Sui governi e i partiti della repubblica

Rapporti Sociali n. 17/18 - autunno 1996 (versione Open Office / versione MSWord )

 

LE NOVITÀ DEL GOVERNO BERLUSCONI-BOSSI-FINI

(Resistenza, giugno ’94)

Con il governo Berlusconi-Bossi-Fini la crisi del regime DC ha compiuto un passo avanti. Quali sono le principali novità?

1. È diminuita la capacità del Vaticano e del governo USA di intervenire nella formazione della classe politica italiana, quindi diminuisce il loro ruolo stabilizzatore della situazione politica che diviene più fluida, policentrica, più aperta ad avventurieri.

2. La costituzione del nuovo governo italiano accelera la crisi del sistema delle relazioni politiche internazionali (ONU, NATO, CEE, ecc.). Rispetto ai governi che l’hanno preceduto i1 nuovo governo sarà ancora più antiitaliano (ossia contro la maggioranza della popolazione italiana) e ancora più rovinoso per l’economia nazionale (ossia per lo stato economico della maggioranza degli italiani) e perciò dovrà fare la voce più grossa verso l’estero; agirà in un contesto internazionale di aggravamento della crisi economica e politica: in particolare estensione delle guerre civili in Europa orientale, instabilità politica nei maggiori paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Inghilterra), sviluppo delle guerre nei paesi semicoloniali (del genere Somalia, Yemen, Ruanda).

3. Il ricambio di personale politico si tradurrà in una serie di lotte sulle competenze dei vari organi dello Stato (governo, ministeri, presidenza della repubblica, camere, commissioni, consiglio superiore della magistratura, magistratura, polizie varie, ecc.).

4. Il governo cercherà di attuare la politica economica del governo Ciampi con maggiore arroganza e promuoverà anche ufficialmente lo sviluppo della cultura (comportamenti, coscienza, ecc.) del più forte: se ti fai spazio e ti affermi sopravvivi, se no è meglio che levi il disturbo.

5. Le organizzazioni criminali, fasciste, integraliste e avventuriste che i governi precedenti hanno usato solo per i bassi servizi (stragi, attentati, provocazioni ecc.), col nuovo governo usciranno più allo scoperto.

6. Le lotte dei lavoratori a difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro romperanno sempre più spesso i lacci posti dalle organizzazioni del regime: Crotone, Pordenone, Bari, Napoli, Catania si moltiplicheranno.

7. I sindacati e le organizzazioni del regime che si fanno forti del controllo che esercitano sui lavoratori saranno sempre più lacerate da due spinte contrastanti: cavalcare la mobilitazione delle masse contro il governo o sostenere i suoi tentativi di imporre alle masse “sangue e sudore”.

 

GOVERNO BERLUSCONI

(Resistenza, giugno ’94)

Il nuovo governo e i suoi amici cercano con tutte le forze di far credere che con le elezioni del 27 marzo abbiamo voltato pagina. Tutta la borghesia imperialista cerca di illudersi e di illudere che per uscire dall’attuale crisi economica, politica e culturale del suo regime basta il “nuovo” governo.

In realtà il governo Berlusconi-Bossi-Fini è solo un nuovo passo avanti della crisi del vecchio regime DC.

Il programma del nuovo governo è la continuazione del programma del governo Campi: mano libera ai padroni sui lavoratori, eliminazione di quegli istituti che in qualche misura e in qualche modo tutelavano i lavoratori, la gente comune, i gruppi più deboli, i consumatori, l’ambiente, consegna del settore economico “pubblico” ai gruppi finanziari vin centi, mobilitazione dello Stato al servizio degli interessi dei gruppi finanziari al governo (altro che “meno Stato”!).

Gli uomini del nuovo governo erano già politicanti a tempo pieno o dirigenti di aziende e di istituzioni cresciute all’ombra del regime DC: insomma parte della vecchia classe dirigente. Berlusconi è l’esemplare più perfetto: uomo di grande successo, più abile di Sindona; prestanome di loschi affari, palazzinaro, uomo dell’alta finanza, creatura di Craxi e della legge Mammì; un uomo del regime DC ancora più di quanto Badoglio lo fosse del regime fascista.

Altro che seconda Repubblica! Siamo ancora nel pieno della crisi della prima! La situazione politica è diventata più instabile e più aperta ad avventure e ad avventurieri. Quanto durerà il nuovo governo dipenderà da molte circostanze. Da una parte la borghesia imperialista ha un disperato bisogno di stabilità, di “governabilità” e non ha molte soluzioni di ricambio; dall’altra ogni gruppo borghese ha un disperato bisogno di essere lui a mettere le mani sullo Stato, per usare le sue casse e i suoi poteri nel suo interesse. Per questo continuerà in particolare la guerra civile strisciante tra gruppi della borghesia imperialista (Tangentopoli, guerre di mafia, attentati, stragi, ecc.) che già ha colpito dolorosamente le masse popolari. In Sicilia una parte della mafia ha già iniziato il suo attacco candidandosi come agente locale del nuovo governo, come lo è stata dei precedenti. Insomma la via della doppia guerra civile: da una parte la “pulizia etnica” della borghesia imperialista contro i lavoratori e le masse popolari e dall’altra la guerra dei gruppi imperialisti tra di loro.

 

GOVERNO BERLUSCONI E DISGREGAZIONE DEL REGIME DC

ALTRO CHE SECONDA REPUBBLICA!

(Resistenza, ottobre ’94)

Con le elezioni del 27 marzo la disgregazione e la putrefazione del regime DC hanno fatto un altro passo avanti. Gli avvenimenti politici dell’estate hanno ampiamente confermato quello che le elezioni di marzo avevano rivelato L’oligarchia di finanzieri, banchieri e altri grandi capitalisti che domina il paese non riesce più ad esprimere una maggioranza politica. I contrasti al suo interno sono acuti e il suo prestigio tra le masse è bassissimo.

Anzitutto non è riuscita a convogliare il “voto popolare” sulla soluzione di ricambio alla DC, il Polo progressista, che Agnelli e gli autorevoli banchieri nazionali e internazionali avevano preparato con la trasformazione del PCI e con Tangentopoli. È la prima volta che succede nella storia dell’Italia borghese. In secondo luogo la soluzione messa in piedi in quattro e quattr’otto dal gruppo “ribelle” Fininvest ha soffiato il “voto popolare” ad Agnelli e soci, ma è lacerata da mille contrasti e non ha alcun progetto organico da attuare. Le scomposte mosse del governo Berlusconi lo mostrano chiaramente. La conflittualità tra gruppi imperialisti imperversa più che mai e si esprime all’interno della stessa maggioranza di governo. Anche se alcuni o tutti i grandi gruppi imperialisti che avevano sponsorizzato il Polo progressista “entreranno nella maggioranza”, ciò non farà che aumentare nella maggioranza gli appetiti da saziare, la rissa che già oggi imperversa nella “stanza dei bottoni”.

Una sola cosa emerge dalle misure e proposte scoordinate dei ministri e dei portavoce del governo Berlusconi. Per continuare a pagare interessi, rendite, profitti e redditi d’oro toglie ogni giorno qualcosa a lavoratori e a pensionati. Esattamente la politica inaugurata dal governo Amato e proseguita dal governo Ciampi.

Nessuno dei problemi che hanno messo in crisi il regime DC è stato risolto. La seconda repubblica è uno slogan pubblicitario. La borghesia imperialista cerca di convincerci che “i giochi sono fatti”, che la crisi politica è risolta. Al contrario, i giochi si aprono sempre più. Man mano che la crisi economica e politica si aggrava, le sofferenze e le difficoltà delle masse aumentano, ma aumenta anche la loro resistenza. L’oligarchia di finanzieri, banchieri e altri grandi capitalisti perde ogni giorno un po’ dell’autorevolezza e della fiducia che ancora le restano. Prima o poi la classe operaia dovrà convincersi per sua esperienza che essa può governare il paese meglio della borghesia imperialista. Allora sì che saremo alla fine della prima repubblica!

 

 IL GOVERNO DINI CONTINUA L’OPERA DI BERLUSCONI

(Resistenza, gennaio-febbraio ’95)

Per capire qualcosa delle vicende politiche italiane, bisogna tener presente che la classe dominante del nostro paese, la borghesia imperialista, è mossa da due tipi di contraddizioni: quelle tra i gruppi capitalisti in cui è divisa e quelle tra essa e le masse popolari.

È la crisi economica stessa che mette i gruppi imperialisti l’uno contro l’altro. Ognuno di essi può fare profitti e crescere solo se “mangia” gli altri: se occupa i suoi mercati, se si prende le sue rendite, se fa “lavorare” per sé il governo. Ogni gruppo imperialista aspira inoltre a “mangiare” le masse popolari: ridurre il “costo del lavoro”, aver libertà di manovra contro i lavoratori, ridurre le pensioni, spazzar via un po’ di lavoratori autonomi (in particolare commercianti), mangiarsi i soldi dei piccoli risparmiatori. Ma ognuno vuole i maggiori benefici per sé e tutti temono il “risveglio” della lotta per il socialismo. Questo è lo sfondo di ogni lotta politica e lo resterà finché la classe operaia non riuscirà a scendere in campo ponendo la propria candidatura alla direzione del paese, cambiando così le carte in tavola. Ogni analisi politica che prescinde da questo è falsa.

Il governo Berlusconi non era il risultato di un accordo tra i gruppi imperialisti; era il governo di uno solo di essi, nato dallo scontro con gli altri. Ma nessun gruppo imperialista può avere per sé il governo, se gli altri non sono ridotti all’impotenza o alla disperazione. È troppo grande oggi il ruolo del governo ai fini della fortuna o del declino di un gruppo economico per lasciarlo nelle mani di uno dei concorrenti. Il governo Berlusconi ha continuato l’opera di Amato e di Ciampi : eliminazione rapida delle conquiste delle masse popolari (pensioni, sanità, scuola, posti di lavoro, servizi sociali, ecc.). Ed è finito in sette mesi, perché gli altri gruppi imperialisti nutrono forti dubbi sui risultati del suo metodo brutale e d’urto (conflittuale).

Il governo Dini è un tentativo di “governo comune dei gruppi imperialisti”. Contro le masse popolari continuerà l’opera di Berlusconi, ma con maggiore cautela e in condizioni più facili. In particolare Dini avrà l’appoggio degli unici centri di mobilitazione nazionale e di unificazione che le masse popolari ereditano dalla storia (CGIL-CISL-UIL e il PDS), con l’eccezione probabile di Rifondazione Comunista. Quindi cambieranno le condizioni in cui si svolgerà la resistenza delle masse popolari: non più grandi mobilitazioni generali, ma migliaia di lotte particolari. La mobilitazione popolare contro la finanziaria ha avuto il suo ruolo nella rapida morte del governo Berlusconi. Proprio questa mobilitazione ha dato alla classe operaia e alle masse qualcosa che la fine del governo Berlusconi non cancella: un risveglio politico e una maggiore fiducia nelle proprie forze. Con questo patrimonio affrontiamo la nuova fase della resistenza. Non è escluso che a un certo punto Berlusconi & Co si diano anche loro, con i loro mezzi e nelle forme ad essi consone, alla mobilitazione delle masse contro il governo dei loro concorrenti. Di certo le masse popolari potranno contare sulle contraddizioni tra i gruppi imperialisti e tra le rispettive forze politiche, per difendere con successo le proprie conquiste e preparare l’attacco al regime.

 

LA CONTRADDIZIONE DELLA LEGA NORD A CONGRESSO

(Resistenza, gennaio-febbraio ’95)

Il congresso della Lega Nord (11 e 12 febbraio a Milano) dovrà fare il punto della sua attività dall’alleanza con Berlusconi per le elezioni del 27 marzo (Polo della Libertà)al rovesciamento del governo Berlusconi e all’appoggio al governo Dini.

La Lega ha raccolto e dato voce politica al malcontento diffuso contro il governo e la Pubblica Amministrazione, malcontento che l’incubo della crisi generale acuiva. Il malgoverno, la corruzione e lo sfascio della Pubblica Amministrazione sono un sottoprodotto inevitabile della crisi della società borghese. Ma nella mentalità del piccolo e medio capitalista, del professionista, del commerciante, del piccolo imprenditore e del lavoratore autonomo essi sono attribuiti a  qualcosa che è al di fuori del sistema di cui fa parte e oltre il cui orizzonte la sua vista non si spinge. L’idea che tutto funzionerebbe meglio, che potremmo risolvere meglio i problemi di casa nostra se ce li amministrassimo noi direttamente è semplice e ragionevole. In mancanza di altre alternative (e per il momento la classe operaia non presenta alternative) è diventata un’idea-forza, su cui la Lega è cresciuta.

Ma a che punto è arrivata con i sette mesi del governo Berlusconi? I federalisti si scontrano praticamente sempre più con una contraddizione che non possono risolvere con le loro forze. Da una parte non è possibile creare uno Stato federale senza sovvertire interamente l’attuale regime del paese. Dall’altra la Lega, permeata dalla mentalità piccolo-borghese, non è in grado di affrontare quest’impresa. È questa contraddizione che lacera la Lega e ha fatto di essa, nel breve periodo di un anno, il trampolino per l’ascesa del piduista e craxiano Berlusconi e la pietra in cui è inciampato il governo della Fininvest.

 

GOVERNO DINI. OGNI SACRIFICIO ALIMENTA LA CRISI!

(Resistenza, marzo ’95)

Dini ha l’incarico di continuare l’opera di Berlusconi, ma in modo più efficace. Berlusconi cercava di continuare l’opera di Ciampi e di Amato ma lo faceva in modo maldestro. Qual è quell’opera? Diamo uno sguardo alla storia del nostro paese negli ultimi vent’anni. Tra il 1975 e il 1982 i governi della Solidarietà Nazionale e poi tra il 1982 e il 1992 i governi del CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) hanno condotto avanti una continua erosione delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo 1945-1975. Con il governo Amato la borghesia imperialista passa all’eliminazione rapida delle conquiste ancora residue (scala mobile, stabilità del posto di lavoro, lavoro interinale, pensioni, assistenza sanitaria, scuola, servizi sociali, ecc.). “Eliminazione rapida delle conquiste strappate dalle masse”: in questo consiste l’opera dei governi Amato, Ciampi, Berlusconi e Dini, i governi della fase della decomposizione del regime DC.

Perché la borghesia imperialista pone questo compito ai suoi governi? Come gli esponenti di questi governi cercano di raccogliere consenso attorno alla loro opera? Partiamo dalla seconda domanda. Tutti questi governi hanno giustificato la loro opera dicendo che era il mezzo per portare “il paese” fuori dalla crisi. La stessa giustificazione che davano della loro opera i governi di Solidarietà Nazionale e del CAF. È valida questa giustificazione? Basta osservare che per 17 anni i primi e per 3 anni i secondi hanno eliminato le conquiste senza raggiungere l’obiettivo dichiarato. Ma anche l’analisi del meccanismo economico porta alla stessa conclusione. Vediamola. La popolazione italiana si divide grosso modo in:

1. alcune classi (proletarie) che lavorano per guadagnare quello che spendono per vivere; per loro il denaro è solamente mezzo di scambio: tanto incassano e altrettanto spendono;

2. alcune classi (intermedie) che per vivere e per lavorare spendono gran parte di quello che incassano; per loro il danaro è in parte mezzo di scambio e in parte mezzo di risparmio;

3. alcune classi (i capitalisti e in generale i ricchi) che non hanno bisogno di lavorare e che se lavorano lo fanno per accumulare capitale e ricchezza in generale; per queste il denaro è in minima misura mezzo di scambio per il proprio consumo, in una certa misura capitale produttivo (denaro impiegato in imprese) e in una certa misura (crescente) capitale finanziario (titoli su cui percepire interessi e dividendi) o mezzo di pagamento per proprietà (immobili, ecc.) su cui percepire rendite.

Le manovre finanziarie “per uscire dalla crisi” fatte dai vari governi si riducono in sostanza a una sottrazione netta di soldi alle classi del primo e del secondo gruppo (aumento di tasse statali e locali i, tickets, aumenti dei prezzi manovrati e dei costi dei servizi, riduzione di salari reali, di pensioni, di contributi alle famiglie, ecc.) e in un aumento netto dei soldi alle classi del terzo gruppo (agevolazioni alle imprese e, soprattutto, pagamento di interessi). I soldi sottratti ai primi due gruppi significano (al 100% per quelle del primo gruppo e in una certa misura per quelle del secondo) beni o servizi in meno comperati da essi, quindi contrazione dell’attività produttiva che li fornisce, quindi meno posti di lavoro  e meno mercato per le aziende. I soldi consegnati alle classi del terzo gruppo significano in gran parte aumento di titoli finanziari. Forse che si può uscire dalla crisi con queste misure? Le misure aggravano la crisi: meno domanda pagante di beni e servizi, meno produzione, meno domanda di mezzi di produzione (meno investimenti in attività produttive), sovrapproduzione di merci, fallimento di aziende, ecc. Queste cose le aveva già chiaramente esposte l’economista borghese Keynes negli anni ’30.

Perché allora i governi della borghesia imperialista continuano a prendere queste misure? Perché i D’Alema, i Cofferati, i D’Antoni e i Larizza di turno li sostengono? Perché sono cattivi o stupidi? No! Il fatto è che non possono fare diversamente. Se non pagassero, anzi se non aumentassero gli interessi, andrebbe a gambe all’aria tutto il sistema di debiti e crediti, cioè tutto il sistema del capitale finanziario che è la parte dirigente di tutta l’economia capitalista; quindi andrebbe a gambe all’aria tutta l’economia capitalista ivi compresi i redditi dei lavoratori. La crisi precipiterebbe per quest’altra strada. Questa è la sostanza dell’equilibrio del sistema finanziario che in questi anni strangola tutte le società capitaliste.

L’unica alternativa a questa morsa è espropriare i capitalisti, togliere ad essi le aziende, sostituire la loro “libera iniziativa economica individuale” con l’iniziativa economica e la gestione dei lavoratori associati e abolire i loro titoli finanziari: il comunismo. Cosa da cui rifuggono non solo i Berlusconi e i Dini, ma anche i D’Alema, i Cofferati e soci.

 

DOPO LA FINE DELLE RIFORME I RIFORMISTI SONO IN DIFFICOLTÀ: O SCOMPAIONO O CORRONO A DESTRA

(Resistenza, maggio ’95)

Che le elezioni amministrative oggi e le elezioni politiche domani portino milioni di voti di lavoratori (dipendenti e autonomi, del settore privato e del settore pubblico) e dei loro familiari ai partiti di Berlusconi o di Fini stupisce solo finché non studiamo realisticamente la situazione delle masse popolari del nostro paese. A partire dalla metà degli anni ’70 (la politica dell’EUR e il governo di “solidarietà nazionale” sono del periodo 1975-1982) le conquiste economiche, culturali e politiche strappate negli anni precedenti dalle masse popolari sono state limitate, erose, cancellate. Gradualmente dal 1978 al 1992, in modo accelerato negli anni successivi. “Dobbiamo recuperare il ritardo sugli altri paesi!” proclama la classe dirigente. Al governo sono cambiati uomini e partiti, ma la direzione di marcia non è cambiata. Dini sta diminuendo le pensioni (la maggior parte già da fame), eliminando le liquidazioni, rendendo più precarie le condizioni di lavoro, trasformando il lavoro stabile in lavoro nero e in affitto, riducendo in mille modi la massa dei salari, rendendo la vita più difficile al lavoratore autonomo, ai giornali e alle radio indipendenti, più difficile l’esercizio delle libertà sindacali, rafforzando in ogni campo il monopolio e il predominio del capitale finanziario. Insomma sta attuando il programma del governo Berlusconi. D’Alema e Bossi lo sostengono. Rifondazione si spacca ogni volta che deve votargli la sfiducia. In queste condizioni nessuna meraviglia se i partiti di D’Alema, Bertinotti, ecc. perdono gli attivisti mossi da ideali di trasformazione sociale o anche solo da aspirazioni riformiste e si riducono a macchine acchiappavoti. Su questo piano non hanno in mano più carte dei partiti di Fini e di Berlusconi. Anzi ritorna tutto il peso della tradizione, del conservatorismo, della paura, dell’autorità del padrone, insomma di tutto quel lordume da cui le masse popolari si erano in qualche misura liberate. La gente non sa più a che santo votarsi: tra le Madonne che piangono e Berlusconi che promette miracoli.

Il tempo delle riforme è finito. Non lo dicono solo Fini e Berlusconi, anche D’Alema e Prodi lo proclamano chiaramente. Bertinotti non lo dice chiaramente, ma né indica né organizza alcuna strada realistica per conquistarle e per difendere quelle che restano.

Non è un caso: questo è sempre più chiaramente il tempo della crisi del sistema imperialista mondiale, quindi è il tempo della mobilitazione rivoluzionaria o della mobilitazione reazionaria delle masse. Per i prossimi anni una terza via non  c’è.

 

LA MANIFESTAZIONE DEL 24 FEBBRAIO 96

E IL PERIODO ELETTORALE

(Circolare della Segreteria Nazionale dei CARC, 27 febbraio 1996)

1. La manifestazione del 24 febbraio.

Abbiamo partecipato alla manifestazione nazionale indetta a Roma dal Partito della Rifondazione Comunista (PRC), con una mobilitazione generale cui abbiamo chiamato a partecipare tutti i compagni che non avevano particolari impedimenti e tutti i collaboratori che riuscivamo a mobilitare.

Con quale obiettivo abbiamo indetto questa mobilitazione?

La manifestazione concentrava a Roma un gran numero di membri e simpatizzanti del PRC: di fatto sono stati tra 100 e 200 mila. Avveniva in un momento in cui tra le masse crescevano sia la preoccupazione per la difesa delle conquiste attaccate dalla borghesia imperialista sia il fermento per la costruzione del partito comunista. Queste infatti sono state le due anime presenti nella manifestazione, in misura diversa tra i vari gruppi di manifestanti. Abbiamo quindi voluto approfittare della manifestazione per far conoscere l’esistenza e il lavoro dei CARC a lavoratori avanzati (cioè a lavoratori che in qualche misura si pongono il compito di unire e mobilitare i propri compagni di classe, a lavoratori che hanno un’influenza positiva sui loro compagni, a lavoratori che impersonano le tendenze positive che si sviluppano tra i lavoratori) di zone in cui non siamo ancora presenti.

Il governo Maccanico era il tentativo di imprimere maggior forza all’attacco della borghesia imperialista contro le conquiste delle masse popolari, limitando gli sgambetti e gli ostacoli che ogni forza politica imperialista oppone all’azione delle altre e impegnando ognuna di esse a non approfittare dell’ impopolarità delle misure governative e a non mobilitare le masse contro forze politiche che sostengono l’azione del governo. Questo tentativo è fallito a causa dei contrasti economici e politici che mettono un gruppo imperialista contro l’altro. La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale comporta che non tutti i capitali possono valorizzarsi (crescere); avere in mano il governo, con una spesa pubblica di 650 mila miliardi all’anno e con le altre leve economiche (politica monetaria, creditizia, fiscale, commerciale, ecc.) di cui dispone, è per ogni capitalista un fattore decisivo per riuscire a fare buoni affari. L’eliminazione delle conquiste delle masse popolari richiede misure per impedire che si sviluppi la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e la borghesia imperialista è divisa tra condotte diverse.

Il fallimento del tentativo Maccanico (del “governo delle larghe intese”) e l’indizione delle elezioni hanno ridotto la partecipazione alla manifestazione, data la strumentalizzazione a fini elettorali che il PRC ne ha fatto. Una parte di organismi che avrebbero contribuito alla mobilitazione contro il “governo delle larghe intese”, non ha voluto contribuire a rafforzare elettoralmente il PRC (esemplare è stato il comportamento del Manifesto). Nonostante ciò, la partecipazione è stata grande. Questo è un indizio di quanto sono diffusi il malessere e il malcontento. Ciò conferma l’analisi che già facemmo nel dicembre ’94 che è confermata anche dal movimento dei lavoratori francesi nel dicembre ’95: il malcontento delle masse è grande e appena trova un centro autorevole di mobilitazione si manifesta. La resistenza delle masse al procedere della crisi è ampia e diffusa. Il distacco delle masse dall’attuale regime (che è il regime DC in putrefazione) cresce senza posa.

Noi non condividevamo le parole d’ordine del PRC né durante il tentativo Maccanico né dopo. Abbiamo partecipato alla manifestazione unicamente per sfruttare l’occasione che l’iniziativa del PRC ci presentava: poter far conoscere l’esistenza e il lavoro dei CARC a lavoratori avanzati a cui attualmente ancora non arriviamo. Per questo abbiamo mantenuto ferma la nostra mobilitazione anche dopo il fallimento del tentativo di Maccanico, con lo stesso obiettivo.

2. I risultati della nostra mobilitazione e i suoi limiti.

 La nostra mobilitazione ha avuto buoni risultati. Per la prima volta siamo sfilati in una manifestazione nazionale. Dietro i nostri tre striscioni e il camion attrezzato, preparato dai compagni edili di Roma, hanno marciato circa 100 compagni. Gli striscioni e il camion illustravano bene gli aspetti principali del nostro lavoro: i CARC per la ricostruzione del partito comunista, la difesa delle conquiste come principale aspetto della resistenza in questa fase, la solidarietà con i rivoluzionari prigionieri. Abbiamo distribuito circa 7.000 copie del volantone (numero straordinario di Resistenza). Abbiamo venduto tra le 400 e le 500 copie di Resistenza n. 1-2: da 200 a 250 copie durante il corteo, cui sono da aggiungere più di 200 vendute su treni e pullman. Vari manifestanti hanno avuto modo di vedere i CARC e udire i nostri slogan (che il responsabile della mobilitazione aveva preparato in precedenza). Insomma abbiamo seminato a largo raggio. Tutti i compagni possono essere soddisfatti. Abbiamo inoltre incominciato a imparare a organizzare la nostra partecipazione nelle manifestazioni, come strumento per farci conoscere e per sviluppare la fiducia delle masse nel processo di ricostruzione del partito comunista impersonato dai CARC. In questo campo dobbiamo ancora fare dei progressi, soprattutto 1. per quanto riguarda la mobilitazione dei collaboratori e dei simpatizzanti e 2. per quanto riguarda la distribuzione dei compiti durante la manifestazione (cordoni, capicordone, servizio d’ordine, diffusione del materiale nei vari punti di concentramento con incarichi precisi ad ogni compagno, ecc.). Le carenze in questo secondo campo ci hanno impedito di distribuire tutte le copie del volantone che avevamo preparato (10.000).

Quanto ai frutti della nostra mobilitazione, essi verranno solo un po’ alla volta. Noi abbiamo seminato soprattutto tra lavoratori avanzati in qualche misura fiduciosi nel PRC. Di fronte alla crisi, il PRC offre la prospettiva di qualche deputato e senatore in più, che a detta dei dirigenti del PRC aumenteranno il loro peso nelle scelte governative. La buona riuscita della manifestazione e l’impegno per la campagna elettorale compenseranno i membri e simpatizzanti del PRC delle difficoltà quotidiane per qualche mese (è probabile che il PRC abbia buoni risultati elettorali, almeno in termini di percentuale di voti espressi). Passati questi mesi tutti i lavoratori avranno modo di sperimentare che la situazione non avrà fatto che peggiorare. La natura del PRC è tale che esso continuerà a funzionare come agitatore impotente e il suo gruppo parlamentare come ruota di scorta del regime (come lo è stato nel voto sulla riduzione delle pensioni, nel voto sulla sfiducia “Mancuso”, ecc.). Allora incominceremo a raccogliere i frutti del lavoro che oggi abbiamo fatto e che continueremo a fare. Da questa analisi deriva anche la nostra linea durante il periodo elettorale.

3. Il periodo elettorale (fino alla costituzione del governo post elettorale).

La campagna elettorale concentrerà l’attenzione di molti lavoratori avanzati fino alla fine di aprile. È inevitabile che la competizione elettorale assorbirà molte energie e distoglierà in una certa misura dai problemi correnti: vari lavoratori saranno indotti più a discutere di riforme costituzionali e dei pregi e difetti dei vari partiti che a contrastare l’eliminazione delle conquiste. Nello stesso tempo proprio la propaganda elettorale concentrerà l’attenzione sulla politica e il periodo elettorale offrirà condizioni favorevoli al successo di lotte di difesa (è significativo che Dini si è affrettato a proclamare il blocco delle tariffe e degli sfratti).

Da una parte per noi sarà un periodo di propaganda. In sostanza noi dobbiamo instancabilmente dimostrare che il socialismo è l’unica soluzione che può unire le masse (e non favorire la mobilitazione reazionaria, la mobilitazione delle masse contro le masse); che la difesa delle conquiste a date condizioni è possibile, ma può svilupparsi su larga scala, protrarsi nel tempo e non rovesciarsi in terreno propizio alla mobilitazione reazionaria solo se si combina con la lotta per il socialismo. Tutti i partiti borghesi non possono che mirare ad eliminare le conquiste, perché queste sono incompatibili con l’estorsione di alti profitti e con l’equilibrio del capitale finanziario, divenuto l’elemento dirigente di tutto il capitale. Per mantenere le conquiste, le masse non hanno altra via che estenderle conquistando il potere ed eliminando il capitale finanziario e il capitale in generale. Dobbiamo dimostrare che tutte le soluzioni proposte dalle forze della borghesia imperialista non salvaguardano le conquiste delle masse, ma mirano a salvare i profitti di questo o quel gruppo imperialista e mettono le masse contro le masse. Dobbiamo dimostrare che le soluzioni proposte dal PRC e dagli altri  gruppi economicisti sono campate in aria, perché si riesce a “condizionare” il capitalismo solo se si combatte per eliminarlo. Non è un caso che alle parole d’ordine lanciate dal PRC e dagli altri gruppi economicisti “meno orario a pari salario” e “lavorare meno per lavorare tutti” corrispondono in realtà la diminuzione dei posti di lavoro, l’aumento dell’orario e dei ritmi e la riduzione dei salari reali.

D’altra parte dobbiamo sostenere ogni gruppo di lavoratori che cercherà di approfittare della campagna elettorale per sfruttare a proprio vantaggio i contrasti tra i partiti borghesi. Occorre imparare a sfruttare le contraddizioni in campo nemico. Ogni successo, anche temporaneo, strappato da un gruppo di lavoratori è un punto di forza in più per tutti. La campagna “Sostenere ogni gruppo di lavoratori, in particolare di operai, che difende una qualche sua conquista dall’attacco della borghesia imperialista” deve proseguire (la campagna chiude il 1° maggio) approfittando della campagna elettorale. Per avere voti, le autorità borghesi faranno a gara a essere “amici del popolo” dovunque le masse difenderanno con forza i loro interessi.

Per quanto ci riguarda dobbiamo porre in primo piano e dare forma sistematica agli interessi delle masse. Dobbiamo dimostrare che i risultati elettorali non cambiano i rapporti di forza tra la classe operaia e la borghesia imperialista. Dobbiamo dimostrare che il problema non è la riforma costituzionale, ma il capitalismo e la sua crisi che sconvolge l’esistenza dei lavoratori. Dobbiamo dimostrare che ciò che cambia i rapporti di forza è la ricostruzione del partito comunista che lotta per la conquista del potere. Non dobbiamo né cercare di convincere a votare un partito piuttosto che un altro, né cercare di indurre a non votare. Né il voto né l’astensione modificano i rapporti di forza tra la classe operaia e la borghesia imperialista. Assolutamente dobbiamo evitare sia di essere elettoralisti (attribuire una modifica positiva dei rapporti di forza all’esito delle elezioni), sia di inimicarci dei lavoratori attribuendo una (immaginaria) modifica positiva dei rapporti di forza all’astensione. Quello che succederà dopo le elezioni ci darà ragione. Se aumenteranno (almeno in percentuale dei voti espressi) i voti del PRC, vorrà dire che è prevalsa la simpatia crescente delle masse per il comunismo. Maggiore sarà il successo del PRC, maggiore sarà la delusione quando i lavoratori constateranno che nessun successo elettorale modifica i rapporti di forza. Quindi il successo elettorale del PRC creerà condizioni in cui il nostro lavoro potrà procedere meglio. Toglierà terreno sotto i piedi alla tesi che “le cose vanno male per colpa di quelli che non hanno votato PRC”. Avremo condizioni più favorevoli per dimostrare ai lavoratori avanzati che il PRC è impotente non perché non riceve voti, ma perché mette la lealtà verso lo Stato borghese al di sopra degli interessi delle masse popolari. Che il PRC spreca la fiducia delle masse, alimenta la sfiducia trasformando l’appoggio elettorale in impotenza politica. Se il PRC avrà un risultato elettorale modesto, dobbiamo indicarne le ragioni nella condotta compromissoria che ha tenuto con il governo Dini e con la borghesia in generale.

Dobbiamo tener presente che tra le masse l’aspetto predominante è la confusione e la ricerca di una soluzione, di “un santo a cui votarsi”. Dobbiamo mostrare i lati deboli delle soluzioni proposte, ma tirare tutti i vantaggi dal fatto che noi non chiediamo niente nelle elezioni e quindi possiamo valutare i pro e i contro di tutte le soluzioni proposte. Con ogni lavoratore avanzato dobbiamo valorizzare la critica che egli fa delle soluzioni proposte dagli altri per mostrare che analoghi punti deboli li presentano anche le soluzioni avanzate dal suo partito (borghese o economicista). Dobbiamo illustrare il programma del partito comunista e i risultati ottenuti dalle masse con la lotta rivoluzionaria. Dopo le elezioni le masse si ritroveranno ancora alle prese con l’attacco della borghesia imperialista contro le conquiste delle masse e con le lotte accanite tra i gruppi imperialisti. La nostra linea in periodo elettorale deve mirare a porre basi per sfruttare appieno le difficoltà della borghesia imperialista e le tendenze che il corso reale delle cose suscita nelle masse.

 

 

FALLITO IL GOVERNO DELLE LARGHE INTESE

Il tentativo di coalizione dei gruppi imperialisti contro le masse popolari è fallito:

è risultato impossibile sfuggire alle elezioni

 (Resistenza, marzo ’96)

Le elezioni politiche si succedono oramai ogni due anni: 1992 con vittoria del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) cui fu impedito di fare il governo; 1994 con la vittoria della combinazione Berlusconi, Bossi, Fini che governò per sette mesi; 1996: l’instabilità cresce come crescono le invocazioni di un governo forte e stabile. La crisi politica della borghesia imperialista accelera ed essa non riesce più a formare un governo stabile. Perché? Perché ogni gruppo imperialista vuole un governo “forte e stabile”, ma nelle sue mani. La crisi politica nasce dalla crisi economica. La crisi economica mette un gruppo imperialista contro l’altro e tutti contro le masse popolari. Ogni gruppo imperialista vuole adoperare le risorse economiche dello Stato, la spesa pubblica (650.000 miliardi l’anno), la politica monetaria, fiscale, commerciale ecc. per fare i suoi affari. Tra i gruppi imperialisti vi sono anche contrasti su come neutralizzare la resistenza delle masse popolari alla eliminazione delle conquiste strappate nel periodo 1945-1975. Non è questione di riforma costituzionale: ogni gruppo imperialista vuole una riforma che assicuri il governo nelle sue mani. O non ne faranno nessuna perché non si metteranno d’accordo, o si metteranno d’accordo e sarà una riforma che lascerà la situazione altrettanto indefinita, se non più ingarbugliata. Come è successo con i referendum del 1993 sul maggioritario, quando partiti e partitini anziché diminuire, come prospettavano i promotori, sono proliferati. Il contrasto tra gruppi imperialisti è di natura tale che può risolversi solo con la eliminazione di alcuni di essi. Ma nessun gruppo accetterà pacificamente, per via elettorale e parlamentare, di essere soffocato dagli altri. Qui sta il nocciolo della crisi politica della borghesia. Dopo queste elezioni continueranno le guerre di adesso. La dimostrazione sta nelle elezioni precedenti: chi le ha “vinte” non è riuscito a governare!

 

LA LEZIONE MACCANICO

(Resistenza, marzo ’96)

I contrasti e le contraddizioni in cui si è avviluppato Dini lo hanno costretto alle dimissioni. La trovata di Scalfaro è stata quella di mettere assieme tutte le forze borghesi. L’incarico a Maccanico di formare il governo delle “larghe intese” è stato il tentativo di coalizzarle per continuare con più forza il programma di eliminazione rapida delle conquiste strappate dalle masse, programma inaugurato nel ’92 dal governo Amato e proseguito con Ciampi, Berlusconi e Dini. Oggi la classe operaia non ha ancora il suo partito comunista. Quindi le masse popolari non hanno una direzione fedele ai loro interessi, che li guidi nella difesa delle conquiste e nell’attacco al regime che le elimina. Ma ogni volta che un governo sferra un attacco, le forze borghesi all’opposizione cercano di approfittarne per mobilitare le masse a proprio favore e con questo intralciano e frenano l’opera del governo. Esemplare è stata la mobilitazione promossa nell’autunno del ’94 da CGIL-CISL-UIL contro il governo Berlusconi sulla riduzione del sistema pensionistico, approvata poi qualche mese dopo con il loro sostegno dal governo Dini. Il governo Maccanico era il tentativo di eliminare la concorrenza e la differenza nelle forme di intervento tra le forze borghesi nel campo dell’attacco alle masse.

Il tentativo non è andato in porto. Perché? Perché i contrasti economici e politici tra gruppi imperialisti sono troppo forti. Tutti d’accordo contro i lavoratori, ma ognuno per sé, ognuno per prevalere sull’altro.

 

ULIVO E RIFONDAZIONE ALLA PROVA DEI FATTI

(Resistenza, maggio ’96)

I lavoratori che hanno conosciuto l’arroganza di Berlusconi e dei suoi e la loro campagna denigratoria contro il movimento comunista e le sue conquiste, sono contenti dell’esito delle elezioni del 21 aprile. Un po’ di soddisfazione non guasta.

Cosa succederà nei prossimi mesi?

Per quanto riguarda i rapporti tra i gruppi imperialisti e le loro rappresentanze politiche, l’esito del 21 aprile significa la  sconfitta di Berlusconi, di Alleanza Nazionale e degli altri del Polo. Nel ’94 avevano condotto il contrattacco all’operazione “Manipulite” lanciata nel ’92 per liquidare il CAF. Gli eredi politici di Craxi e di Andreotti si erano candidati a guidare la borghesia imperialista nella nuova fase di liquidazione delle conquiste delle masse popolari. Ma tra il ’94 e il ’95 la loro coalizione aveva subito la perdita della Lega Nord e del gruppo Dini. Ora l’Ulivo può cantare vittoria e formare il governo. Il voto del 21 aprile conferma che la borghesia imperialista italiana non riesce più a mettere in campo un sistema politico stabile. L’Ulivo è una coalizione di interessi e di progetti eterogenei. Prodi si affanna a gridare che il suo governo durerà cinque anni, come nel ’94 Berlusconi si affannava a gridare che con lui iniziava la seconda repubblica. Ogni gruppo imperialista vuole un governo forte, ma nelle sue mani, per favorire i suoi affari. Il 21 aprile, nonostante la mobilitazione di tanti “poteri forti”, ha messo assieme una maggioranza risicata, esposta a defezioni e ribaltoni, fatta di politicanti concorrenti ognuno dei quali cerca già alleati nella coalizione sconfitta (Prodi apre a Di Pietro e il centro alle “colombe” di Berlusconi).

Per quanto riguarda i rapporti tra la borghesia imperialista e le masse popolari, nei prossimi mesi milioni di lavoratori potranno vedere cosa fa in periodo di crisi un governo di “centro-sinistra” rispettoso degli interessi e dei vincoli del sistema capitalista, legato dagli equilibri del capitale finanziario. I comunisti non devono lasciarsi scappare questa dimostrazione pratica, concentrata e su grande scala della giustezza delle loro tesi. Più D’Alema per un verso e Bertinotti per un altro proclamano oggi le miracolose potenzialità della nuova coalizione, più convincente può essere la dimostrazione.

Il governo Dini ha mostrato che tutti i gruppi parlamentari da AN al PDS (con forme e tempi differenti) sostengono la linea della riduzione ed eliminazione delle conquiste dei lavoratori: l’attacco alle pensioni preparato da Berlusconi (sulla scia di Amato) è stato realizzato da Dini con l’appoggio del PDS.

Ora con le elezioni del 21 aprile i gruppi che dal gennaio ’95 sostengono il governo Dini, hanno una maggioranza parlamentare più ampia. Bertinotti ha ottenuto ciò che aveva posto come obiettivo principale di Rifondazione: “battere le destre”.

La novità del nuovo governo sarà che esso nascerà grazie al supporto, sin dalla fase elettorale, di Rifondazione, che si è finora dichiarata favorevole a mantenere ed ampliare le conquiste dei lavoratori (“riduzione d’orario a parità di salario”, reintroduzione della scala mobile, ecc.). Riuscirà ora davvero nel proposito di “condizionare a favore dei lavoratori” il nuovo governo?

I lavoratori lo vedranno giorno dopo giorno. Non possiamo pretendere di essere creduti oggi sulla parola. Ma i meccanismi della società capitalista e la natura di Rifondazione rendono sicura fin d’ora la risposta. La crisi generale costringe ogni gruppo capitalista a cercare di eliminare le conquiste dei lavoratori, così come lo costringe a cercare di “divorare” altri gruppi capitalisti. Non è né per caso né per cattiveria che la borghesia imperialista continua in tutto il mondo nella distruzione dell’umanità e dell’ambiente, nell’illusoria ricerca degli “equilibri finanziari” (che sono sconvolti dallo stesso capitale e dalla sua crisi). Quanto a Rifondazione, la riduzione delle pensioni è passata grazie a metà dei suoi parlamentari; il governo Dini è sopravvissuto grazie all’astensione del suo gruppo parlamentare; ogni volta che i lavoratori hanno trasformato la difesa dei loro interessi in un problema di ordine pubblico (Crotone, Catania, Carbo-Sulcis, ecc.), i dirigenti di Rifondazione non hanno raccolto ed elaborato politicamente l’esperienza dei lavoratori, ma si sono schierati a difesa dell’ordine pubblico; essi continuano a denunciare stragi di Stato e “deviazioni”, ma non ne traggono le conclusioni politiche. Non è una questione di buona volontà, è la forza dei fatti. L’ex DC Prodi e l’ex PCI D’Alema terranno in pugno Bertinotti ricattandolo con le larghe intese a “destra” e con la sopravvivenza di un governo di “sinistra”; faranno molto fumo sulle riforme istituzionali; giocheranno sulle scissioni e sulle defezioni. Sanno bene che la debolezza di Rifondazione è di essere un’opposizione principalmente parlamentare, di anteporre la lealtà nei confronti dello Stato borghese agli interessi dei lavoratori.

 Quanto ai lavoratori impegnati a difendere i1 posto di lavoro o qualche loro conquista, per alcuni mesi la vittoria di Prodi creerà maggiori difficoltà. Essi troveranno nelle istituzioni ancora meno sponde. La capacità di Prodi di risolvere “i problemi del paese” viene strombazzata per rendere più difficile anche raccogliere solidarietà tra le masse popolari: chi difende una sua conquista si sentirà nella difficile situazione di chi “rema contro” e disturba il manovratore e il “salvatore” della patria. Fin qui gli aspetti negativi.

Il principale aspetto positivo della nuova situazione è che il potere della borghesia si indebolisce. La crisi economica ha reso l’instaurazione di una società socialista l’unica via, positiva per le masse, di uscita dalla crisi. La crisi politica rende di nuovo possibile per la classe operaia assumere la direzione delle masse popolari strappandola alla borghesia imperialista e instaurare il socialismo. Il comportamento dell’Ulivo e di Rifondazione nei prossimi mesi dimostrerà alle masse che non c’è altra via e sgombrerà il campo dalle illusioni e dai faccendieri.

Quindi nei prossimi mesi bisogna sostenere in ogni modo i lavoratori che difendono una qualche loro conquista e lavorare per riunire le condizioni per l’attacco.

Ogni lotta di difesa deve essere anche una scuola di comunismo. La difesa delle conquiste è possibile: in vari casi i lavoratori sono riusciti a ridurre, ritardare o respingere l’attacco della borghesia. Ma la difesa non può né generalizzarsi né durare nel tempo se non si combina con l’attacco alla borghesia imperialista per instaurare una società socialista: una società diretta dalla classe operaia attraverso il suo partito e le organizzazioni di massa da esso promosse, in cui nessun lavoratore è un “esubero” e ogni individuo compie una quota di lavoro corrispondente alle sue capacità e riceve secondo il lavoro che fa.

La ricostruzione del partito comunista, del partito che ha come obiettivo la conquista del potere da parte della classe operaia, è il primo passo da fare per cambiare i rapporti di forza. È oggi il compito principale di ogni comunista, di ogni forza soggettiva della rivoluzione socialista e di ogni lavoratore avanzato.

 

GOVERNO PRODI: NÉ LAVORO NÉ EQUILIBRIO FINANZIARIO

(Resistenza, giugno ’96)

Il 18 maggio, col giuramento dei ministri, il governo è entrato in carica. Prodi e i suoi ministri hanno da una parte annunciato sacrifici (la manovrina di 16.000 miliardi e la nuova finanziaria) e dall’altra hanno proclamato che risolveranno i problemi del paese. Ma già le priorità che dichiarano sono il segno della loro impotenza. “Risanamento finanziario e lavoro”: sono banali dichiarazioni di priorità di ogni governo borghese. Nella primavera dell’anno scorso in Francia Chirac è andato al governo proclamandole ai quattro venti. In Germania Kohl le invoca ogni giorno. Ma il capitalismo è per leggi sue proprie travolto in una crisi che distrugge sia l’uno che l’altro. I capitalisti hanno accumulato troppi capitali, in misura crescente in forma di capitali finanziari, troppi perché ognuno di essi possa essere remunerato adeguatamente. I profitti sono colossali, ma non sono adeguati alla grandezza dei capitali. Quindi l’equilibrio finanziario è un miraggio. Ogni capitalista vuole profitti per il suo capitale e per questo spreme i lavoratori, si sposta dove può spremere meglio (da qui i momentanei “miracoli economici”) e divora altri capitalisti. Ogni Stato per inseguire il miraggio dell’equilibrio finanziario impone sacrifici alle masse popolari e cerca di eliminare una dopo l’altra le loro conquiste. Questo è il percorso obbligato del governo Prodi, percorso che stanno facendo i governi in tutti i paesi capitalisti. È un andare allo sfascio in attesa degli eventi: altro che piano per uscire dalla crisi! Non è un caso che tra tutte le politiche di equilibrio finanziario e di creazione di posti di lavoro messe in atto nei paesi capitalisti in questi anni, non ce n’è una che abbia funzionato. I “miracoli economici” sono tutti basati sullo sfruttamento senza limiti di uomini e risorse per produrre merci da vendere in altri paesi aggravandone le difficoltà.

Bossi va dicendo al Nord che per salvarsi dallo sfascio occorre separarsi dal Sud. Visto quello che succede in Germania, in Belgio, in Inghilterra, ecc. l’idea non sta in piedi. Ma in mancanza di altra prospettiva quello che resta è che la colpa  dello sfascio del Nord è il Sud. Vale come la tesi di Trentin e Cofferati che la colpa dei guai dei lavoratori dipendenti sono gli autonomi che evadono le tasse.

L’idea di Rifondazione Comunista di “condizionare” questo governo standoci dentro è campata in aria. Il modo di “condizionarlo” c’è: mobilitare le masse popolari nella difesa di ogni conquista che la borghesia imperialista vuole eliminare. Ma per fare questo bisogna non avere le mani legate dalla lealtà nei confronti dello Stato borghese ed essere decisi e capaci di dare alla difesa lo sbocco necessario per farla sviluppare e durare: l’attacco per eliminare il capitalismo e instaurare una società socialista. Cosa a cui i dirigenti di Rifondazione non stanno lavorando e neppure loro passa per la testa.

Il modo in cui si è formato il governo Prodi e la natura della coalizione che lo sostiene fanno sì che sia un governo instabile. Nessuno può giurare sulla sua durata. È una coalizione di interessi contrapposti, che si esprimono nell’appetito e nelle pretese dei rispettivi portavoce. È una coalizione che ha paura delle masse popolari: per questo cerca l’accordo con i propri avversari, nonostante la guerra civile in corso, che si esprime nei procedimenti giudiziari (“Manipulite”), guerra di mafia e altre trame che affiorano man mano che gli scontri si allargano.

La natura della coalizione che sostiene il governo Prodi fa sì che probabilmente tutti i vecchi centri di mobilitazione generale dei lavoratori si guarderanno bene dal servire alla mobilitazione contro il governo. A meno che prevalgano i contrasti interni alla maggioranza stessa o l’opposizione dei suoi avversari (dal Polo alla Lega Nord). Essere pronti a servirsene è compito di ogni lavoratore avanzato e di ogni comunista. L’altro è organizzare con forza e con realismo ovunque possibile le lotte di difesa. Indipendentemente dal nostro lavoro e dalla nostra presenza se ne svilupperanno a migliaia, isolate e denigrate. Saperle organizzare, socializzarle, ricavare dall’esperienza quali sono le condizioni per condurle alla vittoria e trarre da ognuna di esse quanto più possibile per la ricostruzione del partito comunista. Organizzare le forze disponibili per questo lavoro è il compito principale di oggi.

 

LE AZIONI DEL GOVERNO PRODI SMENTISCONO LE SUE PAROLE

(Resistenza, settembre ’96)

I fatti cominciano a smascherare la reale natura del governo Prodi. Anzitutto la tanto proclamata priorità del lavoro si è risolta finora in molto fumo: una frase nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria sottoposto al Parlamento in giugno, la convocazione della Conferenza Nazionale per l’Occupazione a fine settembre, Protocolli d’Intesa e altre chiacchiere e carte che non portano alcun posto di lavoro. Continua anzi lo stillicidio di licenziamenti e “ristrutturazioni”, aggravato dal rafforzamento della lira rispetto al marco e alle altre monete europee che, assieme alla recessione, ha reso più difficili le esportazioni. Contro la mancanza di posti di lavoro si infrangono tutte le strombazzate politiche a favore delle donne, dei bambini, dei giovani, delle nuove coppie, del Meridione, ecc. Il nuovo capo della Procura di Napoli, Stefano Trapani, tira le conclusioni: “Bisogna mandare in galera i ragazzi a 12 anni, non a 14”. Nuove pene, nuovi controlli, nuove angherie per far fronte a ciò che il sistema produce. Gli industriali continuano a ricattare con la minaccia di spostare imprese all’estero e di ricorrere al lavoro nero. L’aggiornamento del Catasto Nazionale, vinto in appalto da un’impresa di Bari, viene eseguito a Tirana (Albania) da lavoratori senza alcun diritto pagati 100 dollari (160.000 lire) al mese. Ogni giovane continua a trovarsi di fronte un muro di ricatti e migliaia di concorrenti per ogni posto. Raffaella Zardo spiega alle bambine le regole per fare carriera alla TV (di Stato o di Berlusconi, non cambia); Merloni detta ai lavoratori le regole per entrare in azienda: lavoro elastico e salario flessibile. Accettare quello che i padroni ti danno: l’America è l’esempio. L’alternativa che offrono i capitalisti ai lavoratori dei “paesi ricchi” è miseria senza lavoro (l’Europa) o lavoro con miseria (l’America). A una legge Finanziaria segue una manovra finanziaria cui segue una nuova legge Finanziaria: ognuna taglia qualcosa ai servizi forniti dallo Stato e aumenta di qualcosa la rapina fiscale. A ciò si aggiunge la beffa e lo sporco gioco di chi toglie 100 e “regala” 10, di chi smaschera il falso invalido e lo  riduce a vero disoccupato, di chi mette lavoratore contro lavoratore perché sotto il padrone non c’è posto per entrambi. Nel sistema di Agnelli, 2 milioni al mese a un metalmeccanico sono insostenibili, 24 miliardi di ingaggio annuo a Schumacher sono un buon investimento. Il governo di Agnelli deve per forza riempire le televisioni e i giornali di amici comperati e corrotti, perché deve impedire che chi parla a milioni di persone dia voce al malcontento e alla sete di giustizia. È forse strano che il settore della comunicazione di massa sia un letamaio che impesta il paese su cui le inchieste Boncompagni, Baudo, Merola, Sabani, hanno aperto per errore qualche spiraglio destinato a chiudersi lasciando al punto di prima l’impasto di abusi sessuali e miliardi?

Le riforme (scuola, fisco, anagrafe, ecc.) piovono ogni giorno dai ministeri di Prodi e non fanno altro che aggiungere nuove leggi alle vecchie, lasciando intatto l’arbitrio della Pubblica Amministrazione, gli interessi che la dominano e manovrano, gli esecutori. Lo si è visto davanti alle “calamità naturali” di quest’estate. In Versilia l’11 agosto si è ripetuto quello che il 19 giugno Scalfaro aveva dichiarato che non si sarebbe ripetuto, come aveva giurato la verità su Ustica. Di Pietro lancia piani faraonici di lavori pubblici, ma la sistemazione del territorio in Versilia inizierà ... in inverno! Il lato tenebroso dello Stato (quello delle stragi, dei dossier, dei morti eccellenti e dei “servizi deviati”) prospera: la rissa sul cadavere dell’ex capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto d’Amato, è un caso tra tanti.

Sul lato dei rapporti tra i gruppi imperialisti, il governo Prodi ha assopito la contrapposizione tra Polo e Ulivo, nel senso che i due schieramenti si stanno entrambi disgregando in una mischia generale e che la nuova maggioranza sta patteggiando con Berlusconi e le altre “vittime” di Manipulite. Ma non è pace tra i gruppi imperialisti. Le privatizzazioni (STET, ENEL, ENI) portano alla rissa generale: ognuno vuole il boccone migliore. Si apre un nuovo ciclo di guerre intestine che rende incerta la durata del governo Prodi, perché chi ha veramente in mano il governo, può mirare a operazioni di fronte alle quali apparirebbe un gioco quella dell’Alfa Romeo conclusa da Agnelli con Craxi (con Prodi presidente dell’IRI).

Il governo Prodi annovera tra i suoi successi il calo dell’inflazione. Se i bassi salari, l’eliminazione dei pubblici servizi, l’incertezza sul futuro e la stasi negli affari proseguiranno, l’inflazione calerà ancora. La ricerca dell’equilibrio finanziario può portare alla deflazione, alla diminuzione dei prezzi, a fallimenti a catena e all’emergenza generale. Infatti l’inflazione era, con il debito pubblico, una valvola di sfogo alle contraddizioni del sistema capitalista. Ma non si può vivere all’infinito di valvole di sfogo: non fanno che diffondere la contraddizione.

Insomma il governo Prodi sta ponendo le basi per un ulteriore serio aggravamento della crisi economica, politica e culturale del paese. Anche parti crescenti della classe dominante maturano la convinzione che così non si può andare avanti. Ne sono un chiaro segnale il favore crescente tra la classe dominante per la Lega Nord e per altre soluzioni eversive dell’attuale ordinamento politico: l’on. Cito alla testa dei contadini di Battipaglia cui il governo Prodi vuole estorcere contributi, non è un caso isolato. Il malessere, il malcontento e la paura generali hanno creato il terreno per l’affermazione della mobilitazione reazionaria.

Solo una lotta senza quartiere contro il governo Prodi con l’obiettivo del socialismo possono portare la classe operaia e i comunisti alla vittoria in una guerra che si approfondisce giorno dopo giorno. Domani dominerà chi avrà davvero posto termine al regime DC oramai in decomposizione. Il “meno peggio” porta invece ogni giorno più al peggio. Ogni sacrificio che passa apre la strada ad altri sacrifici e a una maggiore disperazione e corruzione, favorisce la mobilitazione reazionaria. Ma ogni lotta di difesa può invece essere vinta se si creano sufficienti problemi al governo. Un governo che trova 4.000 miliardi per il Giubileo e migliaia di miliardi per salvare il Banco di Napoli, può trovare i miliardi necessari per tappare ogni singolo buco creato dalle “leggi del mercato”. In questi mesi il governo francese per salvare una banca, il Crédit Lyonnais, ha fatto saltar fuori l’equivalente di 30.000 miliardi di lire. Perché la difesa delle conquiste dei lavoratori, la difesa dei posti di lavoro esistenti e la conquista di nuovi, la conquista del diritto a vivere e a godere dei frutti del proprio lavoro possano affermarsi stabilmente, occorre avere il coraggio e la forza di trasformare il mondo di oggi,  di buttare a mare l’attuale classe dominante e instaurare l’ordinamento per il quale si sono già battute generazioni di lavoratori: il socialismo.

 

LA LEGA NORD E IL NUOVO STATO

(Resistenza, settembre ’96)

La Lega Nord vuole abolire i prefetti e vuole che le autorità locali siano elette dalla popolazione del posto. Se Bossi fosse una persona seria e conseguente, verrebbe da dire che ha preso a prestito pezzi del programma dei comunisti. Come faceva Mussolini ai suoi inizi col programma del 1919? Cosi sussurrano quelli che gli vogliono male (“ricostituzione del partito fascista”), ma che difendono come cosa sacra i prefetti e l’autorità morale e politica dello Stato delle stragi e della mafia.

L’80% di ciò che chiede oggi la Lega Nord è copiato da ogni programma democratico conseguente. Cose che la borghesia ha abbandonato dalla fine del secolo scorso, da quando gli operai con i loro partiti comunisti le hanno prese sul serio. Da quando si è riconciliata con la mafia, il Vaticano, la monarchia saudita, il Dalai Lama e le caste militari. Cose che i comunisti hanno invece scritto sulle loro bandiere dal tempo della Comune di Parigi (1871). I Soviet in Unione Sovietica e le Comuni in Cina erano strutture di uno Stato federale: tutte le autorità locali erano elette sul posto e tutti gli affari locali, persino quelli militari e dell’amministrazione della giustizia (altro che prefetti, segretari comunali, questori e marescialli dei Carabinieri!), erano decisi a livello locale. Eltsin dopo il 1991 ha dovuto inventare i prefetti e i questori, ma ancora non gli è riuscito di imporli in tutta la Russia. Il problema della Lega Nord è un altro. Nella società attuale non è possibile costruire uno Stato federale, costruito dal basso in alto, sulla base del capitalismo. Non a caso tutti i paesi capitalisti, anche quelli nati come Stati federali e democratici, nella fase imperialista sono diventati militaristi e accentratori, anche se hanno mantenuto il nome di federale. Come può la popolazione amministrare i propri affari, se non ha diritto di amministrare quello che è alla base di tutto: la propria attività economica? La storia ha dimostrato che nel mondo contemporaneo solo la classe operaia è capace di costruire uno Stato federale. Gli Stati federali dei tempi passati poggiavano sull’autonomia del libero produttore autonomo; quello della società moderna può poggiare solo sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. La Lega Nord né ha scritto il comunismo sulla propria bandiera né organizza la classe operaia per realizzarlo. Gnutti non è proprio un bolscevico, né la Pivetti ha mai avuto l’aria della Rosa Luxemburg. La Lega è quindi destinata o a dissolversi in un bluff o a dare forma alla mobilitazione reazionaria delle masse, quando una parte sufficiente degli attuali padroni del vapore, degli Agnelli, dei Berlusconi, dei De Benedetti e loro pari italiani e no, concluderà che la Lega è il cavallo su cui puntare per “salvare il salvabile” ed “evitare il peggio”. Allora l’elezione locale delle autorità locali verrà rimessa nel cassetto, come dopo il 1948 vennero poste nel cassetto l’abolizione dei prefetti e le autonomie regionali scritte nella Costituzione del 1947.

 

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