie, ecc. e quello delle grandi truffe ai danni di singoli capitalisti o ai danni dello Stato, dell’usura, delle tangenti, ecc. che richiedono da parte degli autori possesso di capitali, o di credito, o di una posizione che permetta loro di organizzare il “colpo”. I primi sono in massima parte proletari mancati e provengono da quell’enorme schiera di disoccupati; i secondi appartengono ai circuiti del capitale e hanno l’obiettivo di creare o accrescere capitali personali. Tutt’e due derivano quindi dalle “distorsioni” proprie del capitalismo, che, una volta venuto meno, farà mancare anche le circostanze in virtù delle quali questo tipo di delitto matura.

Infine i reati contro l’Ordine Costituito, il delitto più grave, se commesso dal proletariato, in quanto diretto contro la borghesia nel suo insieme. Qui la distinzione da fare è tra chi ha lottato per il superamento del capitalismo o lotta contro le sue “distorsioni” e chi, al contrario, si organizza fuori dalle istituzioni, nella segretezza più assoluta, in vista dell’avanzata del proletariato. Appartengono ai primi tutti quelli che apertamente e coscientemente hanno affrontato lo Stato borghese e quelli che nelle lotte per il lavoro lo mettono di fatto in discussione. I secondi sono invece quelli che, pur ritenendo che l’attuale ordine sia quello più rispondente alle loro posizioni di classe, valutano tuttavia che questo Stato non sia sufficientemente attrezzato per far fronte alle masse popolari qualora queste dovessero alzare la testa e organizzano le P2, le Gladio e chissà quante altre ancora (vertici mafiosi compresi) più o meno collegate e coordinate in un unico fronte antiproletario.

Va precisato che questi ultimi, a parte qualche ladro di galline delle mafie, non hanno conosciuto il carcere. Se qui sono stati menzionati pur non appartenendo alla categoria dei detenuti è per dare un quadro completo della situazione. Quando il proletariato avrà costruito il proprio Stato, le circostanze saranno tali che solo i più ostinati rimasugli della borghesia potranno pensare di attentare contro l’Ordine Costituto.

Ora, se questo è il quadro, quale deve essere l’atteggiamento dei comunisti verso i detenuti e, in generale, verso gli au tori di delitti? Per essere coerenti con Marx e per ribadire la nostra fiducia nella capacità del socialismo di eliminare le cause del delitto, l’unica proposta possibile è: amnistia generale per tutte le vittime delle circostanze create dal capitalismo, con reinserimento sociale e rieducazione dove necessaria e repressione di tutti quelli che tali circostanze le vorrebbero perpetuare in eterno.

N.G. Milano

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Appello per un’inchiesta sui disoccupati in Italia

Accogliamo e facciamo nostra la proposta della lettrice nella lettera che di seguito pubblichiamo.

Cari compagni di Rapporti Sociali,

un compagno mi ha fatto notare, e ritengo che abbia profondamente ragione, che nel Progetto di Manifesto Programma, al paragrafo 3.2.2.2, manca la categoria “disoccupati”.

Infatti l’analisi di classe della società italiana, esposta nel Progetto, non menziona i disoccupati, e quindi non dà nessuna collocazione a questi soggetti (prevalentemente proletari), condizione questa che il progredire della crisi del modo di produzione capitalista porta inevitabilmente ad accrescere. Giustamente se nel paragrafo 3.2.2.1, punto 2, si dice che per condizioni oggettive i lavoratori nel corso della loro vita sono costretti a passare da una condizione all’altra (lavoratori autonomi-lavoratori dipendenti), è altrettanto vero che tanti lavoratori espulsi dal processo produttivo vanno a “rafforzare” l’esercito dei senza lavoro. Non ho un’analisi concreta, particolareggiata del problema, ma grossomodo in questo settore prevale la componente di quelli che sono alla ricerca di una prima occupazione e che, non avendo un’autonomia economica (quando va bene svolgono qualche lavoro saltuario), vivono con i propri genitori, gravando sui magri redditi (lavoro e pensioni) di questi ultimi.

L’altra componente (che tende sempre più ad aumentare) è di disoccupati che provengono dal mondo del lavoro, da cui sono stati espulsi. Questi, raggiunto il termine degli ammortizzatori sociali previsti con i quali sono trattati i lavoratori dei settori in crisi, per continuare a vivere sono costretti a svendersi sul mercato del lavoro nero.

Mi chiedevo se è possibile lanciare un appello a chi ne sa di più, soprattutto per esperienze dirette, su Rapporti Sociali e/o Resistenza.

Sarebbe importante che qualcuno all’interno di queste categorie avviasse un lavoro di inchiesta su:

- dati: quanti sono, chi sono, toccano solo la città o anche la campagna, come si muovono, in che rapporto sono con la classe operaia e viceversa, cos’hanno in comune con la classe operaia, cos’hanno in comune contro la borghesia, ecc.;

- dinamiche: sono organizzati? Come? Quanti?

Un abbraccio

Una compagna.

 

Per ulteriori indicazioni rispetto all’inchiesta sui disoccupati vedasi anche Rapporti Sociali n.5/6, pag.38 e segg.

 

***** Manchette

I comunisti hanno bisogno di comprendere il movimento delle cose per elaborare il loro programma che e il programma rivoluzionario del proletariato.

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Osservazioni sul Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano

Il Circolo Lenin di Catania ritiene di dover accogliere l’invito della Segreteria Nazionale dei CARC ad elaborare “osservazioni” al Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano.

Questo documento costituisce sicuramente un importante punto di riferimento rispetto all’obiettivo della costruzione del PC nel nostro paese, al quale il Circolo Lenin ha finalizzato il suo lavoro, sin dalla sua costituzione.

 

In diverse occasioni, nel recente passato, il Circolo Lenin ha avuto modo di collaborare con i CARC: dalla Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, a campagne di solidarietà internazionalista, alla pubblicazione e diffusione delle opere di Stalin.

In considerazione del carattere militante, assolutamente non formale, del rapporto tra il nostro Circolo e i compagni dei CARC, abbiamo inteso elaborare questo nostro contributo cercando di evitare due possibili difetti. Il primo sarebbe stato quello di “fare i complimenti” per le cose che si scrivono: si sarebbe trattato di un approccio velleitario, di nessuna utilità al lavoro poderoso che i CARC hanno intrapreso. Tralasciamo quindi di soffermarci su tutta una serie di punti sui quali concordiamo, per dare un senso critico a questo contributo, evitando al contempo l’altro possibile errore: quello di voler essere tuttologi, intervenendo su ogni questione possibile.

Abbiamo scelto, quindi, di circoscrivere il nostro contributo ai due limiti maggiori che presenta, a nostro modo di vedere, il Progetto dei CARC che sintetizziamo così: sottovalutazione della storia del PCI e sopravvalutazione dell’esperienza delle BR.

Assume importanza centrale l’analisi, che deve essere attenta, dei presunti “limiti del Partito comunista italiano nella comprensione delle leggi della rivoluzione socialista in Italia”,(1) il primo dei quali consisterebbe nel fatto che il Partito comunista: “fu sorpreso dalla svolta repressiva del regime fascista nel 1926”.(2) Questa affermazione sinceramente ci sorprende: infatti ricalca la tesi traballante costruita da Spriano (3) manipolando arbitrariamente citazioni di Togliatti e di Secchia, al fine di dimostrare le presunte “debolezze” del partito di Gramsci, rispetto alle “certezze revisioniste” del partito di Berlinguer.

 

(1) Progetto di Manifesto programma del nuovo Partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali, 1998, pag. 76.

 

(2) Ibidem.

 

(3) P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1969, vol. III, parte I, pag. 69. Nel Rapporto sulla questione italiana al segretariato latino del VI Congresso dell’Internazionale comunista (citato da Spriano solo in minima parte), Togliatti da un lato pose l’esigenza di redigere in modo maggiormente critico il paragrafo sul PCd'I delle tesi dell’Internazionale comunista per il VI Congresso, dall’altro non mancò di sottolineare i meriti del Partito, ovviamente sottaciuti dal falsificatore Spriano. Infatti affermava: “Dalla fine del 1926 abbiamo avuto di fronte a noi un avversario che ha lottato con tutte le sue armi per raggiungere il risultato di distruggere il nostro partito come forza politica attiva e di distruggere i nostri legami con la classe operaia e in particolare con la massa delle fabbriche. Siamo riusciti a contrastare questa azione e a raggiungere ciononostante qualche risultato nei campi principali della nostra attività? Sì, siamo riusciti ad ottenere risultati enormi. Il primo risultato è che la soppressione legale del nostro partito non è potuta diventare una situazione di fatto, abbiamo continuato ad esistere come una organizzazione centralizzata che avanza secondo una linea politica unica. Su questa base abbiamo continuato a sviluppare un’attività politica, di propaganda e di agitazione. Siamo riusciti a lanciare delle parole d’ordine fra le masse e ad influenzare e guidare una gran parte della classe operaia. Siamo riusciti a mantenere legami organizzativi anche con vari strati del proletariato agricolo e delle masse contadine, ma in particolare, siamo riusciti a mantenere questi  legami con i centri industriali più importanti d’Italia” (Cfr. P. Togliatti, Opere, Roma, Editori Riuniti, pag. 506 e seguenti). Per una ricostruzione obiettiva della posizione di Secchia, basta rileggere lo scritto “Il glorioso cammino della classe operaia”, in Per una pace stabile, per una democrazia popolare, n. 3, 19/01/1951, pag. 6, laddove si afferma che: “La trasformazione della struttura del Partito apparve in pieno, nel suo grande valore, soprattutto dopo le leggi eccezionali del 1926. Le cellule di fabbrica subito dopo la messa nella illegalità del partito e durante tutto il ventennio fascista si dimostrarono la parte più viva e più forte della sua organizzazione. I vecchi partiti borghesi e socialdemocratici crollarono come castelli di carta di fronte all’offensiva fascista. Crollarono vinti dal loro opportunismo, dalla loro politica collaborazionista e legalitaria; ma anche perché la loro organizzazione era assolutamente impotente a resistere di fronte ai colpi del fascismo.

Il Partito comunista rispose alle leggi eccezionali fasciste continuando la sua attività con maggior vigore e più slancio di prima. Il valore dell’atteggiamento assunto dal Partito nel momento delle leggi eccezionali e della lotta costante, senza tregua, condotta nel periodo seguente, avrà una importanza incalcolabile per tutto l’ulteriore sviluppo del partito. La nostra lotta anche in questo periodo non fu esente da lacune. Errori, specie nel campo dell’organizzazione, ne furono commessi, ed anche gravi. Molti compagni appresero dai fatti e dall’esperienza che le norme organizzative non sono delle norme fisse buone per tutti i tempi e per tutte le situazioni”.

 

(4) C. Pillon, I comunisti nella storia d’Italia, Edizioni del Calendario, 1967, vol. I, pag. 163.

 

(5) Il processo ai comunisti italiani 1923, a cura della C.E. del PCI. Libreria editrice del PCI. 1924, pag. 11.

 

(6) Ibidem.

 

Essendo abbastanza agevole smascherare la grossolana falsificazione operata da Spriano (si veda la nota n.3), riteniamo necessario approfondire il percorso del Partito comunista negli anni ’20, al fine di verificare la fondatezza della tesi asserita dai compagni dei CARC. È agevole dimostrare che la repressione i comunisti non l’hanno certamente sperimentata nel 1926. Già nel gennaio-febbraio 1923, infatti, vennero incarcerati, per “complotto contro lo Stato” 2.000 comunisti,(4) venne imposta la chiusura dei giornali comunisti: “L’Ordine Nuovo”, “Il Comunista”, “Il Lavoratore”. A questa stretta repressiva il Partito comunista reagì costituendo, a Milano, il centro clandestino (lo componevano, tra gli altri, Platone, Amoretti, Ravera, Montagnana). Inoltre, pur intendendo sfruttare tutti gli ambiti legali ancora disponibili, il PCd’I “aveva provveduto a pubblicare giornali illegalmente e si teneva pronto - pur facendo sui metodi fascisti proprio le previsioni che i fatti hanno confermate - ad avere una vita completamente segreta”(5) e non mancava di evidenziare la necessità di “accentuare il carattere illegale, tecnicamente parlando, del lavoro organizzativo”.(6) Nel 1924 il Partito comunista, pur essendo numericamente un piccolo partito (contava circa 20.000 iscritti), ebbe la straordinaria capacità di mobilitare la classe operaia (da solo, contro le illusioni legalitarie dell’Aventino, proprie dei partiti borghesi) per uno sciopero generale di ventiquattr’ore contro il fascismo, in occasione dell’assassinio di Matteotti: ad esso parteciparono circa cinquecentomila lavoratori ed aumentò enormemente l’influenza e il prestigio del PCd’I in tutta Italia. Il 1925 fu dedicato a rafforzare la rete organizzativa del Partito e preparare il 3° Congresso, che segnò la sconfitta di Bordiga e dei suoi seguaci. Nell’estate del 1926 Gramsci tenne un rapporto al Comitato Centrale, nel quale evidenziò che il fascismo non avrebbe potuto tollerare neppure gli ultimi residui di libertà democratiche pena il suo crollo come regime. In tali condizioni, vennero prese tutta una serie di “misure necessarie per il passaggio all’illegalità. Ad esempio la maggior parte delle federazioni del partito era diretta da comunisti molto noti, che sarebbero stati facili vittime della polizia in caso di scioglimento dell’organizzazione: si decise perciò di creare comitati direttivi segreti composti da elementi non noti alla polizia che, in caso di scioglimento, avrebbero immediatamente sostituito i dirigenti in carica, garantendo così la continuità del lavoro politico. Si decise l’acquisto di alcune grosse macchine tipografiche da installare in diverse località della penisola, al nord, al centro e al sud per la stampa di pubblicazioni clandestine... nell’ottobre del ’26 questo lavoro organizzativo era pressoché terminato”.(7)

Vennero costituiti, inoltre, otto segretariati interregionali e tantissime cellule in tutto il paese.

 Gramsci e altri dirigenti, noti e controllati dalla polizia, non si adagiarono sull’accomodante prospettiva di un esilio “dorato” all’estero. Scelsero il loro posto a fianco della classe operaia, pur essendo consapevoli che il fascismo avrebbe esasperato la repressione.

“La lotta continua in Italia” fu la parola d’ordine del PCd’I all’indomani delle leggi eccezionali del 31 ottobre 1926. Il partito “chiamò i suoi militanti a impegnarsi nella lotta, ad affrontare i rischi del Tribunale speciale e di lunghi anni di galera, a sacrificare affetti e interessi famigliari, a porre a repentaglio la vita”.(8)

Il partito aveva fatto enormi progressi rispetto ai “tempi facili” del ’23, quadri e militanti si erano temprati ed erano pronti ad affrontare la lotta da veri e propri “rivoluzionari di professione”.

Sono storicamente fondate le valutazioni formulate da Secchia, là dove affermava che: “nell’autunno del 1926, poche settimane prima delle leggi eccezionali, risulta che il Partito comunista era il solo in grado di sviluppare una discreta attività su base nazionale e a mantenere in piedi la parte essenziale della struttura organizzativa... il Partito comunista si trovò a essere tra tutti i partiti antifascisti il meno impreparato alle leggi eccezionali del 1926... se si considera la preparazione del Partito comunista a fronteggiare la nuova situazione e le leggi eccezionali con quella degli altri partiti antifascisti, nessun confronto è possibile, perché gli altri partiti non si erano mai posti e non si ponevano (sino a quel momento) il problema di continuare l’attività malgrado e contro le leggi speciali”.(9)

 

(7) D. Zucaro, Il processone, Editori Riuniti, Roma, 1961, pag. XI.

 

(8) P. Secchia (a cura di), L’azione svolta dal Partito comunista in Italia durante il fascismo [926-32, “Annali Feltrinelli”, 1969, intr. X.

 

(9) Ibidem, intr. XXII e pp. 2 e 14.

 

Gli arresti, le condanne mostruose, il moltiplicarsi della rete poliziesca non riuscirono a fermare il lavoro del Partito comunista, che anzi venne intensificato: ricordiamo, a tal proposito, la pubblicazione de “L’Unità”, di “Stato operaio”, di “Avanguardia”, il lavoro capillare tra gli studenti e i soldati (con la realizzazione di giornali quali il “Gogliardo rosso”, “La caserma”, “La recluta”), le agitazioni in difesa dei salari, le manifestazioni contro la guerra e per il 1° Maggio.

Il Partito comunista manifestò sul campo una straordinaria capacità di organizzare la lotta contro il fascismo.

In occasione della Seconda conferenza del PCd’I, tenutasi nel gennaio 1928, Grieco, nella relazione introduttiva, non mancava di sottolineare quest’aspetto: “Il Partito comunista è rimasto al suo posto, ha sviluppato un’attività. Questo elemento ha un’eccezionale importanza. La presenza attiva del Partito comunista nel 1927, in Italia, ha dato la sensazione alla massa che non è abbandonata, ha ristabilito una certa unità delle masse, ha fatto vedere alle masse che esiste un’organizzazione la quale è quella dietro cui bisognerà mettersi per uscire da questa situazione... Bisogna per altro subito combattere in certi compagni l’opinione che il bilancio del Partito nel 1927 sia stato un bilancio positivo. Per il fatto di essere rimasto al suo posto il nostro partito ha compiuto uno sforzo che rappresenta un’esperienza importantissima nella storia del proletariato italiano; non solo dal punto di vista di coloro che si limitano a segnalare i fatti, ma dal punto di vista del processo stesso della rivoluzione”.(10)

Si può quindi affermare che l’esperienza di lotta rivoluzionaria del PCd’I negli anni precedenti e successivi alla svolta repressiva del 1926, non solo non costituisce un limite, ma rappresenta un prezioso patrimonio che i comunisti italiani devono riprendere e valorizzare, superando timidezze ed eccessi critici che si dimostrano storicamente privi di fondamento.

Un secondo limite del PCd’I consisterebbe, secondo i compagni dei CARC, nell’impreparazione del partito di fronte alla prospettiva della guerra.(11)

Questa affermazione è in aperta contraddizione con la realtà dei fatti, ampiamente riscontrabile dalla lettura de L’Unità  e di Lo Stato operaio negli anni che precedono il secondo conflitto mondiale.

Il pericolo della guerra, già attenzionato dal VII esecutivo allargato dell’Internazionale comunista del novembre - dicembre 1926 (12) e dalla risoluzione dell’Ufficio politico del PCd’I del 19 marzo 1927,(13) divenne questione centrale dell’intervento politico dell’Internazionale comunista con le “Tesi sulla guerra e sui pericoli di guerra”, approvate dal Plenum del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista il 29 maggio 1927.(14)

 

(10) In La seconda conferenza del Partito comunista d’Italia, edizioni del Partito comunista italiano.

 

(11) Cfr. nota n. 1.

 

(12) Si veda, in particolare, la tesi n. 33, pubblicata su Lo Stato Operaio, n. 3, maggio 1927.

 

(13) Su Lo Stato Operaio, n. 2, aprile 1927. La tesi n. 6 conteneva la seguente indicazione di lotta: “Il nostro partito deve intensificare la propaganda e l’agitazione contro la guerra. In tutte le agitazioni, di qualunque carattere, anche nelle agitazioni di carattere economico, bisogna denunziare alle masse lavoratrici il pericolo della guerra, fino a suscitare e generalizzare lo stato d’animo della guerra prossima, della guerra alla quale il fascismo si prepara con tutti i mezzi”. Questa indicazione è stata ripresa e approfondita da Grieco nell’editoriale apparso sul n. 3, del maggio 1927 di Lo Stato Operaio dove, tra l’altro, scriveva: “Esiste oggi un pericolo di guerra? Sì, il pericolo di guerra esiste sempre in regime capitalistico: ma oggi la guerra, per le ragioni che abbiamo detto, a causa delle esasperate e non superabili contraddizioni dell’economia capitalistica, diventa un mezzo attraverso il quale il capitalismo cerca di modificare gli attuali rapporti di forze”. La guerra, sottolineava Grieco, era per la borghesia uno strumento necessario per combattere le forze rivoluzionarie e i movimenti anticoloniali e, al contempo, per dare uno sbocco alla crisi che attanagliava il sistema capitalistico.

 

(14) Cfr. Lo Stato Operaio, n. 5, luglio 1927.

 

 

In esse venne analizzata la crisi che attraversava il capitale e la sua fragilità di fronte al rafforzarsi dei Partiti comunisti in tutto il mondo e all’emergere di movimenti rivoluzionari nei paesi coloniali e in Cina. Queste tesi definirono la strategia e la tattica dei comunisti di fronte alla mobilitazione delle forze reazionarie (con in testa il fascismo) e alle prospettive della guerra; si criticò l’atteggiamento di quei partiti comunisti che sottovalutavano i pericoli della guerra e si indicarono a tutte le sezioni nazionali dell’Internazionale comunista gli strumenti teorici e organizzativi necessari per mobilitare le masse, per opporsi alla repressione, per smascherare la copertura ideologica che la socialdemocrazia garantiva all’imperialismo, per saldare la lotta per la pace alla lotta per il socialismo.

 

***** Manchette

Segreteria Nazionale dei CARC Milano 23.05.99

Ai compagni e alle compagne del Circolo Lenin di Catania

I compagni e le compagne dei CARC esprimono la loro solidarietà e condannano l’atto repressivo e intimidatorio condotto nei vostri confronti dagli apparati dello Stato con perquisizioni domiciliari ai compagni e alla sede.

Questi attacchi si inseriscono nel più ampio processo di criminalizzazione e repressione che la borghesia conduce contro chi lotta contro la guerra imperialista, contro l’eliminazione delle conquiste (LSU e disoccupati di Napoli sotto processo) e contro tutti quelli che lavorano con determinazione al processo di ricostruzione del Partito comunista nel nostro paese.

Questi atti intimidatori non possono fermare la resistenza che i lavoratori e le masse popolari oppongono e opporranno al procedere della crisi generale del sistema capitalista.

Una crisi che sempre più si sta delineando come guerra, barbarie e miseria per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale.

Questi attacchi ci confermano che la borghesia imperialista cerca con tutti i mezzi di ostacolare il lavoro che si sta sviluppando per la ricostruzione del partito comunista nel nostro paese e che questo lavoro va nella direzione giusta e rappresenta un reale pericolo per il suo dominio.

La lotta per il socialismo diventa l’unica strada che i lavoratori e le masse po polari, dirette dal proprio partito, dovranno intraprendere.

Solidarietà ai compagni colpiti dalla repressione!

Lottiamo per la ricostruzione del partito comunista!

Viva il nuovo Partito comunista italiano!

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Queste indicazioni vennero riprese e sviluppate dal PCd’I nella risoluzione dell’Ufficio politico del giugno 1927.(15) In essa si affermava che: “Il fascismo non può vedere via d’uscita” diversa dalla guerra alla “crisi economica di cui le manifestazioni diventano sempre più gravi”. La guerra, proseguiva la risoluzione, è necessaria al fascismo per “mantenere il proprio potere e portare miseria e oppressione ad altre popolazioni, a esclusivo profitto di un pugno di sfruttatori”.

 

(15) Cfr. Lo Stato Operaio, n. 5, luglio 1927.

 

“Per lottare contro la guerra che si prepara - continuava il documento dell’Ufficio politico del PCd’I - le masse devono rafforzare, intensificare, approfondire la lotta contro il fascismo e contro lo sfruttamento capitalistico. La lotta contro la guerra è per i lavoratori italiani lotta contro il fascismo... Il partito chiama alla lotta contro la guerra gli operai e i contadini, i soldati e i marinai, le donne e i giovani, tutta la popolazione lavoratrice italiana”.

Questa risoluzione rappresentò un punto di riferimento fondamentale nell’analisi dei comunisti italiani sulla guerra e venne ulteriormente sviluppata e articolata in numerosi articoli apparsi, oltre che su Lo Stato operaio, anche su L’Unità.(16)

Dal 1927, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, in quasi tutti i numeri del quotidiano e dell’organo teorico del PCd’I, trovarono ampio spazio le parole d’ordine dei comunisti contro la guerra.

Nessuna “impreparazione” può quindi addebitarsi al PCd’I rispetto alla questione della guerra: al contrario si può attribuire al Partito comunista il merito di aver sviluppato negli anni della clandestinità un’elaborazione teorica e una capacità di costruire movimenti di lotta contro la guerra di alto livello, soprattutto in considerazione della presenza di una repressione fascista sempre più feroce.

Sottolinearlo, da parte nostra, vuol dire ripristinare la verità storica e superare la critica dei compagni della Segreteria Nazionale dei CARC che, alla luce di quanto abbiamo esposto, ci pare priva di fondamento.

(Segue sul prossimo numero di Rapporti Sociali).

Circolo Lenin (Catania)

 

(16) Riportiamo, a titolo esemplificativo, i titoli di alcuni articoli apparsi su L’Unità contro la guerra: “Abbasso la guerra che l’imperialismo fascista medita e prepara” ( Anno IV, n.5, del 25/3/1927, p. I); “Preparativi di guerra” (n. 7, del 23/4/1927, p.2); “Abbasso la guerra! La lotta per la pace a cui è chiamata la classe lavoratrice italiana è lotta contro il regime che genera la guerra, a lotta contro il regime capitalista” (n.8 del 1/7/1927, p. I); “Contro la guerra i lavoratori devono prepararsi a lottare con tutti i mezzi fino alla trasformazione della guerra fascista in guerra contro il fascismo” (Anno VI, n. 1, del 1/1/1929, p.1); “Il Primo agosto, Giornata internazionale di lotta contro la guerra e il fascismo” (n. 4, luglio 1929, p. 1); “Dopo il 1° Agosto. Continuare ed intensificare la lotta contro il fascismo e la guerra! Per la difesa dell’Unione Sovietica, per il pane e la libertà degli operai!” (n. 5, agosto 1929, p.1)

 

 

 

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Contributo al dibattito sul Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano

La pubblicazione del “Progetto di Manifesto - Programma del nuovo partito comunista italiano” (P-MP del nuovo PC) è di per sé già una buona cosa perché rappresenta effettivamente una sforzo di sistematizzazione teorica e progettuale del necessario agire futuro della classe operaia e del suo partito, alla luce dell’esperienza passata del Movimento Comunista a livello internazionale (MCI) e nel nostro paese. La SN/CARC afferma nella sua presentazione che il M-P sarà la base dell’unità partitaria, politica ed ideologica. Sarà punto di arrivo della formazione dei nuovi militanti, sarà il testo base per i corsi dei candidati.

Il P-MP è senza dubbio completo nella parte che sintetizza il modo di produzione capitalista, la lotta di classe, la definizione dell’imperialismo quale ultimo stadio del capitalismo. Affronta poi le questioni “nostre” dei comunisti, ossia tenta di rispondere alle vane questioni poste dall’esperienza del MCI, all’esperienza cioè dei paesi socialisti, all’esperienza dei comunisti in tutto il mondo e nel nostro paese; infine, indica un programma attorno al quale indirizzare tutto il lavoro politico del futuro nuovo PC.

Per quanto concerne i primi tre punti, di sintesi teorica del mondo in cui viviamo e dell’ineluttabilità e necessità storica del comunismo, non posso che riconoscere che rappresenta il dibattito politico che, dapprima nel MR, quindi attorno ad alcune pubblicazioni e libri circolanti negli ultimi quindici anni, si è sviluppato nel nostro paese.

La offerta-disponibilità di promuovere ed ospitare un dibattito costruttivo e serio sul partito, da parte della SN/CARC, è esplicativa dell’importanza che da più parti si ripone alla necessaria fase progettuale di costruzione del nuovo PC. Tuttavia la SN/CARC riconosce che alcuni argomenti-parti essenziali della unità partitaria, politica ed ideologica, non sono stati affrontati in questo testo. In particolare, questo primo P-MP non affronta in modo esauriente

- la via alla rivoluzione socialista nel nostro paese

- la natura e le caratteristiche che dovrà avere il nuovo pc

È evidente quindi, data l’importanza di queste due questioni (quale via intraprendere e come), che il dibattito, per quanto già da lungo tempo avviato, è ai primi passi.

In particolare questo riflette la situazione concreta di debolezza e di rimozione di importanti esperienze rivoluzionarie che il MR nel nostro paese vive da quasi un ventennio. Va detto allora intanto che non può esservi partito Comunista che non sia anche partito Rivoluzionario. Nel nostro paese migliaia di ex-militanti di organizzazioni rivoluzionarie ed extraparlamentari che non hanno smesso di fare politica, sono impegnati in un nugolo di partiti, partitini e organizzazioni che si dicono comuniste ma che di rivoluzionario non hanno nemmeno l’aspetto.

Credo quindi che riconoscersi, tra comunisti rivoluzionari, non dovrebbe essere difficile, anche affrontando questo dibattito proposto ed avviato dalla SN/CARC, dato che i CARC si sono in questi anni caratterizzati correttamente come organismi di appoggio alla resistenza di classe, e non si sono sovradeterminati a parole come un’organizzazione di direzione rivoluzionaria che attualmente non esiste nel nostro paese.

Nel nostro paese, negli ultimi anni, sono apparsi numerosi Comitati “per il partito vero”, “per la ricostituzione del partito”, ma in genere la loro politica è di presenza all’interno delle maggiori organizzazioni sindacali, istituzionali od autorganizzate, e di pungolo al principale tra i partiti neo-revisionisti italiani. Da destra a sinistra, abbiamo i Comunisti unitari, il Partito dei comunisti italiani, il Partito della rifondazione comunista, la Confederazione dei comunisti autorganizzati, e via dicendo.

Chi scrive, trovandosi in carcere, non può non provare del disprezzo per il “neorealismo” della politica neo-revisionista portata avanti da tanti compagni che parteciparono in passato a importanti esperienze i quali, non essendosi più ripresi dalle bastonate degli anni ottanta e novanta, hanno sviluppato una concezione del tutto ipocrita dello scontro di classe e dell’agire dei comunisti.

 Ritengo che il P-MP della SN/CARC non abbia a che fare con questa variegata fauna neo-revisionista ed opportunista che scopiazza e riproduce l’impostazione errata, per non dire di più, del vecchio PCI ed è per questo motivo che intervengo nel dibattito avviato dalla SN/CARC, nella speranza che sia utile all’avanzamento del processo rivoluzionario sotto la direzione di un partito comunista all’altezza dei compiti.

Devo anche ricordare che compito dei comunisti prigionieri è resistere e contribuire, nei limiti delle proprie possibilità e tenendo conto delle condizioni in cui si trovano, al lavoro di direzione rivoluzionaria dei comunisti che può e deve svolgersi principalmente fuori dalle celle e dalle aule dei tribunali, e che quindi scopo di questo lavoro è solo quello di contribuire e partecipare al dibattito, accogliendo l’invito della SN/CARC.

Beninteso credo di poter dire che condivido lo spirito dell’iniziativa, e anche gran parte degli assunti che non affronto esplicitamente nello scritto che segue.

Ho suddiviso questo contributo in tre parti. La prima (cap. I) consiste in una serie di note critiche e propositive attorno a problemi che credo richiederebbero un grande dibattito, la seconda (cap.2-3-4) consiste nelle modifiche che propongo criticamente al P-MP. La terza, che non ho ancora concluso, riguarda le due questioni prima citate (“La via alla rivoluzione nel nostro paese”, e “La natura e le caratteristiche che dovrà avere il nuovo PC”), che mi riservo di inviare in un secondo tempo [i due allegati finali costituiscono la base della mia ricerca nel merito di questi due argomenti] anche alla luce della lettura del dibattito promosso dalla SN/CARC, a cui vanno i miei fraterni auguri di successo nell’iniziativa promossa. Spero anche che le note siano utili anche come proposte di lettura e di rilettura per i compagni.

 

1. Alcune note per un’impostazione rivoluzionaria del problema

È tipico dei partiti e delle organizzazioni che si definiscono comunisti, affermare la propria come la giusta linea, rifacendosi ad alcuni o a tutti i grandi rivoluzionari del passato del MCI. Sappiamo tuttavia che la Teoria è corretta quando viene verificata nella Pratica. In tutto il mondo, nei paesi ove vive la stragrande maggioranza dell’umanità, e oramai anche la maggioranza della classe operaia, i comunisti che possono affermarsi tali sono coloro che conducono e portano avanti (generalmente da un trentennio come esperienza storica, ossia praticamente da quando si è avviata la seconda crisi generale del capitalismo), esperienze rivoluzionarie, lotte armate e guerre popolari, organizzazione di zone liberate e basi d’appoggio. È certamente vero che in ogni paese vi sono delle specificità che determinano l’agire dei comunisti, ma è indiscutibile che solo “facendo la rivoluzione” si “impara a farla”.

La fine del periodo di benessere che, nei paesi capitalisti occidentali, si era determinato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, è oramai alle nostre spalle. L’avvento di un nuovo tipo di colonialismo del capitale finanziario delle multinazionali, dopo la sconfitta delle dominazioni coloniali delle grandi potenze ad opera della lotta di liberazione dei popoli, non è stata accolta in silenzio da questi stessi popoli che vivono per lo più nel Tricontinente (Asia-Africa-America Latina).

L’espansione dell’ideologia proletaria marxista-leninista-maoista in tutto mondo, data dall’acquisizione che il maoismo è la terza e superiore tappa del marxismo, pone i comunisti del nostro paese e dell’intera area dei paesi imperialisti di fronte ad un nuovo impegno e ad un nuovo approccio al problema internazionalista e ad una nuova epoca in cui l’unità internazionale dei comunisti si misurerà concretamente nella direzione e nella guida della ondata rivoluzionaria i cui contorni già vediamo chiaramente delineati oggi, a soli dieci anni da quella che i borghesi ed i loro intellettuali reggicoda non esitavano a definire “la fine della storia”, la “fine del comunismo”, la “fine delle ideologie”.

Mentre, smarrita, la gran parte dei comunisti nel nostro paese si guardava indietro non capendo più cosa era vero e cos’era falso della stessa storia a cui avevano partecipato, i comunisti di tutti i popoli oppressi hanno dovuto, per avan zare, rafforzarsi in un combattimento ed in una resistenza colossale, pagando, anche solo in questi anni di “abbaglio” della “sinistra” e dei “movimenti antagonisti” dei paesi occidentali, prezzi di sangue e di sofferenza senza precedenti.

Smarrendo la via rivoluzionaria, i comunisti del nostro paese e della gran parte dei paesi occidentali hanno perso di vista la dimensione e la qualità dello scontro che oppone, oggi più di ieri, la classe operaia, il proletariato e i popoli oppressi, all’imperialismo ed al grande capitale.

Abbacinati dalla propaganda borghese sul proliferare delle “guerre nazionali”, ossia sui conflitti interborghesi generati dallo stesso acutizzarsi della crisi generale capitalista, i comunisti del nostro paese e della gran parte dei paesi occidentali si sono guardati intorno, e, a parte una minoranza di essi, non hanno tratto, da una lettura generalmente approssimativa e praticona della situazione, il senso di ciò che sta già oggi accadendo.

Ubriacati dal proliferare della comunicazione elettronica, molti di loro si sono persi in mille rivoli, o hanno cambiato strada. In generale tutti costoro affermano che il mondo si trova in una situazione di enorme confusione, e ne vedono gli aspetti negativi (repressione in Chiapas, blitz di Fujimori all’ambasciata giapponese di Lima, genocidio dei popoli), senza peraltro essere in grado di proporre nulla di credibile e quindi contribuendo al peggioramento degli stessi aspetti negativi.

Appare inutile ricordare ciò che pensava Mao Tse-tung della confusione … Va ricordato però che è una costante delle situazioni rivoluzionarie in sviluppo, il darsi di diversità notevoli, anche di carattere strategico, nelle lotte e nelle strategie che i comunisti portano avanti nelle diverse realtà nazionali, nelle diverse formazioni economico-sociali (FES).

Tuttavia la confusione è tale che, nello stesso nostro paese, vi sono orientamenti, chiavi di lettura della situazione internazionale e delle rivoluzioni in corso, del tutto diverse. Ciò trova il suo riflesso organizzativo nei diversi processi di aggregazione in corso nel MCI. Vi sono infatti oggi degli schieramenti internazionali neorevisionisti, così come momenti di confronto tra partiti comunisti rivoluzionari o pretesi tali.(1)

Occorre tenere anche presente l’impostazione internazionalista dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori di Marx, e dell’Internazionale comunista di Lenin.

“Il nostro Partito non è un partito democratico, almeno nel senso volgare,che comunemente si dà a questa parola. È un Partito centralizzato nazionalmente e internazionalmente. Nel campo internazionale, il nostro Partito è una semplice sezione di un partito più grande, di un partito mondiale.” Gramsci, 1925.(2)

 

(1) Dichiarazione costitutiva del Movimento rivoluzionario internazionalista, 1984;

Documenti dalla V conferenza internazionale di partiti e organizzazioni marxiste-leniniste, autunno 1996, traduzione dal francese;

PCbUS, Sulla dichiarazione della conferenza internazionale dei partiti comunisti e operai di Leningrado - sugli obbiettivi della strategia revisionista dell’UPC-PCUS, “B.I.P.- les Editions Démocrite” n. 44,1998.

Conferenza internazionale di organizzazioni rivoluzionarie, aprile 1998, in “Devrimci Sol”, numero speciale, luglio 1998, pag. 1-3 **;

Intervista a J. M. Sison, traduzione da “El Diario Internacional” n.40, 1997;

Intervista a J. M. Sison, traduzione da “Solidaire”, 6.8.1998.

 

(2) Gramsci, Necessità di una preparazione ideologica di massa, maggio 1925, “Lo Stato operaio”, marzo-aprile 1931, organo del centro estero del PCd’I, in Opere, Editori Riuniti.

 

 

Questa è una questione che il futuro nuovo PC non potrà non affrontare, pena anche il riprodursi di ulteriori forme di “sciovinismo” e di opportunismo, che allo stato attuale delle cose non sono compatibili con la Teoria-Prassi di un partito comunista rivoluzionario.

“Certo, oggi è infinitamente più facile che nel 1928 constatare che il capitalismo non ha diminuito il distacco tra l’India e l’Inghilterra, non ha livellato l’economia mondiale, non ha unificato il mondo nel segno dei rapporti capitalistici di  produzione e del livello delle forze produttive omogenee a quei rapporti. Ma questa, e nessun’altra, era appunto la scoperta di Lenin in tema di imperialismo e di sviluppo ineguale. E su questa scoperta si fondava quella nuova strategia della rivoluzione, a partire dall’anello più debole della catena imperialistica in un paese a maggioranza contadina, che spostava tutto l’asse dell’attenzione verso l’Asia economicamente arretrata e politicamente avanzata di cui Lenin aveva già colto l’immenso potenziale rivoluzionario. Questo, in sostanza, era il salto leninista rispetto allo schema del marxismo ortodosso della II Internazionale, e proprio di questo Trotzki dimostrava, anche qui in un certo senso “ingenuamente”, di non accorgersi affatto restando tutto dentro le categorie di pensiero del marxismo dei Kautsky e degli Hilferding.

Non era quindi casuale che tutta la sua analisi, la sua attenzione, il suo impegno di critico e di polemista si venisse man mano orientando intorno a un solo nemico, che poteva essere simbolizzato efficacemente dal nome di Stalin, ma in realtà era quella che gli appariva come l’arretratezza, la barbarie, l’inciviltà di una rivoluzione che aveva il suo protagonista reale nelle masse contadine che del capitalismo avevano conosciuto soltanto il volto distruttore e oppressore dell’imperialismo, e non quello esaltante e almeno fugacemente liberatore dell’illuminismo e della Rivoluzione giacobina, che restavano i modelli di Trotzki...” Notarianni, 1972.(3)

 

(3) Notarianni, Introduzione a Mavrakis, Trotzkismo: teoria e storia, cit., pag. XVI-XVII.

Presidium dell’Internazionale comunista, 15.5.1943, in PCE(r), La guerra di Spagna, PCE e l’Internazionale comunista, vol. 8. Ed. Rapporti Sociali, 1997; per quanto riguarda l’insurrezione delle Asturie, pagg. 81-94; per il bilancio della guerra civile e la storia degli anni successivi alla sconfitta repubblicana, vedere anche la traduzione dei testi non contenuti nell’edizione italiana, dall’edizione spagnola (PCE(r), Aproximacion a la historia del PCE, 1997), in particolare Diaz, La guerra di Spagna fu una lezione per le masse e anche per i comunisti, 1940;

Cordón, Sul movimento guerrigliero in Spagna, 1948.

Mao Tse-tung, Sullo scioglimento della Terza Internazionale, 26.5.1943, in Opere, vol. 8 Ed. Rapporti Sociali;

Mao Tse-tung sul Comintern, “Maoist Sojourner” rivista del MIM-USA, aprile 1996;

Schram, Il pensiero politico di Mao Tse-tung.

 

 

In qualche modo, la confusione è stata spesso presente nel MCI. Non è infatti sempre stato “tutto chiaro”. Anche se nelle precedenti tappe di sviluppo del MCI vi sono stati grandi dirigenti rivoluzionari (Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao Tse-tung) che hanno incarnato in diverse fasi del MPC la tendenza corretta e ne hanno dato forma e sostanza nella loro politica teorica e pratica, è indubbio che diversità ve ne sono sempre state, così come è indubbio che la deviazione revisionista, di tradimento dei principi comunisti attuato fin dalla “Svolta di Salerno” del 1944, è stata operata da quello che fu, fin dal 1926, il più importante dirigente italiano della Internazionale comunista, Togliatti.

Di conseguenza i comunisti del nostro paese hanno ereditato anche delle gravi responsabilità e non solo una lunga storia di resistenza, di lotta di classe e di offensive proletarie (quali sono state il biennio rosso, la partecipazione alla Guerra di Spagna, la Resistenza al nazifascismo e le repubbliche partigiane, e la lotta armata per il comunismo).

L’ideologia non è cioè sufficiente da sola, se non riconosciamo che le diversità vanno affrontate e non sminuite o sottaciute. È nello studio come nella battaglia politica, e non nella conservazione in naftalina, o, peggio, solo alcool, della “linea giusta”, che si può affermare una linea teorica e pratica in grado di elevare il futuro nuovo PC al grado di responsabilità e di capacità di direzione di classe necessario. Diversamente, non si andrà certo a finire meglio di come è avvenuto in URSS, con l’affermarsi della borghesia nel PCUS nel 1956, o in Cina dopo la morte di Mao Tse-tung, con il colpo di stato controrivoluzionario del 1976, o da noi in Italia e in molti altri paesi europei dove la maggioranza della classe operaia è ancora sotto l’influenza del revisionismo.

Nel processo di costruzione del partito, che è uno, essendo i vari tentativi o progetti solo degli sforzi, in quanto il partito nel costituirsi ed elevarsi a direzione delle masse popolari trova un effettivo riconoscimento nelle masse stesse, credo  non si possa assolutamente eludere una discriminante ideologica di fondo; la guida ideologica per l’azione e la costruzione è il marxismo-leninismo-maoismo, ossia il maoismo è la terza, superiore tappa, del marxismo.(4)

 

(4) Mao Tse-tung, Opere, voll. 19-20-21-22, Ed. Rapporti Sociali, in particolare Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi, 31.12.1962, e Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi, maggio 1963 (“Hongqi” n. 3-4, 1963) nel vol. 19;

Un abbaglio per i revisionisti, (articolo contro il presidente del PC Indiano),”Remmin Ribao”, 9.3.1963, in Le marxisme et l’Asie, a cura di H. Carrère D’Encausse e S. Schram, pag. 437-439, Colin, 1965;

CARC, Sul maoismo, terza tappa superiore del pensiero comunista, 1993;

“A world to win”, rivista del Movimento rivoluzionario internazionalista, nn. 1 (1985) - 24 (1998);

Mavrakis, Trotzkismo: teoria e storia, Mazzotta.

 

Ciò pone la questione dell’importanza tutta negativa per il MC nei paesi imperialisti europei che negli ultimi quarant’anni hanno assunto i “paesi socialisti” della Russia e dell’Europa orientale. Paesi che non hanno sostenuto le esperienze apertamente rivoluzionarie incarnate dalla lotta armata per il comunismo nei paesi imperialisti. Paesi in cui si è sviluppato un processo canceroso del sistema socialista. Paesi che hanno infine aperto le porte all’imperialismo. Beninteso riconoscendo che questi processi di involuzione dei paesi socialisti della Russia e dell’Europa orientale dal ’56 non sono avvenuti per caso ma si sono determinati come limiti ed errori ossia come conseguenza dell’affermarsi del revisionismo e della sua natura borghese. Un’impostazione controrivoluzionaria che poté deformare ignobilmente gli insegnamenti che si potevano già allora trarre dagli errori e dalle specifiche caratteristiche della precedente politica rivoluzionaria, dalla strategia insurrezionalista (dimostratasi fallimentare in più occasioni negli anni 20),(5) alla divinizzazione, speculare alla demonizzazione della linea politica attuata dalla Internazionale comunista (che Mao Tse-tung rifiutò rivendicando l’autonomia delle decisioni di ogni partito comunista per quanto riguardava la linea da seguire nel proprio paese),(3) fino alla logica della “coesistenza pacifica” con l’imperialismo occidentale (che nonostante il conflitto che oppose la Repubblica Popolare di Corea e i paesi socialisti all’imperialismo e quindi all’appoggio sovietico ad una serie di lotte di liberazione anti-coloniali, non correggerà l’analisi della “via pacifica al socialismo” nei paesi imperialisti).

 

(5) Anche se è opportuno ricordare la particolarità della politica e della strutturazione organizzativa del KAPD (Partito Comunista Operaio Tedesco) rispetto agli altri partiti comunisti dell’epoca.

 

Fin dal 1962 Mao aveva detto: “I prossimi cinquanta o cent’anni, a partire da ora, saranno una grande epoca di radicali cambiamenti nel sistema sociale in tutto il mondo, un’epoca di grandi sconvolgimenti, un’epoca che non ha l’eguale nella storia. Vivendo in questa epoca, dobbiamo essere preparati a impegnarci in grandi lotte che avranno molte caratteristiche diverse nella forma da quelle del passato”.

(Citato nel rapporto di Lin Piao al IX Congresso del PCC).

Verso la fine della sua vita, il vecchio combattente, che ha appena riportato la sua più grande vittoria, svela ai nostri occhi la prospettiva fiammeggiante delle future tempeste rivoluzionarie. Ancora una volta, egli ci invita a respingere le nostre illusioni, a prepararci alla lotta. Nuove avanguardie si tempreranno nel combattimento, un nuovo sviluppo del marxismo-leninismo scaturirà dalla loro pratica. Questo appello e questo messaggio sono rivolti al mondo intero. La Cina è solo una porzione del movimento rivoluzionario internazionale ma ne costituisce anche la principale base rossa. I cinesi considerano che la tesi di Stalin sulla possibilità di edificare il socialismo in un solo paese è un importante contributo allo sviluppo del marxismo-leninismo. Bisogna ribadire ulteriormente che 1’adesione a questa tesi non implica il fatto che ci si opponga alle rivoluzioni nel mondo?” Mavrakis, 1971.(4)

 

Per quanto riguarda la centralizzazione della linea politica, questa fu come è noto, assieme al sostegno e al mutuo soccorso internazionale sul piano organizzativo, una caratteristica tanto importante quanto imprescindibile in quegli anni.

 Essa tuttavia, a causa delle condizioni oggettive in cui operavano i partiti comunisti nei rispettivi paesi, da una parte non poté affrontare le peculiarità nazionali proprie di ogni realtà partitaria,(6) e dall’altra risentì degli eventi internazionali agli albori della seconda guerra mondiale.(7)

 

(6) T. Noce, Rivoluzionaria professionale, Edizioni Rapporti Sociali; affronta sia la fase costitutiva del PCd’I a Torino, sia il ventennio fascista e l’attività politica clandestina del PCd’I tra le masse popolari negli anni trenta, sia i rapporti tra i partiti comunisti, sia il contributo dell’Internazionale comunista nella guerra di Spagna, sia l’attività politica del PC francese nella resistenza;

Del Carria, Proletari senza rivoluzione, vol. 2, Ed Oriente;

Spriano, Storia del PCI, Einaudi.

 

(7) A. L. Strong, L’era di Stalin, Ed. Rapporti Sociali.

 

(8) Co.pro.co, I fatti e la testa, Ed Maj, 1983;

Rivista “Rapporti sociali” nn. 0 (1985) - 20 (1998) (sulla “scuola di Francoforte”, nel n. 5/6, l’articolo Tre questioni importanti non eludibili e l’articolo Forze produttive e rapporti di produzione).

 

(9) In “Le Marxism et l’Asie”, cit.:

Il Congresso delle organizzazioni comuniste dei popoli d’Oriente (1919), pagg. 223-226;

IV Congresso dell’internazionale comunista, 1922, pagg. 255-268;

Il problema coloniale al VI Congresso dell’Internazionale: rapporto di Bukharin sulla situazione internazionale e le tattiche dell’Internazionale; interventi di Bunting (Sud Africa), Narayan (India), Padi (Indonesia);

tesi sul movimento rivoluzionario nelle colonie e semi colonie, pagg. 324-332.

 

La impostazione “filo-russa” della gran parte del MCI nell’epoca del periodo di relativo benessere vissuto nei paesi imperialisti dagli anni sessanta alla metà degli anni settanta (così come poi la deviazione operaista ma con una diffusione ben maggiore (8)) ha determinato gravi storture nella stessa cultura operaia nel nostro e in altri paesi imperialisti, che, sommandosi alle illusioni determinate dai primi successi della lotta armata rivoluzionaria in Europa (tutta protesa a definire la centralità dell’attacco nel cuore dell’imperialismo), non ha certo contribuito a eliminare una certa qual mentalità politicamente “sciovinista”(9) verso i movimenti rivoluzionari del Tricontinente. Mentalità solo parzialmente giustificata dalla critica al Terzomondismo piccolo-borghese tanto in voga negli anni sessanta e ancora vivo oggi come variante del riformismo.

“I paesi coloniali rappresentano la principale retrovia dell’imperialismo. Condizionare in modo rivoluzionario questa retrovia porterà inevitabilmente a un indebolimento dell’imperialismo, non solo perché lo priverà delle sue retrovie ma anche perché la rivoluzione in Oriente avrà un ruolo decisivo nell’intensificare la crisi rivoluzionaria in Occidente.”

Stalin, 1925, da “Débat sur la ligne générale du mouvement communiste international”, Pechino, 1965, pag. 216.

 

A tutti questi problemi nel MCI ha dato risposta, in diverse situazioni e formazioni sociali, solo il marxismo-leninismo-maoismo. Ciò non poteva tuttavia avvenire ovunque e vittoriosamente, stante il prevalere della dominanza dell’imperialismo capitalista occidentale e la posizione assunta nel MCI dal revisionismo russo e filo-russo.

La strategia della Guerra Popolare di lunga durata si esprime con una chiara tendenza alla crescita proprio in questi anni in diversi paesi, principalmente in Perù,(10) così come in Turchia e Kurdistan,(11) nelle Filippine,(12) in Nepal,(13) in India,(14) e nelle esperienze della lotta armata in Palestina,(15) in Colombia,(16) in Messico,(17) Cile,(18) Iran,(19) ecc.; queste esperienze sono orientate nella gran parte dei casi dal maoismo e costituiscono un importante fattore strategico della rivoluzione anche per la classe operaia dei paesi imperialisti.

Sono importanti e rilevanti le lotte politiche e sociali in Corea del Sud, in Indonesia, in Africa del Sud, nei paesi africani, in America Latina, anche perché dove e quando si sono sviluppati processi di pace (Guatemala, Salvador, Nicaragua, Colombia,(20) ecc.), questi ultimi si sono dimostrati fallimentari per il popolo. Continuare a considerare “lontane” que ste esperienze (nate e sviluppatesi dopo il lungo periodo sperimentale della guerriglia),(21) in quanto più arretrate le formazioni sociali, proprio mentre oggi in tutti questi paesi i “nostri” capitalisti fanno affari d’oro e ne sfruttano a sangue il proletariato e il popolo è oggi un grave, imperdonabile e deviante errore politico e strategico.

(Segue sul prossimo numero di Rapporti Sociali).

 

Albatros, militante comunista prigioniero

 

(10) El Pensamiento Gonzalo, Guerra Popular en el Perù, I° e II° vol., Ed. Borja, 1989 e 1994;

Intervista al Presidente Gonzalo a “El Diario”, 1990;

Discorso del Presidente Gonzalo al quartier generale della Dincote a Lima, 24.9.1992;

Comitato Centrale del PCP, 1992-1998, documenti *;

Rivista “El Diario Internacional”, n. 1-48, 1988-1998;

Rivista “The New Flag” organo del MPP-USA, 1994-1998 *;

Rivista “Sol Rojo”, edita dal MPP-Europa, 14 nn. 1995.

 

(11) Che cos’è il TKP-ML, opuscolo 1998 traduzione da ’Front social - Triple Oppression”;

Rapporto al congresso di fondazione del DHKP-C, 1994, traduzione dall’opuscolo in lingua inglese;

Le azioni antimperialiste di Dev.Sol.: espressione della solidarietà internazionale (1977-1991), traduzione da “Devrimci Sol”, settembre 1997 **;

ASP (a cura dell’), Dossier Turchia, 1997;

Piattaforma per i Diritti e le Libertà, Progetto di costituzione del popolo, Kurtulus, giugno 1997, traduzione dall’inglese;

“Devrimci Sol”, numero speciale, luglio 1998, pag. 4-9 e 38-54 **;

ASP (a cura dell’), Dossier Kurdistan, 1997; Statuto e programma del PKK, V congresso, gennaio 1995, ed. Il Papiro, 1997;

“Kurdistan Report” n. 1, ottobre 1998, ed. italiana.

 

(12) Intervista a J. M. Sison, “Controinformazione internazionale” n. 9, 1993;

Intervista a J. M. Sison, traduzione da “Socialisme Maintenant !”, n.1, 1997;

Indirizzo politico ai combattenti del NPA del Presidente del Comitato Centrale del PC delle Filippine, 29.3.1997, traduzione dal francese da “Socialisme Maintenant !”, n. 1, 1997;

Rivista “Rebolusyon”; ***

Rivista “Liberation International” ***.

 

(13) PCN (Maoista), Strategia della lotta armata in Nepal, Traduzione, opuscolo diffuso da Rossoperaio, 1997.

 

(14) Mazumdar, selezione di scritti, traduzione dai testi diffusi dal PCI (ML) Centro di Unità Maoista, 1965-1972, “A world to win” n. 22, 1998, edizione italiana, pag. 34-37;

Una ricostruzione storica della rivolta di Naxalbari del 1967, “A world to win” n. 22, 1998, edizione italiana, pag. 28-29;

Documenti del PCI (ML) Guerra del Popolo e di altri partiti comunisti della guerra popolare, 1997, “A world to win” n. 22, 1998, edizione italiana, pag. 30-33;

PCI (ML) Guerra del Popolo, un’analisi della situazione, “Front Social - Triple Oppression”, n. 8, autunno 1997, traduzione dal francese.

 

(15) Testi della rivoluzione palestinese 1968-1976 di OLP Al-Fatah, FPLP, FDLP, Ed. Bertani;

Appelli del CNU dell’Intifada nei territori occupati, soc. Ed. Mondo Nuovo, 1990;

Intervista a G. Habash, segretario del FPLP, “Controinformazione internazionale”, n. 5, 1991;

Comunicato dell’Ufficio politico del FPLP, 8.9.1993, “Controinformazione internazionale”, n. 11, 1993;

Documento programmatico comune, FPLP-FDLP, agosto 1994;

Documento del Comando Unificato FPL-FDLP, 30 marzo 1997, in “Senza censura” n. 3, 1997;

Pace lontana, articolo da “Forward for the liberation of land and man”, organo del FPLPCG, traduzione dall’inglese, 1998.

 

(16) Intervista a Marulanda, comandante delle FARC, “Liberazione”, 22.1.1999, ****.

 

(17) Documento del collettivo dei prigionieri politici del PROCUP-PDLP, 1994 traduzione dal tedesco da “Angeoringen Info”;

Manifesto d’Aguas Blancas, del EPR-PDPR, 28.6.1996, traduzione da “El Insurgente” *****.

 

(18) FPMR, in “Devrimci Sol”, numero speciale, luglio 1998, pag. 35 **;

Intervista a un rappresentante l’FPMR, in “Per autonomia di classe”, secondo numero zero, 1998.

  

(19) IPFG, Draft of the program, 1982, opuscolo;

IPFG, “Devrimci Sol”, numero speciale, luglio 1998, pag. 21-22 **.

 

(20) La deriva del movimento guerrigliero M-19, che, dopo aver trattato il ritorno alla legalità e partecipato alle istituzioni, fu liquidato dagli squadroni della morte.

 

(21) Che Guevara, La guerra di guerriglia, 1960, Opere scelte, vol. 1, Baldini & Castoldi;

Bravo, La guerriglia in Venezuela, Feltrinelli;

Marighella, Guerriglia urbana in Brasile, Feltrinelli;

Lobatòn, Secondo fronte - Teoria della guerra di guerriglia e appello alla lotta armata negli scritti del capo dei Tupac Amaru (Perù, da non confondersi con il MRTA degli anni 80-90), Feltrinelli, 1970;

AA.VV. Tupamaros, 2 voll., Feltrinelli;

I fratelli di Soledad, Einaudi.

 

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