Per una discussione sullesperienza della costruzione del socialismo

Rapporti Sociali n. 21 - febbraio 1999 (versione Open Office / versione MSWord )

 

“Lasciate che i bastardi e i porci della moribonda borghesia e dei democratici piccolo-borghesi che le strisciano dietro, ammucchino imprecazioni, oltraggi e derisioni per i rovesci che possiamo subire, gli errori che possiamo commettere nel lavoro di costruzione del sistema sovietico. Noi non dimentichiamo neppure per un momento che abbiamo commesso e stiamo commettendo numerosi errori. Ma come si possono evitare errori e difficoltà in un’opera cosi nuova nella storia del mondo quale la costruzione di un tipo ancora sconosciuto d’organizzazione dello Stato! Noi lotteremo senza tregua per attenuare le nostre difficoltà e correggere tutti i nostri errori e migliorare l’applicazione pratica dei principi sovietici che è ancora molto, molto lontana dalla perfezione.” Lenin (ottobre 1921).

“Una buona direzione non consiste nel non commettere nessun errore, ma nel prendere sul serio gli errori.” Mao Tse-tung (aprile 1956)

 

Premessa

Cos’è il materialismo dialettico? Il materialismo dialettico dice che bisogna considerare la vita come essa è in realtà. Al mondo non c’è nulla di eterno, tutto cambia e si sviluppa. Tutto ciò che esiste realmente e si sviluppa è razionale, comprensibile, può diventare oggetto della conoscenza dell’uomo. Nello sviluppo, tra essere e idea, prima si sviluppa l’essere e poi l’idea, prima si sviluppano le condizioni esterne, oggettive poi si sviluppa la coscienza di esse.

La lotta di classe si sviluppò ben prima che ve ne fosse la consapevolezza scientifica. La produzione sociale si sviluppò ber prima della concezione del socialismo.

Il movimento di costruzione del socialismo si sviluppò prima della coscienza scientifica delle sue leggi. La costruzione del socialismo in URSS fu un esempio storico in cui le masse dovettero imparare facendo, in cui molti errori furono conseguenza dell’inesperienza.

In merito all’origine degli errori dobbiamo principalmente considerare le due vie dello sviluppo che corrispondono alle due classi che possono dirigere la società moderna: la borghesia imperialista e la classe operaia. La lotta tra le due vie è una legge del movimento della nostra società e si esprime nella lotta tra le due classi e nella lotta tra le due linee.

Il socialismo compare nella storia con l’instaurazione della dittatura del proletariato. La rivoluzione sociale diretta dalla classe operaia instaura la sua dittatura elaborando l’esperienza della Comune di Parigi, cioè facendo tesoro dei suoi insegnamenti e dei suoi errori. Inizia una fase di transizione dal capitalismo al comunismo. In questa fase in ogni passo le due vie sono: procedere o regredire, la via della classe operaia o la via della borghesia. L’inesperienza della via della classe operaia apre il campo alla via della borghesia e alla sua esperienza consolidata in secoli di sfruttamento.

Come si superano gli errori? Individuandone le cause. In definitiva gli errori di inesperienza, che non fanno avanzare e che invece fanno regredire, sono affermazioni dell’altra esperienza, derivano dall’influenza dell’altra classe.

La questione dell’inesperienza ci porta alla necessità di far tesoro dell’esperienza, alla necessità di analizzare l’esperienza dei paesi socialisti e gli errori commessi per fare un passo avanti nel campo della coscienza dei problemi relativi alla costruzione del socialismo.

Oggi abbiamo la necessità di dare una risposta al cosiddetto “fallimento dei regimi socialisti”. Questa necessità ci si para davanti come compito dei comunisti all’interno della nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo. È un nodo da sciogliere per rafforzare la rinascita del movimento comunista e la via rivoluzionaria. Capire le ragioni della sconfitta delle esperienze di costruzione del socialismo della prima ondata della rivoluzione mondiale è oggi necessario come fu per Lenin necessario capire le ragioni della sconfitta della Comune di Parigi.

In questo lavoro abbiamo la fortuna di poterci avvalere della teoria e pratica sviluppata dal PCC e da Mao Tse-tung.(1)

 Quelli che seguono sono appunti che cercano di offrire una chiave interpretativa per sviluppare questa riflessione contro coloro che fermano la storia del movimento comunista agli anni ’20, considerando complessivamente negative la grandi esperienze successive e contro coloro che difendono acriticamente queste esperienze e che, facendo così, nella migliore delle ipotesi non fanno i conti con il revisionismo (si tratta solo di traditori) e nella peggiore ne sostengono le ragioni (non c’era altra via).(2)

Una chiave che sia utile anche per superare la sterilità di chi, pur prendendo chiara posizione contro il revisionismo, non ha colto il fatto che la lotta migliore contro di esso è capire scientificamente le ragioni della sua affermazione, individuare la base su cui ha potuto svilupparsi.

 

1. Vedi volumi 23-25 delle Opere di Mao Tse-tung, Ed. Rapporti Sociali.

 

2. La sostanziale continuità tra la Rivoluzione d’Ottobre e la costruzione del socialismo condotta in URSS fino al 1956 è stata confermata anche dal fatto che tutte le correnti politico-culturali - quindi escludendo le sette che rispondono ad altra logica - che hanno accolto tra i propri fondamenti ideologici l’antistalinismo hanno finito per dovervi accogliere anche l’antileninismo: vedasi i revisionisti moderni.

 

 

La grande scuola delle esperienze della classe operaia al potere

La Comune di Parigi dimostrò che è possibile che la classe operaia prenda potere. Ma dimostrò anche che non è possibile conservare il potere senza l’organizzazione adeguata, senza il partito della classe operaia, senza la dittatura del proletariato.(3)

 

3. Questo insegnamento fu confermato in più occasioni: dalla rivoluzione ungherese del 1919 alle altre effimere rivoluzioni del primo dopoguerra (Finlandia, Germania, Austria, ecc.).

 

L’esperienza dei paesi socialisti ha dimostrato che è possibile per la classe operaia difendere il proprio potere, una volta conquistato, ed edificare una società socialista. Ma ha anche dimostrato che il processo può interrompersi e regredire verso il capitalismo sotto la direzione del revisionismo.

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria ha dimostrato che è possibile proseguire il processo di costruzione del socialismo mobilitando le masse nella lotta di classe in difesa della dittatura de proletariato, estendendola dalla struttura alla sovrastruttura e ponendo il problema del superamento della divisione sociale del lavoro ereditata dal capitalismo e principalmente quella tra lavoro intellettuale lavoro manuale.(4) Ma ha dimostrato anche che l’esito della lotta al revisionismo non è scontato e che esso può riprendere il sopravvento.

Il maoismo ha sintetizzato la concezione della lotta tra le due linee dentro il partito.

In generale l’esperienza dei paesi socialisti ha dimostrato che abolendo il sistema di sfruttamento capitalista, ponendo fine alla sua anarchia e alle sue crisi è possibile dare un enorme impulso allo sviluppo delle forze produttive. A titolo di esempio nel 1956 la produzione industriale globale dell’URSS è stata 30 volte più alta di quella del 1913 che fu un anno record prima della rivoluzione.

In generale l’esperienza dei paesi socialisti ha dimostrato che non è possibile proseguire il processo di costruzione del socialismo senza mobilitare le masse nella lotta di classe in difesa della dittatura del proletariato, senza conquistare forme di proprietà sempre più collettive e senza fare passi in avanti nel superamento della divisione sociale del lavoro ereditata dal capitalismo: in definitiva senza procedere nell’adeguare i rapporti di produzione al carattere collettivo che le forze produttive hanno già assunto nel capitalismo e che si sviluppa ulteriormente nella fase socialista man mano che la lotta di classe e la lotta per la produzione liquida gli ostacoli che il modo di produzione pone allo sviluppo delle forze produttive. Il comunismo è il movimento reale che supera lo stato presente delle cose.

Il permanere della divisione sociale del lavoro ereditata dal capitalismo è una caratteristica delle esperienze di edificazione del socialismo ed è dovuta al loro carattere di società della transizione.(5)

In Problemi economici del socialismo in URSS (1952) Stalin sostiene che nel socialismo è possibile l’eliminazione delle differenze sostanziali tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Ma nel processo reale della società sovietica esse permasero e contraddistinsero l’ambiente in cui il carattere sociale della proprietà (la trasformazione della proprietà collettiva e delle residue forme di proprietà individuale in proprietà di tutto il popolo) prima cessò di svilupparsi poi arretrò a favore di forme di tipo corporativo (6) che aprirono la strada alla restaurazione del capitalismo. La proprietà della forza lavoro cessò di essere della classe operaia e fu esercitata dai gruppi legati al lavoro intellettuale che controllavano e dirigevano l’organizzazione della produzione, che espropriavano alla classe operaia il sapere sulla produzione.

 O socialismo o fascismo dice Mao.(7)

 

4. La divisione sociale del lavoro non deve essere confusa con la divisione tecnica del lavoro.

La divisione tecnica è la divisione che si attua nelle unità produttive, nel processo lavorativo ad es. tra chi trancia e chi lima, tra chi falcia e chi raccoglie l’erba, ecc. A questa divisione non corrispondono ruoli sociali diversi e gli uomini passano correntemente dall’uno all’altro al massimo previo un periodo di addestramento.

La divisione sociale del lavoro si attua nella società, è divisione tra gruppi stabilmente e unilateralmente addetti a lavori diversi e a cui corrispondono diversi ruoli sociali. La divisione sociale del lavoro comprende grandi divisioni che esistono tra i lavorati in particolare la divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra città e campagna, tra uomini e donne, tra lavoro produttivo di beni e lavoro produttivo di servizi, lavoro necessario alla produzione e riproduzione della vita della società e lavori accessori. Sono tutte divisioni che configurano diversi ruoli e dignità dei gruppi addetti stabilmente e unilateralmente a uno di essi.

Materiale di riferimento: Marx, Per la critica del programma di Gotha e Opere di M. Tse-tung, vol. 23-25, Ed. Rapporti Sociali.

 

5. Vedasi Annotazioni a problemi economici del socialismo nell’URSS (1958, vol. 17) Note di lettura del Manuale di economia politica (1960, vol. 18) in Opere di Mao Tse-tung, Ed. Rapporti Sociali.

 

6. Da una parte il corporativismo è stato l’ordinamento con cui la borghesia imperialista cercò di salvare il suo dominio (fascismo). Dall’altra il corporativismo è la forma della regressione del socialismo, del ritorno verso il capitalismo. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria ha messo in chiaro anche questo aspetto. Queste sono due forme storicamente distinte di corporativismo, con la prima la borghesia ha puntato a mantenere il potere quando esso era messo in discussione dallo sviluppo delle contraddizioni, con la seconda ha puntato a riprenderselo utilizzando le contraddizioni della fase di transizione.

 

7. Rapporto al decimo congresso nazionale del partito comunista cinese, in Opere Mao Tse-tung, vol. 24, pag 279 e seg., Ed. Rapporti Sociali.

 

Forme corporative furono promosse dai ceti del lavoro intellettuale. In questo modo estesero la loro influenza ed esercitarono un “loro” controllo sulla produzione. Il sapere sulla produzione che derivava loro dalla divisione del lavoro ereditata dal capitalismo si tradusse in una particolare forma di appropriazione dei mezzi di produzione e della ricchezza sociale. Su questa proprietà iniziarono a esistere come classe separata e contrapposta alla classe operaia e alle masse popolari. Come una classe che viveva la forma giuridica della società socialista come impedimento al proprio sviluppo. Le impediva infatti di promuovere uno sfruttamento economico direttamente a proprio vantaggio. Una nuova borghesia che ha utilizzato il carattere ambiguo del socialismo come società della transizione, che contiene sia il passato che il futuro, trovando la via per prendere il potere e invertire la direzione del movimento.

 

I periodi

Considerando la sfera economica e quella politica strettamente collegate tra di loro, l’esperienza di transizione al socialismo che ha caratterizzato 1’URSS la possiamo dividere in quattro fasi: 1) 1917-1928. Guerra civile, comunismo di guerra e la NEP, 2) 1928-1956. Pianificazione dell’industrializzazione, guerra patriottica, nuova pianificazione della ricostruzione, 3) 1957-1987. Revisionismo moderno, stagnazione, tentativo di restaurazione pacifica del capitalismo, 4) 1987 in poi. Crisi, dissoluzione dell’URSS, tentativo di restaurazione violenta del capitalismo.

Le prime due fasi sono caratterizzate dalla prevalenza della direzione proletaria e dal procedere del movimento di transizione dal capitalismo al socialismo. Le seconde due fasi sono caratterizzate dalla prevalenza della direzione borghese e dal recedere del movimento di transizione.

In questa sede ci interessa trattare alcuni aspetti della prima fase e principalmente la seconda e la terza fase. Nella seconda fase si sviluppò il processo di edificazione del socialismo attraverso la pianificazione centralizzata dello sviluppo economico e sociale, si aprì il dibattito sulla legge fondamentale della costruzione del socialismo e si raggiunse l’enorme risultato di trasformare un paese arretrato in una potenza industriale. Nella terza fase vi fu l’avvento del revisionismo moderno, cessò l’edificazione del socialismo e iniziò la stagnazione e la regressione verso il capitalismo.

L’obiettivo della nostra riflessione è capire come questo passaggio tra la seconda e la terza fase sia potuto accadere. Quale è stato il processo reale, perché il corso della storia ha preso questa piega definita? È nostra opinione che nel processo di edificazione del socialismo, come storicamente si è definito, resti in generale principale la struttura e che quindi è dalla struttura e dal suo sviluppo che bisogna partire per comprendere le ragioni della parabola discendente di cui il revisionismo fu la manifestazione politico-ideologica. Solo così possiamo costruirci una chiave interpretativa adeguata a comprendere il movimento della società della transizione dal capitalismo al comunismo.

Nel caso in questione si trattò di una duplice transizione: oltre a quella indicata (dal capitalismo al comunismo) vi fu quella da un’economia arretrata e agricola a una industriale sviluppata. Un processo rivoluzionario in cui doveva completarsi il superamento di una struttura semifeudale e semicoloniale. Questo storicamente si svolse nella forma di una rivoluzione di nuova democrazia cui fece seguito una rivoluzione socialista.

 

La pianificazione

La principale ragione che spinse la dirigenza sovietica ad abbandonare la NEP e a passare alla pianificazione centralizzata dell’economia fu che la NEP non garantiva ritmi di sviluppo industriale ritenuti indispensabili per uscire dall’arretratezza. Inoltre protraendosi essa minava la direzione della classe operaia e l’alleanza operai-contadini favorendo la direzione della borghesia (capitalisti e contadini ricchi).(8)

Il dibattito sulla pianificazione come essenza della politica economica socialista e sull’obiettivo dei piani iniziò fin da subito con l’avvio dei piani quinquennali, dopo la NEP, nella metà degli anni ’20. Le due vie si delinearono.

 Una posizione sosteneva che in economia vi sono ritmi di sviluppo e proporzioni oggettive tra i vari settori della produzione. I sostenitori di questa posizione proponevano di utilizzare come riferimento, per gli uni e per le altre, o l’economia precedente alla rivoluzione o quella dei paesi capitalisti.

L’altra posizione sosteneva che la composizione della struttura economica della società può e deve essere modificata in funzione del progetto politico.

Si affermò la seconda posizione e questo diede impulso alla prima fase dell’edificazione socialista. La parola d’ordine fu “non esistono fortezze che i bolscevichi non possono abbattere”. I secondi accusarono i primi di sostenere una linea contraria alla transizione al comunismo, contraria al socialismo, di operare nei fatti per un ritorno al capitalismo. Il XV Congresso del PCUS (dicembre ’27) si pronunciò duramente contro la prima posizione e a favore della seconda.(9)

 

8. Vedasi nelle Opere di Stalin la polemica contro la destra (Bukharin, ecc.) e nelle Opere di Mao Tse-tung la polemica contro gli avversari del Grande balzo in avanti.

 

9. Vedasi A. Catone, La transizione bloccata, Edizioni Laboratorio Politico, pp. 110-112 e Istorija politiceskoj ekonomij socializma, Edizioni dell’università Leningrado, 1983, pp. 195 e seg.

 

10. Vedasi A. Catone, La transizione bloccata, Edizioni Laboratorio Politico, p. 107 e pp.142-146 e S. Bertolissi, L’organizzazione scientifica del lavoro nella Russia sovietica degli anni Venti, in AA.VV., Studi di storia sovietica, Editori Riuniti, Roma 1978.

 

Le due vie emersero anche nel dibattito sull’organizzazione scientifica del lavoro in occasione della Conferenza dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro (NOT), Mosca 20-27 gennaio 1921.(10) Questo dibattito prese origine dalla critica al taylorismo.

Fu svolta la critica che il taylorismo non ha come finalità l’utilizzo ottimale delle risorse dell’intera società (e quindi anche della risorsa uomo) per il massimo benessere collettivo e individuale della popolazione, ma la ricerca del massimo profitto per la singola impresa capitalista. Questo dibattito presupponeva che l’organizzazione del lavoro non è neutrale.

Da questo si sviluppò una linea che concepiva il lavoratore come oggetto dello studio scientifico (finalizzato, diversamente che in Taylor, allo sviluppo delle potenzialità umane). Il lavoratore non era qui concepito come soggetto attivo, come forza di cambiamento. Il cambiamento è affidato alla scienza, allo scienziato, allo specialista.

Emerse anche la linea opposta che sosteneva la partecipazione attiva dell’operaio; questa linea si contrappose all’altra accusandola di sfiducia nei confronti dei lavoratori, di pretesa di civilizzare il proletariato dall’alto. Questa linea pose il problema del rifiuto radicale dell’organizzazione capitalista del lavoro. La condizione dell’operaio nella costruzione del socialismo è quella dell’organizzatore e dell’attivo partecipe della produzione socialista, non quella di automa appendice della macchina. Secondo questa posizione la formazione professionale deve essere concepita come formazione onniculturale politica e tecnica dell’operaio e non semplicemente come allenamento per la produzione.

Questo dibattito ebbe come risvolto concreto il movimento degli udarniki (lavoratori d’assalto per accrescere l’intensità del lavoro) e il movimento stakhanovista. Questi movimenti furono espressione della classe operaia che lotta per la produzione socialista. Mostrarono l’attivismo degli operai. Lo stakhanovismo tese a trasformare il processo produttivo sulla base dell’iniziativa degli operai. Fu caratterizzato da un certo sviluppo di innovazioni tecniche proposte dagli operai. Questa spinta fu limitata dal fatto che la decisione sulla trasformazione degli impianti rimaneva strettamente in mano a ingegneri e dirigenti. Probabilmente per questo il movimento si esaurì nel 1938-39.

I primi due piani quinquennali, con relativi piani trimestrali e annuali, raggiunsero e superarono gli obiettivi che erano stati posti. In essi la classe operaia lottò con ardore per la produzione socialista e pose le basi per la vittoria contro il nazifascismo nella grande guerra patriottica.

Nello sviluppo successivo alla Seconda guerra mondiale prese nuovo impulso la tendenza che si era già mostrata alla fine degli anni ’30 e contro la quale erano state attivate le operazioni di epurazione (1936-1938). Infatti il “Grande terrore”, scatenato dall’assassinio di Kirov (1 dicembre 1934), fu rivolto contro i dirigenti del partito e dello Stato, contro i quadri e i funzionari per evitare la cristallizzazione e il consolidamento di una burocrazia slegata dalle masse. Stalin fece appello alle masse contro i dirigenti corrotti e deviati e ottenne consenso e successo.

Nel dopoguerra la via borghese riemerse nella forma dei gruppi di interesse legati al lavoro intellettuale e dirigente nei diversi settori dello Stato e dell’economia. Benché i gestori delle singole unità economiche fossero designati dall’autorità politica e cioè dal partito, sotto le sembianze della proprietà statale cresceva un’indipendenza relativa delle singole imprese. Sulla base di questi interessi via via cambiavano la natura e gli obiettivi del piano. Da forma unitaria del con trollo della classe operaia (attraverso il suo partito e il suo Stato) sulla produzione e sulla ripartizione della ricchezza prodotta, che aveva come obiettivo lo sviluppo degli interessi della classe operaia e quindi la prosecuzione dell’edificazione socialista, il piano si trasformava in sistema di realizzazione del compromesso tra i diversi gruppi di potere che rappresentavano gli interessi corporativi dei diversi settori, diventava un sistema che aveva come obiettivo il soddisfacimento degli interessi di questi gruppi di nuova borghesia e quindi produceva il blocco e la regressione del processo di transizione socialista.

Il piano da forma di esercizio della proprietà sociale della classe operaia sull’intera produzione (mezzi di produzione e prodotti) si trasformava in esercizio di proprietà sulla produzione da parte di quei gruppi dirigenti i cui interessi erano strategicamente divergenti da quelli delle masse e che con le masse impostavano tatticamente rapporti di tipo corporativo.

Il piano, sottoposto alla direzione di questi gruppi, diventa uno dei luoghi in cui si organizza una forma specifica di concorrenza, una lotta tra i diversi settori e imprese economiche rappresentati dai diversi gruppi di potere. Una lotta per l’appropriazione e l’accumulazione della frazione più ampia possibile di risorse. È una concorrenza che non può essere confusa con la concorrenza capitalista, non risponde infatti al mercato. È un accaparrarsi di risorse che non mira all’innovazione ma allo spreco.(11)

La condizione indispensabile perché lo sviluppo della linea borghese fosse possibile era la relativa assenza della lotta di classe e in una certa misura l’assenso della classe operaia.

Il carattere corporativo soddisfaceva questa necessità. Il gruppo di interesse rispondeva in parte alle esigenze contingenti della propria classe operaia. L’industria la cui dirigenza riusciva ad accaparrarsi una quota maggiore di risorse poteva mantenere bassi i ritmi produttivi e privilegiare lo sviluppo estensivo rispetto a quello intensivo. Il carattere corporativo si alimentò anche del fatto che, dati i vincoli posti dal carattere socialista dell’ordinamento sociale, l’appropriazione della ricchezza da parte di questi gruppi non poteva realizzarsi in forma capitalista. I loro privilegi si riducevano a vantaggi nei consumi privati e quindi non avevano interesse alla crescita della produzione, alla produttività e all’intensificazione del lavoro.

Con il conseguente rallentamento della crescita dell’economia sovietica i gruppi di nuova borghesia intensificarono la spinta al decentramento del controllo sulla produzione (mezzi di produzione e prodotto) tramite l’aumento dell’autonomia delle imprese e lo sviluppo di forme di appropriazione illegale delle risorse (corruzione, mercato nero, ecc.). Questo intaccò progressivamente la pianificazione, portò a far operare con più forza la legge del valore e del mercato e rafforzò la tendenza alla restaurazione del capitalismo.

Questo esito ha confermato che la legge dello sviluppo pianificato può operare solo nel caso che lo sviluppo pianificato persegue l’obiettivo dell'edificazione del socialismo. La legge dello sviluppo pianificato è quella legge che regola l’economia nella società socialista e sostituisce quella del profitto che regola l’economia nella società capitalista.(12)

 

11. In forme simili abbiamo visto caratterizzarsi anche il capitale pubblico dei paesi imperialisti, con la differenza che in questo caso l’ordinamento sociale è borghese e le “disfunzioni” del settore pubblico sono a diretto vantaggio dei gruppi borghesi dominanti.

 

12. La legge che regola l’economia della società capitalista è la massima valorizzazione del capitale. La concorrenza è solo la via attraverso la quale la legge intrinseca del capitale si impone ad ogni singolo capitalista come legge esterna, come costrizione esterna.

 

Quale fu l’errore principale dei comunisti?

L’errore principale dei comunisti, dei partigiani della linea rossa, fu un errore di impostazione e precisamente quello di non considerare la lotta di classe come il motore del processo di edificazione del socialismo.

La legge fondamentale dell’economia socialista formulata da Stalin in Problemi economici del socialismo nell’URSS (1952) è: “assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società mediante l’aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore”.

L’esperienza concreta dei paesi socialisti e in particolare la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria ha dimostrato che l’assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società può  realizzarsi solo con lo sviluppo della lotta di classe lungo tutto il processo di edificazione del socialismo. Una lotta che ha come obiettivo l’imposizione continua dell’adeguamento dei rapporti di produzione allo sviluppo delle forze produttive che si realizza nel corso del processo di edificazione del socialismo. Una lotta che ha al centro l’instaurazione e lo sviluppo della dittatura del proletariato attraverso il definirsi di forme via via più avanzate di proprietà sociale e il superamento della divisione sociale del lavoro ereditata dal capitalismo e principalmente delle differenze sostanziali tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

La formulazione della legge fondamentale fatta da Stalin non considerava questo aspetto principale. Egli nel ’36 aveva sostenuto che “nella società sovietica non vi sono più classi antagoniste”.(13) Arrivò quindi a considerare estinta la lotta di classe in URSS, salvo poi ricredersi poco prima della morte.(14)

 

13. Vedasi Sul progetto di costituzione dell’URSS, novembre 1936, capitoli 2 e 3.

 

14. Stalin aveva ribadito la sua concezione al riguardo in vari scritti, prese di posizione e direttive. Si veda ad esempio la Risposta alla lettera di Ivanov, pubblicata sulla Pravda del 14 febbraio 1938. Egli sosteneva allora che in URSS la borghesia e le altre classi sfruttatrici erano state definitivamente liquidate e che l’unico pericolo che minacciava il socialismo in URSS, che rendeva ancora non definitiva la sua vittoria, erano l’aggressione e l’invasione dall’esterno. La concezione sostenuta in quegli anni da Stalin in realtà contrastava con la lotta accanita che proprio in quegli anni si svolgeva all’interno del partito e dello Stato sovietici. Era il periodo dei grandi processi attraverso i quali vennero liquidati i dirigenti del partito e dello Stato che sostenevano che la vittoria del socialismo non era possibile (contro il socialismo in uno Stato solo) e che, in vario modo ma di fatto, erano potenziali membri della quinta colonna dell’aggressione che gli imperialisti avrebbero scatenato qualche anno dopo (nel 1941). In proposito non va dimenticato, per capire quanto questo pericolo fosse concreto, che nel 1936 i trotzkisti in Cina sostennero l’invasione giapponese giustificandola con la tesi che il Giappone rappresentava un modo di produzione superiore a quello vigente in Cina e che quindi l’invasione giapponese avrebbe promosso lo sviluppo sociale della Cina.

Dopo la Seconda guerra mondiale egli si ricredette su questo punto e sostenne la tesi che in Unione Sovietica esistevano contraddi zioni che, se non trattate in modo giusto, potevano diventare antagoniste (v. Problemi economici del socialismo in URSS, 1952).

 

La classe operaia, il proletariato, le masse popolari che dovevano portare avanti la lotta non solo contro la borghesia residua e contro le influenze borghesi provenienti dall’esterno e dovute alla presenza dell’imperialismo, ma anche contro la nuova borghesia che si crea nella fase di transizione dal capitalismo al comunismo, si trovarono senza guida capace di formulare correttamente e utilizzare la Legge fondamentale per procedere nell’edificazione.

Questo errore principale determina tutti gli altri errori e limiti. Ad esempio quello dei criteri di selezione e formazione dei quadri. I quadri da formare e selezionare devono essere quelli che principalmente sanno mobilitare le masse nella lotta contro la borghesia per l’edificazione del socialismo e non i quadri principalmente tecnici a cui la permanenza della divisione del lavoro ereditata dal capitalismo affida il buon andamento della produzione (rossi ed esperti).

Al1’errore principale è legata anche l’incapacità di vedere il nemico interno, di averne un’esatta percezione. La tendenza a vederlo solo come proiezione del nemico esterno. Sicuramente il nemico interno è rafforzato dal nemico esterno, ma questo è solo un aspetto che è inerente alla contraddizione globale tra imperialismo e comunismo. Nella realtà specifica dei paesi socialisti il nemico interno è la borghesia che rinasce dalle contraddizioni del processo di edificazione del socialismo; un processo che va dal capitalismo al comunismo e a ogni tappa è caratterizzato dalle due vie: la prosecuzione o la regressione.

I gruppi di interesse legati al lavoro intellettuale sono stati la base sociale della regressione. Essi si sono appropriati dei mezzi di produzione nella forma della disponibilità delle risorse, della conoscenza del ciclo produttivo, del controllo sulla produzione e del comando sulla forza lavoro.

Il revisionismo è la rappresentanza politica di questi gruppi e non a caso quando riesce a prendere il potere la prima cosa che fa è quella di tutelarli e di aprire loro spazi di sviluppo.

La direzione staliniana, che fu una direzione rivoluzionaria, ebbe la percezione del fenomeno ma non delle cause e intervenne nel modo che le era possibile al grado di comprensione che aveva del problema, utilizzando cioè in maniera massiccia le epurazioni.(15) Ma, non intervenendo sulle cause, eliminato un dirigente corrotto ci si trovava di fronte nuovi dirigenti corrotti. Krusciov, da stalinista convinto, divenne il capo dei revisionisti.

15. Le epurazioni non riguardavano solo e neanche principalmente i corrotti. Venivano epurati i dirigenti che per un motivo o l’altro non erano adeguati ai compiti assegnati. L’epurazione nel periodo della direzione di Stalin non era principalmente una procedura giudiziaria: erano i collettivi di lavoro, le assemblee di reparto, di fabbrica, di scuola, ecc. che valutavano i dirigenti, che dicevano se un individuo aveva le caratteristiche necessarie per il posto che occupava.

 

 

Il revisionismo moderno

Il revisionismo moderno quindi è stato la rappresentazione politica principale di questi gruppi di nuova borghesia. La via borghese doveva necessariamente passare attraverso il partito e lo Stato.

Il revisionismo moderno nei paesi socialisti è stato la concezione politica attraverso la quale la borghesia ha trovato la strada per il potere, per strappare il potere dalle mani della classe operaia. Con l’avvento del revisionismo (XX Congresso, 1956) gli alti funzionari cercano di proteggere gli interessi degli alti funzionari.

L’opposizione al processo di edificazione del socialismo, che il revisionismo ha rappresentato, si è manifestata con le seguenti concezioni e misure:

1. con la teoria dell’estinzione delle classi specialmente della borghesia e con quella della fine della lotta di classe  dopo la presa del potere e l’avvio della società socialista;

2. con la concezione che la rivoluzione socialista ha già realizzato la maggior parte dei suoi compiti;

3. con la linea di non puntare sulla lotta di classe ma sui compiti della costruzione del socialismo concependo le due cose come separate o addirittura opposte;

4. con la lotta contro il culto della personalità quando essa serve a denigrare i dirigenti popolari e a rendere difficile il rapporto tra la direzione rivoluzionaria e le masse;

5. con l’aumento delle terre destinate a uso privato;

6. con l’introduzione e lo sviluppo di mercati “liberi”;

7. con l’introduzione di normative che rendono le imprese responsabili dei propri guadagni e perdite;

8. con l’introduzione del pragmatismo borghese (“sia bianco o nero, il gatto che caccia i topi è un buon gatto”);

9. con l’occuparsi dei gruppi dirigenti e non delle masse.

Il modello corporativo fu utilizzato dai revisionisti che soddisfecero gli interessi immediati delle masse (bassi ritmi di lavoro e aumento dei beni di consumo) per attaccarne gli interessi strategici, per nascondere sotto la denominazione di proprietà di tutto il popolo l’appropriazione della produzione sociale da parte dei gruppi della nuova borghesia che essi rappresentavano e sotto quella di partito di tutto il popolo la loro appropriazione del partito facendolo cessare come partito della classe operaia. Cosi impedirono lo sviluppo della lotta di classe, nascosero quella presente nella società socialista e quindi poterono avviare lo smantellamento della dittatura del proletariato e la regressione verso il capitalismo.

 

Conclusioni

Con l’esperienza dei paesi socialisti la classe operaia e il movimento comunista internazionale hanno accumulato un’enorme esperienza fatta di successi ed errori. Questi ultimi sono altrettanto importanti quanto i primi. L’analisi di entrambi ci permette di migliorare la nostra comprensione delle leggi che regolano i fenomeni e, nel caso in esame, delle leggi che regolano il processo di edificazione del socialismo.

Ogni fenomeno è regolato da leggi, anche il socialismo. Queste leggi non possiamo inventarle né trasformarle, ma dobbiamo scoprirle analizzando i fenomeni che esse determinano. Scoprendole ci poniamo nella condizione di poterle utilizzare. Questo è fondamentale per la classe operaia al potere. Engels sostiene che nel socialismo “le leggi dell’attività sociale che in precedenza stavano di fronte agli uomini come leggi di natura che li dominavano, ora possono essere applicate dagli uomini in piena cognizione di causa e quindi dominate” (F. Engels, Antidühring).

Le leggi che dobbiamo considerare trattando della transizione alla luce dell’esperienza dei paesi socialisti sono:

1. quella della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive;

2. quella del valore e del permanere della sua influenza nella società socialista a fianco al permanere della merce;

3. quella dello sviluppo pianificato in opposizione a quella del profitto.

Ma soprattutto la legge fondamentale che governa l’edificazione del socialismo, che è principale e definisce l’azione delle altre e che oggi, alla luce del maoismo e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, potremmo formulare all’incirca in questo modo: “assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società mediante l’aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base dello sviluppo della lotta di classe per il potere e per la produzione diretta dalla classe operaia.”

È questa legge che interagendo con le altre regola l’ambiguità, nel senso dell’ambivalenza, del processo di transizione. Se non vi è corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive, si riapre una fase rivoluzionaria come ci ha dimostrato la rivoluzione culturale. Se non vi è progresso nelle forme di proprietà sociale con la presa di possesso via via di tutti i mezzi di produzione da parte della classe operaia, permane la presenza della merce e della legge del valore. Se vi è regressione nelle forme di proprietà in forme corporative, aumenta l’influenza della legge del va lore, si rafforza la spinta alla regressione verso il capitalismo, riemergono la ricerca del profitto e la concorrenza capitalista contro la pianificazione.

Garabombo

 

 

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