Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e i compiti delle forze soggettive della rivoluzione socialista

Rapporti Sociali n. 12/13 - novembre 1992    ( versione Open Office / versione MSWord )

 

Sommario

 

1. La società borghese è entrata, grossomodo a partire dalla metà degli anni ’70, in una crisi economica di lungo periodo (la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale); la crisi economica ha già iniziato a generare la crisi dei regimi politici dei singoli paesi imperialisti e del sistema delle loro relazioni internazionali e quindi una nuova situazione rivoluzionaria.

2. La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi delle formazioni economico-sociali consolidatesi nei paesi imperialisti dopo la seconda guerra mondiale è la forza principale che deciderà del futuro assetto del mondo a conclusione della crisi in corso.

3. Le forze soggettive della rivoluzione socialista possono crescere, maturare e condurre la rivoluzione socialista alla vittoria nel corso dell’attuale situazione rivoluzionaria solo se adotteranno la linea di massa come loro principale metodo di lavoro e di direzione in ogni campo e impareranno a essere parte, sostegno e direzione della resistenza delle masse popolari al procedere della crisi sino a trasformarla in lotta per il socialismo.

4. Il partito comunista sarà formato quando le forze soggettive della rivoluzione socialista avranno imparato a concretizzare e attuare questa linea, a mettere a punto metodi e strumenti confacenti a questo obiettivo e si saranno trasformate in modo da rendersi atte ad adempiere questo ruolo.

 

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Nei prossimi anni, nel nostro e negli altri paesi le masse popolari (1) inevitabilmente (2) si mobiliteranno su scala via via più ampia e assumeranno un ruolo determinante nella lotta politica.

 

1. In questo scritto si mostra che la società ai fini della lotta economica e politica e oggettivamente divisa in due (e solo due) campi contrapposti: uno diretto dalla borghesia imperialista, l’altro diretto dalla classe operaia. Quest’ultimo e composto, oltre che dalla classe operaia, dalle altre classi proletarie (che sono anche quelle su cui la classe operaia può fare maggiore affidamento) e da alcune classi non proletarie (lavoratori piccoli proprietari di mezzi di produzione e classi che hanno una parte, ma minore e un ruolo, ma secondario nello sfruttamento dei lavoratori). Questa divisione oggettiva della società indica i confini degli obiettivi che l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista può raggiungere. Con l’espressione masse popolari si indicano tutte le classi che in una determinata fase della rivoluzione le forze soggettive della rivoluzione socialista possono riuscire a unire nel campo diretto dalla classe operaia. Questi concetti sono trattati più diffusamente nell’articolo Il campo della rivoluzione socialista. Classe operaia, proletariato, masse popolari, in questo numero di Rapporti Sociali.

 

2. Qui e in altri punti degli scritti di Rapporti Sociali, quando parliamo del rapporto tra gli uomini e il resto della natura, tra gli individui e i gruppi organizzati che svolgono un’attività sociale sistematica, programmatica e mirata da una parte e il movimento delle classi e della società dall’altra, tra la teoria e la coscienza da una parte e la pratica dall’altra, ripetutamene parliamo di processi “inevitabili”, “irresistibili”, “necessari”, che “devono compiersi”, “non possono non compiersi”, ecc. Con queste espressioni indichiamo

- che i processi si svilupperanno non perché ora (o se ora) alcuni individui, gruppi, partiti, classi li hanno già in testa e lavorano già per attuarli;

- che può anche succedere che una parte più o meno grande dei protagonisti e attori di questi processi li compiano senza comprenderli o avendone una comprensione molto approssimativa, molto parziale e comunque molto limitata;

- che questi processi, però, si compiranno perché sono oggettivamente necessari e determinati dalle leggi proprie del movimento della società attualmente in corso.

Questo significa forse che gli uomini protagonisti e attori di questi processi non pensano o perlomeno che non pensano a quello che fanno? No. In generale i protagonisti e gli attori del processo non solo pensano ma anche, in qualche modo, pensano a quello che stanno facendo e vivendo, ne hanno in sé una rappresentazione più o meno corrispondente al processo reale, più o meno sistematica. Ogni processo vissuto dagli uomini produce inevitabilmente una qualche rappresentazione di sé negli uomini che vi prendono parte; essendo l’uomo un essere sensibile e pensante, egli, in generale, pensa e non può non pensare quello che fa. Quello che vogliamo dire è che la causa del processo non è né questa coscienza, né la  volontà di fare che ne consegue; al contrario è il processo la causa della coscienza e della volontà che si riscontrano negli individui e nei gruppi di individui.

Questo vuol forse dire che gli uomini sono determinati a compiere un’azione come una palla posta su un piano inclinato è determinata a rotolare verso il basso, cioè determinati meccanicamente, spinti e costretti da una forza esterna che agisce su loro come ad esempio in un ingranaggio la ruota motrice agisce su quella mossa? No. Un processo del genere di cui parliamo e piuttosto un processo che produce negli uomini la coscienza e la volontà necessari al suo compimento, sicché le loro azioni sono a prima vista e in prima istanza un prodotto della loro coscienza e della loro volontà e per ogni uomo le sue azioni sono prodotto della sua propria coscienza e della sua propria volontà. Ma sono proprio la coscienza e la volontà che sono arrivate più o meno bene l’una a comprendere e l’altra a regolarsi in modo da portare alle azioni attraverso cui il processo sociale si compie. Un processo umano (e quindi anche un processo sociale), proprio perché è un processo di uomini, si compie nel modo proprio degli uomini, cioè come processo composto di attività pratiche, di sensazioni, di immaginazioni, di pensiero e di volontà. Ogni cosa infatti opera secondo la sua natura, a modo suo.

Consideriamo un agricoltore. Egli compie a ogni stagione alcune determinate lavorazioni e non altre e le sue azioni sono un prodotto della sua conoscenza e della sua volontà. Ma e forse la sua coscienza del tempo, la sua scienza del calendario astronomico, la sua volontà di alternare i vari lavori agricoli in una data successione che hanno determinato il succedersi delle stagioni e la connessione tra esse e alcune (e non altre) fasi della vita dei vegetali? Al contrario è proprio il succedersi delle stagioni in cui l’uomo è posto e la connessione delle diverse fasi della vita dei vegetali con le stagioni che hanno fatto sorgere nell’uomo la coscienza del tempo, la scienza del calendario astronomico e la volontà di compiere proprio quelle (e non altre) lavorazioni agricole in quella stagione, ecc. Egli ha “scoperto” la connessione tra le prime e la seconda e sfrutta ai suoi fini questa connessione scoperta. È la successione delle stagioni e la connessione tra le fasi della vita dei vegetali e le stagioni che “spiegano” la coscienza e la volontà degli uomini, non viceversa. Allo stesso modo anche la coscienza e la volontà degli uomini relative a se stessi e alla società umana possono essere comprese e spiegate solo alla luce e come prodotto dei processi in cui gli uomini sono immersi e di cui sono attori. Mentre è inconcludente il tentativo di comprendere e spiegare i processi con la coscienza e la volontà degli uomini.

In conclusione l’inevitabile, l’inarrestabile, il necessario di cui parliamo a più riprese e a proposito di vari processi è l’inevitabile, il necessario, il socialmente oggettivo, il “naturale” che i fondatori della concezione materialista della storia hanno scoperto esistere nel movimento della società, scoperta che é alla base di ogni scienza della società e della storia (ossia di ogni sociologia e storia scientifiche).

Marx esprime questa scoperta in questo modo:

“Il risultato generale a cui arrivai è che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato cosi: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. Allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può, essere studiato con la precisione delle scienze naturali e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si sono sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione” (K. Marx, Per la critica dell’economia politica - prefazione, 1859).

Lenin ha illustrato e dimostrato questa stessa concezione, con ricchezza di dettagli ed esempi, nel corso della confutazione della sociologia soggettivista dei populisti del suo tempo (vedasi ad esempio V.I. Lenin, Che cosa sono gli amici del popolo, 1894, in Opere, vol. 1), che, come i soggettivisti del nostro tempo, sostenevano anch’essi che il movimento della società e degli individui era determinato dalla coscienza e dalla volontà degli uomini.

Ovviamente quando affermiamo che un dato processo si compirà inevitabilmente, la nostra affermazione può essere giusta, ossia essere un’affermazione scientifica, cioè fondata sul la conoscenza delle leggi che il movimento economico e politico della società segue nel suo svolgersi e delle circostanze concrete in cui esso sta svolgendosi; o può essere sbagliata, ossia un inutile auspicio, una fede cieca, un imbroglio voluto o il prodotto di un’inadeguata conoscenza delle leggi e delle circostanze concrete. Nel campo della lotta politica ogni affermazione, dovendo servire come guida per la propria attività di protagonista e di attore del processo, non può rimandare semplicemente, come sua dimostrazione, alla verifica dell’attuarsi del processo stesso; essa può e deve fondarsi sulla conoscenza del movimento in corso e delle sue leggi: sul bilancio dell’esperienza passata. L’attuarsi del processo in conformità alla previsione tuttavia resta la verifica definitiva e di ultima istanza dell’affermazione stessa.

Il romanziere inglese Marshall, nel romanzo Il mondo, la carne e padre Smith, narra come durante la prima guerra mondiale il prete Smith convincesse i suoi parrocchiani poveri, restii a partire per la guerra, assicurando ad essi che la vittoria inglese avrebbe posto fine per sempre a ogni guerra e avrebbe instaurato un nuovo mondo di pace, di giustizia e di benessere. Anni dopo uno di questi suoi parrocchiani, oramai definitivamente demoralizzato e inebetito dalle privazioni e dalla miseria, cessa di rinfacciare al prete la sua affermazione truffaldina e proclama che non il prete aveva sbagliato, ma gli  uomini che non avevano fatto quello che il prete aveva predetto.

Le nostre ripetute affermazioni relative a processi che inevitabilmente si compiranno non sono affermazioni “da padre Smith” solo se i processi si compiono effettivamente nel modo da noi indicato.

Noi materialisti dialettici sosteniamo che gli uomini sono in grado di raggiungere una conoscenza (relativa, ma perfettibile all’infinito) della realtà: cosa che e confermata da tutta la pratica umana. Sono gli agnostici e i relativisti (alcune delle categorie in cui si dividono gli idealisti) che negano che la nostra conoscenza riflette la realtà.

A proposito dell’inevitabilità dei processi inevitabili che indichiamo negli scritti di questo numero di Rapporti Sociali si vedano le argomentazioni degli scritti stessi o degli scritti di altri numeri di Rapporti Sociali.

 

La crisi economica generale del sistema capitalista mondiale prosegue e già hanno iniziato a manifestarsi anche la crisi dei regimi politici dei singoli paesi e la crisi del loro sistema internazionale.

Qui non si tratta della crisi del capitalismo in generale, cioè della conclusione del suo ruolo progressivo e dell’inizio del suo decadimento; questa crisi è in corso grossomodo dalla fine del secolo scorso, quando il capitalismo arrivò allo stadio dell’imperialismo.

Quello di cui parliamo ora è un episodio particolare all’interno di quella crisi generale, è la crisi delle specifiche formazioni economico-sociali (3) consolidatesi alla fine della seconda guerra mondiale, cioè delle formazioni economico-sociali che sono state per quarant’anni le forme, storicamente determinate, della dominazione della borghesia imperialista.

La sostanza della crisi economica in corso, la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, consiste nel fatto che nell’ambito delle attuali formazioni economico-sociali il capitale non riesce più ad accumularsi nella misura ad esso necessaria.(4)

In che cosa consiste la crisi dei regimi politici borghesi dei singoli paesi? Nel fatto che i gruppi che compongono la classe dominante non riescono più a regolare i rapporti tra di loro con le concezioni, gli istituti e le istituzioni attraverso cui questi rapporti si sono svolti nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Nel fatto che la classe dominante non riesce più a contenere e dirigere le classi oppresse con le concezioni, gli istituti e le istituzioni che pure hanno funzionato nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.(5)

 

3. Con l’espressione formazione economico-sociale indichiamo l’insieme dei rapporti di produzione, dei conseguenti rapporti politici e culturali che legano tra loro i membri di una società e delle relative istituzioni attraverso cui quei rapporti si attuano.

 

4. Per maggiori chiarimenti sulla crisi economica in corso si veda l’articolo La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, in questo numero di Rapporti Sociali.

 

5. In proposito si veda l’articolo La situazione rivoluzionaria in sviluppo, in Rapporti Sociali n. 9/10.

 

In che cosa consiste la crisi del sistema politico internazionale della borghesia imperialista? Nel fatto che le concezioni, gli istituti e le istituzioni che nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale hanno regolato i rapporti tra i vari Stati (Stati imperialisti e Stati delle semicolonie) ora non funzionano più, gli interessi delle classi dominanti dei singoli paesi sono diventati antagonisti e non accettano più quella regolazione. In primo luogo fa acqua da tutte le parti il protettorato sotto cui, alla fine della seconda guerra mondiale, lo Stato della borghesia imperialista USA aveva costretto gli Stati degli altri paesi imperialisti e quelli delle semicolonie. Lo Stato della borghesia USA aveva potuto instaurare universalmente la sua autorità politica, sottomettendo al suo protettorato gli altri Stati imperialisti e delle semicolonie, perché essa aveva una netta supremazia mondiale in campo commerciale e finanziario. Solo su questa base aveva potuto costruire la sua universale supremazia politica, ossia gli strumenti per condizionare i processi politici degli altri paesi. La sua supremazia militare, per quanto rumorosa e ostentata, era una componente secondaria, soprattutto una forza di dissuasione. Oramai il suo protettorato ha perso la sua base fondante (la supremazia finanziaria e commerciale della borghesia imperialista USA), sopravvive ancora per la residua capacità dello Stato USA di condizionare i processi politici degli altri paesi e ogni giorno di più deve ricorrere alle armi per mantenersi.

La crisi economica e le conseguenti crisi politiche obbligheranno irresistibilmente tutte le classi a uscire dal corso abi tuale in cui per alcuni decenni si è svolta la loro attività, ad abbandonare abitudini, modi d’essere, culture, aggregazioni, relazioni e istituzioni consolidate da alcuni decenni, a cambiare idee, a cercare nuove aggregazioni e nuove soluzioni ai problemi della loro esistenza. Esse sconvolgeranno, in particolare, via via più profondamente e più diffusamente il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza delle masse popolari; sconvolgeranno via via più profondamente e più diffusamente anche le condizioni spirituali della loro esistenza; precipiteranno le masse popolari in una situazione materiale e spirituale tragica.(6)

 

6. Con (’espressione condizioni materiali dell’esistenza indichiamo i beni e i servizi che gli uomini usano per vivere. Con l’espressione condizioni spirituali dell’esistenza indichiamo le idee, le concezioni, le immagini, i sentimenti con cui gli uomini rappresentano a se stessi la loro esistenza e le relazioni e le istituzioni politiche, culturali, religiose in cui quella coscienza si esprime (si estrinseca) e si materializza (si oggettiva).

 

Nei prossimi anni il bisogno di far fronte al procedere della crisi della società borghese determinerà, come comune sorgente e forza motrice, il sorgere, il moltiplicarsi, il diffondersi e l’approfondirsi di nuove attività pratiche e spirituali delle masse popolari. Già oggi la resistenza al procedere della crisi della società borghese proietta la sua luce sulle vecchie iniziative e attività pratiche e spirituali delle masse popolari: riempie alcune di un contenuto nuovo rispondente alla nuova situazione, svuota altre del loro contenuto condannandole al deperimento e alla morte.(7) La resistenza al procedere della crisi della società borghese imprimerà il suo segno caratterizzante sulle più svariate e contraddittorie forme di attività, di mobilitazione e di organizzazione delle masse popolari. Essa spingerà le masse popolari a mobilitarsi ed esse diventeranno una forza irresistibile che travolgerà le attuali formazioni economico-sociali.

 

7. Alcuni compagni si ostinano a non comprendere che la resistenza al procedere della crisi della società borghese è la causa prima, la base, la forza motrice, l’essenza comune di tutte (tutte, quindi non solo quelle di sinistra) le nuove iniziative delle masse popolari e imprime il proprio segno sempre più importante anche a tutte le iniziative delle masse popolari già in corso da tempo. Basta pensare come è già mutato negli ultimi dieci anni il rapporto delle masse popolari con le attività politiche e culturali delle organizzazioni del regime (partiti, sindacati, associazioni varie) e il lamentato calo di partecipazione delle masse alle loro attività; basta pensare alla formazione di organismi di resistenza al di la politica padronale nei luoghi di lavoro (Cobas, comitati di lotta, ecc.), alle manifestazioni spontanee di dissenso e lotta contro i sindacati di regime; basta pensare alla formazione di bande giovanili, alla tendenza a raggrupparsi in gruppi d’interesse per farli valere; basta pensare allo sviluppo di sette, alla fioritura di forme di misticismo e di pratiche esoteriche; al diffondersi di forme di “violenza gratuita” apparentemente immotivata; alla diffusione dell’uso di droghe e di altre manifestazioni di autodistruzione; alla diffusione del doppio e triplo lavoro; alla diffusione del “volontariato”; ecc. Finché non comprendono questo e quindi non imparano a vedere in ogni iniziativa delle masse popolari, anche in quelle dirette dalla borghesia imperialista, in che cosa e come si manifesta la resistenza al procedere della crisi della società borghese, le forze soggettive della rivoluzione socialista si privano della capacità di sfruttare la mobilitazione reazionaria delle masse popolari a vantaggio della rivoluzione socialista e, più in generale, della capacità di sostenere e dirigere la resistenza delle masse popolari sino a trasformarla in lotta per il socialismo.

 

Questa è una svolta di importanza storica. Per alcuni decenni, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la borghesia imperialista è riuscita nell’impresa di escludere le masse popolari dall’esercizio del potere e dalla lotta per il potere. Nella maggior parte dei paesi imperialisti le istituzioni politiche create alla fine della seconda guerra mondiale sono durate fino ad oggi. Per alcuni decenni, all’interno della classe dominante, i gruppi concorrenti hanno espresso la “volontà generale” della borghesia imperialista, senza conflitti antagonisti tra loro e il potere della borghesia imperialista non è mai stato seriamente minacciato dalle masse popolari. Per alcuni decenni queste sono esistite, come realtà collettiva e come soggetto, solo nelle lotte rivendicative (che miravano a indurre le istituzioni della borghesia imperialista a fare o a non fare qualcosa, a comportarsi in un determinato modo, ad ampliare redditi e diritti delle masse popolari, ecc.) e nel ruolo di spettatori, comparse e coro delle attività politiche e culturali della borghesia imperialista.(8) Le attività delle masse popolari in campo politico sono state volte principalmente a condizionare le istituzioni del nuovo regime e i risultati di queste attività (le riforme del capitalismo dal volto umano: l’estensione dell’educazione scolastica – “scuola di massa”, il Servizio Sanitario Nazionale, il sistema pensionistico e previdenziale, la regolamentazione dei rapporti di lavoro e delle condizioni di lavoro, la relativa stabilità del posto di lavoro, le politiche di pieno impiego, ecc.)  sono venuti al mondo come decisione delle istituzioni del nuovo regime e come campi amministrati da esse.(9) Qual è l’elemento principale che ha reso possibile quel lungo periodo di pace sociale? Gli sconvolgimenti rivoluzionari dell’assetto politico e il salto in avanti della coscienza e dell’organizzazione delle masse popolari compiuti nella prima metà del secolo; essi non avevano portato alla vittoria della rivoluzione proletaria su scala mondiale,(10) ma avevano tuttavia portato alla fine della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale con l’instaurazione e il consolidamento di nuove formazioni economico-sociali capitaliste nell’ambito delle quali erano ricominciate l’accumulazione del capitale e, di conseguenza, la crescita del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. Su questa base le masse popolari erano riuscite a conquistare le riforme diffuse e profonde del “capitalismo dal volto umano”.(11) L’espressione in campo politico del ruolo subalterno delle masse popolari in quei decenni sono stati da una parte il suffragio universale,(12) dall’altra lo sviluppo e il successo su larga scala del revisionismo moderno.(13)

Quella fase ora è finita. Nei prossimi anni la lotta per il potere coinvolgerà direttamente le masse popolari, chiamerà le masse popolari all’azione diretta, extraistituzionale, non delegata. Il procedere della crisi della società borghese metterà a nudo l’impotenza dell’attuale classe dominante a dominare e dirigere, con le attuali sovrastrutture (istituzioni e concezioni),(14) le forze che si sono sviluppate in seno alla società. Le classi dominanti nei vari paesi e i gruppi concorrenti che in ogni paese compongono la classe dominante faranno sempre più ricorso alla mobilitazione delle masse popolari per risolvere le lotte tra di loro, dato che i contrasti che li dividono ora sono diventati antagonisti (15) e alla mobilitazione di una parte delle masse popolari contro altre come mezzo per mantenere una dominazione che traballa. La crisi della società borghese sconvolgerà a tal punto il processo produttivo che le masse popolari per sopravvivere dovranno muoversi direttamente alla ricerca di soluzioni. Questo è il tratto principale tra quelli che distinguono il movimento politico della nostra società del periodo che ci sta davanti da quello del periodo che ci sta alle spalle.

 

8. L’espressione principale di ciò in campo politico è stato suffragio universale: il gruppo della classe dominante che, in concorrenza con altri gruppi della stessa classe, assumeva la direzione delle attività dello Stato doveva riuscire a ottenere la sanzione del voto popolare, a farsi legittimare dal voto popolare; quindi le varie espressioni politiche della borghesia imperialista si contendevano tra loro, alla loro maniera, il voto popolare. Il voto popolare diventava una componente del processo attraverso cui i gruppi concorrenti della borghesia imperialista trattavano i loro contrasti non antagonisti.

In campo culturale il fenomeno più rilevante è stato il predominio della cultura borghese di sinistra; a proposito di questa rinviamo a Rapporti Sociali n. 1, pag. 26 e segg.

 

9. È per questo che tale campo (la scuola pubblica, il sistema pensionistico e previdenziale, il servizio sanitario nazionale, il sistema del collocamento, il sistema della regolamentazione e del controllo delle condizioni di lavoro, il sistema della protezione dell’ambiente, il sistema della regolazione e redistribuzione del reddito, ecc.), costituito dalle conquiste strappate dalle masse popolari, è stato sempre permeato dai bisogni e dalle concezioni della borghesia imperialista: cosa che lo ha portato allo sfascio attuale di cui la borghesia imperialista approfitta per sopprimere le conquiste e per proiettare un giudizio negativo sulle lotte che le avevano fatte venire al mondo.

 

10. Quali sono i motivi della mancata vittoria della rivoluzione proletaria su scala mondiale, e segnatamente in Europa occidentale e negli USA, nel corso della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (grossomodo 1910-1945)? Ecco un quesito a cui devono rispondere quanti accettano la tesi di Lenin che l’imperialismo è la fase suprema del capitalismo e l’anticamera del socialismo, che l’epoca dell’imperialismo è l’epoca del declino del capitalismo e della vittoria della rivoluzione proletaria. Quei compagni per cui queste frasi non sono slogan per darsi coraggio, ma tesi che descrivono la situazione reale e, quindi, guida per l’azione, aspirando oggi ad assumersi il compito di dirigere il nuovo movimento rivoluzionario, devono necessariamente rispondere a questa domanda per cercare di non ripetere i vecchi errori che allora portarono alla “mancata vittoria”. Oggi affermate che “farete la rivoluzione socialista”, ma che fiducia potete avere nella vostra affermazione se non vi è chiaro perché non l’abbiamo fatta ieri e cosa abbiamo di nuovo oggi per poter essere sicuri di fare domani quello che non siamo riusciti a fare prima? Gli insuccessi ripetuti e prolungati, il lavoro pressoché a vuoto fatto per anni verso le masse popolari portano al pessimismo e alla sfiducia se non si comprendono le ragioni reali e nient’affatto misteriose per cui allora le cose sono andate cosi e l’errata concezione della situazione che allora guidò l’azione delle forze soggettive della rivoluzione.

Noi sosteniamo che la svolta di questi anni consiste nel fatto che, nel periodo in cui siamo entrati, la rivoluzione socialista è nuovamente possibile (e quindi almeno in qualche paese sicuramente ci saranno rivoluzioni socialiste). Al contrario, nel periodo 1945-1975 la conquista del potere da parte della classe operaia nei paesi imperialisti non era possibile (e le forze rivoluzionarie si trovavano in difficoltà anche nel resto del mondo) perché il capitale era entrato in una fase di ripresa e di sviluppo (a cui corrispondeva, come risultato del movimento delle masse popolari, non la rivoluzione socialista, ma il capitalismo dal volto umano o Stato sociale o società del benessere). Sbagliavano i compagni che ritenevano possibile una rivoluzione socialista in quel periodo; essi dedicarono (inutilmente) i loro sforzi alla sua realizzazione immediata, anziché dedicarli all’accumulazione delle forze nel reale movimento delle masse popolari di quel periodo, in vista della svolta che immancabilmente sarebbe arrivata. Ora infatti la svolta è arrivata e le forze sog gettive della rivoluzione socialista sarebbero in condizioni ben migliori delle attuali se nei trent’anni del capitalismo dal volto umano avessero dedicato le loro energie all’accumulazione delle forze.

Noi sosteniamo che la causa principale della mancata vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti durante la grande e prolungata situazione rivoluzionaria (prodotta dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale) del periodo 1910-1945 consiste, detto in breve, nel fatto che le forze soggettive della rivoluzione socialista, operanti nei paesi imperialisti, a livello teorico non raggiunsero una comprensione adeguata della situazione rivoluzionaria delle tendenze in essa operanti, dei percorsi oggettivi della rivoluzione socialista (guerra popolare rivoluzionaria di lungo periodo, fronte unito delle classi rivoluzionarie) e del metodo di lavoro e di direzione propri delle forze soggettive della rivoluzione socialista (linea di massa); a livello pratico, di conseguenza, esercitarono tutte queste cose in modo non organico, non sistematico, non programmatico, non consapevole, non riuscirono (e non potevano riuscire), quindi, a condurre le masse popolari alla vittoria, nonostante la lunga e profonda crisi attraversata dalla borghesia imperialista e la vasta e accanita mobilitazione delle masse popolari. Detto in altre parole, è per questo che sosteniamo che il maoismo è una nuova superiore tappa della concezione comunista del mondo e della teoria della rivoluzione socialista; che l’assimilazione del maoismo da parte delle forze soggettive della rivoluzione socialista è una condizione necessaria della vittoria della rivoluzione socialista, mentre la condizione sufficiente della vittoria della rivoluzione socialista nella situazione rivoluzionaria in corso è la capacità delle forze soggettive della rivoluzione socialista di applicare la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione del partito comunista nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese.

Molti avventuristi (estremisti “di sinistra”) sono il risultato di una profonda sfiducia nelle possibilità delle masse popolari e di una profonda sfiducia nelle possibilità di vittoria della nostra causa. Essi sono impregnati della convinzione che le masse popolari non vogliono il socialismo o sono indifferenti al socialismo e che socialismo e una cosa compresa e voluta solo da essi stessi e da un’élite di illuminati. Sono impregnati, cioè, della tesi che la cultura borghese diffonde a piene mani: il socialismo può sorgere solo come imposizione sulle masse di una minoranza di esaltati e scalmanati. Al contrario noi, sul la base dell’esperienza degli avvenimenti del nostro paese e di tutto il mondo degli ultimi duecento anni, siamo sicuri che le masse popolari vogliono, a loro modo, il socialismo; che le difficoltà incontrate nel cammino verso il socialismo derivano principalmente dall’incapacità dei dirigenti di raccogliere la volontà delle masse, concentrarla in linea politica e dirigere le masse sulla base di questa linea; che il ruolo principale e specifico dei comunisti consiste nel comprendere la reale volontà delle masse, raccoglierla, organizzarla e dirigerla. Gli avventuristi sono impregnati della profonda sfiducia che la causa del socialismo possa trionfare; per questo rifuggono dal lavoro sistematico e di lungo respiro teso a riunire le condizioni della vittoria e a imparare a svolgere il loro ruolo dirigente svolgendolo; per questo mettono in primo piano, nel loro lavoro, le “azioni di protesta”, senza rendersi conto che le masse compiono “azioni di protesta” tutti i giorni e che hanno bisogno non di alcune “azioni di protesta” in più o più eclatanti, ma hanno bisogno che i comunisti raccolgano queste “azioni di protesta” e le valorizzino politicamente, come mezzo per avanzare verso la conquista del potere, ossia, anzitutto come mezzo per costruire il partito comunista e il sistema organizzato masse popolari-classe operaia-partito.

 

11. Alcuni compagni sostengono che la pace sociale dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e in generale le difficoltà incontrate in quei decenni dalla rivoluzione proletaria (prevalere del revisionismo moderno, ecc.) sono state il prodotto principalmente dell’abile manipolazione delle coscienze delle masse popolari da parte della classe dominante; altri che sono state il prodotto principalmente della repressione esercitata dalla classe dominante; altri che sono state il prodotto principalmente del tradimento dei dirigenti comunisti trasformatisi in fautori del revisionismo moderno. Noi respingiamo tutte queste tesi come infondate di fatto, ma politicamente volte a paralizzare o indebolire le forze soggettive della rivoluzione socialista.

 

12. Il suffragio universale è una delle conquiste strappate dalle masse popolari; esso è esistito in quegli anni permanentemente in quasi tutti i paesi imperialisti perché in quegli anni i rapporti tra i gruppi costitutivi della classe dominante non erano antagonisti e l’aspetto antagonista del rapporto tra la borghesia imperialista e le masse popolari era passato in secondo piano (ripresa e sviluppo dell’accumulazione del capitale e capitalismo dal volto umano). Non a caso ora dovunque incomincia ad “andare stretto” e viene sempre più limitato ed eroso.

 

13. Il revisionismo moderno è stato la corrente politica sviluppatasi, con il sostegno della borghesia imperialista, dopo la seconda guerra mondiale all’interno del movimento operaio sia dei paesi socialisti sia degli altri paesi. Esso fu caratterizzato dalla negazione o dall’indebolimento della lotta rivoluzionaria del proletariato (del ruolo del partito comunista e della dittatura del proletariato), dalla negazione o dall’indebolimento della trasformazione socialista e della costruzione del socialismo, dalla negazione o dalla distorsione del materialismo e della dialettica. Il revisionismo moderno fu la principale linea d’attacco della borghesia imperialista contro la classe operaia nel periodo 1945-1975 (ben più grave del boicottaggio economico, dell’accerchiamento militare e della repressione, delle operazioni terroristiche e spionistiche, delle infiltrazioni, ecc.). La crisi dei regimi e dei partiti revisionisti esplosa clamorosamente al la fine degli anni ’80 è quindi anche la crisi di quella specifica linea d’attacco della borghesia imperialista contro la classe operaia.

A proposito del revisionismo moderno si vedano Rapporti Sociali n. 5/6, 7 e 11.

 

14. L’impotenza dell’attuale classe dominante è relativa all’attuale formazione economico-sociale, perché anche la crisi economica è relativa all’attuale formazione economico-sociale. La crisi non è cioè assoluta, non è l’ultima crisi possibile (contrariamente a quanto alcuni compagni vanno sostenendo, forse per darsi coraggio!), non è la vigilia diretta di un’inevitabile scomparsa del capitalismo. Nell’ambito dell’attuale formazione economico-sociale l’accumulazione del capitale non può più procedere: in questo sta la fonte, il nucleo della crisi. Ma d’altra parte gli interessi costituiti dei gruppi che compongono l’attuale classe dominante sono legati ai rapporti e alle istituzioni di questa concreta formazione economico-sociale: per questo la classe dominante non può cambiare gradualmente e pacificamente la formazione economico-sociale né esiste una nuova formazione economico-sociale borghese bell’e pronta da sostituire all’attuale, in cui l’accumulazione del capitale possa riprendere. Tant’é vero che tutte le misure finora prese dalle autorità imperialiste contro la crisi non configurano una formazione economico-sociale nuova, ma solo la rimozione di quelle forme antitetiche dell’unità sociale che hanno impedito finora alla crisi di svilupparsi in tutta la sua forza devastatrice (settore pubblico dell’economia, istituzioni previdenziali e assistenziali, regolamentazione per legge dei rapporti di lavoro, ecc.: cioè il “meno mercato e più Stato” contro cui si scagliano i nuovi salvatori della patria!), rimozione che tende a riportare l’attuale formazione economico-sociale a quella antecedente la prima guerra mondiale. Anche l’ipotetico passaggio dall’attuale formazione economico-sociale a un’altra formazione economico-sociale ancora capitalista non può realizzarsi che con un processo di lotta e di guerra: non a caso la lotta unilaterale e limitata agli aspetti specifici dell’attuale formazione economico-sociale è uno dei fattori costitutivi essenziali della mobilitazione rea zionaria delle masse, come si illustra più avanti in questo scritto; anche la lotta delle masse popolari contro la società borghese non può che iniziare come lotta contro le particolari istituzioni e i particolari istituti di questa formazione economico-sociale.

Alcuni compagni rifiutano di prendere atto del reale e concreto stato delle cose (della dialettica reale tra particolare e generale, tra soggettivo e oggettivo, tra sovrastruttura e struttura, tra manifestazioni e fenomeni prodotti dalla mediazione e sostanza del processo in corso) e si rifugiano nel dilemma: abbattimento della società capitalista per azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista o crollo della società capitalista sotto il peso delle sue proprie contraddizioni senza intervento delle forze soggettive? Prigionieri di questo dilemma sciocco benché antico, questi compagni pongono noi tra i sostenitori della teoria del crollo del capitale, distorcendo la teoria della crisi generale per sovrapproduzione assoluta (cioè estesa a tutti i settori) di capitale. È evidente da tutto quanto è stato scritto su Rapporti Sociali che la teoria del crollo è un avversario di comodo attribuitoci dalla fantasia creatrice dei polemisti. Un individuo che ha un difetto alla vista per cui vede solo o verde o rosso (soggettivo o oggettivo), deve attribuire all’uno o all’altro dei due colori tutte le cose, nonostante queste siano di mille colori.

Noi sosteniamo che il soggettivo e l’oggettivo sono due componenti distinte del movimento della società umana, che i due formano gli opposti di una contraddizione, che tra i due esiste un ben determinato rapporto. Questo rapporto non è l’interazione reciproca (come sostengono gli eclettici); non è la determinazione dell’oggetto da parte del soggetto o della realtà da parte delle idee (come sostengono i soggettivisti e gli idealisti); non è la determinazione del soggetto da parte dell’oggetto (come sostengono i meccanicisti). Il rapporto tra il soggettivo e l’oggettivo non è nessuno di questi tre, bensì è un rapporto materialista dialettico. Cosa vuol dire? Il rapporto materialista-dialettico tra i due consiste in ciò:

1. In linea generale l’oggettivo determina il soggettivo, il soggettivo nasce dall’oggettivo: il pensiero dalle sensazioni, l’uomo dall’animale, l’animale dalla materia animata, la materia animata dalla materia inanimata. In particolare “l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o sono almeno in formazione” (K. Marx).

2. Il soggettivo, una volta determinato (messo al mondo) dall’oggettivo, agisce sull’oggettivo e lo trasforma sicché il corso dell’oggettivo viene mutato a causa del soggettivo che esso ha generato: la teoria guida la pratica dell’uomo che ne è in possesso, l’uomo trasforma la società che lo ha generato, l’animale trasforma la materia inanimata da cui è sorto, ecc.

3. In ogni passaggio concreto, quindi, uno dei due è principale nella contraddizione e l’altro è secondario; uno determina e l’altro è determinato. Quale dei due è il principale e quale è il secondario può essere scoperto solo tramite l’analisi concreta del passaggio concreto.

4. Ogni cosa si trasforma secondo le sue proprie leggi e secondo le possibilità di trasformazione date dalla contraddizione che costituisce la sua natura. Quindi l’azione di una cosa sull’altra non può avvenire che in conformità alla sua natura e secondo le leggi sue proprie di sviluppo. Per cui sia l’azione dell’oggettivo sul soggettivo sia l’azione del soggettivo sull’oggettivo sono conformi alla natura e alle leggi dell’uno e dell’altro: la stessa acqua agisce in un modo sulla nuda roccia, in un altro sul terreno, in un altro ancora sulla pelle di un viandante, in un altro ancora sul cervello di un chimico, in un altro ancora sulla sensibilità di un poeta. D’altra parte l’acqua e il fuoco agiscono in modo diverso sulla stessa tela, ecc. L’intervento teoricamente guidato e mirato è efficace solo se è conforme e basato sulle leggi del suo oggetto: come l’intervento tecnologico dell’uomo su un minerale per ricavarne metallo, su un animale per addestrarlo, ecc.

5. Il soggettivo e l’oggettivo si trasformano in determinate condizioni e in determinati modi l’uno nell’altro: ciò che è oggettivo diviene soggettivo e ciò che è soggettivo diviene oggettivo. Il movimento delle masse popolari è il soggetto che trasforma la formazione economico-sociale, ma è l’oggetto che forma le forze soggettive della rivoluzione socialista e che queste trasformano.

La teoria della contraddizione è esposta in dettaglio in Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, nel vol. 5 delle Opere di Mao Tse-tung.

 

15. Nel nostro paese la direzione della resistenza delle masse popolari da parte di gruppi della classe dominante nella lotta tra loro è iniziata con i “sacrifici per salvare l’economia nazionale”, per “rendere competitive le nostre merci sul mercato mondiale”, per “permettere lo sviluppo economico del Meridione” (“svolta dell’EUR” del 1977) è già passata al “comperate italiano” e alla mobilitazione contro gli immigrati e finirà domani, se prevarrà, nelle guerre civili e nelle guerre tra Stati.

 

2

 

La mobilitazione delle masse popolari è quindi un processo inevitabile, non dipendente né dalla volontà, né dal desiderio, né dall’azione consapevole e mirata di alcun gruppo: è da assumere come un dato oggettivo. Nessuna forza potrà impedirla cosi come nessuna forza potrà impedire che la crisi economica del sistema capitalista prosegua il suo corso verso una delle due sole soluzioni possibili. Ciò che non è determinato ancora sono i tempi in cui la mobilitazione delle masse popolari si svilupperà, il carattere che essa assumerà e quale delle due classi fondamentali dell’attuale società (la classe operaia o la borghesia imperialista) riuscirà a prendere la direzione di questa mobilitazione.

Quanto ai tempi dello sviluppo della mobilitazione delle masse popolari, il processo è solo all’inizio, esso riguarderà un’intera fase storica e procederà in crescendo per un lungo periodo attraverso alti e bassi. Sbagliano perciò i catastrofisti, i seminatori di allarmi, i disfattisti del “siamo in ritardo”, ecc. Le forze soggettive della rivoluzione socialista(16) hanno tutta la possibilità di raccogliere e valorizzare esperienze, di organizzarsi, di trasformarsi e crescere, di formare il partito comunista, di prendere la direzione del movimento delle masse popolari. “La partita è ancora tutta da giocare”.

 

 16. Con l’espressione forze soggettive della rivoluzione socialista indichiamo le forze organizzate della rivoluzione e quegli organismi, comunque strutturati, che si pongono come obiettivo il sovvertimento dell’ordinamento politico borghese e la trasformazione socialista della società.

Nel seguito di questo scritto con l’espressione comunisti indichiamo gli individui, generalmente appartenenti alle forze soggettive della rivoluzione socialista, che fanno propria la concezione materialista dialettica del mondo e l’esperienza storica e internazionale del movimento comunista (espressa nel marxismo-leninismo-maoismo). Con l’espressione avanguardia indichiamo gli individui o i gruppi che in un dato ambiente svolgono i1 ruolo di promotori dello sviluppo di una data tendenza:quindi l’espressione avanguardia è vuota di contenuto se non e riferita a un ambiente e a una tendenza.

E ovvio che la lotta teorica (il dibattito, la polemica, la dimostrazione) e la lotta pratica procedono e devono procedere con mezzi diversi con le forze soggettive della rivoluzione socialista, con i comunisti e con le avanguardie. Infatti quando si ha a che fare con una persona (o un gruppo) per trasformare la sua coscienza o per trasformare la sua pratica, è sempre necessario partire da qualcosa che in essa in qualche modo già esiste e far leva su qualcosa che già in essa si muove, da una contraddizione interna. Con un’avanguardia si può partire dai compiti particolari del movimento in corso da cui essa sorge e in cui opera; con le forze soggettive della rivoluzione socialista si può far leva anche sul compito che esse si pongono e sulle necessità dettate da questo compito; con i comunisti si può partire anche dal patrimonio dell’esperienza accumulata dal movimento comunista nei suoi 150 anni di storia. Occorre tuttavia anche tenere presente che nessun individuo e nessun gruppo “sfugge” alla sua condizione materiale e all’azione che essa esercita sulla sua coscienza. Tener conto di ciò e tanto importante quanto più grande è il contrasto tra l’attuale coscienza del nostro interlocutore e la sua condizione materiale che resta sempre la forza motrice di ultima istanza. Consideriamo, ad esempio, il “borghese per condizione materiale” che si schiera dalla parte della rivoluzione socialista: è inevitabile che, a parità di altre condizioni, la sua adesione alla causa socialista risenta degli influssi dell’andamento della crisi della sua classe.

 

I tempi di sviluppo del movimento delle masse popolari sono principalmente determinati da fattori che non rientrano nel campo d’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista. Le masse popolari imparano principalmente dalla loro esperienza diretta. Le forze soggettive della rivoluzione socialista si agitano inutilmente se cercano di forzare i tempi, mentre devono stare bene attente a non ritardare rispetto alle masse popolari: ogni cosa ha il suo tempo e se esse non intervengono al momento giusto l’intero processo può prendere un’altra direzione. Oggi molte delle forze soggettive della rivoluzione socialista da un lato sono impazienti di vedere la realizzazione dei loro sogni, dall’altra sono arretrate rispetto al percorso reale delle masse, sono ferme a pregiudizi, a frasi fatte, a forme di organizzazione e di lotta sclerotizzate.

Oggi siamo appena all’inizio di una fase. La crisi economica del sistema capitalista e iniziata da pochi anni; la crisi politica e appena iniziata; lo smantellamento del “capitalismo dal volto umano” (Stato sociale) è ancora parziale e avviene gradualmente; l’eliminazione degli ostacoli istituzionali e politici al corso della crisi (cioè l’eliminazione di quelle forme antitetiche dell’unità sociale che ostacolavano le grandi oscillazioni del movimento dei capitali) deve ancora compiersi (la deregulation è stata solo un primo pezzo, l’eliminazione del settore pubblico dell’economia e appena iniziato, ecc.); la resistenza delle masse popolari al corso della crisi è ai primi passi; abbiamo solo i primi sintomi della mobilitazione delle masse popolari.

Oggi è appena all’inizio la lotta per l’orientamento dell’incipiente movimento delle masse. Chi parla di battaglia decisiva, di chiudere il processo, di “resa dei conti”, ecc. non considera il processo oggettivo, mette avanti i suoi sogni. La lotta delle forze soggettive della rivoluzione socialista deve accompagnare, passo a passo, il movimento delle masse popolari. Il suo aspetto principale sarà comprendere, raccogliere, far emergere ed elevare l’aspetto positivo di ogni singolo movimento delle masse popolari perché si sviluppi fino in fondo: non inventare forme di lotta (come tendono a fare i deviazionisti “di sinistra”) e nello stesso tempo non rigettare nessuna forma di lotta che si sviluppa tra le masse (come tendono a fare i deviazionisti di destra), ma scoprire tutto quello che c’è, sviluppare tutto quello che c’è, far crescere tutto quello che c’è.

Quanto al carattere della mobilitazione delle masse popolari, la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese già ora combina e inevitabilmente combinerà, in proporzioni diverse da caso a caso e di tappa in tappa, vari aspetti.

Un aspetto difensivo e un aspetto offensivo.

 L’aspetto difensivo della resistenza consiste nell’opporsi all’eliminazione di quello che le masse popolari hanno conquistato nel passato e che, pezzo dopo pezzo, ora la borghesia imperialista toglie ad esse. È, generalmente, l’aspetto iniziale; e l’aspetto più elementare e più diffuso.

L’aspetto offensivo della resistenza consiste nell’attaccare il regime esistente che elimina, pezzo dopo pezzo, quello che le masse popolari hanno conquistato ed è incapace(17) di porre rimedio alle sofferenze che la crisi della società borghese genera e genererà tra le masse popolari: questo aspetto è anch’esso una componente ineliminabile, fin dall’inizio, della resistenza delle masse popolari,(18) ma crescerà d’importanza man mano che le masse popolari impareranno, per propria diretta esperienza, che la difesa, nel migliore dei casi, rallenta ma in nessun caso arresta il procedere della crisi della società borghese.

 

17. L’incapacità dell’attuale regime a porre fine alle sofferenze che la crisi della società borghese genera e più ancora genererà tra le masse popolari l’impotenza dell’attuale regime ad arrestare la distruzione dell’apparato produttivo e lo sconvolgimento del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza, la rassegnazione fatalistica predicata dall’attuale classe dirigente al procedere devastante della crisi hanno una sola origine fondamentale: il rispetto e la difesa della proprietà privata (individuale e di gruppo) capitalista delle forze produttive e dell’iniziativa economica individuale dei capitalisti, la subordinazione di “tutto il resto” a questo. Monsignor Franco Gualdrini, pio vescovo di Terni molto sollecito anche del corpo delle sue pecorelle, indignandosi contro la stangata Amato di settembre, proclama in questi giorni: “Certo le ferree leggi economiche di far quadrare i bilanci non si possono cambiare, ma il principio che tutti paghino proporzionalmente alle proprie possibilità è sacrosanto”. Ecco riassunta in poche e chiarissime parole la posizione più “popolare”, più “di sinistra”, più “democratica” (cosa dicono di più i grandi capi del PDS e di Rifondazione?) dell’attuale regime. Il problema, però, sta proprio nel fatto che volendo far rispettare e proclamando ferree le leggi del modo di produzione capitalista, bisogna “pagare” (sia pure “proporzionalmente alle proprie possibilità). Qui sta il nucleo del problema. Quanto costa, quanto devono pagare le masse popolari per rispettare le “ferree leggi” del modo di produzione capitalista? Quanto costa alle masse popolari la conservazione del capitalismo? Questo il pio vescovo non lo dice appellandosi alla non competenza (“date a Cesare quello che è di Cesare e a dio quello che è di dio!”). Amato dice che “per ora” devono pagare 93.000 miliardi di lire (ma la cifra tende addirittura a crescere). La realtà è che le masse popolari stanno pagando (e ancor più dovranno pagare) un prezzo indeterminabile in termini di arretramento delle condizioni di vita e di lavoro, di disoccupazione, di inquinamento, di abbrutimento, di miseria, di angoscia sul domani, di sopraffazione.

Quanti uomini, se non quelli che le difficoltà hanno già ridotto alla demoralizzazione e all’abbrutimento, si rassegneranno a ciò, anche nel caso (impossibile peraltro) che si realizzi il massimo che il pio vescovo “esige” (e con lui PDS, Rifondazione e tutti i moralizzatori): che tutti siano ridotti allo stesso stato “proporzionalmente alle loro possibilità”? “Male comune, mezzo gaudio”?

 

18. Non è vero che sono le forze soggettive che introducono quest’aspetto nel movimento delle masse popolari. Esso vi esiste, ovviamente al modo in cui le cose esistono tra le masse popolari, già prima che vi si sviluppi l’azione cosciente e mirata delle forze soggettive della rivoluzione socialista (e .quella delle forze soggettive della reazione). I fatti che testimoniano questo sono vari. Citiamo:

- la “disaffezione” crescente delle masse popolari dalla “politica”, ossia dalle attività in cui i partiti e le altre associazioni del regime vogliono coinvolgere;

- il fatto che anche i promotori della direzione, della borghesia nel movimento delle masse popolari (mobilitazione reazionaria delle masse popolari) devono scagliarsi contro l’attuale regime attaccando le forme “particolari” che ha assunto la dominazione della borghesia imperialista (la partitocrazia, la corruzione, il centralismo, ecc.), visto che per la loro natura di classe non possono scagliarsi contro la dominazione della borghesia imperialista, come invece fanno le forze soggettive della rivoluzione socialista;

- il relativo successo che hanno, per un certo tempo, i mestatori e i “salvatori della patria (alla Cossiga, alla Bossi, alla Segni, ecc.) che si propongono come antagonisti dell’attuale regime; il loro successo ovviamente è tanto più immediato e folgorante (e in genere effimero) quanto più questi sono vicini al regime, dispongono quindi dei mezzi di azione pubblica del regime e quanto più la loro opposizione si nutre dei luoghi comuni e dei pregiudizi della cultura della classe dominante, perché questa resta ovviamente ancora la cultura dominante anche tra le masse popolari quindi, inevitabilmente, è la prima cultura, a portata di mano, con cui le masse popolari pensano, immaginano e rappresentano a se stesse la loro propria resistenza.

 

Un aspetto individuale e un aspetto collettivo.

C’è un aspetto individuale per cui milioni di individui si muoveranno, ognuno per trovare una soluzione alle sue personali ristrettezze economiche, al proprio disagio materiale e morale (psicologico, spirituale) e in questa ricerca romperà i vecchi legami e le vecchie frequentazioni. Di fronte allo sconvolgimento delle condizioni materiali e spirituali della loro esistenza, alcuni individui saranno avviliti demoralizzati, inebetiti, abbruttiti, ridotti a livelli di servilismo e di soggezione oggi impensabili; altri tenderanno, affineranno, rafforzeranno al massimo grado il loro energie e capacità e compiranno imprese che non avrebbero altrimenti compiuto: quanti eroi sono sorti durante la Resistenza che senza la Resistenza non sarebbero mai esistiti?

 C’è un aspetto collettivo per cui gli individui si uniranno a gruppi, a corporazioni, a classi, a fronte unito di classi per la difesa e per l’attacco; in questo impareranno a creare e a gestire una prassi collettiva, a concepire la propria esistenza come parte e come contributo alla vita di un collettivo e a esplicare la propria iniziativa come mobilitazione (opera di convincimento e di educazione), organizzazione e direzione di un collettivo.

Un aspetto distruttivo e un aspetto costruttivo.

Un aspetto pratico e un aspetto culturale.

Ad ogni fase della resistenza corrisponderà una lotta particolare tra queste coppie di opposti: lo scontro tra questi opposti sarà onnipresente e assumerà connotati precisi e particolari in ogni iniziativa, in ogni gruppo, in ogni momento.

Sulla sviluppo di queste contraddizioni agiranno sia le forze soggettive della rivoluzione socialista sia le forze soggettive della reazione.

Prendiamo ad esempio la coppia difensivo-offensivo.

Ambedue gli aspetti sono presenti, quindi ambedue vanno elaborati. Qual è il rapporto tra i due? Che tutti e due ci sono e vanno bene? Questo è eclettismo. In realtà il primo è la base, il più elementare, istintivo e diffuso, è quello che se resta predominante porta alla sconfitta. Il secondo è quello che si sviluppa più lentamente, più complesso, è quello che diventando dirigente può condurre alla vittoria.

Quindi le forze soggettive della rivoluzione socialista devono raccogliere e valorizzare il primo per rendere dirigente secondo. Esse devono combattere le azioni tese a limitare il movimento delle masse al primo aspetto. Tipici promotori di azioni di questo genere sono Rifondazione comunista e in generale i gruppi opportunisti (dogmatici o economicisti). Queste azioni alimentano tra le masse popolari iniziative condannate in partenza alla sconfitta, concentrano le loro energie, i loro sentimenti e le loro aspirazioni su obiettivi perdenti. Quindi generano tra le masse dispersione delle forze, disgregazione, diversione, demoralizzazione, sfiducia. Tutte cose che favoriscono l’affermazione della direzione dei gruppi reazionari (mobilitazione reazionaria delle masse). La difesa delle condizioni esistenti può e deve trasformarsi in lotta contro il corso della crisi, contro il regime in crisi, contro il regime che non sa e non può porre fine alla crisi. Così come l’azione individuale può trasformarsi in azione collettiva, l’azione distruttiva in azione costruttiva e l’attività pratica può acquisire un livello maggiore di coscienza e un orizzonte più ampio. Le forze soggettive della rivoluzione socialista non devono mai disprezzare, svalorizzare il primo aspetto, dire che è inutile! La difesa non può risolvere il problema. La difesa non basta e per questo bisogna lottare contro chi vuole limitare le masse popolari alla difesa. Ma la difesa non è inutile, anzi è necessaria. Bisogna lottare anche contro chi, siccome “la difesa non basta”, scoraggia la difesa, di fronte a ogni lotta rivendicativa si ritira dichiarando che non approderà a nulla, di fronte a ogni lotta difensiva dice che tanto prima o poi la borghesia imperialista l’avrà vinta (“prima o poi saremo tutti morti”: e allora è forse questo un buon motivo per lasciarci uccidere oggi?) e svilisce i risultati ottenuti. Contenere, limitare, ritardare l’eliminazione delle loro conquiste e dei loro diritti è utile alle masse popolari. Difendendosi si impara a combattere, a conoscere le proprie forze, a raccoglierle, a mobilitarle e a organizzarle; difendendosi si possono costruire le condizioni (ideologiche, politiche, organizzative e tecniche) necessarie per l’attacco. Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono sostenere, promuovere, organizzare e dirigere le lotte difensive, facendo tutto il possibile perché ognuna di esse sia vittoriosa e nello stesso tempo sviluppare, all’interno di ognuna di esse, le condizioni per l’attacco. Senza difesa non c’è attacco! Questo è il lato positivo della difesa. La difesa ha tuttavia anche un lato negativo: ogni gruppo difende i suoi particolari interessi e questo offre alla borghesia imperialista l’appiglio per cercare di mettere in primo piano le contraddizioni tra classi e strati che compongono le masse popolari (“si litiga sempre con il vicino”, “dagli amici mi guardi dio, che dai nemici mi guardo io”, “amor di fratello, amor di coltello”, ecc.), contraddizioni che solo nell’attacco, nell’offensiva contro la borghesia imperialista tornano a occupare il posto di secondo piano che oggettivamente loro compete.(19) Tuttavia chi non combatte per difendere quello che ha, tanto meno combatte per conquistare di più! Non si tratta di negare la difesa, ma di  renderla funzionale all’attacco fino a trasformarla in attacco. Nella lotta di difesa le forze soggettive della rivoluzione socialista devono continuamente far emergere gli elementi di attacco fino a renderli dirigenti, in modo che la perdita del poco che avevamo si traduca nella conseguente determinazione che la strada giusta e prendersi tutto: “abbiamo perso il poco proprio perché era poco”. L’aspetto offensivo è l’anima viva, vincente della mobilitazione delle masse, l’aspetto che esiste già anch’esso nella resistenza delle masse, che l’azione delle forze soggettive della rivoluzione deve far emergere e fare diventare dominante, dirigente. A favore di questo aspetto vi è l’antagonismo oggettivo tra gli interessi delle masse e quelli della borghesia imperialista. È l’aspetto che sviluppandosi trasformerà la resistenza in lotta per il socialismo.

 

19. Ogni gruppo deve difendere i suoi interessi. Questo comporta contraddizioni tra gruppi delle masse popolari che si trattano principalmente sviluppando la loro lotta contro il comune nemico, che non si possono trattare se non sulla base della comune lotta contro il nemico comune (questo è il motivo per cui esortazioni dei preti e dei pacifisti a mettere da parte i contrasti cadono nel vuoto).

Consideriamo ad esempio la contraddizioni tra chi ha la casa in un posto e chi lavora nella fabbrica che inquina quel posto. Chi ha la casa, difende la casa! Chi ha il lavoro difende i posto di lavoro! Da chi? Dalla classe dominante, la borghesia imperialista. È essa che ha il potere, è essa che deve quindi trovare soluzioni che salvaguardino diritti altrettanto sacrosanti come la casa dell’uno e il posto di lavoro dell’altro. La nostra società è un collettivo e soluzioni a problemi del genere possono essere trovate messe e in opera solo da un movimento collettivo, quindi guidato dalle pubbliche autorità. Chi governa il paese deve risolvere i problemi dei due; avendo egli in mano, diversamente dai due, i pubblici poteri, egli potrebbe risolverli se non mettesse davanti agli interessi di entrambi i suoi propri interessi di borghesia imperialista (i profitti dell’industriale, la speculazione immobiliare del finanziere, ecc.). Quindi, da parte di chi abita, lotta contro la classe dominante perché non trova soluzione che salvaguardi il suo diritto alla casa; da parte di chi lavora, lotta contro la classe dominante perché non trova soluzione che salvaguardi il suo diritto al lavoro; lotta comune di entrambi contro la classe dominante perché non trova soluzioni che salvaguardino gli interessi e i diritti di entrambi. Chi propone soluzioni sue che salvaguardano il diritto alla casa a spese del lavoratore, forse protegge il difensore della casa? No, protegge la classe dominante. Chi propone soluzioni sue che salvaguardano il diritto al lavoro a spese del difensore della casa, forse protegge lavoratore? No, protegge la classe dominante. Entrambi proteggono la classe dominante che, per i suoi interessi, lede gli interessi dell’uno e dell’altro.

Chi cerca di indurre il lavoratore e il difensore della casa a moderare le loro richieste, a portar pazienza, a conciliare, in realtà non fa un favore né all’uno né all’altro, ma alla borghesia imperialista; infatti ad essa e ad essa sola spetta, essendo la classe dominante, di trovare una soluzione soddisfacente per entrambi. Forse che il diritto del difensore della casa comporta la necessità che il lavoratore resti senza lavoro? Forse che il diritto al lavoro del lavoratore comporta la necessità di inquinare o forse che il lavoro che egli difende consiste nell’inquinare la casa? No. Né il lavoratore ha bisogno di case inquinate, né il difensore della casa ha bisogno di disoccupati. A chi governa quindi trovare soluzioni che salvaguardino entrambi, visto che gli interessi dei due non sono antagonisti e che sono gli interessi della borghesia imperialista che rendono il lavoro dell’uno e la casa dell’altro incompatibili.

I contrasti interni alle masse popolari diventano antagonisti solo se entrambe le parti rinunciano ad attaccare la borghesia imperialista, danno per indiscutibili i suoi interessi. Infatti una delle componenti della mobilitazione reazionaria delle masse sta proprio nel rendere antagonisti contrasti non antagonisti e velare (mettere in secondo piano) l’antagonismo d’interessi tra masse popolari e borghesia imperialista.

Un’analoga analisi si applica ai mille contrasti interni alle masse popolari (lavoratore/utente, cliente/venditore, ecc.). La vita dei membri di tutte le classi che compongono le masse popolari non è finalizzata all’accumulazione di capitale, ma al procacciamento delle condizioni materiali e spirituali della propria esistenza. Proprio per questo, attualmente, sulla base dell’attuale sviluppo della forza produttiva del lavoro umano e dell’abbondanza di beni che di conseguenza gli uomini possono trarre dal resto della natura (e che del resto, in barba alle sciocche analisi da limiti dello sviluppo, restituiscono alla natura, in discussione essendo solo il come, quindi il modo di produzione), tra queste classi e questi individui non ci sono contraddizioni antagoniste: c’è posto per tutti, c’è da mangiare per tutti, c’è lavoro per tutti! Sono le classi la cui vita è tesa all’accumulazione del capitale che hanno contrasti antagonisti con tutte le altre: perché l’esplicazione della loro funzione diventa, infatti, inevitabilmente negazione della vita delle altre, in una misura o nell’altra, in un modo o nell’altro.

Il capitale tutto subordina a sé e l’espansione che gli è necessaria per essere capitale non ha limite. Nella società capitalista le contraddizioni interne al popolo si accrescono e si acuiscono nella misura in cui uno, pressato dal capitale, anziché resistergli e attaccarlo, cede ad esso cercando di rivalersi alle spalle del vicino. Nella società socialista invece è possibile trovare soluzioni a tutte le contraddizioni interne al popolo, sia perché viene meno la pressione del capitale che le alimenta, sia perché alla loro soluzione è finalizzato il potere sociale, che è un mezzo indispensabile di ogni soluzione a problemi concreti (anche la circolazione stradale sarebbe un caos, nonostante palesemente non celi contraddizioni antagoniste, se un’autorità sociale non definisse le regole comuni cui attenersi). “È possibile trovarle” non vuol dire che ci sono già, ma che, cercandole, è possibile trovarle.

 

Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono anzitutto convincersi che tra le masse popolari esse lavorano secondo il corso della corrente, secondo il vento delle spinte materiali: qui, tra le masse popolari, è la borghesia che lavora controcorrente, contro la corrente delle spinte oggettive. È il contrario di quello che avviene nel campo sovrastrutturale, dove la borghesia è forte delle condizioni borghesi in cui si svolge l’attività politica e culturale, del suo lungo e sperimentato patrimonio, mentre le forze soggettive della rivoluzione socialista sono deboli. Le forze soggettive della rivoluzione socialista non devono confondere i due campi, devono smettere di puntare sui campi in cui la borghesia e più forte e trascurare quelli in cui esse possono ottenere vittorie. Non si può dirigere con successo le masse popolari a compiere  la rivoluzione socialista avendo una concezione borghese del mondo: ci si mette a combattere su un terreno in cui si è perdenti e si trascura di combattere sul campo in cui si può vincere.

Quanto alla direzione della mobilitazione delle masse popolari, nei prossimi anni si svilupperà una lotta a morte tra le forze soggettive della rivoluzione socialista e le organizzazioni politiche della borghesia (le forze soggettive della reazione) per decidere dell’orientamento e della direzione del movimento di resistenza delle masse popolari. Chi lo dirigerà, la classe operaia o la borghesia imperialista? Quale strada prenderà: quella della rivoluzione socialista o quella della conservazione del capitalismo in forme diverse dalle attuali? Quale diventerà il bersaglio principale della mobilitazione delle masse popolari: il modo di produzione capitalista o solo le forme particolari che ha avuto, finora e qui, la dominazione della borghesia imperialista? La borghesia imperialista o il paese o il gruppo concorrente?

Il mondo deve cambiare e irresistibilmente cambierà. La formazione economico-sociale consolidatasi dopo la seconda guerra mondiale ha esaurito le sue possibilità di sviluppo, ha dato tutto quello che poteva dare; ora si e trasformata in una camicia di forza che impedisce di vivere e verrà stracciata. Il mondo però può cambiare in due direzioni diverse e attraverso percorsi diversi. Su questo vi sarà una lotta accanita; le lotte che si svolgeranno nei prossimi anni sia all’interno dei singoli paesi sia a livello internazionale, riguarderanno, direttamente o indirettamente, questo come loro oggetto reale. Le bandiere innalzate e le idee invocate, gli obiettivi proclamati e le motivazioni addotte saranno tante e vane, come svariate saranno le rappresentazioni (le immagini) di queste lotte che gli uomini daranno a se stessi: ma tutte le lotte si ridurranno, in definitiva, per quanto ognuna con suoi tratti specifici e con sue specifiche parole d’ordine, alla lotta tra le due sole vie possibili: socialismo o conservazione del capitalismo.(20)

 

20. Vi sono solo due vie? Non e possibile una terza o una quarta via? È “schematico” sostenere che vi sono solo due vie? Le vie sono solo due. In ogni paese si avranno formazioni economico-sociali specifiche. Le loro specificità saranno determinate dalle particolarità del paese (dalla sua collocazione geografica ed economica, dal suo sviluppo culturale, dalla sua tradizione, ecc.); in ogni paese sono possibili diverse sistemazioni strutturali (esempio: modalità di distribuzione delle competenze di gestione e degli ambiti tra istanze locali (istanze centrali, ecc.) e sovrastrutturali (concezioni e istituzioni). Ma tutto questo variopinto mondo di formazioni economico-sociali si divide, ai fini dello scontro che dovremo combattere nel corso dell’attuale crisi, in due e solo in due specie; ogni nuova formazione economico-sociale apparterrà all’una o all’altra: società socialista (basata sulla proprietà e sulla gestione principalmente collettive delle forze produttive e dell’iniziativa economica) e società capitalista (basata sulla proprietà e sulla gestione principalmente individuali capitaliste delle forze produttive e dell’iniziativa economica).

Mettere in primo piano le pur reali mille varianti per negare la divisione in due sole specie è negare la dialettica (l’uno si divide in due e il salto di qualità) in nome di una gradazione illimitata di varianti e, infatti, porta a difficoltà nel combattere la battaglia in corso.

Ovviamente affermando che vi sono solo due vie noi cerchiamo solo di vedere il processo puro, cioè depurato dai dettagli e dai detriti che ogni processo reale si trascina dietro e che conferiscono ad ognuno di essi il suo particolare “colore”. La tesi che vi sono solo due vie è la tesi principale che coglie l’insieme del processo, il suo corso d’insieme. Al contrario, nella tattica, questi dettagli e detriti sono importanti, una volta che si è messo al centro (e quindi compreso) il processo puro. Chi vede l’albero e non la foresta non può impostare una linea. Una volta saliti dalla conoscenza di tanti alberi alla conoscenza della foresta, però, ogni politica forestale ha a che fare con alberi e ogni albero va trattato secondo la sua natura, la sua dimensione, la sua posizione, ecc.

 

21. Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo si veda Rapporti Sociali n. 9/10, pag. 31 e segg.

 

La crisi della società borghese man mano che procede determina una “situazione rivoluzionaria in sviluppo”.(21) Nel periodo che abbiamo davanti inevitabilmente vi saranno nuove rivoluzioni socialiste. Ma in quali paesi, a quale punto del corso della crisi, attraverso quali sconvolgimenti, sofferenze e lotte, questo dipenderà, nei singoli paesi, dall’orientamento e dalla direzione del movimento di resistenza delle masse popolari del paese al procedere della crisi della società borghese (quindi dalla qualità e dall’attività delle forze soggettive della rivoluzione socialista) e dallo sviluppo delle contraddizioni a livello internazionale.

La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese, la mobilitazione diretta delle masse popolari è come un fiume in piena alimentato giorno dopo giorno, capillarmente e inevitabilmente dal procedere della crisi dell’attuale formazione economico-sociale. Esso non è prodotto principalmente né dall’azione mirata delle forze soggettive della rivoluzione socialista né dall’azione mirata delle forze soggettive della reazione. Gli iniziatori della mobilitazione delle masse popolari non sono né i rivoluzionari né i demagoghi reazionari: è l’esperienza diretta, capillar mente diffusa, onnipresente e multiforme della crisi delle attuali formazioni economico-sociali capitaliste che nuove e sempre più muoverà all’azione le masse popolari. L’azione mirata delle forze soggettive della rivoluzione socialista (ma sotto quest’aspetto anche le forze soggettive della reazione svolgono un ruolo analogo) raccoglie, organizza, eleva ad azione politica, potenzia, sviluppa, concentra e dirige su un obiettivo la mobilitazione delle masse popolari, che non cresce e non si eleva oltre un certo livello se non grazie all’azione mirata delle forze soggettive.

Il movimento di resistenza delle masse popolari travolgerà le attuali formazioni economico-sociali che durano con continuità dalla fine della seconda guerra mondiale. Travolgendo queste formazioni economico-sociali esso ne creerà delle altre: in questo campo il vuoto non esiste! Che carattere avranno queste nuove formazioni economico-sociali? Esse saranno relativamente diverse da paese a paese, all’incirca come sono state diverse tra loro le formazioni economico-sociali consolidatesi nei paesi imperialisti alla fine della seconda guerra mondiale; tuttavia tutte le possibili nuove formazioni economico-sociali si divideranno fondamentalmente in due (e solo in due) gruppi. Esse saranno

- o nuove società socialiste, aventi come struttura economica una comunità di lavoratori che assume anche l’attività economica dei suoi membri come materia di decisione societaria e gestisce collettivamente e secondo un accordo prestabilito (un piano) il processo della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza e aventi come sovrastruttura concezioni e istituzioni adatte o almeno compatibili con questa struttura;

- o riedizioni con forme nuove della vecchia società borghese, aventi ancora come struttura economica la proprietà individuale capitalista delle forze produttive e l’iniziativa economica individuale, come l’attuale società, e aventi come sovrastruttura concezioni e istituzioni nuove, compatibili con quella vecchia struttura ma elaborate nel corso della soluzione della crisi attuale. Alla stessa maniera le formazioni economico-sociali consolidatesi nei paesi imperialisti dopo la seconda guerra mondiale sono state nello stesso tempo sia riedizioni delle vecchie società borghesi antecedenti alla prima guerra mondiale (erano come quelle basate sulla proprietà individuale capitalista delle forze produttive e sull’iniziativa economica individuale), sia profondamente modificate (presentavano forme antitetiche dell’unità sociale, concezioni e istituzioni nuove).

Dove la classe operaia, tramite l’azione della sua espressione politica, il partito comunista, riuscirà a far prevalere la sua direzione nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese, la mobilitazione delle masse popolari sarà una mobilitazione rivoluzionaria: essa travolgerà l’attuale formazione economico-sociale e instaurerà una nuova formazione economico-sociale socialista.(22)

22. Sul legame particolare tra classe operaia come classe dirigente e socialismo si veda l’articolo Il campo della rivoluzione socialista. Classe operaia, proletariato, masse popolari, in questo numero di Rapporti Sociali.

 

Dove la borghesia imperialista riuscirà a far prevalere la sua direzione nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese, la mobilitazione delle masse popolari sarà una mobilitazione reazionaria: essa travolgerà l’attuale formazione economico-sociale e instaurerà una nuova formazione economico-sociale capitalista.(23)

 

23. L’instaurazione di una nuova formazione economico-sociale capitalista ovviamente non sarà la “fine della storia”. La nuova formazione economico-sociale, se riuscirà a consolidarsi (e questo dipenderà anche dall’andamento delle cose a livello mondiale), dovrà esaurire nel corso di un po’ di anni le possibilità di ripresa e di sviluppo dell’accumulazione capitalista che essa conterrà in sé, prima di ritrovarsi di fronte a una nuova crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Allora si presenteranno in essa, a un livello superiore, i problemi che attualmente si presentano alla nostra formazione economico-sociale.

Nelle guerre tra Stati il rapporto non è antagonista: uno Stato non ha bisogno di eliminare l’altro, ma solo di portargli via qualcosa. Nella guerra tra borghesia e proletariato il rapporto è antagonista: una classe deve eliminare l’altra. Ma la borghesia non può eliminare il proletariato: dopo ogni massacro e ogni licenziamento, essa stessa rigenera il proletariato, ne ha bisogno. Il proletariato può eliminare la borghesia. Quindi il proletariato può vincere la guerra. La borghesia può vincere solo battaglie, ma la guerra tra le due classi si chiuderà solo quando essa sarà sconfitta.

 

Queste sono le due vie (le uniche due vie possibili) che nei prossimi anni si scontreranno in ogni paese e a livello mon diale. Questi sono i due soli risultati possibili cui approderà il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere di questa crisi della società borghese, al procedere della crisi delle formazioni economico-sociali borghesi consolidatesi alla fine della seconda guerra mondiale.

Attorno alla questione della direzione di questo movimento delle masse popolari che nei prossimi anni la classe operaia, con il suo partito, il partito comunista, lotterà contro la borghesia imperialista e i suoi gruppi politici. Questo e il terreno di lotta che il procedere reale delle cose ha posto: andare a cercare altri campi di battaglia e fare i don Chisciotte. È in questa lotta che, paese per paese, si deciderà della vittoria o della sconfitta della rivoluzione socialista nel corso dell’attuale situazione rivoluzionaria. È legandosi al movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e affermando in esso la direzione della classe operaia, che i comunisti arriveranno a formare il partito della classe operaia, il partito comunista e a essere capaci di dirigere le masse popolari alla rivoluzione socialista.

Nel corso dell’attuale situazione rivoluzionaria il socialismo può trionfare solo nella forma di trionfo della resistenza delle masse popolari, dirette dalla classe operaia, al procedere della crisi della società borghese.

Forse che così riproponiamo una concezione economicista della lotta dei comunisti? Assolutamente no. La concezione economicista consiste, a livelli diversi,

- nel voler limitare le competenze e campo della lotta delle masse popolari alle questione del loro reddito,

- nel ritenere che le masse popolari possano e debbano prima unirsi sulle rivendicazione economiche per solo dopo passare alla lotta politica,

- nel credere di poter risolvere i problemi economici delle masse popolari con conquiste economiche nell’ambito della società borghese,

- nel ritenere che le contraddizioni della società borghese si risolvano con la sola trasformazione dei rapporti economici senza una trasformazione della sovrastruttura (delle concezioni, delle istituzioni sociali, del complesso dei rapporti sociali).

Nessuna di queste concezioni ha nulla a che vedere con la tesi che la trasformazione della società (di tutti gli aspetti della società: economici, politici e culturali), è determinata e mossa dalla lotta per le condizioni materiali dell’esistenza e, quindi, dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione e che essa avviene quindi tramite la lotta tra le classi che “personificano” i poli di questa contraddizione. Se il modo di produzione capitalista non fosse lacerato dalle sue proprie contraddizioni e condannato a morire dalle sue stesse leggi, sarebbe vana e illusoria ogni lotta contro la società borghese. Proprio perché invece lo è, vano e illusorio (beninteso da un punto di vista storico, dal punto di vista del lungo termine) è ogni sforzo dei sostenitori della società borghese per conservarla in vita: quello che essi possono ottenere è al massimo di prolungarne un po’ l’esistenza.

Quando parliamo di forze produttive e di rapporti di produzione non parliamo di entità extraumane, di categorie esistenti per se stesse. Queste espressioni Sono rappresentazioni concettuali di aspetti della vita concreta degli uomini. La contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione è la rappresentazione concettuale, quindi astratta, di contrasti concreti tra uomini, che vengono quindi risolti da lotte concrete tra uomini. Quando diciamo che è la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese che spazzerà via questa formazione economico-sociale e la sostituirà con una nuova formazione economico-sociale, non facciamo altro che mettere in luce le leggi che, in realtà, governano il variopinto, variegato e complesso movimento di uomini e cose in cui siamo coinvolti, leggi che, nella loro forma più universale e astratta, sono la concezione materialista-dialettica della società e della sua storia (del suo movimento, della sua trasformazione).

La nostra proposta non è economicismo, ma espressione, nel concreto della situazione attuale, della concezione materialista-dialettica della trasformazione della società. Già nel luglio del 1916, nei primi anni della situazione rivoluzionaria  creata dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, Lenin(24) spiegava con chiarezza: “La rivoluzione in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione – e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!) e attuare altre misure dittatoriali che condurranno, in fin dei conti, all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si epurerà dalle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo”.

 

24. V.I. Lenin, Risultato della discussione sull’autodecisione, in Opere, vol. 22.

 

Questa tesi di Lenin oggi rispecchia la realtà ancora più profondamente di allora, proprio per le trasformazioni che le società imperialiste hanno subito dal 1916 a oggi.

Nell’affermazione di Lenin è messo in chiaro anche qual è il rapporto tra programma comunista della classe operaia (e quindi il socialismo che è la fase di transizione dal capitalismo al comunismo) e l’obiettivo cui tendono tutte le altre classi che compongono le masse popolari. In altre parole è detto che il rapporto della classe operaia con il comunismo è diverso dal rapporto che ognuna delle altre classi ha con esso.

Il comunismo quale forma di società resa possibile e necessaria dal capitalismo è, in sintesi, la proprietà e la gestione delle forze produttive e dell’iniziativa economica (dell’attività economica) poste come prerogativa e competenza non più dei singoli individui o delle loro associazioni private, ma della società e quindi degli organismi sociali (le istituzioni sociali). All’incirca come già nella società borghese il rispetto delle leggi, i piani urbanistici, il sistema monetario e altre cose del genere sono poste di diritto come materia di competenza sociale e non più né individuale né privata.(25)

 

25. Nelle società borghesi l’individuo non si fa più giustizia da sé, la tutela dei suoi diritti civili, oltre che della sua integrità personale, non è più di sua competenza, ma competenza della magistratura e delle forze di polizia. Parimenti, l’individuo non può battere moneta. Sono solo due esempi di materie che nell’ambito della società borghese sono state avocate alla competenza della società e dei suoi organismi rappresentativi (le pubbliche autorità). Nel corso del suo sviluppo la società borghese ha dovuto avocare alle pubbliche autorità, come materie dichiarate di competenza pubblica, una serie di campi e l’organizzazione di una serie di servizi che, ai primordi della società borghese, rientravano nel campo di competenza dell’iniziativa individuale o privata: dalla rete stradale, ai piani urbanistici, alle regole della circa l’azione stradale, all’amministrazione delle acque, fino alla regolamentazione dei rapporti di lavoro, alle normative sull’impiego delle acque e dell’aria, ecc.

 

È dall’esperienza che la classe operaia ha fatto del capitalismo (e non da quella delle altre classi che compongono le masse popolari) che è sgorgato il comunismo come programma, come riconoscimento che l’unica sistemazione della società che consenta a tutti di mangiare e di vivere, di godere delle condizioni materiali e spirituali dell’esistenza al livello delle attuali forze produttive è la gestione collettiva delle forze produttive; come riconoscimento che l’iniziativa in campo economico non può più essere né individuale né privata. Certamente è una forma di società che gli uomini dovranno ancora imparare a gestire come hanno dovuto imparare a non farsi giustizia da sé e tante altre cose. Gli uomini dovranno imparare a decidere assieme, democraticamente, cosa produrre, come produrre, come distribuire, come ripartire, come innovare, come progredire; tenendo conto, al meglio che via via impareranno a fare, di tutto: uomini e ambiente; presente e futuro; livello individuale, livello delle comunità locali, livello di paese, livello mondiale; settori avanzati e settori arretrati; esigenze materiali ed esigenze culturali e di relazioni umane; ecc.

È una cosa che gli uomini devono imparare a fare, che non sanno fare, che non impareranno a fare di colpo: le esperienze della “costruzione del socialismo” dal 1917 a oggi ce l’hanno mostrato. La classe operaia ha fatto miracoli nel breve  periodo e nei pochi paesi in cui ha avuto potere (o in forma di rivoluzione socialista o in forma di rivoluzione di nuova democrazia),(26) ma il socialismo e stato minato principalmente dall’interno, dalle difficoltà che si incontrano quando si apre una strada nuova, difficoltà che gli uomini devono riuscire e riusciranno a superare perché non c’è per loro altra salvezza.

Impareranno un po’ alla volta. Ma l’essenziale è che anzitutto bisogna incominciare a imparare. Bisogna che la direzione della vita sociale sia assunta dall’unica classe che può guidare questa trasformazione, la classe operaia. È essa sola che può guidare il resto delle masse popolari a una via d’uscita dalle difficoltà proprie della società capitalista, salvaguardando il livello delle forze produttive in essa raggiunte e ponendo le basi per un loro ulteriore sviluppo al servizio degli uomini, cosa che il rapporto di capitale oramai non consente più.

 

26. Con l’espressione rivoluzioni di nuova democrazia si intendono le rivoluzioni antifeudali e antimperialiste de paesi coloniali o semicoloniali dirette dalla classe operaia tramite il partito comunista.

 

3

 

Stante quanto fin qui detto, quali sono nell’immediato i compiti delle forze soggettive della rivoluzione socialista attualmente esistenti? Abbiamo detto che legandosi al movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e facendo prevalere in esso la direzione della classe operaia i comunisti arriveranno a formare il partito della classe operaia, il partito comunista e a essere capaci di dirigere le masse popolari alla rivoluzione socialista.

Anzitutto, cosa significa oggi far prevalere la direzione della classe operaia nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese? Far prevalere la direzione della classe operaia nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese significa:

1. far emergere e far diventare dirigenti, tra tutti gli obiettivi, le tendenze e gli aspetti della mobilitazione delle masse popolari, quelli che favoriscono il progresso verso la rivoluzione socialista e la realizzazione del programma socialista della classe operaia: è un compito da condurre avanti in ogni istanza, in ogni iniziativa, in ogni gruppo e in ogni momento, nel particolare e nel generale;

2. condurre nella classe operaia la lotta per la sua trasformazione da classe che per ragioni oggettive (dipendenti dalla struttura della società borghese e dalla collocazione della classe operaia in essa) è la sola che può assumere la direzione delle masse popolari, in classe effettivamente capace di dirigere ed effettivamente dirigente;

3. costruire e rafforzare gli organismi di potere della classe operaia (in primo luogo il partito comunista) e imporre nel movimento delle masse popolari la loro direzione.

La classe operaia non può assurgere al ruolo di classe dirigente delle masse popolari né svolgere questo ruolo con successo se non ha il suo partito che riunisca i comunisti, li unisca nella concezione materialista-dialettica del mondo e sul metodo materialista-dialettico della sua trasformazione, che sia capace di promuovere e dirigere il processo della propria formazione, dell’unificazione e della direzione della classe operaia e della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari: il partito comunista.

Oggi nel nostro paese non esiste ancora il partito comunista. La sua formazione è un obiettivo e una tappa del processo rivoluzionario. Nel nostro paese tuttavia esistono varie forze soggettive della rivoluzione socialista e in esse alcuni comunisti.(27) Come devono operare le forze soggettive della rivoluzione socialista per raggiungere l’obiettivo della formazione del partito comunista? Noi riteniamo che, data la situazione concreta del movimento politico del nostro paese e l’esperienza storica specifica del movimento rivoluzionario del nostro paese, le forze soggettive della rivoluzione socialista raggiungeranno l’obiettivo della formazione del partito comunista solo se si impegnano nella mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e nel corso di questa lotta si trasformano, si educano, si temprano e si elevano. Il movi mento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese è attualmente il principale terreno in cui le forze soggettive della rivoluzione socialista possono crescere e svilupparsi quantitativamente e qualitativamente.

 

27. Comunisti nel senso indicato nella nota 16 di questo scritto.

 

A questo ci porta il bilancio dell’esperienza della lotta politica svoltasi nel nostro paese negli anni trascorsi dalla ripresa del movimento rivoluzionario (cioè dagli anni ’60 ad oggi) e dei ripetuti e svariati tentativi fatti dalle forze soggettive della rivoluzione socialista, bilancio condotto alla luce del marxismo-leninismo-maoismo (cioè dell’esperienza storica e internazionale del movimento proletario). Esso ci conduce alla conclusione che le forze soggettive della rivoluzione socialista potranno svilupparsi fino a formare il partito comunista solo se impareranno a lottare per far prevalere la direzione della classe operaia nel movimento di resistenza delle masse popolari che ora si sta sviluppando. Siamo sicuri che tutte le forze soggettive della rivoluzione socialista che negli anni trascorsi hanno lottato per la formazione del partito comunista arriveranno a questa conclusione se faranno, alla luce del marxismo-leninismo-maoismo, il bilancio dei loro sforzi e dei risultati di essi. Siamo sicuri che tutte le forze soggettive della rivoluzione socialista che perseguiranno con determinazione il loro obiettivo nelle concrete condizioni di oggi e di domani arriveranno a questa conclusione se sapranno imparare dalle loro stesse esperienze, dai loro successi e dalle loro sconfitte, senza fossilizzarsi in formule fatte, in tattiche precostituite, in forme di lotta “inventate a tavolino” o assunte unilateralmente: insomma se sapranno imparare dalla pratica e trasformarsi in conformità alle necessità del movimento delle masse popolari.

Questa e l’unica linea realista di crescita delle forze soggettive della rivoluzione socialista. Le forze soggettive della rivoluzione socialista cresceranno se si porranno con audacia alla testa del movimento di resistenza delle masse popolari contro il procedere dell’attuale crisi, se capiranno il ruolo storico di lungo periodo di questo movimento, se in ogni sua istanza impareranno a vedere, a raccogliere e a valorizzare il suo aspetto difensivo per rendere dirigente l’aspetto offensivo, se impareranno a praticare in ogni campo la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione, se riusciranno a esercitare una direzione via via più giusta e più ferma, se impareranno a modificarsi per conformare se stesse alle leggi oggettivo del movimento delle masse.

Questa e l’unica via realista, per le forze soggettive della rivoluzione socialista, per imparare a fare le cose facendole rendersi via via atte a condurre le masse popolari alla vittoria sulla borghesia imperialista, alla rivoluzione socialista all’instaurazione del socialismo. Questa la via che le forze soggettive della rivoluzione socialista devono seguire nel corso dell’attuale crisi della società borghese, nel corso degli sconvolgimenti in cui la borghesia imperialista trascina e via via più profondamente trascinerà le masse popolari. Questa è la nostra via al socialismo nella presente concreta situazione e il modo in cui le forze soggettive rivoluzione socialista romperanno l’empasse in cui da anni si dibattono.

Questa è la via che dovranno percorre i compagni che nel periodo trascorso dall’inizio della ripresa del movimento rivoluzionario nel nostro paese (negli anni Sessanta) hanno lanciato l’appello alla rivoluzione socialista, i compagni che si sono posti come forze soggettive della rivoluzione socialista, i compagni che hanno una qualche misura impersonato la rottura con il revisionismo moderno operato dall’incipiente nuovo movimento rivoluzionario negli anni sessanta e Settanta, i compagni che sono diventati i rappresentanti dell’antagonismo al modo di produzione capitalista che le masse popolari incominciavano a esprimere con forza ne corso degli anni Settanta. Ora ampie masse popolari del nostro paese hanno iniziato a constatare (per esperienza diretta, su grande scala e in concomitanza con avvenimenti analoghi in tutto i1 mondo e per un periodo “di cui nessuno intravede la fine”) il fallimento del revisionismo moderno, l’inconsistenza del riformismo e la crisi economica e politica dello specifico sistema sociale (“società del benessere”, “Stato sociale” o “capitalismo dal volto umano” che dir si voglia) instaurato nei paesi imperialisti dopo la seconda guerra mondiale.  Quella che negli anni Settanta era comprensione raggiunta da alcuni compagni sulla base dell’analisi teorica o dello slancio rivoluzionario, ora diventa giorno dopo giorno esperienza diretta di milioni di uomini.

Questa e la via che dovranno percorrere anche i compagni che “nascono in questi giorni”. Oggi nel nostro paese le forze soggettive della rivoluzione socialista sono divise e il movimento di resistenza delle masse popolari al corso della crisi viene esprimendo, come suoi primi tentativi di organizzazione e di elevamento, molteplici organismi e iniziative, ognuno dei quali si forma attorno a un particolare tema di lotta, attorno alla lotta contro una particolare espressione della dominazione della borghesia imperialista e della crisi della sua società (dalla lotta contro l’inquinamento alla solidarietà internazionalista, all’aiuto a gruppi sociali particolarmente colpiti, alla lotta delle donne contro l’oppressione, all’autorganizzazione dei gruppi sociali sui loro interessi particolari, ecc.). È il modo in cui il movimento si viene sviluppando ed esso non va né negato né rifiutato; occorre invece tirare da esso tutti i frutti che può dare ai fini della nostra causa. In ognuno di questi organismi e iniziative i comunisti devono

1. appoggiare l’aspetto positivo e di crescita che lo ha generato,

2. combattere l’unilateralità che porta a contrapporre il proprio particolare campo di lotta agli altri campi di lotta, alla comune resistenza al procedere della crisi della società borghese e alla trasformazione della resistenza al procedere della crisi in rivoluzione socialista. La reale concatenazione oggettiva delle cose è infatti tale che ogni organismo e ogni iniziativa, se si sviluppa senza arrendersi e con decisione la lotta sul tema su cui è sorto, se non si fossilizza nelle sconfitte ma procede secondo le connessioni che l’oggetto della sua lotta via via mostra, può, passo dopo passo, approdare alla lotta comune per l’eliminazione del regime borghese e l’instaurazione del socialismo. È precisamente nel guidare e portare i membri dell’organismo e i protagonisti dell’iniziativa a compiere uno dopo l’altro tutti i passi di questo sviluppo che consiste il ruolo dell’avanguardia all’interno dell’organismo e dell’iniziativa: è quello che è chiamato a fare ogni comunista nella situazione concreta in cui opera.

In ogni luogo e situazione concreta oggi le masse popolari “cercano” i loro capi: perché la resistenza al procedere della crisi della società borghese non può svilupparsi e crescere senza capi, idee, parole d’ordine, programma, linee, ecc. Vecchi oppositori al regime che per anni avevano vegetato senza successo si trovano quasi improvvisamente portati in alto, trovano e troveranno un pubblico vasto quanto non speravano. Se eviteranno di credere di essere saliti con le proprie ali e per forza propria, se sapranno rispondere alle necessità del movimento delle masse popolari (e quindi anzitutto se sapranno imparare a comprenderne le tendenze contraddittorie e a far emergere tra queste le tendenze costruttive), avranno un futuro. Se continueranno a far politica alla vecchia maniera dei politicanti borghesi e revisionisti, a cercare di mettere il loro cappello a questo movimento che spinge in alto perché e finché non ha di meglio, a usare questo movimento come loro seguito e loro massa di manovra, ad agitare le masse per aver qualcosa da contrattare, a “cavalcare la tigre” per stare a galla senza sapere dove condurre, a non capire il suo ruolo di forza motrice e portante della trasformazione della società, a non mettersi al suo servizio, essi avranno un futuro del tutto diverso e la loro caduta prima o poi sarà rovinosa.

Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese non è costituito da “quelli che oggi parlano”, da quelli che, nei casi peggiori, si affrettano a costituire nuovi organismi per “gestire la protesta delle masse”. In ogni iniziativa di resistenza, non siamo lontani dal vero dicendo che oggi la parte peggiore, più debole e incerta è “quella che parla”: in ogni dimostrazione di strada il momento più basso si ha quando si arriva al comizio. È il vecchio personale politico che non è omogeneo al nuovo movimento, che il nuovo movimento adotta perché non ha di meglio, che il nuovo movimento fa parlare in suo nome, ma di cui si guarda bene dal seguire la direzione: infatti quasi mai risponde ai suoi appelli alla mobilitazione. La protesta e il malcontento crescono, la ribellione ai sindacati di regime cresce e si fa più audace, ma ciò non alimenta ancora gli organismi dell’opposizione. Se questi organismi ne ricercheranno la ragione, senza finire nel comodo luogo comune (del tipo “le masse solo protestatarie”, “le masse arretrate”,  ecc.), potrebbero derivarne conseguenze salutari.

La lotta a cui sono chiamati oggi i comunisti non è la sanzione organizzativa dell’unità di quelli che sono già d’accordo; è, al contrario, una lotta per far vivere nelle forze soggettive della rivoluzione socialista un nuovo rapporto con la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese. Questo rapporto implica infatti

- la concezione materialista-dialettica del mondo: sono le masse che fanno la storia, le masse popolari sono mosse dai loro interessi materiali, le masse popolari hanno bisogno della direzione della classe operaia, la classe operaia ha bisogno del partito comunista, il partito comunista deve lavorare secondo la linea di massa, il fattore materiale determina la coscienza e la coscienza modifica la materia, la contraddizione è permanente e l’unità è transitoria, lo sviluppo e un processo ininterrotto e per tappe di divisione dell’uno in due, ecc.;

- un’analisi della situazione attuale: la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, la nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo e la mobilitazione delle masse popolari che ne derivano;

- una teoria, seppure incompleta, della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti: il campo rivoluzionario composto dalle masse popolari dirette dalla classe operaia e il proletariato come alleato su cui la classe operaia può fare maggiore affidamento;

- un metodo di lavoro e di direzione: la linea di massa.

Molti problemi restano da risolvere e dovremo via via affrontarli: la formazione del partito (la sua natura e il suo programma), il legame concreto tra le vane classi che compongono le masse popolari (il fronte delle classi rivoluzionarie e la sua espressione politica e organizzativa), le forme concrete di sviluppo della guerra rivoluzionaria. Questi problemi assumeranno connotati concreti e le forze soggettive della rivoluzione socialista potranno scoprirne le soluzioni man mano che esse, in lotta contro le forze soggettive della reazione, svilupperanno il loro rapporto con il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese.

Ciò che proponiamo ai comunisti e una svolta. È sbagliato ritenere che fino adesso abbiamo fatto tutto giusto: se così fosse, perché dovremmo cambiare? Chi pensa di aver fatto tutto bene, frena oppure ostacola la trasformazione oggi necessaria. La situazione oggettiva è cambiata? È vero, anche per questo dobbiamo cambiare. Per questo dobbiamo cambiare linea. La linea cambia perché la situazione cambia. Ma non si tratta solo di questo. Non si tratta solo di cambiare linea. Si tratta di cambiare concezione del mondo e metodo di lavoro. Qui bisogna fare un passo avanti deciso, radicale. È una svolta. Erano completamente sbagliati la nostra concezione del mondo e il nostro metodo di lavoro? Completamente no, se no non saremmo qui e non avremmo riunito noi le condizioni del nostro cambiamento, della svolta attuale. Ma oggi l’uno si divide in due. Dobbiamo rigettare una parte di noi e rendere più forte, più organica, più sistematica l’altra. Perché non abbiamo ancora riunito le forze soggettive della rivoluzione socialista? Perché non abbiamo ancora formato il partito comunista? Perché non siamo ancora legati alle masse popolari? Perché non abbiamo ancora assunto la direzione del loro movimento? Chi non prende atto che la nostra concezione del mondo e il nostro metodo di lavoro erano sbagliati e che occorre non un piccolo aggiustamento, ma una svolta, inevitabilmente cova una concezione disfattista, liquidatoria, pessimistica della nostra causa comunista: attribuisce i nostri reali insuccessi, i reali limiti dei nostri risultati all’utopismo della nostra causa, alla non volontà delle masse di andare verso il socialismo, all’infondatezza della nostra causa, al carattere non realista della nostra causa. Se cosi fosse, perché lotteremmo per la nostra causa?

È possibile lottare efficacemente e con forza per la nostra causa se si covano pensieri del genere?

Questi pensieri sono essi stessi elementi della concezione borghese del mondo, non corrispondono alla realtà, vanno ripudiati. Dobbiamo cambiare la nostra concezione del mondo e il nostro metodo di lavoro, lasciare la concezione borghese e abbracciare il materialismo dialettico.

Le masse popolari fanno la storia, le masse popolari sono mosse dai loro interessi materiali, gli interessi materiali spingono le masse popolari contro la borghesia imperialista, le masse popolari hanno bisogno della direzione della classe  operaia, la classe operaia ha bisogno del partito comunista, il partito comunista deve lavorare secondo la linea di massa: di ognuna di queste tesi, si può sostenere con qualche ragione anche il contrario, ma l’aspetto principale è che esse sono giuste, corrispondono alla realtà. Esse sono le bandiere dei comunisti. Dove i comunisti le hanno fatte proprie, esse hanno condotto le masse popolari alla vittoria contro la borghesia imperialista.

Esse sono le bandiere della nostra svolta.

Noi procederemo con successo se smetteremo di pensare di possedere la verità, di conoscere già i problemi e di dover solo convincere gli altri, portare gli altri sulle nostre posizioni, se capiremo che per vedere quello che c’è bisogna avere la vista buona e ci metteremo a cercare di capire e impareremo a capire le tendenze e le leggi del movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese.

 

4

 

Quali sono i punti forti su cui le forze soggettive della rivoluzione socialista devono far leva per far prevalere la direzione della classe operaia e quali sono gli ostacoli che devono superare? Quali sono i punti forti su cui faranno leva le forze soggettive della reazione per far prevalere la direzione della borghesia imperialista e quali i punti deboli con cui dovranno fare i conti? Quali metodi di lavoro devono adottare le forze soggettive della rivoluzione socialista attualmente esistenti per far prevalere la direzione della classe operaia? Quali metodi usano e useranno le forze soggettive della reazione per far prevalere la direzione della borghesia imperialista?

Ecco alcune questioni a cui le forze soggettive della rivoluzione socialista devono dare oggi risposta, risposta che devono quindi verificare nella pratica.

Le forze soggettive della rivoluzione, per far prevalere la direzione della classe operaia nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese, hanno a disposizione dei punti forti su cui far leva. Riassumendo, essi sono:

- il legame materiale delle masse popolari con il socialismo,

- il legame materiale della classe operaia con le masse popolari,

- la contraddizione materiale tra le masse popolari e la borghesia imperialista,

- il legame di tutti i gruppi imperialisti con gli interessi costituiti nella specifica formazione economico-sociale in crisi,

- i contrasti, antagonisti e no, tra i gruppi imperialisti.

Queste cose esistono e non possono non manifestarsi in ogni iniziativa e in ogni momento: si tratta solo di imparare a vedere in ogni iniziativa e in ogni momento le espressioni particolari, specifiche in cui si presentano.

Tutti i principali elementi su cui devono far leva le forze soggettive della rivoluzione socialista sono “nella materia sociale”.

Ciò ha un aspetto positivo che consiste nel fatto che nessuna operazione delle forze soggettive della reazione e nessun errore delle forze soggettive della rivoluzione socialista può cancellarli. Nessuna deviazione, nessun tradimento, nessuna campagna di repressione può cancellarli. Ha tuttavia ha anche un aspetto negativo, che consiste nel fatto che questi elementi devono tutti essere “conosciuti” e “riconosciuti” in primo luogo dalle stesse forze soggettive della rivoluzione socialista che devono imparare a farli valere, imparando a riconoscere, raccogliere ed elaborare quanto questi elementi producono, giorno dopo giorno, capillarmente e inesorabilmente, tra le masse popolari.

Alcuni compagni si ostinano a mantenere la loro iniziativa tra le masse popolari principalmente nel campo della sovrastruttura, a concepire l’azione politica principalmente come predicazione delle “idee giuste” tra le masse popolari, a porsi come obiettivo principale o preliminare quello di cambiare le idee delle masse popolari, di combattere le idee sba gliate e i pregiudizi delle masse popolari, di fare tra le masse popolari la “rivoluzione culturale”, di far capire alle masse popolari questo o quello, di convincerle di qualcosa. In realtà questi compagni farebbero un servizio alle masse popolari, alle forze soggettive della rivoluzione socialista e alla causa del comunismo che vogliono servire, se cambiassero le proprie concezioni idealiste, se rinnovassero la propria concezione del mondo, se assimilassero essi un po’ il materialismo dialettico, se usassero quello che credono di aver capito per modificare le proprie attività: perché se l’aver capito non serve a migliorare la pratica, a cosa mai serve? Allora diventerebbe anche ad essi chiaro:

- che lo stesso processo si manifesta e non può non manifestarsi in modo diverso tra le masse popolari e nelle forze soggettive della rivoluzione socialista, essendo diverso il ruolo delle due e che sta alle forze soggettive imparare a capire come un processo si manifesta tra le masse popolari;

- che all’inizio le masse popolari non possono rappresentare a se stesse la lotta che stanno conducendo in altro modo che usando i pregiudizi e i luoghi comuni della cultura dominante (all’incirca come i concetti nuovi nella fase del loro nascere possono essere espressi solo usando la lingua già esistente che pure non li contempla);

che l’azione compiuta dalle masse popolari è mille volte più importante della rappresentazione che le masse popolari danno a se stesse della propria azione e che è questa azione il fattore principale del movimento, non la rappresentazione di essa;

- che il compito principale delle forze soggettive della rivoluzione socialista sta appunto nel vedere, comprendere, esprimere il senso vero di quell’azione delle masse popolari, elaborare la linea che quell’azione ha in sé e riportarla alle masse;

- che il compito principale della battaglia teorica delle forze soggettive della rivoluzione socialista non ha nulla a che fare con la critica delle idee sbagliate delle masse popolari, bensì proprio con la critica delle idee, concezioni e linee sbagliate delle forze soggettive della rivoluzione socialista;

- che le idee, i pregiudizi e i preconcetti delle masse popolari sono un intralcio di poco conto alla rivoluzione perché sono corrette dalla stessa pratica delle masse popolari, mentre le idee, le concezioni e le linee sbagliate delle forze soggettive della rivoluzione socialista arrecano danni ingenti alla rivoluzione perché impediscono alle forze soggettive di svolgere il loro indispensabile compito rispetto al movimento delle masse popolari;

- che le forze soggettive della rivoluzione riusciranno a svolgere con successo tanto maggiore anche il compito secondario di combattere e correggere le idee sbagliate delle masse popolari quanto avranno imparato a guidare giustamente la pratica delle masse popolari e quindi quanto più esse stesse avranno corretto le loro idee e concezioni imparando dal movimento delle masse popolari alla luce del materialismo dialettico.

Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono far leva sui loro punti forti e sui punti deboli delle forze soggettive della reazione per sostenere e sviluppare la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese. Cosa significa sostenere e sviluppare? Con ciò intendiamo

- in primo luogo imparare a “vedere” in ogni iniziativa delle masse popolari (anche in quelle più lontane dalle nostre abitudini e dai nostri pensieri, anche in quelle meno “di sinistra”, cioè anche in quelle “reazionarie”, anche in quelle in cui la borghesia imperialista ha la direzione) l’elemento comune della resistenza al procedere della crisi della società borghese. Sicuramente le iniziative e le forme di lotta che le masse popolari metteranno in campo non saranno solo quelle cui ci siamo abituati nei quarant’anni di “pace sociale” che abbiamo alle spalle né solo quelle per cosi dire, codificate e consacrate nella storia del movimento rivoluzionario. A volte parole d’ordine “rivoluzionarie” saranno poste alla testa di tendenze che favoriranno la borghesia imperialista e, viceversa, parole d’ordine reazionarie saranno poste alla testa di tendenze che favoriranno la rivoluzione socialista. Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono imparare ad analizzare ogni iniziativa delle masse popolari studiandone il corso concreto, fino a individuare nettamente quali classi delle masse popolari ne sono le protagoniste, quale è il modo in cui, nello specifico, si esprime la resistenza, quali  ostacoli specifici, nell’iniziativa concreta, limitano lo sviluppo della resistenza.

- in secondo luogo imparare a prendere le iniziative e le misure per far emergere in ogni iniziativa delle masse popolari l’elemento comune della resistenza e farlo diventare l’elemento dirigente dell’iniziativa (unire il particolare al generale, lo specifico all’universale); per appoggiare le tendenze positive e combattere le tendenze negative.

- in terzo luogo trasformarsi sul piano della concezione del mondo, dello stile di lavoro e della struttura organizzative in modo da rendersi sempre più capaci di adempiere ai due compiti precedenti (adeguare se stessi alle leggi oggettive del movimento).

 

Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono imparare a dirigere la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese. Con ciò intendiamo

- in primo luogo imparare a tracciare una netta linea di demarcazione tra campo delle masse popolari (della rivoluzione socialista) e il campo della borghesia imperialista e dei suoi alleati, praticando il materialismo dialettico;

- in secondo luogo imparare a distinguere nettamente le contraddizioni antagoniste dalle contraddizioni non antagoniste, trattare, con metodi appropriati e sulla base dell’analisi della situazione concreta, i vari tipi di contraddizione e dirigere il processo concreto del loro sviluppo;

- in terzo luogo non aver paura dei contrasti di interessi tra le masse popolari, imparare a far emergere nettamente gli interessi reali di ogni parte delle masse popolari e a dirigere ogni parte a lottare per i propri interessi direttamente, con forza e fino in fondo, cioè fino alla contrapposizione alla borghesia imperialista: infatti ogni volta che si svolgerà fino in fondo una contraddizione tra due classi o due strati delle masse popolari, data l’attuale struttura della società questo sviluppo porterà alla contrapposizione di ambedue le classi o strati alla borghesia imperialista;(28)

 

28. L’unità a livello di massa si crea principalmente come (e solo sul la base della) lotta contro il comune nemico. Data la struttura della società, tutte le classi e tutti gli strati delle masse popolari hanno oggettivamente un comune nemico: la borghesia imperialista. Anche per quanto riguarda i contrasti tra classi e strati delle masse popolari, è la dominazione della borghesia imperialista che rende impossibile la loro soluzione; quindi il processo della ricerca di una soluzione ad essi può e deve essere condotto e sviluppato fino alla lotta contro la dominazione della borghesia imperialista. L’arte delle forze soggettive della rivoluzione socialista sta nel condurre, passo passo, ogni classe o strato delle masse popolari a compiere questo percorso. A volte il cammino non è semplice da individuare, altre volte, benché individuato, non è semplice da compiere, specialmente per forze soggettive ancora prive di esperienza di questo metodo di direzione. Ma anche in ciò sta l’apprendimento dell’arte della rivoluzione: tenendo conto delle esperienze proprie e altrui, provando e riprovando si impara.

Il cammino di cui parliamo è essenzialmente un percorso pratico compiuto dalle masse ed esso non esclude in assoluto lo scontro tra le parti all’interno delle masse popolari. In questo percorso le masse imparano principalmente dalla propria esperienza: le forze soggettive guidano le masse a compiere l’esperienza e aiutano le masse a fare il bilancio dell’esperienza. In esso la “predicazione”, la comunicazione, l’insegnamento teorico, ecc. hanno un ruolo importante da cui non si può prescindere, ma secondario.

 

- in quarto luogo imparare a dirigere con fermezza e in modo giusto le masse popolari perché facciano vivere nella lotta la loro unità d’interessi contro il comune nemico, la borghesia imperialista;

- in quinto luogo imparare a valorizzare, in ogni iniziativa della resistenza delle masse popolari, l’elemento difensivo per far emergere l’elemento offensivo e farlo diventare l’aspetto dirigente;

- in sesto luogo imparare a praticare la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione in tutti i campi;

- in settimo luogo affermare la direzione della classe operaia tra le masse popolari nella lotta contro la borghesia imperialista. Le forze soggettive della rivoluzione socialista che esistono attualmente nel nostro paese sanno fare questo? Sappiano fare questo? Francamente no! Non solo non lo sappiamo fare, ma non ci siamo nemmeno mai posti il compito di imparare a farlo sistematicamente. Per noi questa oggi e solo la lezione che raccogliamo dalle esperienze frammentarie, non sistematiche del movimento rivoluzionario del nostro paese e di tutto il mondo e dalla pratica sistematica di alcuni partiti comunisti. Questa lezione ci dice che le forze soggettive della rivoluzione sono state invincibili quando han no seguito questa linea e questo metodo e hanno subìto sconfitte quando se ne sono allontanate.

 

5

 

Vediamo ora i punti forti e i punti deboli delle forze soggettive della reazione.

L’attuale crisi della società borghese, per la borghesia, ha due aspetti.

- Da una parte la lotta tra i gruppi concorrenti borghesi (all’interno di ogni paese e a livello mondiale) diventa antagonista: i profitti di un gruppo possono crescere solo se diminuiscono quelli di un altro. Di conseguenza in campo politico è sempre più difficile, per la borghesia imperialista, arrivare a una linea di condotta che si imponga come “volontà generale” della classe dominante.(29) I vari gruppi che impongono la classe dominante non possono trovare una linea comune, perché ogni linea vuol dire, al di là delle belle motivazioni di giustizia e di valori universali di cui si ammanta, il sacrificio di alcuni capitalisti a beneficio di altri. Questo, e non l’inadeguatezza delle istituzioni, è motivo per cui la classe dominante non riesce a coagulare le sue componenti attorno a un’unica linea politica.

 

29. L’attuale crisi politica non è generata dalle relazioni tra le istituzioni che compongono i singoli regimi; quindi non è risolubile con misure di “ingegneria costituzionale” che cambino la composizione e le procedure operative delle istituzioni e i reciproci rapporti (la ripartizione del potere tra di esse). Non si tratta insomma di rendere le istituzioni funzionali agli interessi che devono tutelare. Gli interessi dei vari gruppi della classe dominante sono ogni giorno più contrastanti e solo lo scontro può decidere quali gruppi saranno schiacciati e quali affermeranno i loro interessi come nuovo “interesse generale” alla cui difesa tutte le istituzioni dovranno essere rese funzionali. Solo quando l’interesse generale” è definito, la soluzione della crisi politica si riduce a un problema di ingegneria costituzionale, di definizione e costruzione di istituzioni funzionali all’“interesse generale”. L’attuale crisi politica è generata dalla crisi economica. La crisi economica, proprio perché è una crisi per sovrapproduzione di capitale, obbliga ogni gruppo capitalista a cercare di valorizzare il suo capitale a spese del capitale di altri gruppi e deve ancora comparire il gruppo borghese che pacificamente lascia sacrificare i suoi interessi in nome dell’interesse di un altro. Lo sconvolgimento del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza delle masse popolari pone alla classe dominante di ogni paese problemi di conservazione del suo potere, problemi di ordine pubblico per risolvere i quali cerca di salvaguardare il processo produttivo del proprio paese riversando su altri paesi un aggravamento della crisi (le mille forme di protezionismo, le guerre valutarie e dei tassi di sconto, l’indebitamento estero, la caccia ai campi di investimenti, ecc.). Le contraddizioni interimperialiste interagiscono con la contraddizione tra la borghesia imperialista e le masse popolari e trovano inevitabilmente la loro espressione politica (vale a dire nel campo della lotta politica). Dato il ruolo assunto dallo Stato in campo economico nelle formazioni economico-sociali consolidatesi dopo la seconda guerra mondiale (capitalismo di Stato), ogni gruppo imperialista cerca e deve cercare di usare lo Stato a suo favore nel la lotta contro gli altri gruppi imperialisti del paese e stranieri. Da qui si ha sia un aspetto della crisi politica dei regimi borghesi (la crescente difficoltà con cui un indirizzo politico si impone come “volontà generale” della classe dominante), sia la tendenza alla guerra. D’altra parte la lotta per la stabilità del proprio potere politico in un paese spinge la classe dominante di quel paese a riversare su altri paesi le proprie difficoltà economiche: da qui le crescenti iniziative di mobilitazione reazionaria delle masse popolari e, di nuovo, la tendenza al la guerra. Queste due tendenze (alla guerra tra i gruppi capitalisti in ogni paese e alla guerra tra classi dominanti di vari paesi) sono necessarie e ineludibili e minano alla base il funzionamento delle istituzioni, in ogni paese e internazionali, intese alla composizione di interessi non antagonisti.

La crisi politica si può risolvere solo risolvendo la crisi economica.

È forse un caso che partiti e correnti si moltiplicano, parlamenti e consigli locali non riescono più a “esprimere una maggioranza”, che i vari organismi dello Stato sono in contrasto tra loro al punto da paralizzarsi a vicenda? Istituzioni che fino a ieri funzionavano, ora non funzionano più perché in esse si riversano contenuti nuovi: l’antagonismo tra i gruppi della classe dominante e l’antagonismo tra la classe dominante e le masse popolari. Con la crisi questi antagonismi si sono sviluppati e si sviluppano in campo economico e, di riflesso, in campo ideologico. Un rapporto antagonista, per sua natura, non trova soluzione in un’istituzione, ma solo nello scontro. È nello scontro infatti che una parte prevale ed elimina l’altra. La natura specifica del rapporto antagonista sta proprio in questo, che un interesse si afferma solo eliminando l’altro, non c’è possibilità di convivenza tra i due. Nell’istituzione è invece proprio la convivenza degli interessi che si esprime, sia pure con una gerarchia tra loro; l’istituzione è l’organo della convivenza. Da qui si comprende che le “riforme istituzionali” (repubblica presidenziale, collegio uninominale, elezione diretta del sindaco, sbarramento elettorale - il quorum -, subordinazione della pubblica accusa al governo, ecc.) che oggi, quando lo scontro degli interessi non è ancora consumato, i vari “salvatori della patria” propugnano, altro non sono che tentativi messi in opera da un gruppo per rafforzare le sue posizioni rispetto agli avversari, in vista dello scontro. Da qui il disaccordo sistematico sulle proposte di riforme istituzionali, che non può essere spiegato con la natura della proposta stessa. Le proposte di riforme istituzionali quindi non sono innocue illusioni, se non a livello individuale per alcuni loro propugnatori che ingenuamente vedono in esse la realizzazione della “giustizia”, della “pace”, dell’”armonia”, del “bene comune” o di altre cose genere. Ogni proposta di riforma istituzionale va sottoposta ed è sottoposta alla critica: quale gruppo rafforza le sue posizioni con essa?

 

Questo vuol dire che non si formano alleanze e coalizioni tra i gruppi borghesi? Al contrario, ogni gruppo cerca e realizza alleanze, coalizioni e accordi sia sul piano economico sia sul piano politico proprio per poter condurre la sua lotta  con maggiori possibilità di successo. Questo vuol dire che nei prossimi anni la lotta sarà, in generale, il fattore dominante, dirigente del movimento delle vane frazioni del capitale e che l’unità, l’accordo, la coalizione e l’alleanza saranno i fattori secondari; saranno in funzione della lotta. Le varie frazioni di capitale non lotteranno fra loro per arrivare all’unità, ma al contrario si uniranno, ora qui ora là, per poter lottare. L’indirizzo prevalente, principale non sarà la fusione, l’unificazione e il coordinamento dei vari capitali (il superimperialismo, ecc.), ma al contrario la divisione, la contrapposizione e lo scontro.(30)

 

30. In proposito vedasi Rapporti Sociali n. 4, pag. 28 e segg., le parti Le contraddizioni tra Stati imperialisti nel passato e Le contraddizioni tra Stati imperialisti nel futuro.

 

- Dall’altra parte la borghesia imperialista deve togliere alle masse popolari quello che esse hanno conquistato nei decenni passati e riesce sempre meno a contenere, con le vecchie istituzioni, le vecchie concezioni e i vecchi metodi (che tuttavia fino a ieri le erano serviti egregiamente al compito per cui erano sorti) la resistenza delle masse popolari man mano che le condizioni materiali dell’esistenza di queste, per effetto della crisi, peggiorano.

Ambedue gli aspetti della crisi sono e saranno sempre presenti nell’attività della borghesia imperialista durante l’intero periodo della crisi in corso e costituiscono una contraddizione interna alla borghesia imperialista. In ogni sua iniziativa concreta uno sarà principale e l’altro secondario, ma sempre presente.

Ambedue questi aspetti della crisi spingono i gruppi borghesi a prendere la direzione della mobilitazione delle masse popolari. Le masse popolari costituiscono all’incirca dal 90 al 95% della popolazione in ogni paese: nessuna profonda trasformazione del paese può compiersi senza il loro concorso. Numerosi gruppi borghesi cercheranno di prendere la direzione delle masse popolari; essi, per farlo, dovranno sfruttare l’insofferenza e la rivolta delle masse popolari. Ogni bandiera, ogni pretesto sarà usato da qualche gruppo per farsi un seguito, andando a comporre la mobilitazione reazionaria delle masse. Questo sarà il ruolo dei “salvatori della patria” che per ora si chiamano Bossi, Orlando, Dalla Chiesa, Segni, Cossiga, ecc.

Il ricorso alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari e indispensabile a ogni gruppo imperialista sia per vincere la lotta contro gli altri gruppi borghesi (lotta che la crisi rende inevitabile e a morte) ed è indispensabile alla borghesia imperialista nel suo complesso per conservare il suo potere. Per cui, paese per paese, a un certo punto del procedere della crisi, tutta la borghesia imperialista (sia pure in parte “turandosi il nano” e in parte lamentandosi per i propri interessi lesi) si metterà al seguito del gruppo imperialista che sarà riuscito (se ce ne sarà uno che ci sarà riuscito!) a imporre la sua direzione sul movimento delle masse popolari.(31)

 

31. È questo che avvenne, nelle condizioni dell’epoca, negli anni Venti e Trenta del nostro secolo, non solo in Italia e in Germania, ma in quasi tutti i paesi dell’Europa centrale e occidentale e negli USA.

 

La borghesia nei primi anni della crisi, finché i contrasti tra gruppi capitalisti erano ancora poco sviluppati e la crisi dei loro regimi politici ancora in gestazione, si è affannata soprattutto a eliminare i vecchi organismi e le vecchie istituzioni in cui in qualche modo le masse popolari erano ammesse come soggetto che rivendicava (le organizzazioni e gli istituti sindacali di base: assemblee, consigli, elezioni dirette di delegati su scheda bianca, referendum, ecc.) o come coro che approvava e sanzionava (referendum, elezioni, assemblee legislative e amministrative, ecc.).(32) In effetti attraverso essi le masse popolari, anziché limitarsi a scegliere le voci del menù loro presentato o sanzionare la scelta voluta dai “dirigenti”, sempre più spesso esprimevano il loro malcontento e il malcontento, esprimendosi, si coagulava e si rafforzava. D'altra parte, i gruppi della classe dominante in lotta contro i loro concorrenti sempre più spesso ricorrevano al “trucco” di appellarsi alle masse popolari, denunciando le malefatte dei loro avversari (anziché “lavare i panni sporchi in casa”). I contrasti tra gruppi imperialisti spingevano sempre più ogni gruppo della classe dominante a presentarsi come portatore e difensore di interessi popolari, quindi a denunciare con sdegno e veemenza proporzionali alla sua par tecipazione al regime e quindi al suo bisogno di “rifarsi la faccia”, ciò che contro quegli interessi il suo stesso regime compiva e a promettere soluzioni pronte ai problemi e futuro benessere. Ma dato che tutti potevano ricorrere al trucco, ciò dava voce al malcontento delle masse popolari contro l’intera classe dominante. Il ricorso dei gruppi della borghesia imperialista alle masse popolari in termini elettorali si veniva trasformando da mezzo per scegliere quale dei gruppi della classe dominante doveva assumere la direzione degli affari di Stato, in motivo di paralisi delle scelte politiche pubbliche e di incremento del ricorso alle pratiche decisionistiche sottobanco e ai “trucchi sporchi”.

 

32. Le assemblee di fabbrica furono abolite a favore dei referendum perché in esse “i violenti impongono la loro volontà alla maggioranza”. Ma i referendum a loro volta diedero esiti diversi da quelli che la classe dominante si era riproposta e furono accantonati a favore delle decisioni dei vertici perché “i lavoratori non possono valutare serenamente i loro interessi” e “non possono decidere essi soli di cose che riguardano tutto il paese” (scala mobile, contrattazione articolata, ecc.! In effetti e vero: solo che la borghesia imperialista si guarda bene dal riconoscere che anche i suoi affari riguardano “tutto il paese”!). La rappresentanza nelle trattative venne successivamente trasferita dai consigli di fabbrica agli organismi cittadini o provinciali di categoria, quindi agli organismi nazionali di categoria, quindi ai vertici nazionali delle confederazioni e, nella trattativa conclusa il 31 luglio ’92, addirittura al direttorio insindacabile dei capi nazionali delle confederazioni e delle correnti.

I consigli di fabbrica vennero sottratti alle elezioni dei lavoratori congelandone la composizione, introducendo la singolare figura dei delegati dei lavoratori nominati dall’alto o scelti obbligatoriamente dai lavoratori tra quelli selezionati in base alla clientela d’appartenenza, limitando ad alcuni lavoratori il diritto di essere eletti e di eleggere. Nelle assemblee elettive (di zona, comunali, regionali, nazionali) sono stati moltiplicati i regolamenti che hanno ristretto l’iniziativa del singolo membro e l’intervento degli elettori. Le riforme allo studio (quorum minimo di voti, premi di maggioranza, elezioni dirette del sindaco o del capo del governo, sistema uninominale, ecc.) e gli spostamenti, dilazionamenti e accorpamenti di elezioni tendono tutti a limitare o indirizzare nel senso voluto l’espressione degli elettori. Le iniziative di referendum naufragano con decisioni truffaldine e capziose delle corti preposte all’esame preliminare di ammissibilità (legittimità). Le assemblee e i governi locali sono stati prima (1975) privati di autonomia impositiva avocando i cespiti di entrate al centro, poi i versamenti finanziari dal centro sono stati limitati e ritardati gravando gli enti locali degli interessi dei prestiti sostitutivi, ora il centro abroga i versamenti senza restituire i cespiti impositivi per cui gli organismi locali vengono privati della loro base finanziaria e quindi ridotti all’impotenza. Non c’è associazione di categoria dove i poteri delle assemblee dei soci o dei soci come corpo elettorale non siano stati ristretti a favore delle giunte esecutive, mentre, nel contempo, la partecipazione alle associazioni veniva trasformata da volontaria e dettata dall’interesse individuale, in obbligatoria o in condizione necessaria per partecipare a provvedimenti disposti dalla legge dello Stato. La proposta Amato di delega in bianco al governo non è che l’ultima iniziativa, in ordine di tempo, di questa tendenza.

Crediamo che molti lettori saranno in grado di arricchire e dettagliare questo elenco illustrativo della tendenza.

 

Questo movimento di eliminazione e ancora in corso (aumentano ogni giorno i Comuni, le USSL, le Province commissariate, iniziano le sospensioni e i rinvii di elezioni, aumentano le leggi delega, i decreti-legge e i voti di fiducia, ecc.), ma già ad esso se ne sovrappone un altro, quello della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Il procedere della crisi obbliga sempre più ogni gruppo imperialista, nei rapporti interni in ogni paese e nelle relazioni internazionali, a fare appello alle “sue” masse e sempre più obbligherà la borghesia imperialista a fare ricorso alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Cos’è la mobilitazione reazionaria delle masse popolari? È la combinazione, in proporzioni diverse da caso a caso, del movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese con la direzione della borghesia imperialista su di esso.(33)

 

33. La comprensione del carattere estrinseco della combinazione dei due elementi porta immediatamente alla conclusione che dovunque vi è mobilitazione reazionaria delle masse popolari, vi è anche mobilitazione delle masse popolari determinata dalle condizioni materiali delle stesse, quindi possibilità di direzione della mobilitazione da parte della classe operaia. Non vi è mobilitazione reazionaria delle masse che non presenti possibilità rivoluzionarie.

È vero anche che non vi è mobilitazione rivoluzionaria delle masse che non presenti possibilità reazionarie. Quindi la mobilitazione reazionaria in determinate circostanze può trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria e la mobilitazione rivoluzionaria in determinate circostanze può trasformarsi in mobilitazione reazionaria. Quali sono le determinate circostanze in cui si ha una trasformazione, quali quelle in cui si ha l’altra?

La prima trasformazione si ha quando le forze soggettive della rivoluzione socialista riescono, grazie alla giustezza della loro linea e al loro giusto sfruttamento delle circostanze, a scalzare la direzione della borghesia imperialista. Esempi di questa trasformazione sono la trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione nell’impero russo nel 1917 e la trasformazione del predominio del Kuomintang in predominio del Partito comunista cinese in Cina nel periodo 1945-1949.

La seconda trasformazione si ha quando la linea soggettivista (cioè non corrispondente alle leggi oggettive del movimento) delle forze soggettive della rivoluzione permette alle forze soggettive della reazione di imporre la loro direzione nel movimento delle masse. Esempi di questa trasformazione sono la trasformazione della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari in movimento fascista in Italia a cavallo del 1920, la trasformazione della mobilitazione rivoluzionaria  delle masse in movimento nazista in Germania a cavallo del 1930, la trasformazione della mobilitazione delle masse popolari USA contro la crisi del 1929 in mobilitazione per la guerra imperialista (New Deal).

In generale all’inizio vi è la mobilitazione reazionaria, perché la borghesia imperialista parte da condizioni favorevoli alla sua direzione. Poi questa mobilitazione può essere trasformata in mobilitazione rivoluzionaria.

 

Il pensiero di ogni lettore italiano corre alla Lega Nord di Umberto Bossi. Ma non solo di essa si tratta. Tutti gli attuali aspiranti salvatori della patria (da Orlando a Dalla Chiesa, da Segni a Cossiga, per fare alcuni nomi) cercano, con maggiore o minore convinzione, un seguito attivo tra le masse popolari, cercano di mettere in moto, ciascuno sotto la sua direzione e con bandiere e forme sue, un processo di masse popolari che non si limitano a votare, ma si mettono a “fare da sé” qualcosa: a combattere direttamente nel paese uno scontro. Tutti questi sono fenomeni embrionali, ancora estremamente timidi e indecisi, di mobilitazione reazionaria delle masse popolari: in essi l’attivismo diretto delle masse popolari (al di fuori delle istituzioni dell’attuale regime) si combina con la direzione di gruppi borghesi su di esso.

Nella mobilitazione reazionaria delle masse le due cose (resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese da una parte e direzione della borghesia imperialista dall’altra) sono distinte; la loro unione non è sostanziale, genetica,(34) essenziale; al contrario è un’unione estrinseca, casuale e storicamente determinata. Non è la borghesia imperialista che mobilità le masse. Non sono gli Hitler, i Mussolini, i Roosevelt di ieri che hanno mobilitato le masse popolari e parimenti non saranno gli Hitler, i Mussolini o i Roosevelt di domani a farlo. Semplicemente perché non è nel potere di nessun individuo e di nessuna associazione il farlo. Hitler fondò il partito nazista nel 1920, ma solo a partire dal 1928 incominciò ad assumere la direzione del movimento delle masse popolari per conto di una parte della borghesia imperialista tedesca. Parimenti Mussolini fondò il partito fascista nel marzo del 1919, ma solo nel 1921 iniziò ad assumere la direzione del movimento delle masse popolari per conto di una parte della borghesia imperialista italiana. I reazionari non hanno la possibilità di determinare la mobilitazione delle masse, come non ce l’anno i rivoluzionari.(35) Non ci potrebbe essere mobilitazione reazionaria delle masse popolari se non ci fosse movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese. Non sono i Bossi, i Segni, gli Orlando che mobilitano le masse: essi non possono che imporre, se ci riescono, la loro direzione, issare la loro bandiera, dare la loro forma al movimento delle masse popolari che è determinato dalla crisi, che è la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese.

 

34. L’unione tra la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e la direzione della borghesia imperialista non è un’unione genetica nel senso che l’una cosa non proviene dall’altra: né la resistenza delle masse popolari e generata dalla direzione borghese dato che, anzi, all’inizio la borghesia imperialista si oppone in blocco alle masse popolari, né la direzione della borghesia imperialista e generata dalla resistenza delle masse popolari; queste infatti sono tutte spinte, sia pure in modo sostanzialmente diverso, verso il socialismo dalle caratteristiche strutturali della società imperialista.

 

35. Lenin fondò il partito bolscevico nel 1903 (o nel 1912), ma la direzione della classe operaia russa prevalse nel movimento delle masse popolari russe solo nell’autunno del 1917. Il Partito comunista cinese venne fondato nel 1921, ma la classe operaia cinese incominciò ad assumere, attraverso il PCC, la direzione del movimento delle masse popolari cinesi solo a partire dal 1936 e riuscì a prevalere definitivamente (nei limiti e nel senso in cui queste cose sono definitive) solo nel 1949.

 

Quindi nella mobilitazione reazionaria delle masse popolari vi sono due elementi distinti che, uniti in una sola cosa, formano una contraddizione. L’unità di questi due elementi che compongono la mobilitazione reazionaria delle masse è tuttavia fragile e precaria: essa può essere spezzata. Spezzarla realmente dipende dalla giusta linea delle forze soggettive della rivoluzione socialista. Nella prima metà di questo secolo le guerre interimperialiste, massima forma di mobilitazione reazionaria delle masse, sono state ripetutamente rovesciate in rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia. Ciò e avvenuto dove (e solo dove) le forze soggettive della rivoluzione socialista hanno saputo conformare la propria attività alle leggi oggettive del movimento.

Su cosa devono e dovranno far leva le forze soggettive della reazione per imporre la direzione della borghesia imperialista nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese? Sostanzialmente su tre elementi.

 1. Sulla lotta contro le forme specifiche che la dominazione della borghesia imperialista ha assunto nella concrete formazione economico-sociale.

Le forze soggettive della reazione non possono che usare le forme specifiche della dominazione della borghesia imperialista per nascondere la dominazione della borghesia imperialista in generale, additare le prime come bersaglio della mobilitazione delle masse popolari per evitare che essa si diriga contro la seconda.

L’aspetto offensivo della resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese comporta la lotta contro il regime che non vuole e non può porre fine al procedere della crisi. L’impotenza del regime ha due aspetti. Da una parte, come detto sopra, è il rispetto e difesa della proprietà capitalista delle forze produttive e dell’iniziativa individuale capitalista in campo economico; dall’altra è la conservazione delle forme della dittatura della borghesia imperialista proprie della particolare formazione economico-sociale (la difesa degli specifici interessi costituiti). La crisi in atto può essere superata in due modi: o superando il modo di produzione capitalista e le sue “ferree leggi” o sovvertendo le forme specifiche della particolare formazione economico-sociale e gli interessi costituiti legati a queste forme specifiche.(36) I gruppi politici reazionari, per imporre la direzione della borghesia imperialista nel movimento di resistenza delle masse popolari, devono far leva sulla lotta contro le forme specifiche e gli interessi costituiti ad esse legati, per evitare la lotta contro il modo di produzione capitalista.

 

36. Ad esempio nel corso della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (all’incirca 1910-1945), furono sovvertiti e spazzati via, per aprire la strada alle nuove formazioni economico-sociali del secondo dopoguerra, il predominio finanziario e commerciale della borghesia britannica, il sistema coloniale dei gruppi imperialisti europei, il sistema monetario aureo, la linea del “laissez-faire” all’interno di ogni paese, la “libera contrattazione” relativa al mercato della forza-lavoro e alle condizioni di lavoro; in tutti i maggiori paesi (dagli USA all’Italia) furono creati sistemi di capitalismo di Stato: un sistema bancario centralizzato e sottoposto al controllo e alla regolazione della Banca centrale, un sistema organico di politica economica dello Stato, un settore pubblico dell’economia, ecc.

 

37. Cosi da noi attualmente la lotta e contro il regime DC-PSI, contro il “regime dei partiti” (la partitocrazia) e contro la corruzione dei loro esponenti (tangentopoli, la cupola delle tangenti, ecc.).

 

Il punto forte di questa linea delle forze soggettive della reazione è che la distinzione tra le due cose (modo di produzione capitalista in generale, sue forme specifiche storicamente determinate) è reale. La crisi della società borghese si presenta (esiste, si produce) sempre come crisi di una particolare formazione economico-sociale. Il generale vive sempre nel particolare. La lotta delle masse popolari inizia sempre e non può non iniziare dal particolare (cioè non contro il modo di produzione capitalista in generale, bensì contro la sua forma specifica).(37) Il progredire della lotta delle masse popolari dal particolare al generale è il risultato del suo sviluppo qualitativo, per il quale e determinante l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista. L’errore più facile in cui cadono, a questo riguardo, le forze soggettive della rivoluzione socialista e quello di contrapporre il generale al particolare, di negare la lotta al particolare in nome della lotta al generale (esempio: oggi rifiutare la lotta contro il potere della Democrazia Cristiana e del Partito socialista e contro il “regime dei partiti” in nome della lotta contro il regime borghese, rifiutare la lotta contro il governo in nome della lotta contro lo Stato borghese, ecc.; negli anni Trenta e Quaranta la sedicente “sinistra comunista” nel nostro paese rifiutò la lotta antifascista in nome della lotta anticapitalista; ecc.). In tal modo esse si sforzano vanamente di sostituire semplicisticamente il generale, che diventa vago e inafferrabile, alla sua forma concreta che è a portata delle mani delle masse popolari; queste solo combattendo contro la particolare e concreta forma del generale possono imparare a combattere contro il generale, ossia contro tutte le sue possibili forme.(38)

 

38. Condurre le masse a imparare dalla loro esperienza (che è la scuola principale) a combattere tutte le forme particolari del modo di produzione capitalista, ossia il modo di produzione capitalista in generale, è un’operazione che prenderà l’intera epoca storica del passaggio dal capitalismo al comunismo. Abbiamo già visto come neanche la conquista del potere da parte della classe operaia chiuda questo processo. La lotta tra le due vie (capitalismo o comunismo) continua nella società socialista e vi possono essere passi indietro. Da qui si vede il soggettivismo di quei compagni che rifiutano la lotta al particolare in nome della lotta al gene rale. Non arriveremo mai a uccidere il generale, se non impareremo a uccidere, una dopo l’altra, varie e svariate sue forme particolari d’essere, in cui esso si presenterà. In generale, gli uomini non arrivano ad afferrare il generale se non “ripetendo” svariate volte il particolare: solo dopo aver mangiato varie volte un frutto e aver mangiato altri frutti gli uomini sono pervenuti al concetto di pera. Come si può pretendere che gli uomini afferrino più facilmente il concetto di modo di produzione capitalista, ben più complesso di quello di pera?

 

Durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (grossomodo 1910-1945) ad esempio, i partiti socialdemocratici rifiutarono di eliminare le particolari formazioni economico-sociali dell’epoca e di conseguenza non eliminarono la dominazione della borghesia e lasciarono campo libero al fascismo, al nazismo e a quella particolare forma di dominazione della borghesia imperialista inaugurata dalla borghesia americana negli anni Trenta e nella quale siamo stati così immersi e che si è cosi universalizzata che non ha avuto bisogno di darsi un nome particolare.

Il generale può essere ucciso solo uccidendo il particolare, pur essendo vero che non basta uccidere un particolare per uccidere il generale (e appunto su questo che puntano le forze soggettive della reazione). Ma indebolire o rifiutare la lotta al particolare equivale a rifiutare la lotta al generale. Le masse popolari devono demolire la particolare formazione economico-sociale e quindi il rifiuto o la debolezza dell’attacco contro di essa lascia aperto il campo perché nel movimento delle masse popolari volto alla demolizione del particolare si affermi la direzione della borghesia imperialista.

I punti deboli di questa linea delle forze soggettive della reazione sono

- la resistenza accanita degli interessi costituiti legati alla specifica formazione economico-sociale (interessi che devono essere “sacrificati”),

- la difficoltà di separare interessi legati alla particolare formazione economico-sociale dagli interessi della borghesia imperialista in generale, la forma storicamente determinata degli interessi di classe dagli interessi di classe in generale, il particolare dal generale,(39)

 

39. Durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (grossomodo 1910-1945) la separazione non fu un’operazione teorica, condotta a tavolino da alcuni studiosi e applicata da alcuni uomini politici. Al contrario fu il risultato di due guerre mondiali e di quello che vi fu in mezzo: un risultato che solo a posteriori la borghesia imperialista si rese conto d’aver raggiunto. Ancora alla fine della seconda guerra mondiale la borghesia imperialista riteneva che sarebbe ripresa la stagnazione economica che aveva preceduto la guerra. Le trasformazioni subite dalle società imperialiste nel periodo 1945-1975 (che in definitiva si riducono alla più estesa e profonda sussunzione delle attività economiche nel capitale finanziario) hanno reso ancora più difficile (di quanto lo sia stato durante la prima crisi generale per sovrapproduzione di capitale) l’operazione attraverso cui alcuni gruppi imperialisti separano i propri interessi dagli interessi costituiti legati alla particolare formazione economico-sociale in crisi.

Ciò diventa chiaro se si va a vedere la cosa d’appresso, settore per settore. Prendiamo ad esempio il debito pubblico e privato. In ogni paese imperialista attualmente il processo produttivo e soffocato dall’enorme massa di debiti pubblici e privati che lo avvolgono e lo permeano. Ciò che è necessario al capitalista imprenditore va a danno del capitalista creditore, ma non c’è nessun grande gruppo imprenditoriale che non sia composto da possessori di titoli finanziari, quindi da creditori e che non sia esso stesso, come associazione, un creditore (le operazioni sul portafoglio titoli sono attualmente predominanti rispetto alle operazioni produttive e commerciali in ogni azienda capitalista di dimensioni medie e grandi). Ogni grande creditore è anche in generale grande debitore. Una delle condizioni che dovranno essere raggiunte alla conclusione della crisi economica in corso, per la ripresa dell’attività produttiva è l’eliminazione di questa massa soffocante di crediti e debiti. Può un gruppo borghese eliminarla per legge? In un paese borghese e permanendo i rapporti economici borghesi (la proprietà individuale capitalista delle forze produttive e l’iniziativa economica individuale) l’annullamento di tutti i contratti di credito e debito provocherebbe il caos e la paralisi completa proprio di quel processo produttivo che si tratta di salvare dal soffocamento dei rapporti di credito e debito e rivitalizzare. L’annullamento dei titoli di credito e debito, pubblico e privato, si scontrerebbe con tutte le normali procedure economiche e le sconvolgerebbe. Annullati i titoli finanziari, di chi sarebbero le holding? Di chi sarebbero le aziende? Annullati i titoli finanziari che costituivano denaro in attesa di utilizzo, come si provvederebbe ai pagamenti? Cosa arresterebbe la corsa alla più sfrenata speculazione, dato che verrebbero annullati i titoli finanziari mentre resterebbero nelle mani dei loro titolari le ricchezze “reali” (edifici, case, terreni, fabbriche, miniere, stock di prodotti, ecc.)? Cosa sarebbe dei grandi proprietari di titoli finanziari interni ed esteri (investitori istituzionali, Vaticano e altre istituzioni affini)? Come si “realizzerebbero” le merci? In cosa si rappresenterebbe il comando sul lavoro altrui? Come si rappresenterebbe il plusvalore realizzato la cui produzione e il motore di ogni iniziativa economica capitalista?

Non a caso l’annullamento della ricchezza finanziaria che soffocava processo produttivo nelle formazioni economico-sociali borghesi nella prima metà di questo secolo ha sempre seguito (e mai evitato e prevenuto) le grandi guerre e i grandi sconvolgimenti sociali. Solo dopo che questi avevano già annullato, distrutto e sconvolto è intervenuta nei vari paesi la sistemazione legale dello stato di fatto raggiunto. Ed essa è stata fatta sulla base del principio “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”, ossia sulla base della spoliazione brigantesca di una gran massa di piccoli risparmiatori e di piccoli proprietari, dell’immiserimento generale e dello sconvolgimento prodotto dal massacro generale in cui la salvezza della vita appariva una fortuna pur a fronte della perdita della ricchezza e questa appariva, quindi, come una fatalità che non si sarebbe ripetuta.

 La classe operaia, una volta preso il potere, annullerà certamente tutta la massa di contratti di credito e debito, pubblico e privato, interno ed estero, assieme a tutte le altre forme di proprietà di forze produttive (terreni, immobili, fabbriche, miniere, negozi, tesori, ecc.). Ma essa contemporaneamente restringerà universalmente il carattere mercantile della produzione entro i limiti indicati dal carattere già collettivo delle forze produttive, sostituendo alla produzione e distribuzione mercantile la produzione e la distribuzione secondo un piano che diventerà il maggior strumento di direzione della società su se stessa; offrirà, con provvedimenti appropriati, a tutti i lavoratori autonomi (e in generale ai lavoratori in tutti i settori in cui il processo lavorativo e le forze produttive sono ancora principalmente individuali), la proprietà o l’uso dei mezzi di produzione e uno sbocco contrattato dei beni e dei servizi da essi prodotti. Essa non avrà alcuna difficoltà a salvaguardare il rapporto reale sottostante ad alcuni titoli finanziari e alcune proprietà costituenti fonte di reddito per persone inabili al lavoro (piccoli proprietari di immobili dati in affitto, titolari di vitalizi e pensioni, ecc.) nell’ambito del proprio ordinamento secondo cui ogni persona abile al lavoro deve svolgere un lavoro utile e a ogni persona deve essere data la possibilità di guadagnarsi da vivere e mezzi per vivere se non è in grado di lavorare. Dato che all’inizio resteranno necessariamente in gran numero i processi in qualche misura mercantili (ossia legati alla compravendita di prodotti e di prestazioni lavorative), la classe operaia rimetterà in moto il processo produttivo e distributivo basandosi sul fatto che essa stessa direttamente fa funzionare le sue parti principali ed essenziali (fabbriche, aziende agricole, commercio all’ingrosso, miniere, trasporti, ecc.) e risolverà in prima istanza i problemi della circolazione attribuendo a ogni cittadino, secondo certi criteri, una data quantità di banconote (di potere d’acquisto-denaro) con cui comperare i beni che gli sono necessari, attribuendo a ogni azienda (centro di spesa) un conto bancario con cui essa pagherà salari, stipendi, forniture e imposte.

 

- la difficoltà che le forze soggettive della reazione incontrano a fermare la lotta delle masse popolari “al punto giusto”,(40)

- la difficoltà di “elaborare” una nuova formazione economico-sociale che al posto dell’attuale incarni in forme diverse la dominazione della borghesia imperialista.(41)

 

40. Non e un caso che tutte le mobilitazioni reazionarie delle masse popolari a un certo punto hanno dovuto regolare i conti con una loro “sinistra” che “andava oltre” (dalle SA di Rohm e di Strasser liquidate nella “notte dai lunghi coltelli” del 30 giugno 1934, alla “seconda ondata” della “rivoluzione fascista”, all’eliminazione dell’ala sinistra del New Deal negli USA).

 

41. Durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (grossomodo 1910-1945) la borghesia imperialista elaborò una nuova formazione economico-sociale non a tavolino, come progetto bell’é pronto da applicare, ma nel corso di due guerre mondiali e di quello che vi fu in mezzo, attraverso un processo per tentativi. Varie soluzioni furono proposte, applicate e si scontrarono con la realtà e tra di loro (dato il carattere universale del capitalismo).

Alla fine della seconda guerra mondiale la stessa borghesia imperialista non sapeva ancora di aver completato questa elaborazione (come non se ne resero conto in maniera organica neanche i comunisti): essa si aspettava che finita la guerra ricominciasse la crisi. Fu con grande sorpresa e con un respiro di sollievo che nel giro di qualche anno si reso conto che la crisi non riprendeva, gli affari giravano e i nuovi regimi si consolidavano.

 

42. Un contrasto antagonista d’interessi si ha quando uno dei due interessi in gioco può essere fatto valere solo sopprimendo l’altro o a spese dell’altro.

 

2. Sulle contraddizioni tra classi e strati delle masse popolari.

Ogni parte delle masse popolari ha contrasti antagonisti (42) d’interessi con la borghesia imperialista e contrasti non antagonisti con altre parti delle masse popolari. Per mettere le “sue” masse popolari sotto la sua direzione, ogni gruppo imperialista fa ricorso a qualche contraddizione che divide quella parte delle masse popolari da altre; cerca di mettere questa contraddizione alla direzione del movimento di resistenza di questa parte delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e di volere occultare la contraddizione che oppone anche questa parte delle masse popolari alla borghesia imperialista; cerca di far assumere a una contraddizione in seno al popolo il ruolo di contraddizione antagonista e di far assumere a una contraddizione secondaria il ruolo di contraddizione principale. Questa operazione delle forze soggettive della reazione, in date circostanze, può avere successo: infatti, in date circostanze, è possibile far diventare principale ciò che e secondario e viceversa.

Nella difesa di quanto ha conquistato e che il procedere della crisi della società borghese le toglie, se prevale la direzione della borghesia imperialista, questa parte delle masse popolari si scaglierà contro altre masse popolari per salvaguardare le proprie conquiste e conquistare le condizioni della propria sopravvivenza a spese di quelle. L’operazione, per un certo tempo e in una certa misura, può dare risultati positivi che confermano la bontà della linea seguita e quindi consolidano la direzione della borghesia imperialista. Viceversa, la lotta accanita e vittoriosa delle altre masse popolari scuote la direzione della borghesia imperialista sulle “sue” masse popolari ed è quindi un elemento indispensabile per unire tutte le masse popolari sotto la direzione della classe operaia.

 Il punto forte di questa linea delle forze soggettive della reazione è che la contraddizione tra classi e strati delle masse popolari su cui esse fanno leva esiste effettivamente. Più le forze soggettive della rivoluzione si affannano a negarla a parole, a “dimostrare” che non esiste oppure semplicemente trascurano di trattarla, la trattano a parole e in modo inefficace, si limitano alle prediche e alle esortazioni, ecc., più le forze soggettive della reazione hanno buon gioco.

Il punto debole di questa linea delle forze soggettive della reazione è che esse devono “remare contro la corrente della realtà”: devono far passare per principale una contraddizione secondaria e mascherare la contraddizione principale, devono trattare come antagonista una contraddizione che non è antagonista. Ciò comporta vane possibilità per alimentare la contraddizione che la mobilitazione reazionaria delle masse porta in sé. Il prolungarsi della lotta e la resistenza dell’altra parte portano ai limiti della misura e del tempo entro cui l’operazione è confermata dai risultati.(43) La guerra-lampo, la vittoria confermano la direzione della borghesia imperialista e la mobilitazione reazionaria delle masse.(44)

 

43. Ad un certo punto della prima guerra mondiale tutti i gruppi della borghesia imperialista furono presi dalla smania di porre fine alla guerra a qualsiasi costo (e non a caso persino il papa di Roma a quel punto alzò il suo grido contro “l’inutile strage”), perché essa, prolungandosi, si stava trasformando dovunque (a partire dall’impero russo) da mobilitazione reazionaria delle masse popolari in mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.

 

44. Ad esempio, la seconda guerra mondiale chiusa con la vittoria che consolidò negli USA la direzione della borghesia imperialista sulle masse popolari, direzione che ha incominciato a indebolirsi poi con la sconfitta subita nel Vietnam e viene ora, giorno dopo giorno, erosa dal procedere della crisi attuale.

 

Il successo di queste operazioni dei gruppi borghesi può essere impedito e la mobilitazione reazionaria delle masse da parte di gruppi borghesi può essere rovesciata contro la borghesia. A questo fine è indispensabile una politica rivoluzionaria da parte della classe operaia e del suo partito, una politica che non abbia paura dei contrasti d’interessi, della guerra su di essi, ma anzi renda concreta ogni lotta e la porti a fondo. In definitiva per spezzare la mobilitazione reazionaria delle masse popolari e rovesciarla contro la borghesia, ogni parte delle masse deve essere portata a dovere e potere scegliere tra

- sacrificare alla borghesia i suoi interessi principali (che la oppongono alla borghesia imperialista) e continuare una guerra contro altre parti delle masse popolari, con cui invece potrebbe (dato che il contrasto d’interessi non è antagonista) trovare un accordo che salvaguardi gli aspetti essenziali della sua esistenza distrutti dalla crisi della società borghese,

- continuare la guerra contro la borghesia imperialista per affermare i suoi interessi principali e trovare una reale composizione d’interessi con le altre parti delle masse popolari.

E evidente che in ogni caso si tratterà di una scelta di guerra. Gli opportunisti che in una situazione rivoluzionaria cercano di impedire alle masse popolari di combattere per i propri interessi, di fatto lavorano non a favore di una pace che la crisi inarrestabile della società borghese ha rotto e rompe ogni giorno di più, ma a favore della mobilitazione reazionaria delle masse.(45)

 

45. È da ciò evidente il carattere scientifico, dialettico della tesi del social-fascismo avanzata negli anni ’30. Questa tesi affermava che i socialdemocratici, che si opponevano con tutte le loro forze alla guerra di classe, aprivano la strada al fascismo (cioè alla mobilitazione reazionaria delle masse). La tesi del social fascismo (quindi la comprensione del ruolo reale svolto dai socialdemocratici) ovviamente non bastava a rendere vincente la linea dei partiti comunisti (e in effetti non bastò).

Alcuni compagni vanno ancora oggi ripetendo, contro la tesi scientifica e dialettica del social-fascismo, giaculatorie ereditate acriticamente dalla polemica borghese, dimenticando persino di riflettere sul fatto che se la linea “estremista” dei sostenitori della tesi del social-fascismo non bastò a fermare il fascismo, non lo fermò neanche la linea di collaborazione di classe sostenuta dai socialdemocratici. Questi compagni si privano quindi della capacità di vedere quali sono stati i motivi reali della sconfitta subita dai comunisti e dalle masse popolari nella prima metà del secolo in Europa e negli USA, motivi che a noi pare attengano piuttosto all’incomprensione del ruolo e delle forme della guerra rivoluzionaria nell’epoca imperialista del capitalismo e all’incomprensione, connessa alla prima, della linea di massa.

 

3. Sugli strumenti di potere che i nuovi gruppi reazionari “ereditano” dall’esistente regime.

 In quanto espressioni della stessa classe dominante, le forze soggettive della reazione ereditano dall’attuale formazione economico-sociale l’arte e l’esperienza del comando, il denaro (potere di comando sul lavoro altrui), la forza dell’abitudine e la cultura dominante con i suoi luoghi comuni, i suoi pregiudizi e i mezzi di formazione e di condizionamento delle coscienze, l’apparato di intimidazione e di repressione.

Sotto questo aspetto il punto forte delle forze soggettive della reazione è l’effettivo ruolo che questi strumenti hanno nella determinazione dell’esito degli scontri.

Il punto debole è l’appartenenza di questi strumenti all’attuale regime che è bersaglio particolare della mobilitazione delle masse popolari: non a caso i gruppi che cercano di imporre la direzione della borghesia imperialista nel movimento delle masse popolari “hanno bisogno” dell’ostilità delle istituzioni del vecchio regime e le persecuzioni che queste attuano, l’ostracismo che mostrano nei loro confronti, ecc. lungi dall’indebolirli li rafforzano.

Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono comprendere profondamente la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Finché le masse popolari non hanno raggiunto almeno un certo livello di autonomia politica,(46) inevitabilmente esse saranno usate alcune da un gruppo imperialista, altre da un altro.

 

46. L’autonomia politica delle masse popolari sono le masse popolari che agiscono come soggetto politico (prendono parte al movimento politico della società) per affermare (e in coerenza con) i propri interessi materiali (economici e no) e, su questa base, anche del resto dei propri interessi.

Quindi l’autonomia politica delle masse popolari

- è un movimento diretto contro la borghesia imperialista;

- è un movimento di masse popolari dirette dalla classe operaia;

- è un movimento diretto dalla classe operaia tramite il suo partito, il partito comunista. Questo, infatti, è la classe operaia fattasi classe dirigente, è il cuore del sistema di relazioni e di organismi in cui si esprime il ruolo dirigente della classe operaia e la sua azione dirigente per distruggere l’imperialismo, costruire il socialismo e marciare verso il comunismo.

Questa è l’autonomia politica delle masse popolari quale può essere nella società attuale, nella società imperialista, stante la costituzione materiale di questa società.

 

Nella misura in cui le circostanze rendono con gli attuali i rapporti tra i gruppi imperialisti, le masse popolari usate da ognuno di essi sono coinvolte nel conflitto tra i gruppi della borghesia imperialista. Grazie ai conflitti di interessi sorti o cresciuti tra i gruppi imperialisti, diventano conflittuali i rapporti tra le masse popolari.

Più i conflitti tra i gruppi imperialisti sono acuti, più aspro è il conflitto tra le masse popolari che ne deriva, più ogni gruppo imperialista deve rafforzare la sua direzione sulle “sue” masse popolari.(47) Ogni gruppo imperialista deve “alzare una bandiera” sotto la quale raggruppare le “sue” masse popolari e in nome della quale imporre ad esse con successo di sacrificare “volontariamente” o almeno con animo rassegnato i propri interessi, di obbedire e di combattere con iniziativa, coraggio e creatività, contribuendo con spirito di collaborazione al suo trionfo. Ogni gruppo imperialista deve fare una politica per le masse, cioè prendere e attuare misure specificamente rivolte a mobilitarle, inquadrarle e portarle al combattimento.

 

47. Questo è un punto debole per ogni gruppo imperialista, quindi per ogni mobilitazione reazionaria delle masse: il gruppo imperialista che non riesce a rafforzare la sua direzione sulle “sue” masse popolari, perde la partita ed esce inevitabilmente di scena a vantaggio di un altro gruppo imperialista. Su questo punto debole le forze soggettive della rivoluzione socialista possono agire e su ciò ritorneremo più avanti.

 

Ogni gruppo imperialista impugna la bandiera che può impugnare, quella che reputa più atta allo scopo tra quelle che trova a portata della sua mano, che la tradizione e le condizioni specifiche delle “sue” masse popolari mettono a sua disposizione. Da qui nascono le “truppe croate”, le “truppe serbe”, le “truppe cattoliche”, le “truppe mussulmane”, ecc.(48) Tutte bandiere sotto ognuna delle quali un gruppo imperialista mobilita le “sue” masse popolari. Cosi intesa la realtà delle cose, non è strano ad esempio che “truppe cattoliche” (formate da un gruppo imperialista) si scaglino contro altre “truppe cattoliche” (formate da un altro gruppo imperialista), ogni parte in nome della propria cattolicità e in contrasto con l’universalità della dottrina e della gerarchia cattolica (che ovviamente si adatta e, data la sua natura, deve adattarsi alla cosa). Si rivela cosi il carattere strumentale della bandiera “cattolica” sotto cui ognuna di esse e raggruppata e  nella quale ognuna di esse crede e per la quale ognuna di esse crede di combattere.

 

48. La guerra in Jugoslavia è un esempio da manuale che illustra come la borghesia imperialista sta portando il mondo verso la guerra: tra grandi e universali proclamazioni di diritti umani e di volontà di pace. Quali gruppi imperialisti hanno lavorato per lo spezzettamento della Federazione delle Repubbliche jugoslave? Quali gruppi imperialisti finanziano le guerre in corso? Non ci si venga a dire che e stata volontà dei popoli. Oggi nessuno Stato del tipo di quelli che vi sono nel territorio della vecchia Federazione né avrebbe potuto costituirsi né potrebbe campare più di qualche giorno senza il sostegno finanziario e commerciale di alcuni gruppi imperialisti di livello internazionale. Nessuno degli eserciti del tipo di quelli tenuti in armi nel territorio della ex Federazione starebbe assieme senza finanziamenti in valuta estera dell’ordine di qualche decina di milioni di dollari (o di marchi) al giorno!

 

Ma, soprattutto, così intesa la realtà, si aprono vasti e articolati campi di azione alle forze soggettive della rivoluzione per rompere ogni mobilitazione reazionaria delle masse, per intervenire nel rapporto tra ogni gruppo imperialista e le “sue” masse popolari. Questo rapporto è fragile perché cela e deve celare un reale contrasto di interessi e si regge sull’uso unilaterale di qualche contrasto secondario tra gruppi di masse popolari per fare assumere ad esso il ruolo di contrasto principale nella determinazione del movimento politico delle masse stesse.

Questo rapporto non e neanche un “libero contratto tra parti ognuna delle quali tutela nel modo migliore possibile i suoi interessi in una limitazione consapevole di essi in funzione della conclusione del contratto” (come in un onesto e normale contratto commerciale o accordo societario). È al contrario un rapporto basato sulla capacità di direzione e sugli strumenti del potere politico del gruppo imperialista. Quindi combina persuasione, concessioni, disinformazione, inganni, repressione, sfruttamento della debolezza politica e ideologica delle forze soggettive della rivoluzione socialista, sfruttamento della rassegnazione, della forza dell’abitudine, della paura, del bisogno, ecc.

Esso e fragile perché è costretto a combinare tra le masse popolari la richiesta e la sollecitazione di capacità di iniziativa, di coraggio e di creatività, con il contenimento delle masse popolari nell’ambito degli interessi del gruppo imperialista, solo in via secondaria e sul breve periodo coincidenti con quelli delle masse popolari. Più la guerra si prolunga, più il rapporto diventa fragile, come è stato più volte confermato nelle guerre imperialiste e interimperialiste di questo secolo.

A fronte del rapporto tra un gruppo imperialista e le “sue” masse popolari, la realizzazione del proprio compito impone alle forze soggettive della rivoluzione socialista di non concentrare i loro attacchi sulla bandiera sotto cui avviene rapporto, ma di concentrare i loro attacchi sul contrasto di interessi, farlo emergere, farlo sviluppare, sviluppare la mobilitazione delle masse popolari sui loro stessi interessi. I conti con la “bandiera” verranno regolati a suo tempo. Il gruppo imperialista, al contrario, farà di tutto per concentrare lo scontro sulla bandiera, per additare le forze soggettive della rivoluzione socialista come nemiche della bandiera, per indurle a dirigere i loro attacchi contro la bandiera.

Ma è evidente che la mobilitazione reazionaria delle masse popolari può essere trasformata in mobilitazione rivoluzionaria solo se le forze soggettive della rivoluzione socialista e la classe operaia riusciranno a ergersi di fronte alla borghesia imperialista, come una potenza di fronte a un’altra potenza, a stabilire un rapporto prima di autonomia, quindi di forza (di equilibrio) e infine di attacco e di superiorità. Insomma a porre alle masse popolari una reale soluzione di potere in alternativa a quello della borghesia imperialista.

Le forze soggettive della rivoluzione socialista non possono quindi limitare la loro azione nei limiti posti dal gruppo imperialista dominante, perché (salvo errori  del gruppo imperialista dominante) quei limiti sono posti proprio allo scopo il rendere inefficace la loro azione. Accettarli equivale a rinunciare al proprio obiettivo.(49)

 

49. Ciò non significa che le forze soggettive della rivoluzione socialista devono sempre e in ogni iniziativa violarli per sfidare il potere costituito, anche quando ad esse conviene evitare la sfida. Bisogna trattare quei limiti che il gruppo imperialista pone in conformità ai suoi interessi e rispetto ai quali le forze soggettive della rivoluzione socialista, a loro volta, si comportano in conformità ai propri interessi.

  

Le condizioni economiche strutturali della rivoluzione socialista sono presenti (riunite) da quando e iniziata l’epoca im perialista. Da allora lo scopo essenziale, principale e dirigente dell’azione dei gruppi imperialisti è diventato la conservazione del proprio potere contro la pressione del proletariato. La borghesia imperialista ha, da allora, la sensazione di “essere seduto su un barile di polvere”, che il suo potere sia minacciato, la sua autorità incerta: come un mediocre maestro di scuola che ogni giorno entra in aula con l’incubo se riuscirà o no a mantenere la disciplina. Da allora vi è uno stato di guerra civile tra borghesia imperialista e proletariato più o meno aperta o latente a seconda delle fasi e delle circostanze concrete. In termini politici la guerra civile ha due poli: lo Stato in cui la borghesia imperialista ha la sua direzione politica e il partito comunista che cerca di creare la direzione politica della classe operaia sul resto delle masse popolari.

 

6

Riassumendo, i punti deboli delle forze soggettive della reazione consistono fatto che esse sono portavoce dell’attuale classe dominante e nel fatto che esse devono stravolgere la realtà oggettiva che, attraverso mille pori, forma il movimento delle masse popolari: far diventare principale quello che è oggettivamente secondario. Operazione non impossibile (in determinate circostanze ciò che principale può diventare secondario viceversa), ma certamente né semplice né dall’esito scontato. Infatti la classe dominante ha la netta sensazione di essere seduta su un barile di polvere e ha paura delle masse popolari. La mobilitazione reazionaria delle masse è possibile, ma possibile sia prevenirla sia rovesciarla nel suo contrario una volta che si sia instaurata. Questo è appunto nello specifico compito delle forze soggettive della rivoluzione socialista.

In definitiva tutti i fattori favorevoli delle forze soggettive della rivoluzione socialista si riassumono nella corrispondenza tra il programma della rivoluzione socialista e gli interessi oggettivi comuni a tutte le classi che compongono le masse popolari e nella corrispondenza tra la gerarchia delle contraddizioni su cui si basa lo sviluppo della rivoluzione socialista e la gerarchia che esse obiettivamente hanno. È per questo che il soggettivismo è il nemico per eccellenza delle forze soggettive della rivoluzione socialista, perché porta a sostituire immaginazioni ed errori al mondo oggettivo in cui sta la nostra forza.

I comunisti sanno che sono le masse popolari che fanno la storia. I comunisti hanno fiducia nelle masse popolari perché sanno che gli interessi oggettivi delle masse popolari le spingono verso il socialismo. Essi sanno che all’origine dell’attuale mobilitazione delle masse popolari vi è l’insofferenza e la rivolta contro lo stato presente delle cose e contro il procedere della crisi della società borghese. I gruppi borghesi possono arruolare sotto la propria bandiera parti più o meno consistenti delle masse popolari solo facendo leva sull’insofferenza e sulla rivolta contro lo stato presente delle cose e contro il procedere della crisi della società borghese. I comunisti non si devono mai lasciar mettere contro le masse popolari. I comunisti possono unirsi alle masse popolari valorizzando la loro insofferenza e la loro rivolta contro lo stato presente delle cose e contro il procedere della crisi della società borghese e facendo emergere la contrapposizione tra la loro insofferenza e la loro rivolta da una parte e tutte le bandiere agitate dai gruppi della borghesia imperialista dall’altra, dividendo l’uno (la mobilitazione reazionaria delle masse) in due (l’insofferenza e la rivolta da una parte, le bandiere reazionarie dall’altra; le masse popolari da una parte, i gruppi della borghesia imperialista dall’altra).

Solo gli opportunisti e i codisti hanno paura della mobilitazione reazionaria delle masse. Gli opportunisti “sono spaventati” dalla  mobilitazione reazionaria della masse perché essi sono spaventati da ogni mobilitazione delle masse. Essi concepiscono le masse popolari solo come contorno, coro, pubblico o al massimo come “massa di manovra” per le politiche elaborate a tavolino da un’élite dirigente. I codisti perché, data la loro concezione, se si unissero alle masse mobilitate dalla reazione si unirebbero anche alle bandiere reazionarie che i gruppi borghesi agitano per usare le masse popolari.

La nostra concezione del mondo, la nostra analisi della situazione, la nostra linea politica e il nostro metodo di lavoro si  riassumono oggi in:

. porre al centro del proprio lavoro il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese;

. sostenere la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese;

. fondarsi sull’aspetto difensivo della resistenza per far diventare dirigente l’aspetto offensivo;

. far prevalere la direzione della classe operaia nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese;

. praticare la linea di massa come metodo principale di direzione e di lavoro in tutti i campi!