La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica

Rapporti Sociali n. 8,  novembre 1990 (versione Open Office / versione MSWord )

 

La tesi che i revisionisti moderni negli anni ’50 (sotto la direzione di Kruscev) hanno restaurato in Unione Sovietica il modo di produzione capitalista è stata sostenuta negli anni ’60 e ’70 dai gruppi marxisti-leninisti, nell’ambito della denuncia della linea di reazione anticomunista e di restaurazione del capitalismo seguita dai revisionisti moderni che dirigevano sia l’URSS sia gran parte dei paesi dell’Europa Orientale. Essi sostennero che l’Unione Sovietica era un paese socialcapitalista e socialimperialista, ossia socialista nei discorsi dei dirigenti e nei pretesti da essi sbandierati per sostenere presso le masse le loro iniziative, ma capitalista e imperialista “nei fatti”.

Noi sosteniamo che questa tesi è giusta solo nel senso che la linea seguita dai revisionisti moderni, benché ammantata di “parole comuniste”, portava in realtà alla restaurazione del capitalismo e a fare dell’URSS un paese imperialista, è invece errata se intesa (come era ed è intesa) nel senso che questo risultato era già stato raggiunto. Noi sosteniamo

- che il revisionismo moderno è stato il tentativo di restaurare gradualmente e pacificamente il capitalismo;

- che questo tentativo, protrattosi in alcuni paesi socialisti per quasi quarant'anni e nel contesto favorevole alla restaurazione costituito dalla ripresa dell’accumulazione del capitale nei paesi imperialisti, ha portato alla paralisi della società socialista ma non alla restaurazione del capitalismo;

- che il crollo del revisionismo moderno consiste precisamente nel fallimento del tentativo di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo;

- che questo fallimento pone all’ordine del giorno uno scontro tra le classi che ha come esiti possibili la ripresa della transizione al comunismo o la restaurazione violenta del capitalismo, esiti che entrambi escludono una “omologazione dei paesi socialisti alla società dei consumi o società del benessere dei paesi imperialisti”

La questione della restaurazione del capitalismo non è nominalistica: non si discute sul nome da dare al sistema economico dell’Unione Sovietica. La questione ha rilevanza pratica e, solo a seguito di ciò, anche teorica. Infatti si tratta di comprendere quali sono state le contraddizioni che hanno determinato il movimento della società sovietica a partire dagli anni ’50, quali sono quelle che ne determinano attualmente il movimento, quali sono quindi le correnti principali di quel movimento, quali sono gli esiti verso cui la società sovietica può andare, quali sono gli obiettivi reali delle forze politiche operanti oggi in Unione Sovietica,(1) qual è il ruolo che l’Unione Sovietica ha e avrà nello sviluppo della crisi per sovrapproduzione di capitale e nel movimento rivoluzionario mondiale.

Il modo di produzione capitalista è un fenomeno storico sviluppatosi con continuità dal secolo XV a partire dall’Europa Occidentale le cui caratteristiche essenziali e universali (comuni cioè a tutti i paesi) specifiche (che cioè ne fanno un modo di produzione distinto dagli altri) sono state poste in luce da Marx nell’opera Il capitale. Tutti quelli che vogliono comprendere il movimento economico e politico delle società attuali devono rigettare la tendenza corrente della cultura borghese a impedire la comprensione della società capitalista trasponendo a realtà diverse categorie (e nomi) relative ad una realtà, sulla base di somiglianze superficiali e labili e quindi a svuotare le categorie e i nomi di ogni contenuto di importanza pratica.(2)

 

(1). Gli organismi e gli individui nella loro attività politica si propongono di far muovere la società verso determinate mete. In realtà ogni società può muoversi solo, in alternativa, verso alcune mete ben definite dalla sua composizione materiale e dalle contraddizioni che operano al suo interno, che “si mediano” con la realtà esterna. La società raggiunge una di queste mete e non altre. Il dilemma che lo scontro politico risolve è quale di queste mete sarà raggiunta in alternativa alle altre che resteranno nel campo delle cose che erano possibili e non si sono mai realizzate.

A realizzare la meta effettivamente raggiunta concorre anche l’attività politica di individui e organismi che non se l’erano posta come obiettivo o addirittura l’hanno avversata, ma la cui attività indirizzata verso altre mete ha avuto come unico effetto pratico quello di favorire il movimento della società verso  la meta effettivamente raggiunta. Così come, dato un treno su un binario posizionato in direzione est/ ovest, anche chi lo tirasse verso sud-est non contribuirebbe in realtà che a farlo muovere verso est.

 

(2). La cultura borghese corrente, sostiene che “il capitale c'è sempre stato perché anche l’antico contadino egizio usava l’aratro per coltivare la terra”. Con lo stessa acutezza di chi, parlando di cavalli, sostiene che le mucche sono cavalli “infatti hanno anch'esse quattro zampe”.

 

Per risolvere la questione circa la restaurazioni del modo di produzione capitalista in URSS negli anni ’50 ad opera dei revisionisti moderni dobbiamo partire dalla natura della struttura economica del capitalismo nella fase imperialista.

La fase imperialista del capitalismo è caratterizzata dal contrasto tra la proprietà individuale delle forze produttive (che è un elemento costitutivo essenziale del capitalismo e il carattere collettivo raggiunto dalle stesse forze produttive.(3) Nelle società imperialiste l’elemento essenziale del capitalismo (la proprietà individuale delle forze produttive) trova la sua mediazione (4) con il raggiunto carattere collettivo delle forze produttive nel capitale collettivo, nelle associazioni di capitalisti o società di capitale, nelle forme antitetiche dell’unità sociale. Da qui i monopoli, il capitale finanziario, la spartizione del mondo tra gruppi e Stati imperialisti, le imprese multinazionali, le politiche economiche, il capitalismo di Stato, ecc. Questa tesi, importante per capire il movimento economico delle società imperialiste, è esposta per esteso in Rapporti Sociali n. 4 pagg. 5-25.

 

(3). La cellula irriducibile costitutiva della società imperialista resta quella stessa della società capitalista di vecchio stampo: la frazione di capitale personificata in un individuo (il capitalista). Il resto (le associazioni di capitalisti, le società di capitale, gli enti economici pubblici, ecc.) sono sovrastrutture derivate di quelle cellule elementari, sono combinazioni più o meno stabili, più o meno numerose e più o meno complesse di queste. Quindi come la cellula costitutiva della società mercantile è la merce, così la cellula costitutiva della società capitalista (anche nello stadio imperialista del capitalismo) è il capitale individuale. Il capitale individuale a sua volta è una cellula “più complessa” della merce, esso infatti implica la merce.

 

(4). Nel movimento della società, il modo di produzione vigente in essa (e che l’uomo arriva a conoscere astraendo dagli aspetti casuali e particolari, concreti, delle sue manifestazioni o modi di essere), assume le sue manifestazioni concrete e specifiche “facendo i conti” con le condizioni esterne (climatiche, geologiche, geografiche, derivanti dalle altre società, ecc.) e storiche (il patrimonio culturale e biologico e l’esperienza ereditata) della società. Si dice che esso si manifesta mediando con le condizioni esterne e storiche o che la sua manifestazione concreta è una mediazione di esso con le condizioni esterne e storiche. Quindi ogni manifestazione concreta può essere a sua volta compresa dall’uomo solo se costui ricostruisce nella sua mente il processo attraverso il quale il modo di produzione di quella società si è combinato con le condizioni esterne e le condizioni storiche a dare le sue manifestazioni concrete che sono oggetto dell’esperienza diretta.

Nel caso in esame, ciò che è la sostanza del modo di produzione capitalista “facendo i conti” con il carattere collettivo delle forze produttive si presenta come capitale collettivo.

 

 

*******

Per la comprensione di quanto esposto in questo scritto, occorre che i nostri lettori mantengano ben chiara la distinzione tra le seguenti categorie che usiamo in questo scritto.

1. Possesso individuale delle forze produttive: il lavoratore autonomo produce merci con il suo lavoro diretto e acquista come merci i mezzi e il materiale di lavoro.

2. Possesso individuale capitalista delle forze produttive: il capitalista produce merci a mezzo del lavoro di lavoratori la cui forza-lavoro esiste nella società come merce e acquista come merci, oltre alla forza-lavoro, i mezzi e il materiale di lavoro.

3. Possesso collettivo capitalista delle forze produttive: un'associazione di capitalisti produce merci a mezzo del lavoro di lavoratori la cui forza-lavoro esiste nella società come merce e acquista come merci, oltre alla forza-lavoro, i mezzi e il materiale di lavoro. Questa associazione di capitalisti si pone quindi rispetto al resto della società come produttore, venditore e compratore di merci, ivi compresa la forza-lavoro. L'associazione di capitalisti può essere privata (ogni capitalista appartenente all’associazione possiede, come proprietà individuale alienabile, titoli di credito a una quota definita del profitto ricavato) o pubblica (il profitto ricavato è proprietà collettiva e indivisibile dell’associazione, che è una pubblica autorità).

4. Possesso privato cooperativo delle forze produttive: un'associazione di lavoratori produce merci a mezzo del lavoro diretto dei propri membri e acquista come merci i mezzi e il materiale di lavoro. Questa associazione si pone rispetto al resto della società come produttore, venditore e compratore di merci varie, esclusa la forza-lavoro.

5. Possesso collettivo socialista delle forze produttive: i lavoratori associati producono beni di consumo e mezzi di produzione che vengono distribuiti per il consumo o la utilizzazione produttiva all’interno della stessa associazione soddisfacendo completamente le esigenze sia del consumo che della riproduzione; quindi i lavoratori associati né producono, né vendono né comperano merci.

 Queste varie forme di possesso delle forze produttive non esistono in generale “pure”. Nelle concrete formazioni economico-sociali dei vari paesi socialisti si sono presentate varie combinazioni di esse. La transizione al comunismo mira a limitare e quindi gradualmente eliminare le prime quattro forme a vantaggio della quinta, con tempi e strumenti di limitazione ed eliminazione differenziati per le varie forme.

*****

 

Nello stesso scritto si mostra anche che la proprietà capitalista collettiva delle forze produttive, lungi dall’eliminare la proprietà capitalista individuale, apre un nuovo vasto campo d'azione alla proprietà capitalista individuale. È vero che le principali strutture produttive (5) nei paesi imperialisti sono divenute proprietà diretta di associazioni di capitalisti (società per azioni, enti economici pubblici, fondi d'assicurazione o altri organismi del genere). Ma è altrettanto vero che il capitalista-individuo espulso dal possesso diretto delle strutture produttive stante il carattere sociale di queste, rientra come proprietario individuale di una quota del loro valore e fa valere come tale i diritti che non può più far valere compiutamente e direttamente rispetto alle strutture produttive stante il carattere sociale che queste hanno acquisito. Se, ad esempio, si considerano le recenti vicende della Société Générale de Belgique o della Montedison (grandi associazioni di capitalisti, capitalisti collettivi), appare immediatamente il campo d'azione che esse costituiscono per i capitalisti-individui come De Benedetti e Gardini. Non si possono comprendere le vicende delle grandi società multinazionali (General Motors, Standard Oil of N.J., Ford motor, R.D. Shell, General Electric, IBM, ecc.) se si prescinde dai legami tra queste e i loro grandi azionisti, gli scalatori al controllo, gli avventurieri della finanza, la folla dei piccoli azionisti e dei risparmiatori, i capitalisti individuali loro clienti e fornitori, giù giù fino al variopinto mondo della piccola produzione mercantile individuale in cui milioni di individui si agitano ognuno mirando alla sua “fortuna”. Non si può comprendere nulla del movimento delle strutture e istituzioni tipiche del “capitale collettivo”, dei “capitalisti associati”, se si prescinde dal capitale individuale e dalla produzione mercantile. L'imperialismo, il monopolio, il capitale finanziario, il capitalismo di Stato, il capitalismo burocratico poggiano sulla larga base del capitalismo vecchio stile, della proprietà individuale delle forze produttive, delle piccole e medie imprese capitaliste, dei rapporti mercantili, dei rapporti di denaro, dei rapporti di valore.

Il monopolio nella società borghese (6) è una mediazione tra la proprietà individuale delle forze produttive e il carattere collettivo delle stesse. Esso nasce come sviluppo e rovesciamento della produzione mercantile di cui vive: tutto il vantaggio che un capitalista trae dal prezzo di monopolio e dalle condizioni di monopolio ha la sua origine indispensabile nel contesto non monopolistico in cui il monopolio opera. Dove non c'è libera concorrenza non ci può essere monopolio capitalista così come non ci può essere isola dove non c'è mare.

 

(5). Con il termine struttura produttiva indichiamo una combinazione tecnicamente definita di forze produttive atta a produrre (l’unità produttiva, la fabbrica, ecc.).

 

(6). A proposito del monopolio borghese, Marx nella Miseria della filosofia (1847) scrive: “Il signor Proudhon parla solo del monopolio moderno generato dalla concorrenza. Ma tutti sappiamo che la concorrenza è stata generata dal monopolio feudale. Così, geneticamente, è la concorrenza che è stata la negazione del monopolio e non il monopolio la negazione della concorrenza. Dunque il monopolio moderno non è una semplice antitesi, è al contrario la vera sintesi. Tesi: il monopolio feudale anteriore alla concorrenza. Antitesi: la concorrenza. Sintesi: il monopolio moderno, che è la negazione del monopolio feudale, in quanto presuppone il regime di concorrenza e che è la negazione della concorrenza in quanto è monopolio”.

 

Il capitale finanziario nella società borghese nasce e si sviluppa come associazione di capitalisti individuali e il denaro assume la veste di titoli di credito come sviluppo della sua veste di oro che anche nella società imperialista resta però la più sicura ancora del potere personale di ogni capitalista a cui egli infatti ritorna ogni volta che vengono meno le condizioni che hanno portato il denaro a cambiare veste.

Il colonialismo e l’assoggettamento e sfruttamento dei paesi più arretrati nella società borghese nascono e si sviluppano come conseguenza e strumento della lotta per mantener più alto possibile il saggio del profitto delle frazioni individuali  di capitale.

Il capitalismo di Stato nasce e si sviluppa come intervento dello Stato e uso delle sue risorse politiche per mantenere alto il saggio del profitto dei capitali privati e dei capitali individuali e trattare le contraddizioni tra di essi.

Il capitalismo burocratico (o capitalismo burocratico di Stato) è il tipo di capitalismo chi l’imperialismo fa sorgere nei paesi arretrati, semifeudali e semicoloniali, combinando i gruppi imperialisti, i grandi proprietari terrieri e i gran di banchieri con il potere statale. (7)

 

(7). La categoria capitalismo burocratico è stata sviluppata estesamente da Mao Tse-tung come categoria chiave per comprendere il movimento economico e politico dei paesi arretrati nella fase imperialista. Il Partito comunista peruviano (PCP) ha fatto e fa un'ampia applicazione di questa categoria arricchendone di conseguenza il contenuto (vedasi Guerra Popular en el Perù - El pensamiento Gonzalo, ed. L. Arce Borja, Bruxelles 1989, in particolare pag. 326 e segg., il documento congressuale del 1988 Bases de Discussion: Revolucion Democratica: Caracter de la sociedad peruana contemporanea).

 

Quindi non ha senso parlare di imperialismo, di monopolio, di capitale finanziario, di capitalismo di Stato, di capitalismo burocratico riferendosi ad una società in cui i capitali individuali, i capitali privati e la produzione mercantile non costituiscono il tessuto di base dell’attività economica della società. Queste sono tutte tesi che Lenin già illustrava all’ottavo congresso del PC(b) nel Rapporto sul programma del partito del 19 marzo 1919 (Opere vol.29) attaccando le tesi di Bukharin. Questi sosteneva che l’imperialismo era un nuovo modo di produzione succeduto al capitalismo. Lenin concludeva la sua critica sostenendo: “L’imperialismo puro senza il fondamento del capitalismo, non è ma esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere. Si è generalizzato in modo errato tutto ciò che è stato detto sui consorzi, i cartelli, i trust, il capitalismo finanziario, quando si voluto presentare quest'ultimo come se noi poggiasse affatto sulle basi del vecchio capitalismo. (...) Se Marx dice della manifattura che essa è una sovrastruttura della piccola produzione mercantile di massa (Il capitale, libro I cap.12), l’imperialismo e il capitale finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se se ne demolisce la cima, apparirà i vecchio capitalismo. Sostenere che esiste un imperialismo integrale senza il vecchio capitalismo, significa prendere i propri desideri per realtà”.

Non si può comprendere il movimento economico e politico delle società imperialiste se si prescinde dall’esistenza della larga base del vecchio capitalismo, che non può venir meno, da cui emergono continuamente le grandi società e in cui si rispezzettano continuamente grandi capitali generando folle di appaltatori, subappaltatori, fornitori, venditori, profittatori, avventurieri, speculatori, borsaneristi, ecc. Il capitale finanziario, il monopolio, la borghesia imperialista sono la parte dirigente della società imperialista: ma togliere a questa parte il resto della società equivale a togliere alle truppe di prima linea il resto delle forze armate e del paese. Detto in altre parole, l’imperialismo non è un nuovo modo di produzione, diverso dal modo di produzione capitalista. Esso è la fase ultima del capitalismo, l’anticamera del socialismo. Esso è una sovrastruttura del capitalismo, è la fase degenerativa del modo di produzione capitalista che, storicamente superato dato il carattere collettivo oramai assunto dalle principali forze produttive, sopravvive a se stesso. Esso genera d'altra parte continuamente nuovo capitalismo e poggia su di esso. Concludendo: il capitale collettivo nasce, esiste e può esistere solo come sovrastruttura del capitale individuale, come mediazione del possesso individuale delle forze produttive con il carattere collettivo delle stesse; il monopolio moderno nasce, esiste e può esistere solo come limitazione parziale della concorrenza; il capitale concentrato e centralizzato nasce, esiste e può esistere solo nel contesto dei molti capitali contrapposti come venditori e compratori e continuamente genera capitali contrapposti, con un movimento centrifugo che si contrappone al suo movimento centripeto; nella società borghese la direzione consapevole del movimento economico complessivo della società (ad opera dello Stato o di “associazioni private” di capitalisti) nasce, esiste e può esistere solo come forma antitetica dell’unità sociale.

I revisionisti moderni dei paesi imperialisti ci hanno abituato a considerare fondamentale la distinzione tra proprietà  privata (individuale e di associazioni private di capitalisti) e proprietà pubblica (cioè di associazioni pubbliche di capitalisti, del loro Stato, ecc.). Da qui viene poi “spontaneo” confondere le unità produttive di un paese socialista con le imprese pubbliche di un paese imperialista.

Nelle società imperialiste le società per azioni e gli enti economici pubblici (le imprese statali, le società nazionali, gli enti economici dello Stato, delle regioni, dei comuni, ecc.) sono una mediazione della proprietà individuale capitalista delle forze produttive che sopravvive come elemento costitutivo principale della società con il carattere collettivo delle forze produttive. Chi confonde le forme antitetiche dell’unità sociale (che si formano necessariamente quando il capitalismo - con la sua proprietà individuale delle forze produttive - sopravvive nonostante il carattere collettivo assunto dalle forze produttive) con il capitalismo tout court, riducendo ad esse l’intera struttura economica della società imperialista (quindi cancellando con un colpo di testa tutto il tessuto del vecchio capitalismo che costituisce la base della società attuale), non può comprendere né il capitalismo né il socialismo.

Un'impresa sovietica degli anni ’60 apparentemente non è diversa dalla Société Générale de Belgique o dall’AGIP italiana. Ma la differenza è invece sostanziale mentre l’uguaglianza è superficiale e secondaria. La differenza sostanziale risiede nel fatto che l’impresa sovietica

1. non è il termine di mediazione della proprietà individuale delle forze produttive (che non esiste) e il carattere collettivo delle forze produttive,

2. né sorge né poggia né si può sciogliere in un mare sottostante e circostante di imprese capitaliste individuali, di rapporti mercantili, di rapporti di denaro.

L'apparente somiglianza e reale differenza tra imperialismo e socialismo è esposta estesamente in Rapporti Sociali n. 4, pagg. 11 e 12 e in I fatti e la testa pag. 40 e segg.

A questo punto risulta chiaro che è inconsistente la tesi secondo la quale la restaurazione del modo di produzione capitalista in URSS sarebbe già stata compiuta negli anni ’50.

I revisionisti moderni infatti non avevano restaurato il possesso individuale delle principali forze produttive e non avevano sostanzialmente esteso il possesso individuale di forze produttive più di quanto ne restava al momento del loro avvento alla direzione del partito e dello Stato (nonostante l’estensione maggiore della produzione individuale autonoma detta “economia parallela” o “economia sommersa”). Anche nel periodo della loro direzione i rapporti di denaro erano rimasti confinati alla circolazione dei beni di consumo personale (il denaro accumulato dai nuovi ricchi arrivò a cifre favolose proprio anche perché non poteva essere impiegato se non nell’acquisto di beni di consumo e di servizi personali). I rapporti di valore non ripresero a regolare il movimento economico della società: i prezzi continuavano ad avere principalmente le funzioni di regolare il consumo, di ridistribuire il reddito e di metro per la valutazione della variazione nel tempo dell’efficienza dell’unità produttiva; non assunsero mai la funzione di regolatori generali della riproduzione (e infatti la scala dei prezzi sovietici dei vari articoli rimase completamente inconfrontabile con quella del mercato capitalista mondiale). Kruscev, Kossygin e Breznev non riuscirono mai (nonostante i ripetuti tentativi ed esperimenti) a introdurre su scala generale il governo dell’economia attraverso, come essi dicevano, il “calcolo economico” o l’“autonomia finanziaria” delle singole unità produttive, ossia attraverso il rendimento in denaro dell’attività delle singole unità produttive. Essi non riuscirono mai a far diventare il mercato (essi dicevano: i “contatti diretti tra le unità produttive”) il regolatore generale dell’attività economica. Il commercio estero rimase monopolio di Stato. La forza-lavoro solo in misura marginale fu ridotta nuovamente a una merce (la libera compra-vendita è una caratteristica essenziale della sua natura di merce). La pianificazione economica dei paesi socialisti, anche nei limiti in cui era efficace, non aveva che l’apparenza in comune con il monopolio che vige in vari settori economici nei paesi imperialisti, infatti ciò che è specifico del monopolio nella società borghese è il conseguimento di un sovrapprofitto rispetto alle altre frazioni di capitale che continuano ad operare in condizioni di concorrenza.

 Trascurare tutto questo e parlare di restaurazione del capitalismo ha portato inevitabilmente ad una critica idealista dei revisionisti moderni, cioè a una critica che poneva in primo piano la sovrastruttura (la politica e la cultura) e in secondo piano la struttura economica.

I sostenitori di questa tesi erano costretti infatti a inventare un “capitalista collettivo” senza capitalisti-individui, un monopolio borghese senza concorrenza, un capitale concentrato e centralizzato senza movimento centrifugo, una produzione capitalista senza produzione mercantile, una direzione statale (del movimento economico complessivo della società borghese) affermata ed esistente sulle sue stesse basi. Insomma un “imperialismo puro”, che non poggiava sul vecchio capitalismo, che non era sovrastruttura del capitalismo, ma era un modo di produzione nuovo, “diverso dal capitalismo classico”, però egualmente “cattivo e sfruttatore degli operai” quanto il vecchio capitalismo se non peggio e “quindi” era anch'esso capitalismo!(8)

 

(8). È evidente l’influenza in ciò della imperante cultura borghese di sinistra. I francofortesi e i loro seguaci (gli operaisti, ecc.) concepivano e concepiscono anche le società imperialiste come “imperialismo puro”, come “capitalismo organizzato” (vedasi Rapporti Sociali n. 5/6, pag. 34 e segg.) e non avevano alcuna difficoltà a omologare anche la società sovietica nelle loro fantasiose categorie dell’“imperialismo puro”, del “capitalismo organizzato”, della “sussunzione reale totale”, ecc.

 

In realtà quella tesi dava per risolta la principale contraddizione che invece era operante nei paesi socialisti, dava per concluso il conflitto principale in corso che invece determinava tutto il movimento economico e politico di quei paesi. Nei paesi socialisti l’azione politica di quei comunisti che adottarono questa tesi fu fortemente indebolita: essa infatti li separava dalle masse perché impediva ad essi di sintetizzare il conflitto tra la via al capitalismo e la via al comunismo in cui quotidianamente e capillarmente le masse erano coinvolte. Lasciava campo libero ai revisionisti per far compiere, di fronte ad ogni difficoltà, altri passi che indebolivano ogni giorno di più i germi di comunismo, rafforzavano le tendenze borghesi e portavano le masse all’impotenza e alla disperazione.

A partire dagli anni ’50, quando in Unione Sovietica hanno preso la direzione del partito comunista e della società, i revisionisti moderni non hanno restaurato il capitalismo, ma hanno arrestato la transizione verso il comunismo e hanno in molti campi fatto compiere passi indietro anche rispetto ai risultati già raggiunti.

Essi sostituirono gradualmente (ma solo in una certa misura) il risultato monetario delle singole imprese al risultato in beni prodotti a livello dell’intera società, come criterio di valutazione e di direzione del movimento economico; allargarono la sfera d'azione dell’economia mercantile e del denaro (vedasi ad esempio il conferimento in proprietà ai kolkoz del macchinario agricolo che contribuì a ritardare lo sviluppo tecnologico del lavoro agricolo, perché fece dipendere l’adozione di metodi produttivi più progrediti dal risultato commerciale di ogni kolkoz); abolirono l’obbligo generale al lavoro e aprirono vari canali (legali e no) al parassitismo e all’arricchimento individuale (che, proprio perché non poteva diventare possesso individuale di forze produttive, diventava solo strumento di corruzione, di lusso e di spreco); ricacciarono milioni di uomini nell’abbrutimento della fatica, della miseria, dell’ignoranza e della superstizione; trascurarono la riduzione della fatica dei lavoratori, riduzione che deriva dalla meccanizzazione e dall’automazione del lavoro produttivo e delle attività domestiche (donde l’arretratezza dell’apparato produttivo e dell’attrezzatura domestica); si curarono ben poco nella pratica della sicurezza e dell’igiene del lavoro e della salvaguardia della salubrità dell’ambiente (benché invece le norme relative adottate nei paesi socialisti fossero superiori a quelle adottate nei paesi imperialisti); crearono gradualmente una massa di funzionari, impiegati, professionisti, tecnici, artisti, letterati, giornalisti, ecc. sempre più separata dalla classe operaia; protessero e favorirono la formazione di una larga feccia di sfaccendati e di profittatori.

Tutto ciò allo stadio di tendenze e proposte esisteva nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica già prima di Kruscev. Nel suo scritto del 1952 (Problemi economici del socialismo in URSS - vedasi la traduzione pubblicata in Rapporti  Sociali n. 3) Stalin denuncia chiaramente e dettagliatamente alcune di queste proposte, benché non le identifichi come elementi di un insieme organico costituente una linea di restaurazione anticomunista. In realtà esse erano questo e, diventate linea dirigente del partito e dello Stato, costituirono una via che portava alla restaurazione della proprietà individuale delle forze produttive, cioè che non risolveva positivamente i problemi che lo sviluppo della società socialista poneva all’ordine del giorno, ma al contrario generava inevitabilmente e continuamente delle difficoltà e delle strozzature nella vita economica e politica della società socialista; difficoltà e strozzature a cui i revisionisti moderni davano soluzioni che, una dietro l’altra e di gradino in gradino, hanno portato alla stagnazione e alla paralisi economiche e quindi hanno posto irrimediabilmente e imperiosamente la scelta: o l’inversione di tendenza e la ripresa della transizione al comunismo o la restaurazione della proprietà individuale delle forze produttive e del pieno carattere commerciale della produzione (cioè la restaurazione del capitalismo). Questo è il nodo a cui i revisionisti moderni hanno condotto la società sovietica e che è stato raggiunto solo ora, dopo quasi quarant'anni dal loro arrivo al potere! Restaurare il capitalismo si è rivelata un'impresa tutt'altro che facile. Uno dei dirigenti della Rivoluzione Culturale Proletaria, Yao Wen-yuan, in un articolo pubblicato all’inizio del 1975 (Le basi sociali della cricca antipartito di Lin Piao) illustrava in dettaglio la via che i revisionisti moderni seguivano.

“Nella società socialista esistono ancora due tipi di proprietà: la proprietà socialista che è la proprietà di tutto il popolo e la proprietà privata cooperativa. Questo determina il fatto che in Cina attualmente pratichiamo un sistema basato sullo scambio di merci. Le analisi fatte da Lenin e dal presidente Mao ci dicono che il diritto borghese, che nel sistema socialista esiste inevitabilmente per quel che riguarda la distribuzione e lo scambio, deve venire limitato sempre di più sotto la dittatura del proletariato, in modo che nel lungo cammino della rivoluzione socialista le tre differenze principali (quella tra operai e contadini, quella tra città e campagna, quella tra lavoro manuale e lavoro intellettuale) si riducano sempre di più così come le differenze tra i vari livelli gerarchici e si creino le condizioni materiali ed ideologiche per eliminarle. Se non seguiamo questa strada e invece perseguiamo il consolidamento, l’estensione e il rafforzamento del diritto borghese e di quella parte di disuguaglianza che esso racchiude, il risultato inevitabile sarà la polarizzazione. Questo in altre parole vuol dire che nell’ambito della distribuzione un ristretto numero di persone sarà in grado di ottenere un numero sempre crescente di merci e di denaro attraverso canali in parte legali e in maggioranza illegali; che gli ideali capitalisti di ammassare fortune e di raggiungere la fama e il successo personali, stimolati da questi “incentivi materiali”, si diffonderanno senza freno; che fenomeni come la trasformazione della proprietà pubblica in proprietà privata, la speculazione, la corruzione, il ladrocinio insorgeranno ovunque; che il principio capitalista dello scambio delle merci si diffonderà nella vita politica e anche nella vita del partito, minando l’economia socialista pianificata e dando origine ad azioni di sfruttamento capitalista come la conversione delle merci e della moneta in capitale e della forza-lavoro in merce. Tutto ciò significherebbe un cambiamento nella natura dei rapporti di proprietà in certi settori e unità che seguono la via revisionista, e si verificherebbero di nuovo situazioni di sfruttamento e di oppressione ai danni del popolo lavoratore. Otterremmo il risultato di vedere emergere fra gli stessi membri del partito, gli operai, i contadini benestanti, il personale degli organi statali una minoranza di elementi neo-borghesi, di nuovi ricchi che hanno completamente tradito il proletariato e i lavoratori. I nostri compagni operai hanno detto giustamente: “Se non si pone un limite al diritto borghese, esso impedirà lo sviluppo del socialismo e favorirà il risorgere del capitalismo”.

Quando la forza della borghesia raggiunge un certo livello, i suoi agenti cercano di ottenere il dominio sul piano politico, di rovesciare la dittatura del proletariato e il sistema socialista, di eliminare totalmente la proprietà socialista e di restaurare il sistema capitalista. Una volta al potere, la nuova borghesia si lancerebbe prima di tutto in una sanguinosa repressione contro il popolo e restaurerebbe il capitalismo nella sovrastruttura, in tutti i campi della ideologia e della cultura; successivamente subordinerebbe la divisione dei prodotti all’ammontare di capitale e di  potere che ciascuno possiede, e il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” diverrebbe una frase vuota e priva di significato, mentre un manipolo di nuovi borghesi monopolizzerebbe i mezzi di produzione e allo stesso tempo il potere di distribuire beni di consumo e altri prodotti. Questo è il processo di restaurazione che sta avvenendo in Unione Sovietica”.

Sostenere che i revisionisti moderni negli anni ’50 avevano già restaurato il capitalismo in URSS

- confonde le idee sulla natura del capitalismo e dell’imperialismo, diffonde una concezione idealista della società; sostituisce infatti al concetto di paesi socialisti come paesi in cui la proprietà individuale delle principali forze produttive è stata abolita e la proprietà privata cooperativa limitata e quindi la produzione commerciale è limitata, il concetto di paesi socialisti come paesi diretti secondo una linea politica che guida effettivamente la società a passare dal capitalismo al comunismo;

- dà per chiusa una contraddizione che invece è quella che muove tutto e solo alla luce della quale diventano comprensibili la storia dei paesi socialisti dagli anni ’50 a oggi, il crollo dei revisionisti moderni, le difficoltà che incontrano gli attuali governanti dei paesi socialisti, lo scontro che è iniziato nel 1989.

Infatti, se il capitalismo fosse stato restaurato negli anni ’50, da dove verrebbero le difficoltà del passaggio che fa tremare Gorbaciov, Mazowiecki e tutto il resto della combriccola?

In realtà non solo la restaurazione non è attuata, ma non è nemmeno detto che lo scontro si concluda con la restaurazione del capitalismo: ciò è anzi molto difficile, specie in URSS, e certamente non sarà pacifico. Già mille sono i segnali che arrivano dai paesi socialisti, e in particolare dall’Unione Sovietica, sull’acutezza e violenza degli scontri in atto, scontri condotti sotto le bandiere più disparate, che denotano certo che il proletariato non è schierato come forza politica autonoma e in grado di esprimere e coagulare forze attorno ai propri obiettivi, ma che denotano altrettanto chiaramente che nessuna delle due classi fondamentali ha ancora vinto. È probabile che nel 1989 nei paesi dell’Est sia iniziato un periodo di sconvolgimenti che confluirà in un nuovo periodo rivoluzionario (del tipo di quello che si ebbe nella prima metà del secolo) che coinvolgerà i paesi imperialisti, almeno quelli europei.

La lotta della borghesia dei paesi socialisti per la restaurazione del capitalismo si incrocia infatti con la lotta disperata dei gruppi imperialisti per superare la crisi per sovrapproduzione di capitale che è ciò che sconvolge i paesi imperialisti e i paesi da essi dipendenti e attanaglia la borghesia imperialista, benché questa non abbia alcuna coscienza di essa e sia alle prese con problemi (non a caso “solubili” solo tappando un buco qui per aprirne un altro là) di profitti, di mercato, di prezzi, di spesa pubblica, di cambi, di bilance dei pagamenti, ecc.

È certo che è del tutto campata in aria la tesi che nel giro di alcuni anni, sia pure a prezzo di un “periodo di sacrifici”, i paesi socialisti saranno assorbiti nel mercato capitalista mondiale e resi simili ai paesi imperialisti attuali all’insegna della socialdemocrazia, dello Stato del benessere, dello Stato sociale, ecc. Il periodo della socialdemocrazia, dello Stato del benessere, dello Stato sociale (insomma del “progetto di costruire un capitalismo dal volto umano”) è inesorabilmente finito anche nei paesi imperialisti. Ogni giorno viene sacrificato un pezzo di quanto ancora resta dello Stato del benessere: tutti quelli che non sono accecati dalle parole che indorano ogni pillola, lo possono vedere. Altro che lamentarsi perché “la gente” dei paesi socialisti diventerà “consumista”, “materialista”, “egoista”, “integrata”, ecc. come quella dei paesi imperialisti, lamento che alcuni “sinistri” hanno già intonato assieme a Wojtyla e ai suoi preti! Il periodo che abbiamo di fronte è un periodo di scontri tra gruppi imperialisti, di scontri dei gruppi imperialisti con la borghesia dei paesi socialisti e con la borghesia burocratica dei paesi del Terzo Mondo, di scontri di questi signori con il movimento proletario dei paesi imperialisti e dei paesi socialisti e con il movimento antimperialista dei paesi semicoloniali e semifeudali.

La tesi che “in Unione Sovietica negli anni ’50 è stato restaurato il capitalismo” nel movimento rivoluzionario europeo ha cessato di essere l’insegna (errata) della lotta contro il revisionismo moderno, come lo fu negli anni ’60, ed è  diventata da tempo l’insegna dell’anticomunismo travestito da sinistrismo e del disfattismo, l’insegna di quanti vogliono negare l’esperienza storica del movimento operaio e comunista. Questo ha aiutato noi a liberarci dall’analisi errata e paralizzante che sosteneva quell’insegna. Nei casi migliori quelli che oggi ancora sostengono che la restaurazione del capitalismo nell’URSS era già compiuta negli anni ’50 hanno una visione pessimista e idealista della società. Come se il capitalismo fosse lo stato “naturale” e spontaneo delle cose e il comunismo uno stato “buono ma innaturale” e la gente non aspettasse che un errore o una deviazione dei dirigenti per ritornare al capitalismo. La realtà è che la società borghese per conservarsi e sopravvivere ha dovuto ricorrere a due guerre mondiali nel giro di neanche mezzo secolo e ad una infinità di misure “pacifiche” come i regimi fascisti e nazisti, i colpi di Stato alla Pinochet, gli stermini in massa stile Indonesia 1966, le guerre coloniali, la gamma di risorse e strumenti della controrivoluzione preventiva, le guerre a bassa intensità, ecc. La costruzione del comunismo non è impresa né spontanea né facile; ma la conservazione del capitalismo è però un'impresa difficile al punto da essere disperata! Il parto è un avvenimento doloroso e travagliato, ma non per questo è più semplice impedire che una donna incinta partorisca! La realtà è che, nonostante i loro sforzi, i revisionisti moderni sono riusciti sì a gettare nel marasma e nella disperazione intere popolazioni, ma hanno lasciato ancora in eredità ai loro successori il compito di imporre ad alcune centinaia di milioni di uomini la restaurazione del capitalismo: ci riusciranno? Questa è la posta in gioco nell’attuale scontro politico, è l’oggetto del contendere nella lotta tra le classi dei prossimi anni. Una condizione per avere un ruolo d'avanguardia nella lotta del proletariato per far trionfare la sua via è quella di essere consapevoli dell’oggetto del contendere!

I paesi socialisti governati dai revisionisti moderni hanno ricoperto fino ad ieri un ruolo importante e specifico per il movimento rivoluzionario. Gli stessi sono ora diventati un fattore importante e specifico della crisi economica e politica mondiale, sulla quale poggia (lo si voglia o no) il movimento rivoluzionario. Il corso che avrà in quei paesi la lotta di classe nei prossimi mesi e anni sarà ricco di insegnamenti preziosi per il nostro futuro, ma avrà anche delle conseguenze oggettive dirette sulla lotta di classe, sulla stabilità dei regimi politici, sulla velocità e sulle modalità di sviluppo di tutte le altre società, sul corso che seguirà l’attuale crisi per sovrapproduzione di capitale. Il corso che avrà la lotta di classe nei nostri paesi avrà d'altra parte un influsso diretto sull’esito dello scontro nei paesi socialisti. La rivoluzione comunista è mondiale. Il crollo del revisionismo moderno conferma l’attualità delle nostre vecchie parole d'ordine: Proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, uniamoci! Il comunismo è il movimento di trasformazione dello stato di cose presente!

 

 

 

Rapporti Sociali 1985-2008 - Indice di tutti gli articoli