La borghesia imperialista apre la via al procedere della crisi

Rapporti Sociali n. 14-15,  inverno - primavera 1994 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Nel nostro paese la borghesia imperialista sta eliminando alcune forme antitetiche dell’unità sociale (FAUS) che costituiscono intralci alla libertà di una o dell’altra delle frazioni di capitale nella lotta tra di loro. D’altra parte la legge generale del capitale si impone ai singoli capitali attraverso la concorrenza, come una forza esterna. Le FAUS, che ostacolano la concorrenza, sono un ostacolo all’operare della legge generale e quindi, nel nostro periodo, impediscono al processo della crisi di seguire il suo corso fino in fondo e quindi fino alla soluzione (traumatica) della crisi stessa. Frazioni del capitale avvertono ognuna di queste FAUS come un ostacolo al loro sviluppo, quindi esse operano per la loro eliminazione. Questa eliminazione apre la strada al corso della crisi e quindi essa procede più rapidamente. Ciò che viene presentato come un rimedio generale alla crisi è in realtà un rimedio temporaneo alle difficoltà di una o di alcune frazioni di capitale e di fatto apre la strada a maggiori e decisivi sconvolgimenti della società che costituiranno il procedere della crisi.

Alcuni compagni confondono la resistenza a queste eliminazioni, che è resistenza difensiva al procedere della crisi, con la lotta per la conquista del potere. Altri compagni (a volte gli stessi) confondono questa eliminazione, che accelera il procedere della crisi, con la soluzione della crisi da parte della borghesia. Ognuna di queste eliminazioni crea per la nostra lotta condizioni diverse da quelle esistenti prima, ma non meno favorevoli. Le forze soggettive della rivoluzione socialista possono fare della resistenza difensiva all’eliminazione delle FAUS la base di partenza, il “brodo di coltura”, la scuola per la resistenza offensiva contro il regime della borghesia imperialista che promuove l’eliminazione, per fare prevalere la direzione della classe operaia, per affermare i1 potere della classe operaia sull’intera società.

Ecco alcune delle eliminazioni di FAUS in corso nel nostro paese.

 

1. Privatizzazione del settore pubblico delle attività economiche.

Il settore pubblico dell’economia riunisce le attività che i capitalisti gestiscono collettivamente, come comunità, come capitalisti associati.(1) Il settore pubblico dell’economia esiste in tutti i paesi imperialisti. È un aspetto del capitalismo monopolistico di Stato. Lo Stato dei paesi capitalisti è un’associazione di capitalisti solo per alcuni aspetti diversa da qualunque altra (come una società per azioni, un’associazione di categoria, ecc.). Le dimensioni e le modalità della sua nascita dipendono dalla particolarità del paese, dalla sua storia, dalla sua cultura, dalla sua composizione di classe. I socialdemocratici prima, i revisionisti moderni poi hanno contrabbandato il settore pubblico dell’economia dei paesi imperialisti come “elementi di socialismo” che poteva essere fatto espandere fino a prevalere sul settore economico privato così si sarebbe avuta la “transizione pacifica” (ossia senza rivoluzione e senza la direzione politica della classe operaia) dal capitalismo al socialismo. Essi cercavano di nascondere che il socialismo implica non solo la proprietà pubblica di tutte le principali forze produttive (e non solo di alcune) e la gestione pianificata delle attività economiche, ma anche il potere politico della classe operaia che dirige il fronte delle altre classi popolari. Del resto basta seguire la storia del settore pubblico dell’economia dei paesi imperialisti, per vedere che esso è solo una sovrastruttura del vecchio capitalismo, diretto dalla stessa classe capitalista: non è un caso che i dirigenti vanno e vengono tra il settore pubblico e il settore privato. In realtà il settore pubblico dell’economia è solo, come tutte le FAUS, un indice della contraddizione non ancora risolta tra carattere collettivo delle forze produttive e proprietà individuale capitalista di esse, non è la soluzione della contraddizione.

 

1. Vedasi in proposito Rapporti Sociali n. 4, p. 27.

  

Nell’ambito del movimento economico di un paese imperialista il settore pubblico costituisce un elemento di stabilizzazione, riduce l’area economica esposta agli alti e ai bassi della congiuntura e quindi rende meno distruttive le oscillazioni del resto.

La privatizzazione allarga il campo della concorrenza e dello scontro tra gruppi imperialisti. Contemporaneamente elimina un settore di aziende non soggetto a fallimento, a scalate di Borsa, a compravendita, ecc. e che quindi agivano da elemento stabilizzatore dell’intero sistema, elemento stabilizzatore che è diventato un peso in una fase in cui per sopravvivere bisogna sovvertire e sconvolgere tutto.

È da notare che è proponibile in un paese capitalista la completa privatizzazione delle attività economiche, mentre non è proponibile il contrario: la pubblicizzazione di tutte le attività economiche. Ciò, conferma che il capitalismo monopolistico di Stato è una sovrastruttura del capitalismo individuale, cosa inesistente nei paesi socialisti: a smentita di quanti si ostinano a parlare di capitalismo monopolistico di Stato a proposito dell’Unione Sovietica pre-Gorbaciov.(2)

 

2. Sul capitalismo monopolistico di Stato come sovrastruttura del capitalismo individuale vedasi V.I. Lenin, Rapporto sul programma del partito (dall’ottavo Congresso del PC(b)R), in Opere, vol. 29.

 

 

2. Ingresso delle banche nelle industrie, come azioniste o proprietarie di partecipazioni.

Questa misura è contenuta nella relazione presentata dal Governatore della Banca d’Italia (Fazio) il 2 giugno ’93 e di fatto è già applicata in qualche modo (vedi caso Ferruzzi). Si tratterebbe di generalizzare e regolarizzare una prassi attualmente ancora ufficialmente vietata dalla legge bancaria e attuata solo con sotterfugi. Questa misura ristabilisce in Italia la situazione esistente prima della riforma bancaria del 1936. Il divieto alle banche di diventare azioniste delle industrie voleva evitare il ripetersi di quello che era successo: banche depositarie di risparmi e intermediarie del credito avevano investito i depositi non vincolati ricevuti dai loro clienti in imprese industriali, erano trascinate al fallimento dal fallimento delle imprese in cui avevano investito, non erano più in grado non solo di svolgere la loro attività di intermediazione, ma neanche di restituire i depositi ai loro proprietari. Da qui uno sconvolgimento generale del sistema creditizio e bancario, fallimenti a catena, un restringimento generale dell’attività economica: ricorso alla tesaurizzazione, ai soldi tenuti sotto il materasso, alla difficoltà di credito anche per le iniziative economiche redditizie, ecc.

 

3. Libero movimento dei capitali.

È l’applicazione generale della tendenza che la misura illustrata al punto precedente applica ad un settore particolare. Si tratta di

- libertà di investimento e commerciale: libertà dei singoli capitali di spostarsi da settore a settore, di investirsi e disinvestirsi, di entrare e uscire dalle frontiere (abolizione o riduzione di regolamenti, di permessi, di procedure da osservare, ecc.);

- libertà dei singoli capitali di assumere e licenziare, di organizzare i loro rapporti con il lavoratore contrattando “liberamente” (in base ai rapporti di forza del momento e del caso, mentre una serie di leggi statali e di contratti registrano i rapporti di forza di ieri);

- libertà dei singoli capitalisti nei confronti dei risparmiatori: libertà di rastrellare risparmio (aumenti di capitale, fondazione di società per azioni, fusioni, partecipazioni, ecc.), libertà di contrattazione nella compravendita di azioni e obbligazioni, ecc.

 L’eliminazione dei vincoli esistenti al movimento dei capitali è in contrasto, ma si combina con l’introduzione di misure protezionistiche e con una maggiore ingerenza pubblica (dei capitalisti associati) nell’economia: assieme sono sintomi degli opposti interessi dei gruppi imperialisti.

 

4. Eliminazione dei redditi garantiti e della stabilizzazione di alcuni redditi.

In ogni paese imperialista vi sono redditi familiari non di mercato: pensioni, stipendi ai dipendenti pubblici, trasferimenti in denaro in natura dalla pubblica amministrazione alle famiglie. Costituiscono un flusso di reddito delle famiglie e di spesa la cui stabilità contrasta con la riduzione della domanda indotta dalla crisi.

L’eliminazione o la riduzione di questi redditi è un sollievo per le casse dello Stato, un sollievo per i contribuenti i cui redditi, in calo, dovrebbero essere ancora più spremuti per far fronte alle spese crescenti della pubblica amministrazione, è un’efficace forma di intimidazione e di disciplina contro i lavoratori. Ma nello stesso tempo accentua la riduzione della domanda, perché aumenta il plusvalore intascato dai capitalisti (la loro parte di tasse) che non si traduce in domanda perché essi non investono, quindi accentua la sovrapproduzione di merci.

In questo periodo in Italia sono in corso

- privatizzazione del rapporto di lavoro del pubblico impiego - salvo quello strettamente statale (Forze armate, polizia, magistratura, carceri, diplomazia),

- abolizione della scala mobile e in generale degli automatismi (anche su pensioni, ecc.),

- “flessibilità” verso il basso dei salari e degli stipendi (terapia più volte raccomandata dalla Banca dei Regolamenti internazionali, dal Fondo monetario internazionale e da altre analoghe istituzioni di ... beneficenza), limitazione o abolizione della validità per tutti dei contratti sindacali di categoria. Oggi in Italia non solo ci sono alcuni padroni che assumerebbero se non dovessero pagare i salari e i contributi e osservare le norme contrattuali e di legge, ma c'è oramai anche un vasto numero di lavoratori disposti a lavorare a condizioni salariali e normative peggiori di quelle previste da contratti e leggi. Questa situazione si combina con la polemica contro la struttura del costo del lavoro: il padrone paga 100 (oltre agli oneri indiretti: mensa, vestiario, maggiorazione per straordinari, ecc.) e il lavoratore incassa 50. Misure già in questa direzione sono il salario d’ingresso, la reintroduzione delle gabbie salariali, ossia di salari inferiori e norme peggiori per le “zone depresse” (accordo FIAT/CGIL-CISL-UIL per lo stabilimento di Melfi), ecc.