La crisi della Russia

Rapporti Sociali n. 20 - novembre 1998 (versione Open Office / versione MSWord )

 

La svalutazione del rublo, il crollo della Borsa, la sospensione della restituzione dei prestiti e del pagamento degli interessi, Eltsin che in luglio nomina capo del governo Chernomyrdin che egli stesso aveva rimosso solo pochi mesi fa (il 22 marzo scorso) e infine in settembre forma un governo presieduto da Primakov con rappresentanti del Partito comunista federativo di Russia (diretto da Zyuganov) che lo sostiene in Parlamento: sono gli ultimi avvenimenti più noti e clamorosi dello sviluppo della crisi economica e politica della Russia. Una crisi che ha avuto una svolta negli anni 1989-1991 (Gorbaciov) culminata con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e che da allora si aggrava intrecciandosi con la crisi generale del capitalismo in atto nel mondo in un rapporto dialettico: la crisi generale aggrava quella russa e quella russa sospinge avanti quella generale.

Alla base della crisi generale c’è la sovrapproduzione di capitale: il capitale accumulato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1945) è talmente grande che se i capitalisti impiegassero produttivamente tutto il capitale accumulato, la massa del profitto che ne ricaverebbero diminuirebbe anziché crescere. Da qui investimenti produttivi insufficienti ad occupare tutta la manodopera disponibile, l’enorme gonfiamento degli investimenti finanziari e gli squilibri finanziari che ne derivano. Per quanto i capitalisti spremano i lavoratori (e lo sfruttamento stile ottocento sta allargandosi a macchia d’olio, con l’abolizione delle conquiste strappate dai lavoratori) e la massa di profitto estorto sia enorme, non riescono a raccogliere una massa di profitto sufficiente a valorizzare tutto il capitale accumulato e più spremono i lavoratori più aggravano il problema perché aumenta la massa di capitale accumulato. I rapporti di produzione capitalisti sono diventati una camicia di forza che soffoca il mondo intero. È una contraddizione da cui i capitalisti non possono uscire che provvisoriamente, e anche questo solo con un rivolgimento generale e traumatico delle condizioni politiche e culturali esistenti, storpiando gli uomini per adattarli ai rapporti di produzione capitalisti. È la contraddizione che genera in tutto il mondo la rinascita del movimento comunista che può portare gli uomini fuori da questa nuova crisi generale abolendo i rapporti di produzione capitalisti e avviando il passaggio al comunismo. Il marasma economico creato dalla crisi generale del capitalismo, alla fine degli anni ’80 ha fatto crollare i regimi dei paesi socialisti che si erano resi dipendenti dal mondo imperialista, come aveva già sconvolto i paesi del terzo mondo.

Da dove nasce la crisi russa? Dal 1956 per più di trent’anni i dirigenti dell’Unione Sovietica hanno lavorato per far retrocedere verso il capitalismo i rapporti sociali in Unione Sovietica.

Nel campo della proprietà dei mezzi di produzione, pur non privatizzando le aziende, hanno rafforzato i rapporti commerciali tra di esse e la loro autonomia finanziaria a danno della pianificazione socialista, hanno favorito la nascita della piccola produzione individuale e familiare e hanno tolto dalle mani delle masse la repressione delle illegalità economiche e l’hanno affidata a poliziotti di professione, ovviamente corrompibili e corrotti.

Nel campo delle relazioni nel lavoro, hanno rafforzato il potere dei dirigenti sui lavoratori e l’indipendenza e il distacco dei dirigenti e dei tecnici dalla massa dei lavoratori, li hanno sottratti al giudizio di questi e hanno rafforzato il ruolo del reddito individuale come stimolante dell’attività individuale. Anziché andare verso "da ognuno secondo le sue possibilità", se ne sono allontanati.

Nel campo dei redditi hanno abolito l’obbligo per tutti a svolgere un lavoro socialmente utile e hanno restaurato i redditi non da lavoro (interessi, premi, donazioni, diritti d’autore, ecc. che si prestavano a mascherare ruberie, tangenti e appropriazioni indebite), hanno ampliato la gamma di beni disponibili solo per chi aveva un reddito individuale con cui acquistarli e diminuito la percentuale e la qualità dei beni disponibili a tutti, hanno aumentato le differenze di reddito e di condizioni di vita tra gli individui, hanno favorito la formazione di regioni progredite e di regioni arretrate e quindi fomentato le rivalità nazionali e locali. Anziché andare verso "a ognuno secondo i suoi bisogni", se ne sono allontanati.

 Nel campo dei rapporti non economici, dei rapporti culturali, giuridici, politici, ecc. hanno lavorato contro la solidarietà tra compagni e contro la partecipazione generale delle masse alla ideazione, direzione e gestione di tutte le attività della società, hanno favorito la stabilità dei dirigenti che ricevevano l’investitura solo dall’alto, l’individualismo, l’indifferenza per la sorte degli altri, il carrierismo, l’oppressione sulle donne, il ripiego degli intellettuali su se stessi, la ricerca del successo individuale, il potere e l’autonomia dei funzionari, l’estromissione delle masse dall’attività politica e culturale, la professionalizzazione dell’esercizio della giustizia, delle funzioni di polizia, delle attività militari, della difesa, delle attività del partito comunista, delle attività culturali, dello sport, ecc.

Insomma hanno lavorato di fatto per quella "convergenza del sistema socialista col sistema capitalista" che individui come Sacharov, il fisico nucleare e premio Nobel, negli anni ’60 proponevano esplicitamente come obiettivo. La concorrenza economica e la competizione politica e militare con i capitalisti accompagnavano la convergenza di fatto verso di essi e il rafforzamento dei legami economici, politici e culturali con essi, che volevano dire dipendenza dell’Unione Sovietica dal mondo imperialista.

La svolta del 1989-1991 è consistita nel passaggio alla privatizzazione anche della proprietà delle aziende industriali commerciali, agricole, dei trasporti, ecc. La restaurazione del capitalismo è stata esplicitamente proclamata come obiettivo, il paese è stato aperto al libero saccheggio dei gruppi imperialisti di tutto il mondo, la proprietà e l’iniziativa economica individuali sono state proclamate motore dell’economia e della vita sociale, le autorità e la pubblica amministrazione si sono lavate le mani della sorte materiale e spirituale della popolazione. I gruppi imperialisti avevano spinto con ogni mezzo l’URSS verso questo sbocco. Invischiati in una crisi di sovrapproduzione, hanno colmato i dirigenti russi di soldi comperando a basso prezzo tutto quello che poteva essere venduto con profitto sul mercato internazionale già stracolmo di merci invendute e hanno soffocato il grande apparato produttivo sovietico per poter smerciare in Russia le merci che non riuscivano altrimenti a vendere. Dal 1990 a oggi il prodotto interno russo è diminuito di più della metà, secondo le stime ufficiali. A ogni livello gli esponenti del regime cresciuti nei trent’anni (1960-1990) si sono impadroniti delle aziende e delle istituzioni che prima governavano come funzionari: la massa degli attuali padroni delle grandi imprese è fatta di ex-dirigenti e ed ex membri del partito che si chiamava ancora "comunista".

Da allora la Russia è diventata un terreno di caccia per ogni capitalista grande e piccolo che ne abbia la forza. Gli imperialisti tedeschi e americani la fanno da padroni. La condizione di vita della stragrande maggioranza della popolazione è crollata. La malavita e la guerra civile sono diventate normalità. La diminuzione delle nascite, la crescita della mortalità, l’esportazione di prostitute in tutto il mondo e lo sfruttamento dei bambini a fini sessuali e per ricavare organi da trapianto sono gli indici più eloquenti del salto verso l’abbrutimento e il degrado materiale, spirituale e ambientale che la svolta ha generato. Nello stesso tempo si stanno sviluppando nuovamente forze autenticamente comuniste che cercano di unirsi alla resistenza che le grandi masse dei lavoratori oppongono alla rovina della loro vita, di organizzarla e di trasformarla nella ripresa della lotta per il comunismo.

Riusciranno i nuovi padroni della Russia a restaurare il capitalismo? Vi è una legge che Marx ha desunto dalla storia universale: quando la lotta tra le due classi raggiunge un certo livello, o prevale la classe portatrice del modo di vita superiore o vi è la decadenza e la rovina di tutta la società. E i fatti avvenuti in Russia tra il 1956 e la svolta e poi dopo la svolta confermano questa legge. Anche se il socialismo può fare passi indietro, non è possibile ritornare dal socialismo al capitalismo, riportare a vivere, lavorare e produrre nel capitalismo una massa di uomini e donne che sono stati formati dal socialismo (se non attraverso un lungo periodo di guerre, violenze, coartazioni e distruzioni, un periodo prolungato di decadenza dell’intera società di cui non possiamo prevedere la durata, nel corso del quale si formano uomini "nuovi").

Il ritorno al capitalismo non è possibile e la ripresa della transizione al comunismo richiede condizioni soggettive (una mobilitazione unitaria delle grandi masse) che può essere costruita solo nel corso di un lavoro che ha le sue leggi e i  suoi tempi di sviluppo, nell’ambito complessivo della lotta tra le classi nel mondo: questo è il punto in cui si trova la Russia come gli altri paesi ex socialisti. Questa è la questione che muove la crisi russa e fa della Russia un fattore di aggravamento della crisi generale del capitalismo e nello stesso tempo il punto debole del sistema imperialista mondiale, un focolaio della nuova ondata della rivoluzione proletaria che sta nascendo dalla crisi generale del capitalismo.

 

**** Manchette

L’accanimento della borghesia nel denigrare Stalin, l’Internazionale Comunista e l’opera svolta dal Partito Comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica e dallo Stato sovietico prima del 1956 è la misura del danno che gliene è derivato. I comunisti devono essi per primi sottrarsi all’intossicazione delle coscienze e all’alterazione degli eventi cui la borghesia imperialista deve ricorrere per salvaguardare i suoi interessi.

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Qual è il significato del governo Primakov sostenuto dal Partito comunista federativo di Russia? Alcuni giorni prima che il governo Primakov venisse formato, Ligaciov, padre spirituale del PCFR, un individuo che la stampa borghese a suo tempo ha presentato come "strenuo oppositore" di Gorbaciov, ha dichiarato al Corriere della sera (29 agosto) che "loro" ricostruiranno la Russia. "Ci vorranno decenni per realizzare questo programma ... Poi restituiremo il potere ai lavoratori".

L’arrogante dichiarazione del "comunista" Ligaciov esprime in modo chiaro la degenerazione cui i revisionisti moderni avevano portato il vecchio partito. La conquista del potere da parte dei lavoratori è l’inizio, non la conclusione di ogni vera ricostruzione dell’Unione Sovietica e della Russia. Come sarà l’inizio di ogni vera rinascita del nostro paese. Senza questa conquista preliminare, l’azione di governo svolta da uomini e partiti, quali che siano i nomi che essi si danno, si riassume in una cosa sola: "Fare gli interessi della borghesia, schiacciare e ingannare le masse popolari". Quali che siano le loro buone o cattive intenzioni.

La formazione del governo Primakov è solo la conferma che il sogno dei capitalisti di costruire un paese capitalista sulle ceneri del socialismo resta un sogno, nonostante il sangue, le vite e le fatiche di milioni di lavoratori che essa ha già sacrificato a questo sogno. Il ruolo che ha in questo governo il PCFR è contemporaneamente un segno del prestigio di cui gode il comunismo presso le masse popolari russe e delle difficoltà che i comunisti russi dovranno superare per liberare il comunismo dalle ragnatele revisioniste che lo hanno deformato e infine soffocato.

 

**** Manchette

Revisionismo moderno

La corrente impostasi nei partiti comunisti e nei paesi socialisti a partire dal 1956 (XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica). Nei partiti comunisti essa sosteneva la "via pacifica e parlamentare al socialismo" come unica universale via al socialismo, si opponeva all’accumulazione delle forze rivoluzionarie e all’internazionalismo proletario. Nei paesi socialisti essa sosteneva lo sviluppo dei residui elementi di economia mercantile e capitalista, la liquidazione degli elementi di comunismo, l’integrazione dei paesi socialisti nel sistema mondiale.

Il revisionismo moderno, favorito dal periodo di ripresa e sviluppo attraversato dal capitalismo nel periodo 1945-1975, ha corroso i partiti comunisti e i paesi socialisti fino al loro crollo alla fine degli anni ’80.

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