Giro d’orizzonte

Rapporti Sociali n. 17/18 - autunno 1996 (versione Open Office / versione MSWord )

 

ARROGANZA E IMPOTENZA DELLA BORGHESIA

(Resistenza, luglio-agosto ’96)

Nel giro di una settimana si sono riuniti a Firenze i vertici dell’Unione Europea (21 e 22 giugno) e a Lione il G7, i capi di sette Stati che si arrogano il diritto di governare il mondo (27 e 28 giugno). Per sintetizzare il risultato delle due riunioni, bastano due parole: arroganza e impotenza.

I portavoce (europei nel primo caso, mondiali nel secondo) dei maggiori gruppi imperialisti hanno sfoggiato lusso, guardie del corpo, dichiarazioni e minacce. Naturalmente contro i “terroristi”.

I capi degli Stati che devastano, bombardano, ordiscono intrighi, colpi di mano e assassini in ogni parte del mondo e gettano milioni di persone nell’incertezza e nella paura per il domani, hanno tuonato contro il “terrorismo” di chi si ribella ai loro ordini. Di ribelli all’ordine imperialista ce ne sono in circolazione effettivamente parecchi: ci sono forze rivoluzionarie, ci sono organismi e manovre fomentate dagli stessi Stati o gruppi imperialisti come parte della guerra intestina in corso tra essi.

Alle forze rivoluzionarie non resta che ricordare che “dove c’è oppressione, c’è ribellione” e non c’è minaccia o terrore che possa impedirlo.

Quanto alle malefatte del “nuovo ordine” imperialista, i “grandi” non hanno nascosto la loro impotenza. La disoccupazione, l’emarginazione, la precarietà, la schiavitù, l’oppressione delle donne e dei bambini, la criminalità, la devastazione dell’ambiente, i disastri “naturali”? Si risolveranno. Come, nessuno lo dice.

Finanzieri, capitalisti e gli altri componenti della borghesia imperialista sono indifferenti ai bisogni e alle sofferenze delle masse. Ma i contrasti tra loro e il bisogno di arruolare seguaci e guadagnare consensi sono tali da indurli ad occuparsi della gente comune.

Il fatto è che i mali della vita moderna o sorgono dell’economia capitalista o sono indissolubilmente combinati con essa. D’altra parte la difesa dell’economia capitalista, del diritto dei signori a sfruttare i lavoratori, è il limite che nessuno dei “grandi della terra” può strutturalmente superare.

Da qui la loro impotenza di fronte ai problemi che affliggono gran parte dell’umanità.

La conclusione? Il degrado delle condizioni materiali e spirituali di vita continua e continuerà. La crisi generale ha esaltato la potenza devastante dell’economia capitalista che imperversa su gran parte del mondo.

Questo sta già producendo la sua risposta: il proliferare di contrasti e di guerre nazionali, etniche, tribali, religiose. Di aggettivi gli intellettuali e i politici borghesi ne inventano tanti e altri ne troveranno, per nascondere il fatto che di fronte alla forza devastante del capitale che spazza il pianeta, ogni gruppo sociale dominato dalla borghesia cerca di far quadrato, vendere a caro prezzo quello che ha e di rapinare quello che può.

È la mobilitazione reazionaria delle masse e la guerra.

Ma questa situazione di sconvolgimento generale apre la via anche all’unica soluzione positiva per le masse popolari: rinascita del movimento comunista, del movimento delle masse popolari dirette dalla classe operaia tramite il suo partito, instaurare il socialismo e avviare la trasformazione dal capitalismo al comunismo. Rinascita che è in corso e che si apre la strada attraverso l’opera dei comunisti che le masse popolari alimentano senza sosta.

La ricostruzione del partito comunista nel nostro paese è attualmente il compito principale dei CARC.

 

 

 LA CRISI NON HA CONFINI

(Resistenza, settembre ’96)

Il governo della Giordania triplica il prezzo del pane e fa sparare sugli insorti che rivendicano il diritto a mangiare. Il governo tedesco ammette un milione di senzatetto, quattro milioni di disoccupati, due milioni e mezzo di persone che sopravvivono col sussidio di disoccupazione. Quando farà sparare sui disoccupati? Appena non si rassegneranno più alla disoccupazione e alla miseria. Eppure è un governo che chiede l’estradizione di Priebke e che “combatte con mano di ferro i gruppi nazisti”, che però proliferano ogni giorno di più. Per ora il governo francese si accontenta di proibire ai mendicanti di chiedere l’elemosina e fa razziare immigrati clandestini per riempire voli charter da sbarcare in qualche paese d’Africa (ai governanti locali assicura un premio di collaborazione). Ma nelle periferie delle città agli estranei è sempre più sconsigliato aggirarsi. Persino il governo australiano ha proclamato che “non si può dare tutto a tutti”, cioè non tutti hanno diritto a mangiare. Clinton rafforza la cortina che divide gli USA dai messicani poveri e toglie il sussidio alle ragazze madri americane. Per chi sgarra c’è la pena di morte e le esecuzioni aumentano ogni anno. Meno insegnanti e meno lavoratori, più poliziotti e più poteri al FBI. Ma a forza di allevare killer, sempre più di frequente alcuni di loro si mettono in proprio o si vendono al migliore offerente. Le bande militari proliferano. Il commercio e lo sfruttamento a morte di donne e bambini non prosperano solo in Belgio. Sono cose che allargano il “giro degli affari” (nell’Ungheria libera le prostitute non sono definite “l’oro dei marciapiedi”?) e l’unico rimedio è aumentare poliziotti e pene: l’ergastolo o la forca?

C’erano un tempo alcuni intellettuali (ma forse qualcuno c’è ancora) che sospiravano sui lavoratori dei paesi imperialisti che riuscivano a strappare dai loro padroni di che vivere (e cercavano pure che fosse il meglio possibile: “mai contenti” protestavano i loro padroni) e sostenevano, quelle persone colte e sensibili, che i “lavoratori benestanti” dei paesi imperialisti toglievano il pane di bocca a quelli del Terzo Mondo che non riuscivano a farsi dare dai padroni neanche il necessario per vivere. Che cosa stanno facendo ora che la fame e le intemperie sono di nuovo di casa anche nei paesi imperialisti? Non gireranno forse a dire che la colpa è dei lavoratori del Terzo Mondo che “si sono fatti furbi” o di quelli che addirittura vengono qui a cercare fortuna?

 

 

I LAVORATORI FRANCESI INSEGNANO

La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi è una forza imponente. Con la direzione della classe operaia diventerà la forza che costruirà il socialismo

(Resistenza, gennaio-febbraio ’96)

Il 15 novembre il governo Juppé ha fatto approvare dal parlamento di Parigi la riduzione del sistema di sicurezza sociale. Nel giro di una settimana la protesta di milioni di lavoratori è esplosa in tutta la Francia ed è proseguita per quasi un mese combinando scioperi e dimostrazioni di piazza.

Nonostante i contrasti commerciali tra Chirac-Juppé e Dini i mezzi di comunicazione della borghesia italiana non hanno evidenziato l’ampiezza delle proteste dei lavoratori francesi, anzi hanno teso a minimizzare, per evitare un effetto boomerang. Infatti in Francia si è protestato contro misure simili a quelle prese in Italia dal governo Dini e dai suoi predecessori: Amato, Ciampi, Berlusconi.

Cosa insegnano gli avvenimenti francesi?

La crisi generale (economica, politica e culturale) del capitalismo non è un fatto solo italiano, ma mondiale: non c’è paese che sfugga. I profitti dei padroni crescono a un livello enorme, ma non sufficiente a soddisfare l’enorme massa di capitale accumulato e in continua crescita. In ogni paese l’equilibrio finanziario è precario. Le attività produttive vengono spostate da un paese all’altro in cerca di salari più bassi, di lavoratori più ricattabili, di maggiore libertà di distruggere l’ambiente. I contrasti tra i gruppi imperialisti e i loro Stati diventano più forti. Ovunque i posti di lavoro regolare di minuiscono, l’emarginazione cresce, la vita diventa più precaria e i rapporti più tesi, le conquiste strappate dalle masse popolari vengono eliminate. Chi sostiene che non è in corso una crisi generale deve spiegare perché in tutti i paesi si sviluppa lo stesso processo.

Le masse si oppongono con ogni mezzo al peggioramento delle loro condizioni. Le contraddizioni con i padroni e le contraddizioni tra le varie parti delle masse si acuiscono. Chi nega la resistenza delle masse popolari, chi va lamentandosi di masse soddisfatte o terrorizzate, deve spiegare da dove sorgono mobilitazioni “improvvise” come quella francese di dicembre o quella italiana del novembre ’94.

La resistenza cessa di essere prevalentemente malessere, inquietudine, affannarsi per stare a galla, “guerra tra poveri” e “deviazioni” individuali di milioni di uomini ed esplode in forme collettive quando un qualche centro riconosciuto organizza la protesta. È successo così anche in Italia nel novembre ’94 quando i tre sindacati di regime si sono schierati contro il governo Berlusconi e hanno chiamato in piazza le masse.

La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi è un enorme serbatoio di energie. Chi nega questo, chi non vede questo serbatoio, chi non lo tratta come la forza principale che costruirà il nostro futuro è completamente fuori strada. Si priva della forza principale su cui può e deve contare chi vuole opporsi al procedere della crisi e alla liquidazione delle conquiste.

Ma la resistenza non può esprimersi in forma collettiva e costruttiva se non trova un centro di orientamento, di aggregazione e di direzione che apra le vie dell’azione collettiva. Conclusione: bisogna costruire un centro riconosciuto e autorevole. Solo degli ingenui possono credere che un centro del genere si inventi a tavolino, che basti proclamarlo. In realtà è una costruzione storica, che richiede lo sforzo tenace e creativo di migliaia di compagne e di compagni che non conoscano la resa, che si costruisce attraverso verifiche, errori inevitabili e correzioni, sconfitte e riprese.

In Francia come da noi le masse, dopo 40 anni di logoramento revisionista e il fallimento dei tentativi finora fatti di ricostruire il partito comunista, si ritrovano con centri (partiti o sindacati) borghesi, che usano la resistenza delle masse come merce di scambio e come strumento di manovra nei contrasti tra gruppi imperialisti. Bisogna costruire un centro che voglia condurre la resistenza delle masse alla vittoria, che abbia questo obiettivo come sua ragione di vita e come guida. Bisogna ricostruire il partito comunista. Ricostruire il partito comunista unendosi alla resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della crisi, appoggiandola, comprendendone le leggi di sviluppo, promuovendola, organizzandola e facendo prevalere in essa la direzione della classe operaia trasformandola così in lotta per il socialismo.

 

 

GAL: COSA SUCCEDE IN SPAGNA?

(Resistenza, giugno ’96)

Il 22 maggio è stato arrestato Rodriguez Galindo, generale della Guardia Civil (è come se in Italia negli anni ’80 avessero arrestato il gen. Dalla Chiesa): una mossa esplosiva che ne provocherà altre. Galindo è “l’eroe” della guerra sporca, che dirige dal 1982 contro gli indipendentisti baschi. Il motivo ufficiale dell’arresto: aver costituito e diretto i GAL (Gruppi Antiterrorismo per la Libertà). Lo accusa l’ex direttore generale della Guardia Civil, Luis Roldan, a sua volta detenuto per corruzione. È tutto il sistema della guerra sporca contro le masse popolari, ovviamente in primo luogo contro i comunisti (PCEr e GRAPO) e gli indipendentisti (ETA), che è in subbuglio. Grazie all’eroica resistenza e alla giustezza della linea politica dei loro avversari, gli sgherri del regime non sono riusciti a vincere e sono travolti dalla sconfitta. Il mondo politico che dopo la morte di Franco (1976) ha gestito l’abbellimento di facciata del regime del l’oligarchia spagnola, la “democratizzazione”, si sta sfaldando. La crisi economica e l’eliminazione delle conquiste gli hanno impedito di avere l’appoggio delle masse ed hanno decretato il fallimento del suo piano. Il 3 marzo ’96 la “sinistra” di Gonzalez, al potere dal 1982, ha perso le elezioni. Il vincitore di destra delle elezioni, Aznar, ha faticato due mesi per mettere assieme un governo. C’è riuscito solo comprando il voto della grande borghesia catalana (Convergencia i Uni dad) con importanti concessioni che rafforzano la sua marcia verso la secessione. Il 25 aprile Gonzalez, ancora capo del governo, era stato assolto dalle accuse di complicità con la guerra sporca: il 29 maggio l’accusa a suo carico è stata riformulata. Poliziotti, funzionari e uomini politici (tra cui Barrionuevo, Corcuera e Asuncion: tre socialisti ex ministri degli Interni), travolti dalla faida tra i gruppi dell’oligarchia, non vogliono essere i soli a pagare. Ogni nuovo arrestato fa nomi di complici. I vecchi patti di omertà saltano. Il mondo politico spagnolo affonda nel fango della corruzione e nel sangue della guerra sporca e della tortura su cui è vissuto. Cosa sono i GAL? Uno degli equivalenti spagnoli dei vari “servizi deviati”, di Gladio, della mafia e delle squadre fasciste della repubblica italiana. Nell’estate del ’95 le contraddizioni tra i gruppi imperialisti sono arrivate a un punto tale che gli avversari di Felipe Gonzalez hanno rotto il patto di omertà e messo in piazza la creazione e l’attività svolta dai GAL tra il 1983 e il 1986: 29 omicidi e 25 ferimenti accertati, compiuti sia in Spagna sia in Francia con la protezione dei due Stati (con a capo i “socialisti” Gonzalez e Mitterrand) da un gruppo paramilitare clandestino creato dallo Stato spagnolo. È noto che il fascismo è stato la dittatura terroristica della borghesia imperialista sulle masse popolari e che essa vi è ricorsa per stroncare l’assalto al potere delle masse popolari, guidate dalla classe operaia, durante la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945). La storia dei GAL invece insegna come sono fatti e cosa hanno fatto gli Stati borghesi durante il periodo pacifico succeduto alla conclusione della II Guerra Mondiale (e in Spagna alla morte di Franco con la “democratizzazione”). La crisi politica la fa venire alla luce. Gli avversari di Gonzalez avevano tirato fuori fatti veri (e noti) solo per eliminare Gonzalez: come da noi gli avversari del CAF tirarono fuori la guerra alla mafia e Manipulite.

 

 

LA GUERRA IN JUGOSLAVIA

(Resistenza, giugno ’95)

La guerra in Jugoslavia non solo ci sta coinvolgendo ogni giorno di più (dall’Italia partono i bombardieri e mille altre attività belliche, in Italia si incrociano affari e intrighi delle forze in campo), ma ci insegna anche come stiamo scivolando nella terza guerra mondiale e alcune delle caratteristiche che avrà.

Gli interessi dei gruppi imperialisti tedeschi, sostenuti dal Vaticano, hanno fomentato la spaccatura dello Stato jugoslavo, condizione necessaria per il pieno dispiegarsi della propria egemonia. La spaccatura non poteva che dare luogo alla guerra. A questo punto ogni gruppo imperialista deve cercare propri agenti sul posto e ognuno dei gruppi locali deve cercare protettori tra i gruppi imperialisti.

Né la I ne la II Guerra Mondiale iniziarono subito come scontro tra grandi Stati imperialisti. Iniziarono come guerre minori (le guerre balcaniche degli anni ’10, la guerra di Spagna del ’36-’39, l’invasione della Cina del ’36, la divisione della Cecoslovacchia e l’annessione dell’Austria). Vi è una differenza sostanziale tra le decine di guerre locali del periodo di ripresa e sviluppo del capitalismo e le guerre “locali” del periodo di crisi generale: queste ultime sono la sperimentazione e le avvisaglie dello scontro tra i grandi Stati, le cui contraddizioni sono sempre più acute.

Gli uomini politici che non riconoscono il carattere imperialista dell’origine di queste guerre locali, iniziano come pacifisti e finiscono guerrafondai. Facili esempi sono molti ex dirigenti della sinistra extraparlamentare (vedi Lotta Continua).

 

 

L’INVASIONE DELLA JUGOSLAVIA

(Resistenza, gennaio-febbraio ’96)

Con gli accordi firmati il 21 novembre a Dayton (USA), il governo americano è riuscito, per il momento, a imporre la sua volontà. Fiumi di parole e di immagini sono stati spesi e verranno spesi per nascondere quello che sta realmente avvenendo. La situazione è complessa e solo studiando con cura le relazioni tra i vari avvenimenti, i rapporti tra classi e Stati e le varie tendenze in atto è possibile comprendere il processo storico in cui siamo coinvolti e il salto compiuto con  l’invasione sancita a Dayton. A 55 anni da quando ne furono cacciate le armate naziste, incomincia la nuova invasione imperialista su grande scala dei paesi dell’est. Essa però incomincia in condizioni molto diverse da quelle in cui incominciarono le precedenti: quella del 1918-21 e quella del 1941-45 (per non dire di quelle fermate ai confini: in Corea nel 1950-53 e in Vietnam nel 1960-75). Le diversità sono molte, la principale è che le masse popolari di quei paesi mancano della ferma direzione della classe operaia esercitata tramite il suo partito comunista.

Alcune decine di migliaia di soldati (per ora dicono 60.000) hanno incominciato ad attestarsi in Jugoslavia, con presidi e basi logistiche nei vicini paesi: per ora pare principalmente in Albania e Ungheria.

L’invasione è promossa e capeggiata dagli USA, ma vi partecipano truppe di vari altri paesi: in primo luogo Francia, Germania, Inghilterra, Italia. In parte perché senza questa partecipazione difficilmente il governo USA sarebbe riuscito a vincere l’opposizione all’invasione che è già ora molto forte negli Stati Uniti. Alla popolazione americana ha dovuto presentare questa guerra, come a suo tempo Wilson presentò la Prima Guerra Mondiale e Roosevelt la Seconda, come una guerra rapida e dall’esito scontato, in pratica non una guerra ma una missione umanitaria e di polizia, a cui gli USA erano costretti dal loro ruolo umanitario nel mondo. Quanto ai gruppi politici che cavalcavano l’opposizione popolare, essi sono stati in qualche modo tacitati, almeno per ora, con accordi i cui particolari verranno noti col tempo. La partecipazione degli altri Stati imperialisti era un ingrediente necessario. Per di più questi non avevano e non hanno alcuna intenzione di lasciare i gruppi imperialisti USA a spartirsi da soli quello che oggi sembra un facile bottino. La stessa pensata che ebbe Mussolini quando Hitler nel 1940 avanzava in Francia. L’invasione dei paesi dell’est attenuerà per un po’ le controversie tra gli Stati imperialisti, ma queste riprenderanno con forza quando il successo sembrerà porre all’ordine del giorno la spartizione delle zone di sfruttamento e, ancora più, quando le difficoltà dell’impresa alimenteranno in ognuno dei paesi imperialisti la crisi politica.

L’invasione su vasta scala di questi paesi ha già teste di ponte avanzate negli altri paesi dell’Europa Orientale e dell’Asia: dalla Polonia ai paesi asiatici staccati dall’Unione Sovietica, alla stessa Russia. Gruppi di azione politica, missioni economiche, missioni militari, consiglieri di ogni genere, stazioni dei servizi di polizia, di spionaggio, di destabilizzazione e di terrorismo sono stati impiantati in quasi tutti questi paesi. Non è chiaro per ora quali saranno i prossimi passi dell’invasione, ma disordini da sedare, missioni da compiere, soccorsi da distribuire abbonderanno in vari paesi.

La crisi economica mondiale dall’esterno e l’azione dei revisionisti moderni dall’interno hanno sconvolto i paesi socialisti. Le masse hanno ripudiato i revisionisti, ma non sarà facile per i capitalisti sottoporle al loro dominio. L’estensione e l’acutizzazione della lotta di classe in questi paesi, la sua trasformazione in guerre civili e in guerre tra Stati vecchi e nuovi, consistenti o creati ad arte su due piedi ne caratterizza l’attuale movimento politico. L’invasione imperialista oltre che la crisi generale creano un ponte tra essi e noi e fanno sì che il movimento politico del nostro e degli altri paesi imperialisti si intreccino profondamente con il loro. Lo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse e mobilitazione reazionaria e la trasformazione dell’una nell’altra è ciò verso cui stiamo inevitabilmente andando sia noi che loro. È su questo che ogni forza politica e ogni classe verrà misurata. La lotta contro l’invasione della Jugoslavia è lotta contro il governo imperialista del nostro paese, per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e il socialismo.

 

 

CECENIA: SI DIFFONDE LA GUERRA CIVILE

NELL’EX UNIONE SOVIETICA

(Resistenza, gennaio-febbraio ’95)

Reagan proclamò la vittoria su Grenada e su Panama, Bush sull'Iraq e Eltsin sulla Cecenia. Il 19 gennaio ha annunciato al mondo che la Cecenia era pacificata. In realtà se la guerra in Cecenia sia finita o no lo si vedrà nei prossimi giorni. Ma un governo che arriva a bombardare le città del paese che pretende di governare non ha vita lunga.

La guerra di Cecenia insegna e ricorda alcune cose.

 Anzitutto conferma la natura del movimento in corso in Unione Sovietica e in Europa Orientale. Per quasi quarant’anni i revisionisti moderni (da Kruscev, a Breznev, a Gorbaciov) hanno inutilmente tentato di restaurare gradualmente e pacificamente il capitalismo, fino a portare l’ex Unione Sovietica e l’Europa dell’Est verso la guerra civile generalizzata. Questa guerra confluirà nello sconvolgimento generale dell’attuale ordinamento politico mondiale che la crisi sta generando. In che modo e con quale ruolo, nessuno di noi è oggi in grado di prevederlo con sicurezza. In secondo luogo lo svolgimento della guerra conferma che, nonostante le trasformazioni già attuate, l’esercito russo, dall’Armata Rossa vincitrice dell’invasione delle 14 potenze nel 1918-21 e dell’invasione nazi-fascista nel 1941-45, non è ancora diventato un corpo militare affidabile e capace per la guerra antipopolare. Parallelamente la resistenza dei ceceni conferma che le popolazioni dell’Unione Sovietica hanno ereditato dall’esperienza socialista la capacità diffusa di amministrarsi autonomamente e di combattere.

In terzo luogo la guerra di Cecenia conferma quanto le altre guerre degli ultimi anni sono venute mostrando. Il “nuovo ordine mondiale” sta trasformando tutto il mondo, senza distinzioni tra paesi semicoloniali, paesi socialisti e paesi imperialisti, in un insieme di focolai di guerra: preludio e immagine della forma che probabilmente assumerà la terza guerra mondiale verso cui l’attuale crisi generale del capitalismo ci sta sospingendo, a meno che le masse popolari non imbocchino la via verso il socialismo.

 

 

MESSICO 1995: UN CASO ESEMPLARE DEL “NUOVO DISORDINE MONDIALE”

(Resistenza, marzo ’95)

In gennaio in Messico scoppia una nuova crisi finanziaria. Finisce il “miracolo messicano”. I magnati della finanza internazionale, nel caso concreto principalmente americani, ritirano i loro investimenti finanziari in Messico. Di conseguenza la Banca centrale e i1 governo messicani non sono in grado di far fronte ai loro impegni di pagamento con l’estero, principalmente con banche e aziende USA. Il governo messicano si mette nelle mani del governo USA. Questo promette nuovi crediti, ma prende tempo. L’11 febbraio il presidente messicano Zedillo lancia un’operazione su vasta scala contro la rivolta contadina del Chiapas. Il 12 febbraio il governo messicano riconosce che nell’importante Stato di Jalisco il partito pro-USA (Partido de Accion Nacional) ha vinto le elezioni (normalmente il governo messicano non accetta di perdere le elezioni). Infine il 21 febbraio i1 governo USA e chi per lui (Fondo Monetario Internazionale e Banca dei Regolamenti Internazionali) aprono al governo messicano un credito di 50 miliardi di dollari: potrà continuare a pagare interessi e restituire prestiti ai finanzieri USA. In cambio il governo messicano mette in mano americana le entrate delle esportazioni di petrolio e di prodotti petroliferi, alza al 12% gli interessi che verranno pagati ai pescecani della finanza e si impegna a imporre alla popolazione le misure di austerità dettate dai loro “esperti”. Insomma la resa completa. Poteva fare diversamente? No! È un governo di borghesi e l’insolvenza avrebbe mandato a gambe all’aria tutto il sistema economico borghese su cui si regge il Messico.

Per le masse popolari messicane si apre un nuovo scenario. Se i gruppi dirigenti dei movimenti rivoluzionari saranno all’altezza della situazione, certamente aumenteranno gli uomini disposti a battersi e che si batteranno fino alla vittoria contro l’imperialismo e i suoi agenti locali. Ma non solo. Il bottino è in gran parte USA e quindi anche i gruppi imperialisti concorrenti non sono entusiasti del colpo di mano USA e non mancheranno di intromettersi.

Per la seconda volta (la prima fu nel 1982, quando scoppiò la “crisi del debito estero”) il Messico dà al mondo una dimostrazione in grande di cosa sta avvenendo nei paesi semicoloniali: ricolonizzazione economica ed esautoramento delle autorità politiche nazionali (cioè ricolonizzazione politica).

Alla fine del ’93 i governi di USA, Canada e Messico firmarono l’accordo per avviare la costruzione di un mercato comune (NAFTA): da allora a oggi il governo USA ha aumentato sia la repressione dell’immigrazione di lavoratori messicani sia la persecuzione degli immigrati messicani negli USA.

 Il “nuovo ordine mondiale” si rivela essere l’ordine di un campo minato, i focolai di incendio si moltiplicano

 

 

L’INVASIONE DI HAITI

(Resistenza, novembre ’94)

I regimi politici reazionari sono sempre più traballanti e quindi aumentano gli “interventi di polizia internazionale”. l’ultimo in ordine di tempo è l’invasione di Haiti. Il governo USA non assicura neanche il cibo e l’assistenza sanitaria in casa propria, ma ha mandato migliaia di soldati a Haiti a riportare la libertà e la democrazia. Clinton prende il posto di Cedras: dove non basta più il fantoccio, interviene direttamente il padrone.

Il regime di Cedras aveva difficoltà crescenti a contenere e soffocare la lotta delle masse popolari, il pericolo di uno sviluppo rivoluzionario si faceva sempre più concreto. Le notizie pubblicate dalla stampa borghese sugli avvenimenti seguiti all’invasione dimostrano inequivocabilmente che le masse di Haiti lottavano sempre più attivamente contro il regime di Cedras. Aiutarle, incoraggiarle? Dio ce ne guardi! Il vero pericolo per la borghesia imperialista USA sono loro, non gli aguzzini alla Cedras! Ci manca solo un’altra Cuba! Il problema del governo USA era prevenire lo sviluppo della resistenza popolare e la sua vittoria. Riusciranno i mercenari USA a fare quello che Cedras e i suoi non riuscivano più a fare? Riusciranno i mercenari USA a rimettere in sesto e riaddestrare le disgregate milizie reazionarie del regime?

 

 

OKLAHOMA: IL FRUTTO DELL’IMPERIALISMO USA

(Resistenza, maggio ’95)

Da Tokyo a Oklahoma: i mezzi di propaganda della borghesia imperialista battono la grancassa della mobilitazione razzista: la caccia all’arabo, al musulmano e in genere a chi non è bianco e benestante. Tra anni, quando la rivoluzione socialista avrà trionfato o quando qualche gruppo imperialista avrà interesse a dire la sua verità, sapremo la verità sui fatti della cronaca di questi giorni.

Emerge tuttavia chiaramente già oggi chi è la madre e il padre di questi fatti. I mezzi di propaganda borghesi stessi affermano che i “terroristi islamici” hanno fatto la loro scuola in Afghanistan, che dispongono di “fondi senza fine” collocati nelle banche svizzere e americane, che usano armi sofisticatissime: tre cose che, ammesso che c’entrino qualcosa con i fatti di cronaca, vengono tutti dalla borghesia imperialista e dai suoi Stati. Manca solo di scoprire che gli autori sono membri o ex membri di quei corpi di killer che ogni Stato imperialista, ma più di tutti quello USA, selezionano, addestrano e impiegano in operazioni “umanitarie” come quelle di Panama, della Libia, del Nicaragua, dell’Iraq, ecc.

 

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