I due campi nella crisi economica e i due fronti nella lotta politica

Rapporti Sociali n. 14-15,  inverno - primavera 1994 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Altrove abbiamo già mostrato (1) che la crisi in corso divide oggettivamente il nostro paese in due campi aventi interessi materiali antagonisti:

- il campo delle masse popolari,

- il campo della borghesia imperialista.

 

1. Vedasi Rapporti Sociali n. 12/13, pag. 38 e 39.

 

In che misura questa divisione oggettiva si manifesta già oggi in campo politico? Come ciò che già oggi esiste nella struttura economica della società si manifesta nel campo della sovrastruttura, della politica?

La divisione oggettiva che si verifica in campo economico rende possibile la divisione in campo politico, non la produce inevitabilmente. Far diventare effettiva la divisione possibile, far passare la divisione politica tra campo delle masse popolari e campo della borghesia imperialista dalla sfera del possibile alla sfera dell’esistente, trasformare la contrapposizione di interessi materiali in contrapposizione politica tra due fronti è compito della lotta politica, è il contenuto della lotta politica nei prossimi anni. La crisi economica e la conseguente crisi politica della società infatti fanno sì che il movimento politico del nostro paese nei prossimi anni inevitabilmente assuma una delle forme seguenti:

1. la forma della mobilitazione rivoluzionaria delle masse,

2. la forma della mobilitazione reazionaria delle masse,

3. la forma di una combinazione delle due e di un rovesciamento dell’una nell’altra.

 

Le masse popolari sono composte di varie classi.(2) In ognuna delle classi popolari bisogna distinguere la classe “in sé” e le sue forze soggettive: i gruppi organizzati che elaborano gli interessi e sono la coscienza che la classe ha della situazione,(3) traducono i suoi interessi in obiettivi di lungo, di medio e di breve periodo e cercano di realizzarli riunendo e muovendo le forze necessarie.

 

2. Vedasi Rapporti Sociali n. 12/13 pag. 37 e 38.

 

3. Le forze soggettive sono la coscienza della classe

- non nel senso che una forza soggettiva pensa quello che pensano tutti o molti membri della classe (il pensiero delle forze soggettive non è né un pensiero universale né un pensiero maggioritario né un pensiero medio),

- non nel senso che la classe si muove già nel suo complesso secondo obiettivi e metodi derivati da quella coscienza,

- ma nel senso che non esiste altra coscienza organica e sistematica degli interessi della classe che quella impersonata dalle forze soggettive.

Le forze soggettive sono rispetto alla classe quello che la mente è rispetto all’individuo: ne raccolgono ed elaborano (più o meno bene, a un livello più o meno alto) l’esperienza, esprimono poi l’esperienza della classe in una teoria sistematica e generale, ne derivano obiettivi, compiti e metodi, cercano di dirigerne la realizzazione pratica. La classe che pensa se stessa è forza soggettiva. Quanto ogni singola forza soggettiva riesca a unire la classe e quindi il grado in cui la classe si muove secondo obiettivi e metodi definiti dalle forze soggettive (o almeno presenti nella coscienza delle forze soggettive) o il grado in cui i componenti della classe condividono il pensiero di una forza soggettiva, queste sono due altre (e distinte) questioni, sono il risultato della giustezza della linea della forza soggettiva (cioè della corrispondenza della sua elaborazione con gli interessi oggettivi della classe e della corrispondenza dei suoi metodi di lavoro e di direzione con i processi secondo cui la classe realmente si muove).

 

Tra tutte le classi popolari, la classe operaia ha una posizione unica: tra tutte le classi dominate della società imperialista è la sola classe dirigente possibile della loro comune lotta contro la borghesia imperialista per la soppressione del regime capitalista.

 Nel nostro paese le classi fondamentali, le classi che per la costituzione materiale della nostra società possono aspirare alla direzione generale della società, al potere, sono solo due: la classe operaia e la borghesia imperialista.

Strategicamente è la classe operaia all’attacco: l’attività politica della borghesia imperialista è infatti determinata dallo sforzo di mantenere sottomessa la classe operaia; tatticamente è all’attacco la borghesia imperialista, le cui forze soggettive oggi sono ancora di gran lunga maggiori di quelle della classe operaia.

 

Attualmente la lotta politica nel nostro paese è ancora principalmente lotta tra gruppi della borghesia imperialista. Tangentopoli, gli attacchi alla “partitocrazia”, ad Andreotti, a Craxi e ad altri personaggi politici, le “guerre di mafia”, ecc. sono lotte politiche che si sviluppano tutte all’interno della classe dominante. Esse però coinvolgono le masse popolari e ne favoriscono la mobilitazione sul terreno della lotta politica: è una cosa che risalta chiaramente dalla rabbia e dall’interesse con cui vengono commentate le notizie della corruzione e della collaborazione tra esponenti dello Stato e gruppi criminali. Queste notizie sono frutto della guerra per bande in atto tra gruppi imperialisti, ma la mobilitazione delle masse popolari che esse favoriscono è l’inizio del loro attacco all’attuale regime. Quando diventerà la classe operaia, quando diventeranno le masse popolari protagoniste in proprio della lotta politica? Quando arriveremo al punto in cui nella lotta politica non si contrapporranno tra loro gruppi imperialisti, ma il fronte delle masse popolari guidato dalla classe operaia si contrapporrà al fronte della borghesia imperialista e dei suoi alleati? Ciò equivale a chiedersi quando le forze soggettive della rivoluzione socialista si saranno sviluppate abbastanza da costituire uno dei contendenti della lotta per il potere in corso nel paese.

 

Il terreno su cui attualmente si sviluppa la lotta politica tra i gruppi borghesi può essere così caratterizzato: le istituzioni e le concezioni dell’attuale regime non vanno più bene, ossia non arrivano più a conciliare come nel passato gli interessi dei gruppi della borghesia imperialista né servono più a contenere le classi dominate la cui indignazione e il cui malessere, prodotto dalla crisi economica e politica del regime, trova anzi modo di esprimersi attraverso di esse.

Ogni gruppo della borghesia imperialista cerca di imporre un regime che ponga il suo interesse come interesse generale, di tutta la borghesia imperialista e di tutta la società: questa è la sostanza dei contrasti sulle riforme istituzionali e di tutte le lotte politiche attuali.(4) La borghesia imperialista a causa di interessi economici antagonisti si spezza in gruppi contrapposti: da qui sia la crisi politica sia i tentativi di rendere egualmente governabile il paese; ma ogni gruppo vuole il governo per sé, vuole elevare il suo interesse di gruppo a interesse generale. Ogni progetto di riforma istituzionale è un mezzo che un gruppo o una coalizione di gruppi mette in campo per accaparrarsi il potere. Non è un caso che ogni gruppo cambia progetto quando intravvede la possibilità che una diversa soluzione sia per lui più vantaggiosa o che quella che ha patrocinato fin lì vada in realtà a vantaggio di un concorrente. L’“interesse nazionale” che ogni gruppo accampa è un pretesto: un’indagine della situazione concreta mostra di volta in volta gli interessi propri che muovono il gruppo che se ne fa paladino. La riforma istituzionale è un campo di battaglia in cui si scontrano i gruppi della classe dominante. La governabilità, per vari anni cavallo di battaglia di Craxi, è stata ed è una bandiera attorno alla quale alcuni gruppi cercano di raccogliere consensi e appoggi, facendo leva sul desiderio di certezza e di sicurezza che è nelle classi che vedono minacciate le loro conquiste e incerto il loro futuro. Vari salvatori della patria (si chiamino Segni, Orlando, Occhetto, Cossiga o Bossi) fanno leva sul bisogno di cambiare per cambiare a proprio favore e a favore dei gruppi che essi rappresentano.

 

4. Su questo tema si veda anche Rapporti Sociali n. 9/10, pag. 31-43.

 

Quali sono attualmente i tipi principali di forze soggettive della borghesia imperialista? Il movimento economico e politico della società le raggruppa per forza nei seguenti filoni. Ogni filone rappresenta una tendenza che continuerà al di là  degli spostamenti e delle oscillazioni degli individui: infatti essi sono “nella natura delle cose”. Comprendere questi filoni facilita la comprensione delle singole forze che tuttavia richiede un’analisi più concreta.

1 Quelle che cercano di conservare l’esistente e rimpiangono il tempo passato.

Sono organismi, gruppi, partiti i cui interessi sono intrinsecamente legati alle forme particolari dell’attuale regime in crisi. Essi vedono con disperazione il suo tramonto, non vedono come perseguire i loro interessi in un altro contesto, hanno paura del cambiamento.

È ragionevole ritenere, ma è da verificare, che tra questi gruppi vi sia il Papato (il Vaticano), il cui ruolo nella vita economica, politica e culturale del nostro paese da vari secoli non è stato grande come negli ultimi cinquant’anni e che nel tramonto del regime attuale ha tutto da perdere.(5)

 

5. Neanche nei momenti di maggiore sviluppo dello Stato pontificio il Papato è mai riuscito a estendere il suo potere sull’intero territorio italiano come in questi ultimi cinquant’anni. È improbabile che esso possa mantenere nel futuro tanto potere, quali che siano gli eventi politici nel nostro paese.

Se il Vaticano ha tutto da perdere dalla crisi dell’attuale regime, un discorso diverso vale per la Chiesa cattolica nel cui ambito sono già in corso manovre per riproporsi in Italia come “partito nuovo”. Tuttavia, dato che l’evoluzione futura si giocherà tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse, è improbabile che la Chiesa cattolica possa effettivamente riciclarsi come “partito nuovo” della borghesia imperialista.

 

I gruppi i cui interessi sono legati alla conservazione dell’attuale regime manovrano per indebolire i gruppi che stanno sviluppando la mobilitazione reazionaria delle masse (questi scontri producono stragi, assassini, ricatti ecc.) e per raggruppare attorno a sé il sostegno delle masse popolari colpite dalla crisi del regime (dall’abolizione dello stato sociale o capitalismo dal volto umano). Da questi gruppi provengono le inconcludenti dichiarazioni “popolari”(6) di autorevoli prelati come il cardinal Martini di Milano, il vescovo di Modena (responsabile del settore lavoro della Conferenza Episcopale Italiana), in generale le prese di posizione della CEI, di Woityla, ecc.

 

6. Le dichiarazioni sono inconcludenti perché si limitano all’invocazione di cose ovvie e a dichiarazioni di buone intenzioni, come “ognuno deve badare anche al bene degli altri”, “bisogna porre l’occupazione al centro degli obiettivi della vita economica”, “ognuno deve rimboccarsi le maniche per far fronte alla crisi”, ecc.

 

È un filone perdente perché il regime attuale è destinato a scomparire, niente lo può salvare.

2 Quelle che non vedono altra possibilità di salvezza che nel mettersi alla testa della trasformazione.

Sono le forze soggettive della mobilitazione reazionaria delle masse. I loro punti forti e i loro punti deboli sono già stati descritti in Rapporti Sociali n. 12/13, pag. 23-31 a cui rinviamo.

Le forze soggettive che si sono messe o si metteranno alla testa della mobilitazione reazionaria delle masse sono varie e contrapposte tra loro. Oltre alle contraddizioni con quelle del filone precedente, sono quindi da considerare le contraddizioni tra di loro.

La ferocia dell’antagonismo che le determina la si vede già nelle guerre nazionaliste e interetniche in corso (il caso jugoslavo e gli episodi della guerra civile strisciante già in corso nel nostro paese). Il nazionalismo, il razzismo, ecc. delle forze soggettive imperialiste non possono che essere virulenti e guerrafondai perché devono tendere al massimo le forze per realizzare ciò che è contro il corso reale (contro le leggi di trasformazione della realtà).

3. Le agenzie degli Stati USA, tedesco, francese, inglese, israeliano nel nostro paese. Questi Stati imperialisti hanno una loro “politica italiana”, cioè una loro autonoma capacità di intervenire nella formazione, nell’orientamento e nell’organizzazione della classe dirigente italiana e hanno proprie forze in Italia. Occorre comprenderne la collocazione nell’attuale lotta politica in corso nel nostro paese.

 

Ci sono alcune forze soggettive che sotto molti aspetti stanno con un piede nella borghesia imperialista e con l’altro nel le masse popolari. Esse si dividono in due filoni principali.

1. Un filone è costituito dai “riformisti senza riforme” (CGIL-CISL-UIL, PDS, ecc).

Sono quelli che cercano di proporsi alla borghesia imperialista come amministratori del suo Stato perché riescono a trascinare al loro seguito le masse popolari con promesse di riforme: i “signori delle masse”. Questi gruppi cercano di continuare, nonostante la situazione sia mutata, il gioco ben riuscito nel periodo di ripresa e sviluppo dell’accumulazione del capitale (1945-1975). Ma la loro è un’illusione. Fino a ieri hanno abbindolato le masse e credono di esserci riusciti con le loro promesse. Su questa base contano di riuscirci anche domani. Non comprendono che ieri riuscirono ad abbindolare le masse solo perché le loro promesse trovavano qualche conferma nella realtà. Oggi la realtà smentisce giorno dopo giorno le loro promesse. Tutto quello che “non si tocca” (la scala mobile, il servizio sanitario nazionale, le pensioni, ecc.), viene cancellato e tra le masse crescono il disprezzo e l’ostilità nei loro confronti. Le forze che appartengono a questo filone o si sciolgono o passano alla mobilitazione reazionaria delle masse (es. con le parole d’ordine della mobilitazione dell’autunno ’92, con cui cercavano di contrapporre la classe operaia ad altre classi popolari; con il tentativo di contrapporre dipendenti pubblici a dipendenti privati, ecc.) giovandosi degli strumenti di mobilitazione che ereditano dal vecchio regime. Trentin riesce ancora a portare in piazza centomila persone: ma gli si rivoltano contro! La loro crisi è irreversibile. Dobbiamo opporci a quanti negano questa loro crisi e si ostinano a non vedere la divisione che sta creandosi tra i “riformisti senza riforme” e le masse. Anche i loro punti forti si sfaldano (CGIL-CISL-UIL alla manifestazione nazionale a Roma del febbraio ’93 non sono riusciti a mobilitare il servizio d’ordine romano e hanno dovuto ricorrere al servizio d’ordine dell’Emilia: ma fino a quando riusciranno a mobilitare questo?). Il loro punto debole è che il loro “capitale” è il seguito delle masse ed è proprio quello che inevitabilmente perdono. La polizia può difendere la proprietà privata degli Agnelli, ma nessuna polizia può difendere il “capitale” dei riformisti senza riforme! Le forze soggettive della rivoluzione socialista che comprendono questo loro punto debole e “lavorano” su di esso, possono farli ballare!

2. I sostenitori della difesa senza attacco (Rifondazione comunista, la “sinistra sindacale”, ecc.).

Essi sostengono in qualche misura le iniziative di difesa delle masse, ma si oppongono agli attacchi delle masse contro l’attuale regime e rifiutano di lavorare per la conquista del potere da parte della classe operaia. Anziché valorizzare, accogliere con favore, sostenere, propagandare, studiare, ecc. gli episodi di attacco aiutando le masse a renderli via via più mirati, efficaci, ecc., essi li combattono. La loro concezione è che “il capitalismo è cattivo ma così forte che al massimo lo si può condizionare un po’. Con una concezione del genere essi mandano inevitabilmente in malora anche le lotte difensive, dove ne hanno la direzione. Bisogna valorizzare la loro adesione alla difesa e incalzarle sul carattere perdente e senza prospettiva della difesa diretta da loro. Le forze che appartengono a questo filone sono per forza di cose destinate a dividersi in due parti.

 

Nella lotta politica nel nostro paese la classe operaia e il resto delle masse popolari per quarant’anni sono esistite principalmente come massa di manovra che ogni gruppo della borghesia imperialista cercava di strumentalizzare elettoralmente a suo vantaggio. I sintomi della nuova situazione consistono nel fatto che l’agitazione della classe operaia e delle masse popolari cresce con il procedere della crisi, che la loro azione politica incomincia a irrompere nei varchi aperti dalla lotta tra i gruppi della classe dominante, che cresce il ricorso di gruppi della borghesia imperialista alla mobilitazione delle masse in campo politico, che vi è una certa trasformazione in corso tra le forze soggettive della rivoluzione socialista.

La classe operaia come soggetto della lotta per il potere esiste nelle sue forze soggettive. Attualmente nel nostro paese le forze soggettive della rivoluzione socialista che si pongono come “classe operaia che lotta per il potere”, come comunisti, sono ancora qualitativamente deboli e poco numerose. Ciò è il risultato di quarant’anni di predominio del revisionismo moderno e della debolezza e degli errori della lotta contro di esso. Nel nostro paese la lotta contro il revisionismo  moderno è stata poco legata alle masse, venata di estremismo e quindi debole. I suoi protagonisti hanno ampiamente subito l’influenza ideologica e culturale della borghesia.(7) In particolare a suo tempo nessuno aveva compreso le basi materiali del successo temporaneo del revisionismo moderno (il periodo di “capitalismo dal volto umano”). La nascita del revisionismo moderno venne attribuita, soggettivisticamente, al tradimento dei capi (8) e il suo successo alla loro abilità, le difficoltà dei comunisti vennero attribuite all’arretratezza della classe operaia e delle masse e la sostanza del revisionismo venne ridotta alla forma di lotta (pacifica o violenta). Ciò ha impedito di accumulare forze nel corso dei grandi movimenti di massa degli anni ’60 e ’70 e quindi di svolgere il ruolo che la mutata situazione economica e politica permetteva negli anni ’80 e ’90. Attualmente paghiamo ancora le conseguenze degli errori e dei limiti della lotta contro i revisionismo moderno

 

7. In proposito si veda Rapporti Sociali, n. 5/6, pag. 31 e segg. e n.9/ 10, pag. 3 e segg.

 

8. I comunisti italiani nell’analisi del revisionismo seguirono la cultura soggettivista sbandierata dalla borghesia che, a tutto suo vantaggio, riduceva la questione della costruzione del socialismo in URSS e dello sviluppo del comunismo durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, alla “questione di Stalin”!

 

- nel soggettivismo e idealismo ancora diffusi tra le FSRS,

- nel legame ancora scarso delle FSRS con la classe operaia - nella sfiducia o nella debole fiducia delle FSRS nello sviluppo in corso di una nuova ondata di rivoluzioni (se non si sono capite le cause materiali del successo del revisionismo moderno, non si capiscono i motivi del loro inevitabile crollo, lo si confonde in qualche misura con il fallimento del comunismo sbandierato dalla borghesia e non si “vede” la situazione rivoluzionaria che si sta sviluppando sotto i nostri occhi),

- nella debole fiducia delle FSRS nel ruolo decisivo e risolutore della crisi economica e culturale costituito dalla conquista del potere da parte della classe operaia.

Il crollo del revisionismo moderno è vissuto in qualche misura anche dalle FSRS come fallimento del comunismo, perché non si era capita realmente la natura di classe del revisionismo. È in questione la convinzione che solo una società diretta dalla classe operaia, basata sulla proprietà collettiva di tutte le più importanti e decisive forze produttive può risolvere la crisi attuale ed evitare la guerra. Anche tra le FSRS vi è incomprensione circa la situazione rivoluzionaria in sviluppo in cui ora ci troviamo.(9) Tutto ciò costituisce materia della trasformazione e della lotta in corso tra le forze soggettive. Anche le FSRS sono analizzabili: il ruolo che esse svolgono è determinato dalla loro coscienza (concezione del mondo, analisi, linea, metodo, ecc.), ma anche la loro coscienza è un prodotto della loro esperienza. Per trasformarne la coscienza a volte più che la coscienza bisogna criticarne l’esperienza.

 

9. Vedasi Rapporti Sociali n. 9/10, pag. 31 e segg.

 

 

Tra le forze soggettive della rivoluzione socialista oggi si devono distinguere alcuni filoni, per ognuno dei quali si pongono lotte diverse. Si tratta di orientamenti, non di organismi, perché una delle manifestazioni della trasformazione in corso nelle FSRS consiste proprio nel fatto che orientamenti contraddittori esistono nello stesso organismo.

1. Quelli che si propongono di diventare “classe operaia che lotta per il potere”.

Queste FSRS cercano di esprimere la necessità di potere della classe operaia che è tanto più viva tra gli operai quanto più la crisi li mette di fronte al padrone e al suo Stato con poca o nessuna forza contrattuale in campo economico. Sono la parte comunista delle FSRS, quelle che si trasformano con maggiore consapevolezza e con un ruolo più attivo. Sono quelle che si sforzano di esprimere progettualità, di definire la fase, di tracciare una linea e un programma e di verificar li nella pratica.

2. Quelli che concepiscono come loro compito principale la trasformazione della coscienza delle masse con la propaganda. Questi compagni continuano a praticare la vecchia concezione idealista della politica rivoluzionaria messa in auge dal revisionismo moderno. Per essi la politica rivoluzionaria si riduce solo o principalmente a elevare la coscienza rivoluzionaria delle masse, convertirle a sé, comunicare a loro la propria coscienza, fare propaganda del comunismo. Il caso tipico è quello di un compagno (ma in alcuni casi fortunati sono un gruppetto) che spreca le sue energie a esporre e spiegare ai suoi compagni di lavoro, di scuola, di circolo, ecc. quello che lui pensa del mondo, quello che secondo lui essi dovrebbero fare, quindi parla di crisi, di capitalismo, di comunismo, ecc. con lo scopo di trasformare anzitutto la coscienza dei suoi compagni, oppure cerca di trascinarli in lotte rivendicative o in proteste che egli pensa siano giuste. Compagni di questo tipo nutrono in qualche modo la fiducia che prima o poi le masse capiranno; inevitabilmente si scontrano ogni giorno con l’amara e frustrante realtà che ... le masse non capiscono!

3. Quelli che “praticano il comunismo” e contano di trascinare le masse con l’esempio delle proprie azioni.

Alcuni di questi compagni sono semplicemente allo stadio del socialismo utopista piccolo-borghese: vivere “relazioni comuniste”, creare “isole di comunismo”, “prefigurare il comunismo” e altri propositi di questo genere. Altri isolano unilateralmente una forma di lotta dell’avanguardia e la assolutizzano.

4. Quelli che riducono la lotta politica alla lotta rivendicativa o ripongono le loro speranze nel “politicizzare” la lotta economica.

Qui non si tratta della tendenza dei lavoratori a organizzarsi per difendere i loro interessi, ma delle FSRS che si pongono come progetto di lotta politica la costruzione di organizzazioni sindacali “oneste” o semplicemente l’organizzazione di lotte rivendicative. Questi compagni non capiscono che il sindacato come organizzazione principalmente rivendicativa di reddito e di condizioni di lavoro è finito, va oggettivamente a finire. Perché in tutto il mondo tutte le organizzazioni che limitano il loro ruolo principale alla rivendicazione sono diventate o diventano collaborazioniste e abbandonano anche la rivendicazione? Perché hanno smesso di “cavalcare le rivendicazioni”? Perché non possono fare diversamente. O si trasformano in scuola di comunismo o diventano collaborazioniste. Il sindacato principalmente rivendicativo, che “cavalcava le lotte”, poteva esistere durante il capitalismo dal volto umano, ne era anzi un aspetto necessario. Allora “cavalcava” le lotte, promuoveva rivendicazioni, accoglieva in qualche modo in sé le spinte rivendicative delle masse e i portavoce di esse. Oggi non possono più farlo. Certamente Lama e Trentin sono dei venduti, ma il sindacato non è diventato collaborazionista per questo; al contrario il sindacato è diventato collaborazionista e non può avere alla sua testa che dei venduti. Per non diventare collaborazionista oggi il sindacato deve smettere di essere principalmente rivendicativo e diventare principalmente scuola di comunismo. Questo vuol dire abbandonare la difesa? Al contrario. A differenza di ieri, oggi la difesa e la rivendicazione hanno successo solo come risultato subordinato. Come si fa a fare del sindacato una scuola di comunismo? In pratica non lo sappiamo ancora fare, stiamo solo imparando a farlo. In linea generale vuol dire la sinistra che si unisce, unisce a sé il centro, ecc., le forze soggettive che praticano nella resistenza delle masse popolari la linea di massa per far prevalere la direzione della classe operaia e trasformarla in lotta per il socialismo. Vuol dire che nelle lotte rivendicative le masse imparano a unirsi, a dirigersi, a selezionare e formare i propri dirigenti, “vendono cara la pelle”, imparano insomma a lottare. Di sicuro perché un sindacato sia scuola di comunismo bisogna che abbia alla sua guida dei comunisti. Questo vuol dire compagni che iniziano o finiscono ogni loro discorso parlando di comunismo? Certamente no. Vuol dire compagni che conducono ogni lotta e ogni iniziativa per far compiere alle masse il percorso attraverso cui confluiscono nel fiume della rivoluzione socialista, per quanto tortuoso sia il percorso. Sempre più il solo sindacato che può esistere nella fase in corso è il sindacato “scuola di comunismo”, ma a tal fine deve anzitutto esistere il partito comunista, il centro non è il sindacato, ma il partito comunista: il centro non è la lotta rivendicativa, ma la lotta della classe operaia per il potere. Le FSRS devono anzitutto proporsi di costruire il partito co munista e quindi compiere la trasformazione che ad esso conduce. Quando il sindacato rivendicativo scompare, gli anarco-sindacalisti lo vogliono conservare, da buoni idealisti. Sono rispetto al sindacato di ieri quello che Rifondazione è oggi rispetto al PCI di ieri!

5. Quelli che pongono come elemento unico o principale dell’attività politica la “solidarietà” col movimento rivoluzionario di qualche altro paese (Cuba, Nicaragua, Perù, Palestina, ecc.).

Per “solidarietà internazionalista” essi intendono non principalmente il fare la rivoluzione nel proprio paese, ma fare qualche assemblea, qualche manifestazione, un po’ di propaganda sulla lotta rivoluzionaria in corso in quel paese. Nel migliore dei casi raccogliere un po’ di soldi e di altri aiuti da inviare alle organizzazioni rivoluzionarie.

Questo vuol dire che noi dobbiamo trascurare la solidarietà internazionale o anche solo le iniziative per far conoscere alle masse popolari italiane le lotte rivoluzionarie di altri paesi?

Saremmo sciocchi se lo pensassimo! La loro lotta rafforza la nostra e la nostra rafforza la loro! Far conoscere la loro lotta è, in questa precisa fase, di grande importanza per la nostra lotta, proprio per la sfiducia nel socialismo di cui dicevamo sopra.

6. I compagni che sono rimasti fedeli al comunismo, al marxismo-leninismo e conservano questa loro fede un po’ come i cristiani o gli anarchici conservano le loro.

Essere comunisti è in definitiva svolgere un ruolo di avanguardia nel movimento di trasformazione dello stato di cose presenti. Per questi compagni invece essere comunisti è principalmente un fatto di coscienza. Essi si auto gratificano o si gratificano l’un l’altro con la constatazione di “aver conservato la fede” in un mondo che è andato per tutt’altra strada. Essi sono convinti di essere sempre stati nel giusto: il fatto di non aver combinato nulla non li induce a un bilancio autocritico. Tra queste forze soggettive occorre combattere la diffusa tendenza a pensare di aver avuto sempre ragione e che non occorre trasformarsi. È esperienza comune incontrare un compagno che parla della borghesia, dei revisionisti, di Lotta continua, delle Brigate rosse e infila uno dopo l’altro gli errori degli uni e le malefatte degli altri. Nel migliore dei casi concediamo pure che dica delle cose giuste. Quello che manca quasi sempre sono i propri errori: perché se il socialismo non ha vinto nel nostro paese nella situazione rivoluzionaria 1910-1945, se nel successivo periodo di ripresa e sviluppo del capitalismo 1945-1975 non abbiamo accumulato forze per la rivoluzione socialista sicché oggi siamo quasi a ripartire da zero (quanto a forze soggettive e a partito comunista), ciò non è dovuto alla forza della borghesia imperialista né al tradimento dei revisionisti, ma agli errori di quelli che per la rivoluzione socialista hanno combattuto. Le idee giuste in definitiva si verificano nella pratica. Le idee giuste in definitiva hanno successo ed è proprio il successo che conferma che erano giuste. Chi pensa che le sue idee erano giuste, ma che “gli altri non hanno capito”, “le cose sono andate diversamente”, ecc. oltre alle altre varie idee sbagliate di dettagli, ha anche una concezione idealista delle idee, del pensiero e della coscienza, al punto che se qualcosa non lo scuote, non arriverà mai neanche a cercare di capire. Questi compagni in definitiva non sono convinti che il socialismo è possibile, che è possibile vincere, che la tendenza al comunismo è una legge storica ineluttabile. Al più pensano che “il socialismo sarebbe una bella cosa, se fosse possibile”, in realtà per loro è solo una bella idea, altrimenti si chiederebbero anzitutto perché nel nostro paese non ha vinto.

Crediamo che l’individuazione di questi filoni tra le FSRS sia utile per individuare le particolarità della trasformazione in corso e per facilitarla. Anche in questo caso tuttavia si tratta di tendenze che “sono nella natura delle cose” e che come tendenze continueranno a riprodursi durante tutta la fase del movimento politico che stiamo vivendo.