Il fiasco del 27 marzo '94

Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995) - (versione Open Office / (versione Word)

La divisione politica della borghesia imperialista

 

Premessa per la lettura del movimento politico

In una società imperialista è molto difficile, benché non impossibile, per un osservatore anche sperimentato, ma “esterno” ai circoli della classe dominante, decifrare chiaramente e con sicurezza la trama degli interessi contrapposti e convergenti dei gruppi imperialisti, gli schieramenti di lunga durata e di prospettiva, le convergenze e le alleanze transitorie o limitate a singole questioni, gli scontri e i risultati di essi. Gli interessi reali sono accuratamente nascosti, coperti dal “doveroso riserbo” dei membri della classe dominante e degli addetti ai lavori e spesso anche da cortine di fumo create ad arte per ingannare le masse popolari e gli avversari. Per sua natura il capitale finanziario è costituito da titoli che passano facilmente, rapidamente e anonimamente da un membro all’altro dell’oligarchia finanziaria, dalle tasche di rentiers o di risparmiatori anonimi e di nessun peso alle mani rapaci di pescecani della finanza e viceversa. A volte gli stessi amministratori e grandi azionisti di un gruppo vengono colti di sorpresa da incursori che si sono impadroniti di soppiatto del capitale. L’arte di dominare si è molto arricchita in questo secolo di lotta tra la borghesia imperialista e la classe operaia e non solo le operazioni segrete, ma anche le operazioni indirette, le strumentalizzazioni, le provocazioni, ecc. si sono moltiplicate quasi all’infinito.

Decifrare e tanto più difficile per noi, stante gli scarsi mezzi di cui disponiamo e la limitatezza e lo scollegamento di occhi e di orecchie di cui disponiamo oggi non solo noi, ma l’insieme delle forze soggettive della rivoluzione socialista nel nostro paese.

Con questa premessa vogliamo mettere in guardia onestamente i lettori della nostra rivista. La nostra “lettura” dello scontro incentrato sulle elezioni del 27 marzo è frutto di un attento lavoro di mosaico e ricostruzione. Essa deve quindi essere presa come guida per l’elaborazione della propria esperienza, per la comprensione dei fenomeni e dei movimenti in corso, per l’elaborazione di iniziative politiche. Non come ricostruzione già verificata del processo reale. Non solo mancano alcuni particolari e altri possono addirittura rivelarsi sbagliati, ma l’insieme della ricostruzione va preso con riserva di verifica.

Di una cosa vogliamo però mettere sull’avviso i nostri lettori. Non si lascino ingannare dal contrasto stridente: da una parte un mondo in cui mezzi di comunicazione e comunicatori fanno a gara nell’inondare ognuno di noi con mille comunicazioni assordanti e contrastanti, tanto che sembra che nulla possa salvarsi dall’avidità dei cronisti, né i particolari più intimi né i pettegolezzi più insignificanti; dall’altra il fatto che sui mezzi di comunicazione di massa nulla è trapelato di un‘operazione e di uno scontro che per loro natura hanno coinvolto varie centinaia di persone come orditori e protagonisti attivi e consapevoli e sono stati alla portata di alcune migliaia di membri dell’oligarchia dominante e di suoi servitori. Non è forse successo altrettanto per l’attività della P2 benché non potesse non essere a conoscenza di alcune migliaia di membri della classe dirigente e di suoi frequentatori e benché si fosse svolta nell’arco di vari anni? Non è successo altrettanto per i preparativi di colpi di Stato, per “stay behind” (Gladio) e per la strategia della tensione? Non è successo altrettanto per le diffuse illegalità commesse dagli apparati statali e parastatali per stroncare il movimento popolare degli anni ‘70 che aveva al suo centro le Brigate Rosse? Non è successo altrettanto, per riferirci a un fatto”ben delimitato, nel 1989 per la “strage” di Timisoara (Romania) che per alcuni mesi tutti i mezzi di comunicazione descrissero con dovizia di dettagli, numeri, nomi, testimoni e immagini, finché, alcuni mesi  dopo il colpo di stato di Bucarest, il tutto si ridimensionò a una dimostrazione di strada con quattro vittime uccise dalla polizia nel corso di dimostrazioni di piazza? L’elenco potrebbe continuare a lungo.

Questa è la società in cui viviamo: la classe dominante copre con una sarabanda scintillante di “notizie” e di fatti” insignificanti o inventati la reale trama di interessi e i relativi scontri. Così come con una multiforme e variopinta messa in scena di politica-spettacolo montata ad uso delle masse popolari e per depistare gli avversari, copre gli effettivi scontri e movimenti delle forze politiche. Da ciò alcuni hanno dedotto che “oramai nell’attuale società le masse popolari non contano nulla” (evidentemente essi immaginano, da buoni nostalgici di un passato ideale, che “un tempo” le masse erano tenute dalla classe dominante dell’epoca al corrente delle sue intenzioni e attività!). Noi al contrario, proprio nell’enorme dispiegamento di mezzi (nuovo per le dimensioni e la qualità, la sistematicità e la pretesa di “scientificità”) messi in campo dalla classe dominante per depistare, ingannare e confondere le masse popolari, vediamo una conferma che l’attività delle masse popolari ha assunto nella “costituzione materiale” della società attuale (cioè negli effettivi rapporti sociali) un ruolo determinante ed essenziale, tanto che la classe dominante incontra enormi difficoltà a farla “quadrare” con il mantenimento del proprio dominio. Cosi come nel particolare accanimento con cui il regime attacca la classe operaia vediamo una conferma del particolare ruolo sociale che essa può svolgere, della sua particolare “pericolosità” per la borghesia imperialista (potenzialità della classe operaia di cui oggi, dopo quasi quarant’anni di assenza di un partito comunista e di predominio del revisionismo moderno, i meno consapevoli sono proprio gli operai). Quanto più acuto e generale è il contrasto tra la direzione della borghesia imperialista e la strada su cui l’esperienza sospinge le masse, tanto pia deboli sono l’autorevolezza, il prestigio e il potere della classe dominante e quindi tanto maggiore deve essere il ricorso di questa all’intossicazione, alla menzogna, all’inganno, alla diversione, alla corruzione e alla repressione.

Alcuni lettori vedranno nell’interpretazione che noi diamo dello scontro culminato nelle elezioni del 27 marzo, un’espressione della concezione complottarda e soggettivista della storia. Richiamiamo questi nostri lettori a una concezione dialettica della storia. Gli sforzi compiuti da individui, gruppi e partiti per raggiungere un obiettivo che essi si sono posti intenzionalmente, sono efficaci solo in quanto corrispondono, almeno in una certa misura, a condizioni materiali, a possibilità e tendenze generate dalle condizioni materiali che esistono indipendentemente dai loro sforzi. I loro sforzi non fanno altro (che essi se ne rendano o no conto) che incanalare e far confluire efficacemente verso quell’obiettivo sforzi, tensioni, volontà e sentimenti che in una qualche forma quelle condizioni materiali avevano già generato in individui, gruppi e partiti. Il corso della storia non è comprensibile sulla sola base delle volontà individuali, per quanto grande sia il ruolo svolto da determinati individui; tuttavia essa “cammina sulle gambe degli uomini”; d’altra parte spesso gli individui, i gruppi, i partiti e le classi svolgono un ruolo, quindi esprimono di fatto una volontà e realizzano un obiettivo che non esistono a priori né nelle menti individuali né nei programmi, ma verso cui sono sospinti dalle loro condizioni materiali, benché ognuno di essi se li raffiguri in forme più o meno fantasiose. Cosa per cui si dice che occorre distinguere ciò che un individuo (gruppo o partito) pensa di sé e della sua attività, da quello che questi realmente sono.

Con queste premesse affidiamo ai lettori la lettura de Il fiasco del 27 marzo.

 

Un aspetto specifico della crisi politica del nostro paese è l’alto grado in cui già oggi si è sviluppata la guerra civile tra i gruppi della borghesia imperialista operanti nel paese. Le elezioni dello scorso marzo hanno mostrato che la borghesia imperialista è già oggi incapace di elaborare per il nostro paese una proposta governativa, su cui riesca a unirsi e a far convergere la maggioranza elettorale.

 L’attento studio degli avvenimenti politici del nostro paese negli ultimi quattro anni ci induce a ritenere che la parte più autorevole della borghesia imperialista, italiana ed estera (Agnelli, De Benedetti, Cuccia e Mediobanca, i gruppi finanziari esteri più attivi in Italia), aveva elaborato un progetto di ricambio politico al regime democristiano: il Polo progressista.

Il regime democristiano è stato nel secondo dopoguerra l’espressione concreta nel nostro paese del potere della borghesia imperialista. In esso si combinavano caratteristiche generali, comuni a tutti i regimi politici espressione della borghesia imperialista nel secondo dopoguerra, cioè nel periodo di ripresa e sviluppo del capitale (il periodo cosiddetto del “capitalismo dal volto umano”), con caratteristiche specifiche sue proprie, dettate dai tratti specifici della composizione di classe del nostro paese, della storia del nostro paese (formazione del modo di produzione capitalista e dell’unità politica del paese), dei gruppi politici che impersonavano il regime (provenienti dall’associazionismo cattolico, dalle organizzazioni parrocchiali e, nel meridione, dalle tradizionali strutture di potere degli agrari). Tra i tratti caratteristici del regime democristiano vi erano il clientelismo, l’assistenzialismo, la conservazione delle condizioni di riproduzione di un certo tipo di piccola borghesia rurale(1) e urbana e di imprese capitaliste individuali, la mitigazione degli effetti più traumatici del capitalismo tramite il settore economico pubblico e la spesa pubblica. Questi tratti si erano ben combinati con le caratteristiche del dominio della borghesia imperialista nel periodo del capitalismo dal volto umano. Essi invece rendevano questo stesso regime inadatto a gestire i rapporti con le masse popolari in conformità con le esigenze del nuovo periodo caratterizzato dalla crisi economica (iniziata grossomodo nel 1975). La crisi spingeva all’estremo gli aspetti specifici del regime DC e con ciò stesso li rendeva incompatibili con la dominazione della borghesia imperialista: essere assistenzialisti in un periodo di vacche grasse serve ad aggiustare le cose e arrotondare gli spigoli; esserlo in un periodo di vacche magre porta alla “dilapidazione del patrimonio”. Negli anni ‘80 l’indirizzo del regime democristiano è stato sostanzialmente anomalo o in ritardo rispetto all’indirizzo prevalente negli altri grandi paesi imperialisti (si veda ad es. la dimensione e la continuità del ricorso all’indebitamento dello Stato e degli altri enti pubblici, lo spazio lasciato all’inflazione, il ritardo nella svendita delle imprese pubbliche (“privatizzazione”, ecc.). Per sopravvivere e continuare a raccogliere voti il regime Dc faceva ricorso su scala via via più vasta, man mano che la crisi economica avanzava, al clientelismo, con un enorme allargamento della spesa pubblica, nella forma specifica di aumento del debito pubblico e con il ricorso a tassi di interesse via via più alti onde invogliare i creditori italiani ed esteri. In concreto ciò introduceva un ulteriore elemento di rischio nel sistema finanziario italiano, europeo e mondiale, già sottoposto all’azione di grani fattori di instabilità. A poco era valso il colpo inferto al regime DC con la separazione della Banca d’Italia dal Tesoro.(2) Il regime DC inoltre subiva la crisi politica indotta in tutti i regimi dei paesi imperialisti dalla crisi economica. Esso riusciva sempre meno a tenere assieme interessi sempre più divergenti tra loro, forze politiche centrifughe (vedasi Rete, Lega, ecc.) si sviluppavano dal suo stesso seno. I contrasti tra le correnti DC e tra i partiti satelliti (PSI, PSDI, PRI, PLI) diventavano via via più acuti. Avventurieri come Dalla Chiesa, Pecorelli, Craxi, Gelli, Berlusconi, i gruppi camorristi e le famiglie mafiose riuscivano a crearsi posizioni da cui ricattare il grosso della DC. Nuovi gruppi affaristici nascevano sotto la protezione del regime e si sviluppavano con incursioni e colpi di mano nel mondo dell’alta finanza. Se Virgillito, Sindona, Calvi, ecc. in un modo o nell’altro erano stati bloccati, Gardini, Berlusconi, Caltagirone, Ligresti(3) erano passati. L’allegra gestione della finanza statale, impersonata negli ultimi mesi da Cirino Pomicino, facevano della finanza statale una macchina per la produzione di nuove concentrazioni di capitale che turbavano le vecchie. Alle ruberie vecchie e alle collaudate procedure per procurare arricchimento privato con il pubblico denaro, si aggiungevano nuove sfacciate e provocatorie procedure da “arraffa e fuggi”. La collusione spregiudicata con gli esponenti del gangsterismo nazionale (mafia, camorra, ecc.) - che nel frattempo  avevano imparato da Agnelli e dalla buona borghesia del Nord a operare nel campo della finanza si erano trasformati da luogotenenti locali della grande borghesia del nord in suoi concorrenti a livello internazionale, privi di discrezione e di tatto - destava animosità e ritorsioni e spingeva alla trasformazione della concorrenza economica in guerra civile. I segni di tensione tra il trio Craxi, Andreotti, Forlani (CAF) e parti consistenti della borghesia imperialista italiana ed estera erano via via cresciuti tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90: non solo il distacco tra il Tesoro e la Banca d’Italia, ma le schermaglie tra Andreotti e la Confindustria, tra Agnelli e Craxi, l’incidente di Sigonella,(4) lo scontro sulla Mondadori, sulla legge Mammì, sull’Enimont,(5) l’ambigua condotta del governo italiano nella Guerra del Golfo e nell’attacco alla Libia, la rilevanza data alla “lotta contro la mafia” e lo spazio crescente accordato al PCI.

Il regime DC faceva acqua da tutte le parti e andava sostituito, ma la guerra generale tra i gruppi imperialisti rendeva difficile l’elaborazione di un ricambio politico. Non solo era difficile l’accordo, ma le barriere minuziosamente erette nel corso degli anni a difesa della continuità del regime DC diventavano ora un puntello contro quanti lo volevano sostituire, e di esse si avvalevano spregiudicatamente quanti avevano interesse alla sua continuità.(6) Tra i gruppi che concordavano sulla tesi che il regime DC aveva fatto il suo tempo e che andava sostituito ognuno voleva un’alternativa tagliata sui suoi interessi e impersonata dai suoi uomini. Il denominatore comune di ogni cambiamento era l’accelerazione dell’eliminazione delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo del capitalismo dal volto umano e il peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. Ma proprio ciò consentiva a ogni gruppo imperialista di “appellarsi alle masse” e di “mobilitare le masse” contro ogni soluzione che non rispettasse i suoi interessi, gridando che essa portava allo “scontro sociale” e strumentalizzando le masse popolari.

In mezzo a queste difficoltà e con questi condizionamenti, a cavallo del 1990, facilitata anche dal “crollo del muro di Berlino” e dal disfacimento dell’Unione Sovietica, una parte autorevole della borghesia imperialista italiana, tra cui il gruppo Agnelli, il gruppo De Benedetti, Mediobanca di Cuccia, Confindustria e autorevoli gruppi imperialisti esteri, nonostante le divergenze di interessi finì per mettere in cantiere un progetto di ricambio politico.

 

NOTE

1. Si pensi alla Coltivatori diretti, alla combinazione di cooperative, casse rurali e banche popolari, alla Federconsorzi, all’estensione delle prestazioni INPS ai coltivatori diretti (1953), agli artigiani (1959), ai commercianti (1966), ecc.

 

2. Nel luglio del 1981 venne avviata la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro (il cosiddetto “divorzio”): la Banca d’Italia venne esonerata dall’obbligo di acquistare i BOT che il Tesoro non riusciva a vendere ad altri, fermo restando la possibilità del Tesoro di finanziare le sue spese indebitandosi col conto corrente che esso ha presso la Banca d’Italia (rientrando ogni fine mese dallo scoperto). Nel gennaio del 1983 la Banca d’Italia rifiutò al Tesoro 8.000 miliardi di lire che il Tesoro chiedeva. La pratica di “divorzio” è tuttora in corso, benché la separazione sia via via diventata maggiore.

 

3. Virgillito, Sindona, Calvi, Gardini, Caltagirone, Ligresti, ecc.: finanzieri e impresari “fioriti” per cosi dire dal nulla nel corso degli anni ‘70 e ‘80.

 

4. L’incidente di Sigonella: nel 1984 il governo Craxi impedì  al governo USA di arrestare, nella base di Sigonella (Siracusa), il dirigente palestinese che esso accusava di essere responsabile del sequestro della nave da crociera Achille Lauro.

 

5. Mondadori, Mammì, Enimont: lo scontro per la proprietà del grosso gruppo editoriale Mondadori tra De Benedetti e Berlusconi (vinse Berlusconi), lo scontro per il monopolio delle televisioni (vinse Berlusconi), lo scontro per il possesso delle industrie chimiche italiane (perse Gardini).

 

6. In particolare si rivelava impossibile togliere alla DC il potere per via elettorale. Per quanto si facesse e per quante ne combinasse, la DC vinceva le elezioni grazie al meccanismo collaudato nei quarant’anni di governo. Le vinse anche nel 1992, quando il potere le venne tolto con l’operazione Mani Pulite.

 

Il progetto si componeva di due passaggi fondamentali.

1. La liquidazione per via extraelettorale (essendo quella elettorale preclusa) ed extraparlamentare (7) del ceto politico democristiano-socialista (che aveva finito per riunirsi attorno al CAF) scatenando contro di esso la magistratura (Tangentopoli - Mani Pulite).

 Alcuni magistrati improvvisamente aprirono gli occhi, improvvisamente venne loro il coraggio di “applicare la legge” sull’estorsione, sulla corruzione e sulla collaborazione tra esponenti politici, apparati statali e organizzazioni criminali più o meno occulte. “Stranamente” nemmeno uno di essi fece la fine che fino allora avevano fatto i pochi magistrati, poliziotti, “uomini di legge” e avventurieri spericolati che avevano osato mettere il naso nelle operazioni CAF (da Dalla Chiesa a Pecorelli, Costa, Chinnici, Falcone, Borsellino, Ambrosoli, Palermo, Alemi, ecc.).(8) Ad altri magistrati che mordevano il freno vennero ora dati dai loro superiori via libera, appoggi e mezzi d’azione e di protezione. Attorno ad essi e alle loro operazioni si rinnovò (benché nella minore misura confacente con la diversa natura di classe dello scontro) la “sacra congiura” che aveva permesso a magistrati e poliziotti ogni genere di prevaricazioni, illegalità e violenze nella lotta contro le Brigate Rosse e contro il movimento proletario di cui queste erano in qualche modo l’espressione. I maggiori esponenti del regime DC (Andreotti, Craxi, Forlani, Gava, ecc.) vennero messi fuori gioco, con imputazioni e campagne tanto più pesanti quanto maggiori erano le rispettive resistenze.(9)

2. La presentazione agli elettori della carta di ricambio, costruita attorno all’ex PCI.

La preparazione della soluzione politica di ricambio al CAF era iniziata con la liquidazione formale del “vecchio” PCI, la sua trasformazione nel “nuovo” PDS e la sua separazione dalle parti meno omogenee al ruolo nuovo che il PDS doveva svolgere (o per il ruolo svolto durante la guerra fredda o per la loro residua “ambiguità”).(10) Queste parti vennero comunque accuratamente raccolte in un contenitore (Rifondazione Comunista) per tenerle sotto controllo. Occhetto legò a questa operazione le sue fortune politiche (ne pagherà con le dimissioni il fallimento e ancora oggi cerca di rimontare la china). Attorno a lui si raccolsero con ruoli diversi gli uomini del vecchio regime che si allinearono all’operazione e si presentarono come “nuovi” (Spadolini, Napolitano, Segni, Ciampi, Scalfaro, ecc.). Il nuovo governo doveva portare l’Italia in riga con le tendenze prevalenti negli altri grandi paesi imperialisti, approfittando della collaborazione delle “parti sociali” (ossia, in primo luogo, dei sindacati di regime) per imporre “lacrime e sangue” alle masse popolari.

Lo sgambetto dell’aprile ‘92 a Craxi (addolcito dalla nomina a capo del governo di un suo uomo: Amato), il referendum sulla legge elettorale (Referendum Segni, 1993), la nomina di Ciampi a presidente del Consiglio dei ministri (1993) e le elezioni del marzo ‘94 dovevano avviare il ricambio.

Ma proprio sulle elezioni del marzo ‘94 l’operazione è fallita o, almeno, ha subito una battuta d’arresto. La soluzione di ricambio cosi accuratamente preparata è miseramente naufragata: non ha ottenuto l’appoggio degli elettori a cui i promotori l’avevano sottoposta e quindi condizionata (per errore di eccessiva sicurezza o perché le resistenze erano talmente alte che una nuova mossa extraelettorale (dopo quella della primavera del ‘92) le avrebbe rese insostenibili o per qualche altro motivo).

Il fiasco è dovuto principalmente a due fattori indipendenti, ma convergenti.

1. Tra le masse popolari la soluzione di ricambio incentrata sul PCI/PDS non aveva sollevato grande entusiasmo. Il disegno demagogico su cui il progetto puntava in sostanza non è riuscito. Questa soluzione arrivava dopo anni di collaborazione del PCI col regime democristiano: dalla svolta dell’EUR, alla politica di “solidarietà nazionale”, dalla collaborazione attiva nella guerra sporca contro le Brigate Rosse e le altre organizzazioni combattenti e in generale contro il movimento proletario degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80, alla collaborazione sindacale nella normalizzazione alla FIAT (11) e nelle altre fabbriche, dalla copertura concessa alle stragi di Stato, alla persecuzione contro le avanguardie di lotta, alla pratica della tortura all’inizio degli anni ‘80, alla violazione sistematica di ogni legge nel soffocamento del movimento proletario, all’appoggio alle misure di eliminazione delle conquiste strappate dalle masse negli anni del “capitalismo dal volto umano”, ecc. Tutto ciò aveva già distrutto la partecipazione, la mobilitazione, la  creatività, l’entusiasmo, la convinzione di migliaia di attivisti che erano quelli che, fino circa alla metà degli anni ‘70, nonostante mille contraddizioni, avevano alimentato il seguito elettorale del vecchio PCI. Bertinotti e Cossutta fecero del loro meglio per abbellire la soluzione agli occhi dei lavoratori con sparate demagogiche (famosa quella di Bertinotti sui BOT), ma fare campagna elettorale a favore di noti organizzatori della cacciata degli operai dalle fabbriche (del tipo di Giugni) e di un secondo governo Ciampi e promettere un rinnovamento della società sotto la guida di individui di questa specie, era qualcosa che superava anche la fede disperata del lavoratore più convinto che il partito e la conquista del potere sono la chiave di tutto e che per questo aveva “digerito” tante scelte del PCI.

2. Il fatto che Occhetto, anche durante la campagna elettorale abbia dovuto ancora prosternarsi davanti agli uomini dell’alta finanza e della NATO per convincerli della bontà del progetto di Agnelli e compagnia, anziché avere già in tasca il loro sostegno e dedicarsi completamente a fare demagogiche promesse elettorali che fossero almeno alla pari di quelle di Berlusconi, proprio ciò dimostra la debolezza intrinseca dell’ operazione.

Tra la borghesia e la piccola borghesia la soluzione elaborata dalla parte più autorevole della borghesia imperialista ha incontrato un’opposizione accanita, nutrita dai contrasti d’interesse. Da tempo i piccoli capitalisti accusavano i grandi di fan affari a spese delle finanze pubbliche, di vivere di contributi, agevolazioni e stanziamenti pubblici. Questa opposizione ha trovato in Berlusconi il suo leader, ben fornito di mezzi di comunicazioni e di esperti in manipolazioni elettorali.(12) Egli ha unito sia quella parte del vecchio ceto politico che la nuova soluzione avrebbe sacrificato (i “riciclati” nell’attuale maggioranza governativa, che tuttavia non sono più, - anzi probabilmente meno - di quanti ne avrebbe avuti un’eventuale maggioranza del Polo progressista, basti pensare alle alternative Pivetti/Napolitano, Scognamiglio/Spadolini), cioè i “perseguitati” di Mani Pulite, sia quelle forze che la soluzione “progressista” per vari motivi, o forse per errori di calcolo, aveva lasciato fuori (dai fascisti del MSI trasformatosi in due giorni in Alleanza Nazionale, ai seguaci di Bossi).

L’anticomunismo alimentato per anni, neanche Agnelli lo poteva cancellare di colpo: vari capitalisti e dirigenti hanno percepito chiaramente che la vittoria del Polo progressista avrebbe comunque suscitato attese, entusiasmo e “pretese” tra i lavoratori, non erano sicuri di poterli controllare, ritenevano che sul piano immediato avrebbero avuto dei problemi e hanno vissuto la campagna di Berlusconi come la loro campagna.

Così è successo che lo schieramento che “non doveva vincere” le elezioni è riuscito ad avere la maggioranza elettorale. La soluzione montata “all’ultimo momento” da un outsider, da un incursore, da un avventuriero, da un guastafeste, dall’amico delle vittime di Mani Pulite, ha avuto la meglio.(13) Sullo Stato italiano della borghesia imperialista è calata una maggioranza: di tipo particolare, un ceto politico che non è nuovo, ma non è nemmeno assimilabile a quello del regime DC: è il risultato e la manifestazione della decomposizione di quel regime. La maggioranza di Berlusconi è sì piena di riciclati, ma è effettivamente nuova rispetto all’eventuale maggioranza del Polo progressista (Berlusconi/Ciampi, Pivetti/Napolitano, Scognamiglio/Spadolini che era notoriamente morente, Occhetto-Segni / Fini-Bossi).

 

NOTE

7. Nell’aprile del 1992 il CAF vinse le elezioni. Andreotti doveva diventare presidente della repubblica e Craxi presidente del Consiglio. Furono entrambi fermati con un’operazione extraparlamentare (un “colpo di Stato”) attraverso incriminazioni giudiziarie per fatti esistenti da anni e noti da anni a tutta la classe dirigente.

 

8. Personaggi che in un modo o nell’altro, chi ricattando, chi investigando, chi conducendo istruttorie “rompevano” e furono o eliminati o convinti in altro modo a lasciar perdere.

 

9. I precedenti di eliminazione “extra legem” di avversari politici, di governanti e di luogotenenti fattisi pericolosi o esigenti abbondano: da Piccioni (Italia), a Brandt (RFT), a Kennedy, a Nixon, a Carter (USA), a Noriega (Panama), a Ngo Dihn Diem (Vietnam del Sud) a Syngman Rhee (Corea del Sud), ecc.

10. Le tappe sono state, per sommi capi, la dimissione di Natta e l’elezione di Occhetto a segretario del PCI (1987), il discorso della Bolognina (1989), il 19° Congresso del PCI (1990), il 20° Congresso del PCI (di scioglimento) e di fondazione del PDS con la conferma di Occhetto a segretario (1991).

 

11. La campagna di delazioni, organizzata dal PCI negli anni 1978-1980 nelle fabbriche del Nord contro le Brigate Rosse con la compilazione delle liste dei compagni di lavoro sospetti, ha lasciato uno strascico profondo.

Le operazioni truffa, tipo quella che diede inizio al blocco dei cancelli della FIAT nel 1980, illustrata da Sabatini, segretario della CGIL-Piemonte, sul Manifesto del 19 gennaio ‘94, sono note agli operai e lasciano tracce profonde. Scrive Sabatini: “La FIAT affisse nelle bacheche l’elenco di chi sarebbe andato in cassa integrazione. Questo avvenimento provocò la rabbia dei lavoratori, aprì il pericolo di un’entrata di cassaintegrati esasperati negli stabilimenti e consigliò al sindacato che era conveniente decidere il blocco dei cancelli per evitare quel pericolo”.

 

12. Nel senso che non ne aveva meno di quanto ne avessero i fautori del Polo progressista. Che poi alcuni di questi (Agnelli, ad es.) non abbiano voluto giocare tutte le carte sul Polo progressista, ciò fa parte della debolezza della borghesia imperialista. Attribuire la vittoria di Berlusconi alle sue TV è falso e fuorviante.

 

13. Ma questo è un rischio oggi presente in molti paesi imperialisti ed è indice della crisi politica in atto: si pensi a Perot negli USA, a Tapie in Francia, alle elezioni del 5 novembre del 94 negli USA.

 

Si tratta però di una maggioranza elettorale cui non corrisponde, né verosimilmente corrisponderà, un appoggio maggioritario di “quelli che contano” in un paese capitalista: del “mercato”, ossia degli esponenti del mondo finanziario italiano ed estero. Ora è D’Alema, succeduto a Occhetto dimissionato, che ripete contro Berlusconi quello che nel 1947 De Gasperi ricordò a Togliatti (e che Berlinguer nel 1973 riespose in altri termini al PCI): per governare un paese capitalista non basta avere la maggioranza elettorale, bisogna avere la fiducia dei finanzieri, dei banchieri e dei grandi capitalisti.

Berlusconi ora dovrebbe dimostrare ai re della finanza che la coalizione stretta attorno a lui è capace di imporre alle masse popolari italiane “lacrime e sangue” meglio di quanto ci potevano riuscire Occhetto e i suoi. In sintesi: che lui, meglio di Occhetto, è capace di togliere ai pensionati per dare ai rentiers. Se ci riuscirà, la grande borghesia imperialista scoprirà in Berlusconi il suo messia e la soluzione Occhetto sarà affossata per sempre. Ciò potrà allargare il seguito di Berlusconi tra la borghesia imperialista, ma non risolverà il problema che essa ha di darsi un nuovo regime politico: lo impediscono sia gli acuti contrasti tra gruppi imperialisti generati dalla crisi economica in atto sia la crescente resistenza delle masse popolari al procedere della stessa crisi. Perciò tutti i fattori generali di crisi politica, che in questi anni rendono instabile ogni regime politico della borghesia imperialista, agiranno ora contro il governo Berlusconi. Essi si combineranno con i fattori specifici che caratterizzano il nostro paese.

Ovviamente i protagonisti dell’“operazione Agnelli” in questo caso dovranno arrangiarsi e non è detto che lo facciano di buona grazia. Occhetto, spiazzato dal fiasco elettorale, si è dimesso da segretario del PDS, ma trama il ritorno in grande. Di Pietro e i magistrati che più si sono esposti nell’operazione “Tangentopoli” si trovano scoperti: o gettano sul piatto dello scontro politico la loro popolarità (vedi la risposta al Decreto Biondi salvatangentisti) rischiando il tutto per tutto o rischiano la liquidazione.

Se Berlusconi si dimostrerà incapace di fare alla borghesia imperialista il servizio di cui essa ha bisogno dal suo governo, Berlusconi verrà in un modo o nell’altro sostituito, per via elettorale o parlamentare se sarà possibile, o altrimenti: l’Italia non è una “repubblica delle banane”, ma c'è sempre una prima volta!

La maggioranza di Berlusconi è schiava di contraddizioni interne difficilmente componibili. Forse neanche un periodo abbastanza prolungato di rilancio economico taglierebbe l’erba sotto i piedi a Bossi allontanando il suo composito seguito dall’idea di poter risolvere meglio i loro problemi una volta che fossero diventati padroni in casa propria (federalismo, autonomia o secessione). Infatti un improbabile evento del genere (prolungata ripresa economica) provocherebbe altre contraddizioni nelle regioni in cui Bossi ha ora il suo seguito (afflusso di immigrati, ecc.). Fini d’altro lato è portatore del progetto di un forte governo centrale capace di ridare alla borghesia imperialista prestigio presso le masse e prosperità: ciò renderà ancora pia acute alcune contraddizioni interne e internazionali già oggi vivaci (esempio: Fiume, Slovenia, Trattato di Osimo) e quindi alimenterà la crisi politica.

 Insomma tutto fa ritenere che con il governo Berlusconi è iniziata una fase movimentata della disgregazione e della putrefazione del regime DC. Esso non è il successore del regime DC, ma rappresenta il fallimento del primo tentativo della borghesia imperialista di dare un successore al regime DC.