Ancora sul bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti

Rapporti Sociali n. 7 - maggio 1990  (versione Open Office / versione MSWord )

 

Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre tra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa: occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.

(K. Marx, Per la critica dell’economia politica, 1859)

 

1. Incarnazione delle teorie marxiste nel movimento reale o riflesso del movimento reale nelle teorie marxiste?

 

Nella pubblicistica borghese in questi giorni, nella esultante proclamazione del “fallimento del comunismo”, viene condita in tutte le salse la tesi che “il comunismo è la realizzazione delle teorie di K. Marx”.

Anche nell’atteggiamento, nello stato d’animo e nei ragionamenti di alcuni compagni traspare la concezione che il movimento comunista, il movimento pratico delle masse è “la realizzazione dell’idea di comunismo”, è “la realizzazione delle teorie di Marx e di Lenin”, è “la traduzione in pratica dei principi del marxismo-leninismo”, è “l’incarnazione nella materia sociale dei programmi e delle teorie dei partiti comunisti”. Questa è la stessa concezione di quelli che sostengono che Marx o Lenin hanno “inventato” o “iniziato” il movimento comunista.

Secondo la concezione comune a questi compagni e alla borghesia, “le idee generano la materia” e “gli individui fanno la storia”: si tratta quindi di una concezione idealista e soggettivista della storia della società umana.

A causa di simile concezione, questi compagni non possono comprendere il processo reale e le sue contraddizioni perché, gira e rigira, cercano di spiegare il processo reale come prodotto delle idee dei suoi protagonisti e con la personalità e il comportamento dei capi. Se il movimento pratico è la realizzazione (incarnazione, materializzazione) della teoria, come può il movimento pratico rivelarsi in contrasto con la teoria se non per la scarsa abilità degli artisti che compirono l’opera di modellare la materia in conformità all’idea?(1) E così essi si inviluppano in una sequela di riflessioni e domande assurde e quindi senza risposta. Tanto meno quindi possono comprendere processi come il successo e il crollo dei revisionisti moderni.(2)

 

(1) “La forza del revisionismo nel nostro paese, quella che per più di trent’anni ha impedito che maturasse fra le masse lavoratrici la consapevolezza che il PCI non rappresenta più i loro interessi di classe, è stata la capacità di questo partito di rendere “credibile” la sua linea politica agli occhi dei lavoratori”. Così si legge sul numero di marzo-aprile di una rivista di sinistra, Ideologia Proletaria. Poniamoci alcune semplici domande. Come è possibile che in tutti i paesi imperialisti in cui durante il periodo antecedente agli anni ’50 erano stati creati forti partiti comunisti questi hanno preso tutti la strada di illudere i lavoratori e tutti sono stati capaci di farlo? Come è possibile che anche in tutti i paesi imperialisti in cui prima degli anni ‘50 si erano formati partiti comunisti deboli questi hanno tutti preso la stessa strada dei grandi ma nessuno è stato capace di illudere i lavoratori? Perché tutti quelli che ieri erano capaci oggi lo sono meno? Tutte domande a cui il nostro autore sarebbe in difficoltà a rispondere. Se fosse vero che a fare la storia è la scelta soggettiva, l’imbroglio, l’illusione, la manipolazione delle coscienze, la capacità degli individui o dei gruppi, non solo il materialismo storico andrebbe messo in soffitta, ma vi andrebbe messa anche ogni pretesa di costruire una scienza del movimento della società o, al più, questa scienza si ridurrebbe a scienza del sorgere e del dispiegarsi delle capacità e abilità degli individui, alla psicologia, all’ingegneria genetica, all’eugenetica o a scienze ad esse affini.

  

(2) Con revisionismo moderno indichiamo la revisione della concezione marxista-leninista che prese piede nel movimento comunista dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. I punti principali di revisione riguardarono la continuazione della lotta tra classi sociali dopo la conquista del potere politico, la dittatura del proletariato, la conquista del potere per via rivoluzionaria, la tendenza delle società imperialiste alla reazione, alla crisi economica e alla guerra.

I maggiori esponenti del revisionismo moderno furono Kruscev in Unione Sovietica, Teng Siao-ping in Cina, Togliatti in Italia. Nella lotta dei comunisti contro il revisionismo moderno emersero a livello mondiale il Partito Comunista Cinese con alla testa Mao Tse-tung.

Una rassegna dei principali punti di scontro tra comunisti e revisionisti moderni è contenuta negli scritti Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi e Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi editi dal Partito Comunista Cinese rispettivamente nel 1962 e 1963. I temi furono poi via via resi organici e approfonditi durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.

L’aggettivo moderno fu usato per distinguere il movimento sviluppatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale dal revisionismo che venne sviluppato in seno alla Seconda Internazionale a cavallo tra il XIX e il XX secolo e di cui fu massimo esponente E. Bernstein, uno dei massimi dirigenti del Partito Socialdemocratico Tedesco.

 

Chi vuole agire ha bisogno di comprendere e chi vuole comprendere deve partire dalle “contraddizioni della vita materiale” perché sono esse che contengono le cause del sorgere delle idee e che permettono di capire la ragione di idee apparentemente assurde; deve partire dal conflitto reale che gli uomini stanno combattendo perché è esso che “dà ragione” delle “forme ideologiche che permettono agli uomini di concepirlo e di combatterlo”.

Il movimento delle masse verso il comunismo non è la realizzazione degli ideali dei comunisti o delle teorie marxiste o dei principi del marxismo-leninismo. Al contrario gli ideali dei comunisti, le teorie marxiste e i principi del marxismo-leninismo sono il riflesso nella testa degli uomini del movimento delle masse verso il comunismo. Come si spiega, se così non fosse, che gran parte degli uomini che fanno parte di questo movimento di fatto nulla sanno di ideali comunisti, di teorie marxiste e di principi del marxismo-leninismo? Ideali, teorie e principi sono costruzioni derivate dal movimento reale in conformità con il modo di sentire e di pensare degli uomini, sono la elaborazione del riflesso del movimento reale nella coscienza e nella fantasia degli uomini compiuta da questi allo scopo di ricavarne strumenti atti a combattere il conflitto in corso.

Questa premessa ci porta

- a sgomberare il campo sia dalle condanne facili (ma peraltro di scarso effetto pratico) delle teorie marxiste come generatrici di “cattivi” movimenti reali, sia dalle condanne (anch’esse tanto facili quanto di scarso effetto pratico) del movimento reale in nome di un auspicato ideale di movimento (ossia di un movimento immaginario);

- a porci di fronte al movimento reale del proletariato, delle classi e dei popoli che le “delizie del democratico capitalismo” hanno generato dalla fine del secolo scorso in qua (3) e agli eroici, giganteschi ed energici sforzi profusi dalle masse e in particolare dai comunisti per uscire da quelle “democratiche delizie”;

- a chiederci cosa fare nel movimento che le “delizie del democratico capitalismo” generano in tutto il mondo sotto i nostri occhi e che ancora più genereranno man mano che le tendenze insite nel “democratico capitalismo” si realizzeranno e realizzandosi sconvolgeranno da cima a fondo l’attuale ordine internazionale e gli ordinamenti di ogni paese.(4)

 

(3) Non abbiamo ancora sentito nessun bello spirito attribuire a Stalin lo scatenamento della Prima Guerra Mondiale, a Marx l’asservimento dei popoli coloniali al capitale finanziario, a Mao la Grande Crisi degli anni ‘30: ma non ci sono  limiti alla fantasia asservita ad interessi paganti e non è escluso che arriveremo a sentire tesi del genere! Non abbiamo forse già sentito spiriti arguti attribuire alla “razza inferiore” le “nefandezze” compiute nel corso dei movimenti di liberazione da uomini che pur erano stati formati da secoli di “civile educazione” impartita da coloni e missionari?

 

(4) Si stanno realizzando sotto i nostri occhi

- il sovvertimento degli ordinamenti interni dei maggiori paesi imperialisti (la fine del “capitalismo dal volto umano” e il ricorso sistematico della classe dominante agli strumenti della dittatura);

- lo sconvolgimento della gerarchia tra gruppi e Stati imperialisti uscita dalla Seconda Guerra Mondiale la cui persistenza costringeva contraddizioni interimperialiste in una sempre meno sopportabile camicia di forza;

- lo sconvolgimento della distribuzione della popolazione mondiale con la grande migrazione di popoli del Terzo Mondo verso la metropoli spinti dallo sconvolgimento economico e politico che i gruppi e gli Stati imperialisti hanno creato e creano nei paesi del Terzo Mondo;

- lo sconvolgimento dell’ordine imposto dai revisionisti moderni nei paesi socialisti.

 

 

2. Cosa ha reso possibile il successo che i revisionisti moderni ottennero nei paesi socialisti e nei partiti comunisti dei paesi imperialisti nel periodo successivo alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale?

 

Oltre che sul crollo, precipitato grosso modo nel 1989, dei regimi instaurati dai revisionisti moderni nell’Europa Orientale e in URSS, è istruttivo riflettere sull’avvento di questi regimi all’inizio degli anni ‘50.

Il successo dei revisionisti moderni, come tutti i risultati politici, non fu un esito obbligato, l’unico consentito dalla situazione oggettiva: l’azione degli individui e dei gruppi organizzati e le circostanze accidentali hanno un ruolo determinante nel far prendere agli eventi una direzione di contro alle altre parimenti possibili. Ma né l’azione degli individui e dei gruppi organizzati né le circostanze accidentali possono far sì che il corso delle cose prenda una direzione che non è tra le direzioni possibili che la situazione oggettiva contiene in sé, ossia che non è una delle direzioni di cui esistono già nelle grandi masse della società le forze portanti e promotrici, che in quella direzione tendono, generalmente senza neppur pensarla, perché essa è la sintesi della realizzazione dei loro interessi.(5) Se vogliamo comprendere, dobbiamo quindi distinguere ciò che rende possibile una trasformazione e ciò che causa effettivamente il verificarsi di una trasformazione. È la natura dell’uovo fecondato che rende possibile la sua trasformazione in pulcino; è il calore della chioccia o dell’incubatrice che fa diventare effettiva quella trasformazione che era solo possibile.(6)

 

(5) La concezione materialista-dialettica del rapporto tra condizioni oggettive e ruolo degli individui nel movimento delle società umane è esposta nello scritto di Plekhanov Il ruolo della personalità nella storia.

 

(6) Questi elementi della concezione materialista-dialettica del movimento sono esposti per esteso nello scritto di Mao Tse-tung Sulla contraddizione (agosto 1937).

 

 

In questo articolo ci poniamo il compito di comprendere

- quali elementi delle società socialiste rendevano possibile il successo dei revisionisti moderni nei paesi socialisti;

 - quali elementi delle società dei paesi imperialisti rendevano possibile il successo dei revisionisti moderni nel movimento proletario dei paesi imperialisti.

La storia dell’effettivo prodursi del loro successo (assegnando ad ogni evento accidentale e ad ogni individuo e gruppo il ruolo, consapevole o inconsapevole, che ebbe nel prodursi di esso) potrà essere esposta solo se avremo prima compreso questo. Solo se nella nostra testa avrà trovato la sua rappresentazione adeguata ciò che rendeva possibile il successo del revisionismo moderno, potrà trovare la sua collocazione, nella misura che gli è propria, anche ogni elemento ed evento accidentale che contribuì a questo successo e andrà assieme agli altri a comporre l’immagine riflessa nel nostro cervello del processo reale quale esso fu. Quale sia stato il ruolo effettivo di un evento e l’efficacia dell’azione di un individuo nel produrre un risultato, può essere compreso solo se si sono comprese le leggi del movimento da cui il risultato proviene. Solo se si conoscono queste leggi, si è in grado di distinguere le iniziative e gli eventi che hanno avuto un certo ruolo, da quelli che nel movimento non hanno avuto alcun ruolo, chi ha dato un contributo ad una trasformazione dalle mille mosche cocchiere che dagli eventi sono state trasportate.

 

Che il successo dei revisionisti moderni fosse una possibilità inscritta nella costituzione materiale dei paesi socialisti, lo conferma anche il loro alterno successo nella Repubblica Popolare Cinese. In essa i revisionisti moderni riuscirono ad affermarsi stabilmente poco dopo la morte di Mao Tse-tung nonostante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e la consapevolezza che i comunisti avevano raggiunto del pericolo. Mao sostenne tenacemente che il loro successo era possibile ed anzi probabile. Negli anni trascorsi tra il successo dei revisionisti in URSS e il loro successo stabile nella Repubblica Popolare Cinese i comunisti cinesi ebbero modo di comprendere a fondo il pericolo, di prendere varie iniziative per combatterlo (tra cui la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria) sia dal lato della liberazione delle energie creative delle masse sia dal lato della repressione dei portavoce del revisionismo moderno, dei sostenitori della “via capitalista”.

Che il successo dei revisionisti moderni fosse una possibilità inscritta nella costituzione materiale dei paesi socialisti, lo conferma anche il fatto che essi presero il potere in quasi tutti i paesi socialisti.

Che il successo dei revisionisti moderni fosse una possibilità inscritta nella costituzione materiale dei paesi imperialisti, lo conferma anche il fatto che essi presero il potere in quasi tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti.

Questo fatto (l’universalità del successo dei revisionisti moderni dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale) è altamente significativo e fecondo di elementi per la comprensione del fenomeno, ovviamente per chi non lo accantona adagiandosi nel luogo comune dell’anticomunismo che “tutti i paesi socialisti e i partiti comunisti erano asserviti a Mosca e facevano quello che Mosca dettava” (la principale base reale di questo luogo comune della propaganda anticomunista è il fatto che nessuno di quegli Stati e di quei partiti comunisti faceva quello che la borghesia imperialista voleva e in questo “erano tutti eguali”).

Anche la lotta condotta per anni contro i revisionisti moderni dal Partito Comunista Cinese e dal Partito del Lavoro d’Albania e in seno ad altri partiti comunisti dei paesi socialisti e dei paesi imperialisti e l’andamento alterno di queste lotte diventano ricche di elementi di comprensione se si sono compresi gli elementi interni alle società socialiste e alle società imperialiste che rendevano possibile il successo dei revisionisti moderni e quindi erano le basi contenibili ma non distruttibili del loro sorgere e del loro riprodursi.

Sostenere che la fonte del revisionismo moderno è nell’ideologia, nella linea politica, in generale nella coscienza e volontà, nel carattere di individui o gruppi porta a ingarbugliarsi in un ginepraio di assurdità fino a sprofondare di gradino in gradino nella paralizzante concezione del trionfo inevitabile “del male” e del “regno delle tenebre” o nel  pantano della teoria del “genio del male” e della “onnipotenza dell’individuo” (non importa che si chiami Stalin, Mao, Teng, Kruscev o altrimenti).

Il revisionismo moderno è stato la coalizione delle forze interne al campo rivoluzionario ostili al socialismo (cioè alla prosecuzione della transizione verso il comunismo) appoggiate dalla borghesia interna ai paesi socialisti, dalla borghesia dei paesi imperialisti e dalle forze reazionarie in generale che vedevano nei revisionisti moderni l’unica loro possibilità di affermarsi contro le forze rivoluzionarie minandole dall’interno. Non a caso negli anni ’60 Kruscev divenne un idolo che la borghesia di tutto il mondo propose alla venerazione delle masse assieme a Kennedy e a Papa Giovanni. Non a caso la borghesia imperialista ha sempre presentato in una luce favorevole gli esponenti del revisionismo moderno (come comunisti “ragionevoli”, “intelligenti”, “colti”) finché essi si contrapponevano ai comunisti; li ha poi gettati come limoni spremuti quando avevano assolto al loro compito storico di soffocare il comunismo ed era all’ordine del giorno il capitalismo puro e semplice: è la fine che hanno fatto i Kruscev, i Togliatti, i Breznev, i Kadar, gli Honecker, ecc.

Ma quali furono quindi gli elementi delle società socialiste che rendevano possibile il successo dei revisionisti moderni? Quali furono le forze delle società socialiste promotrici del revisionismo moderno?

Quali furono gli elementi delle società imperialiste che rendevano possibile il successo dei revisionisti moderni? Quali furono le forze delle società imperialiste promotrici del revisionismo moderno?

 

3. Il carattere individuale delle principali forze produttive nei paesi in cui il proletariato aveva preso il potere.

 

3.1. Il programma del proletariato e dei comunisti in campo economico

 

La caratteristica costitutiva delle società socialiste che rendeva possibile il successo dei revisionisti moderni nei paesi socialisti è stata l’arretratezza delle forze produttive di tutti i paesi socialisti, arretratezza che rendeva in una certa misura possibile per ognuno di essi una “via capitalista” di sviluppo.

Le principali forze produttive dei paesi in cui il proletariato aveva preso il potere (quelle che fornivano la maggior parte delle condizioni materiali dell’esistenza e che riguardavano la maggior parte della forza-lavoro del paese) erano fondamentalmente forze produttive individuali.(7) In questo consisteva il dichiarato carattere arretrato delle forze produttive di questi paesi, ferme restando le profonde differenze tra paese e paese che furono la causa delle differenti difficoltà incontrate dai revisionisti moderni nell’attuazione dei loro programmi.

Ciò faceva sì che il programma economico del proletariato e dei comunisti in questi paesi consisteva principalmente nello sviluppo delle forze produttive, ossia nella creazione di forze produttive collettive o, altrimenti detto, di forze produttive moderne.

 

(7) Diciamo che le forze produttive hanno carattere individuale quando esse possono essere opera del singolo individuo in rapporto con il resto della natura e possono essere fatte operare dal singolo individuo. Diciamo che le forze produttive hanno carattere sociale (o collettivo) quando esse possono sorgere solo con il concorso ordinato di più individui, ognuno dei quali svolge mansioni determinate (divisione tecnica del lavoro).

Su questa distinzione fondamentale vedasi anche Rapporti Sociali, n. 4, pagg. 5 - 8. Finché le forze produttive hanno prevalentemente carattere individuale, la fonte della ricchezza (nel senso di “valori d’uso”) è per la società umana, oltre all’ambiente naturale, il lavoro immediato eseguito dal lavoratore diretto e quindi la quantità di quella dipende  strettamente dal tempo e dalla qualità del lavoro dell’individuo. In questa condizione lo scambio dei prodotti secondo il tempo di lavoro impiegato nella loro produzione (rapporto di valore), la produzione mercantile, costituisce un ambito favorevole allo sviluppo della produttività del lavoro e della civilizzazione umana in generale. Quando le forze produttive assumono carattere prevalentemente sociale, “non è più né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, bensì l’appropriazione della forza produttiva generale dell’uomo, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza sociale - in una parola, lo sviluppo dell’individuo sociale, che si presenta come il grande pilastro della produzione e della ricchezza. Il furto di tempo di lavoro altrui, sul quale si basa la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile in confronto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla stessa grande industria capitalista. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande sorgente della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di essere la misura del valore d’uso” (K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, ed. Einaudi, pag. 717). A questo punto il modo di produzione capitalista e la produzione mercantile sono storicamente superati.

 

La rivoluzione socialista è la transizione dalla società capitalista alla società comunista. Quindi il programma economico della rivoluzione socialista nei paesi capitalisti consiste principalmente nell’adeguamento dei rapporti di produzione e delle istituzioni della società al carattere sociale già raggiunto dalle forze produttive.

Sulla base di ciò i menscevichi in Russia, Kautsky e altri dirigenti della Seconda Internazionale sostennero e vari individui sostengono ancora oggi che il proletariato non deve prendere il potere nei paesi economicamente arretrati e quindi in sostanza si oppongono alla tesi leninista della “alleanza del proletariato con i contadini poveri e con i popoli delle colonie” e della “rivoluzione ininterrotta” cioè del passaggio per tappe e sotto la direzione del proletariato dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista. Questi hanno criticato e criticano la tesi che da quando il capitalismo è entrato nella fase imperialista il proletariato e i comunisti sono la forza dirigente della rivoluzione anche nei paesi economicamente arretrati e che il programma economico del proletariato e dei comunisti nei paesi economicamente arretrati consiste principalmente nello sviluppo delle forze produttive, ossia nella creazione di forze produttive collettive o altrimenti detto, di forze produttive moderne.(8)

 

(8) Nelle due tesi sul programma economico del proletariato e dei comunisti appena enunciate, il termine principalmente è determinante. Esso non sta ad indicare che gli altri elementi del programma sono secondari, trascurabili, possono non esserci. Esso sta al contrario ad indicare che la mancanza degli altri elementi del programma fa degenerare tutto il programma da programma del proletariato e dei comunisti in programma della liquidazione del socialismo. In ogni contraddizione, uno degli elementi è principale e l’altro è secondario. Ma concepire l’elemento principale come unico equivale a travisare la realtà, abbandonare il campo del materialismo dialettico. La concezione unilaterale dei compiti della rivoluzione concretamente apre la via alla rovina della rivoluzione.

La differenza del compito principale nei paesi economicamente arretrati e nei paesi imperialisti rende quindi chiaro che la parola d’ordine “noi faremo come la Russia” lanciata nei paesi imperialisti era una parola d’ordine giusta nel senso che anche noi dovevamo conquistare il potere, ma era una parola senza senso e deleteria come linea programmatica.

 

Questa tesi è stata criticata dai capi della Seconda Internazionale ed è criticata dai gruppi trotzkisti e bordighisti che da anni alimentano la loro sterile esistenza attingendo alle difficoltà che in gran copia l’adempimento di questo compito storico pone ai comunisti. L’assunzione dello sviluppo delle forze produttive come compito principale e l’adempimento di questo compito in dialettica con il superamento di rapporti di produzione mercantili e capitalisti fu l’oggetto degli scontri che avvennero nel PCUS dopo la vittoria nella guerra civile. I comunisti sovietici con Stalin alla testa ebbero  coscienza di questo compito a qualche modo. Da comunisti impegnati a dirigere lo sviluppo di un processo rivoluzionario essi compresero che sviluppare le forze produttive era una necessità essenziale, una condizione indispensabile per la sopravvivenza del potere sovietico e lo sviluppo del processo rivoluzionario. Meno chiara fu in loro la coscienza che sul terreno dello sviluppo delle forze produttive restava aperta la possibilità di “due vie, due linee e due classi”. Lo scritto di Stalin del 1952 Problemi economici del socialismo nell’URSS è sostanzialmente una critica di proposte che, col proposito dichiarato di rendere più rapido lo sviluppo delle forze produttive, promuovevano uno sviluppo antisocialista dei rapporti di produzione, ma è in contrasto con altre prese di posizione dello stesso Stalin e con misure adottate dal potere sovietico. Mao e i comunisti cinesi nella critica della “teoria delle forze produttive” misero in luce che i suoi sostenitori ponevano la costruzione di forze produttive collettive come unico elemento del programma economico dei comunisti sovietici, non tenevano adeguatamene conto dei cambiamenti che dovevano prodursi nel programma economico del proletariato e dei comunisti ai vari stadi di sviluppo delle forze produttive, eliminavano da esso la trasformazione dei rapporti di produzione, delle istituzioni della società e della sovrastruttura ideologica. Essi infatti mossero a Stalin e ai comunisti sovietici la critica di essere unilaterali, di “camminare su una gamba sola”.(9) Il revisionismo moderno nei paesi socialisti si affermò come linea atta ad accelerare lo sviluppo delle forze produttive inteso unilateralmente, non in relazione dialettica con rapporti di produzione socialisti. Tale fu il programma di Kruscev, sintetizzato dal suo omologo cinese Teng nella tesi “non importa che un gatto sia rosso o nero, l’importante è che prenda topi”. Kruscev pretese di ridurre i membri del PCUS a imprenditori economici di successo, erigendo a linea generale del partito quella tendenza che negli anni precedenti era esistita in modo camuffato e si era fatta valere in misura secondaria.(10)

 

(9) La critica dei comunisti cinesi è sviluppata per esteso negli scritti attribuiti a Mao della raccolta Su Stalin e sull’URSS (ed. Einaudi) nello scritto di Mao I dieci grandi rapporti e in altri scritti pubblicati in Italia negli anni ‘60 e ’70 da I quaderni delle Edizioni Oriente e dalla rivista Vento dell’Est.

 

(10) Questo aspetto della linea di Kruscev traspare chiaramente ad esempio dalla presentazione (tutto sommato favorevole) che di essa fa G. Boffa nella sua Storia dell’Unione Sovietica. Il fatto che la direzione dei revisionisti moderni abbia portato in realtà non all’accelerazione dello sviluppo delle forze produttive, ma al rallentamento, al ristagno e all’attuale marasma economico è il risultato di altre cause che si riducono sostanzialmente al fatto che i revisionisti moderni non sono mai riusciti ad imporre la loro linea fino alla restaurazione su vasta scala della proprietà individuale delle forze produttive e si sono dovuti limitare ad arrestare la trasformazione dei rapporti di produzione e la partecipazione dirigente dei lavoratori alla gestione e allo sviluppo delle forze produttive. Ciò è successo in URSS, come in Cina e negli altri paesi socialisti.

 

Il corso seguito dalle società umane fino alla fine del secolo scorso aveva creato una situazione in cui lo sviluppo di forze produttive moderne (quindi collettive) nei paesi arretrati, sottoposti al dominio politico e allo sfruttamento economico dei gruppi imperialisti e dei loro Stati, si realizzava solo lentamente, stentatamente e in mezzo a inaudite sofferenze. Con la creazione di un mercato mondiale, l’esportazione di capitale e la colonizzazione, gruppi e Stati capitalisti si erano sovrapposti ai vecchi regimi di questi paesi e contemporaneamente in ognuno di essi

- avevano tolto i limiti tradizionali dello sfruttamento propri del vecchio regime e avevano reso illimitato il vecchio tipo di sfruttamento togliendo però con ciò anche la possibilità della riproduzione a tempo indeterminato del vecchio regime e quindi favorendo lo sviluppo del suo rivoluzionamento;(11)

- avevano rafforzato con gli strumenti propri del modo di produzione capitalista la capacità di repressione e  conservazione dei vecchi Stati; il mercato finanziario di Londra e di Parigi prima, di New York poi sottoscriveva prestiti a tutti gli Stati reazionari, a volte nonostante la loro insolvenza: con essi questi Stati venivano messi nelle condizioni di acquistare all’interno e all’estero mercenari, armi, strumenti di polizia e di ordine pubblico, mentre contemporaneamente divenivano dipendenti dai capitalisti per la loro sopravvivenza e quindi non potevano che aprire i paesi da essi diretti al saccheggio dei gruppi capitalisti (concessioni minerarie, ferroviarie, agricole, ecc) e la loro protezione diveniva quindi per i gruppi e gli Stati imperialisti una questione di “sicurezza nazionale” o “d’interesse nazionale” come lo era l’ordine nelle colonie dirette.(12)

In linea generale nei paesi arretrati potevano essere sviluppate forze produttive moderne solo sulla premessa di una rivoluzione antimperialista, che rompesse la loro soggezione al sistema capitalista mondiale. La storia e la situazione attuale dei paesi arretrati rimasti nell’ambito del sistema capitalista mondiale confermano questa tesi.

 

(11) La dominazione coloniale dei gruppi imperialisti e dei loro Stati combinava la vecchia oppressione (lo schiavismo, il dispotismo degli Stati dell’Oriente, le relazioni feudali, ecc.) con il profitto e il mercato mondiale. Quest’ultimo costituiva una domanda solvibile di dimensioni incommensurabilmente maggiori di quanto si poteva estrarre da ogni nuova regione “aperta al commercio e alla civiltà”. Lo sfruttamento dei lavoratori in questi paesi andò anche oltre il limite della stessa riproduzione della forza-lavoro: intere popolazioni vennero sfinite dalla fatica, dalle privazioni e dalla repressione necessaria per imporre le prime e scomparvero.

Il mercato mondiale costituì una domanda illimitata di schiavi africani, prodotti agricoli commerciabili vennero estorti a coloni e fittavoli di tipo tradizionale a spese della loro alimentazione, il sistema della piantagione di derrate agricole commerciali (caffè, cacao, frutta tropicale, ecc.) e di piante di uso industriale (cotone, caucciù, ecc.) venne impiantato in interi paesi a spese della produzione di alimenti, masse di lavoratori vennero trasferite o fatte trasferire da un capo all’altro del mondo, lo sfruttamento delle miniere in Africa e in America Latina venne organizzato come lavoro forzato, le imposizioni fiscali e le prestazioni richieste dalle Pubbliche Autorità fecero un balzo in avanti.

Una descrizione sintetica ed efficace del sistema di rapina nato nel secolo scorso dalla sovrapposizione del modo di produzione capitalista dei “paesi civili” ai vecchi sistemi in India, Algeria, Cina, USA, Sud Africa, Egitto e Turchia è data da Rosa Luxemburg in L’accumulazione del capitale (ed. Einaudi, pag. 355 - 437).

La borghesia imperialista sovrappose i suoi sistemi di sfruttamento a quelli preesistenti e cercò di realizzare profitti usando gli strumenti che questi offrivano. Ma proprio perché il sistema che ne risultò non rispettava neanche il limite della riproduzione della forza-lavoro, i vecchi ordinamenti furono minati alla base. Nei paesi arretrati iniziò un periodo di sconvolgimento degli ordinamenti esistenti, oggettivamente antimperialista, che venne a costituire parte integrante della rivoluzione proletaria. Il processo storico del superamento del capitalismo si presentò (e si presenta) come combinazione della lotta socialista del proletariato dei paesi imperialisti con la lotta antimperialista di liberazione nazionale delle masse dei paesi oppressi. Il successo della rivoluzione fu anzi più facile in questi paesi dove l’arco delle classi rivoluzionarie era più ampio che non nei paesi imperialisti, mentre sarebbe stato più difficile portare avanti la rivoluzione, come già faceva osservare Lenin nel 1919.

 

(12) Vedasi nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale la storia dei prestiti sottoscritti dal mercato finanziario di Londra e di Parigi (e, in minore misura, di Berlino) a favore degli Stati indipendenti russo, cinese, turco, persiano, egiziano, marocchino, latino-americani.

La cosa si è ripetuta su scala maggiore negli anni ‘60 e ’70 di questo secolo, al punto che praticamente tutti gli Stati reazionari del Terzo Mondo stanno in piedi finanziariamente grazie ai prestiti e ai doni provenienti da gruppi e Stati imperialisti.

 

Il fatto che il programma economico del proletariato e dei comunisti nei paesi arretrati in cui il proletariato prese il  potere consistesse principalmente nello sviluppo delle forze produttive, ossia nella creazione di forze produttive collettive o, altrimenti detto, di forze produttive moderne, rendeva però possibile la riproduzione in essi di una nuova società borghese, rendeva possibile la “via capitalista”. La borghesia nazionale e i sostenitori del suo programma di sviluppo economico non possono che unirsi al proletariato e al partito comunista nella rivoluzione antimperialista, ma inizieranno a differenziarsi da essi il giorno dopo la vittoria, quando essa avrà creato le condizioni per uno sviluppo economico indipendente dal sistema capitalista mondiale.

Proprio perché in campo produttivo l’iniziativa individuale ha ancora inevitabilmente un ruolo fondamentale (stante il carattere individuale delle forze produttive), proprio in questo campo la borghesia avrà forze e ragioni da far valere. I rapporti di produzione comunisti, la partecipazione delle masse, i diritti e i poteri conquistati dai lavoratori, la gestione collettiva delle attività produttive, le iniziative mirate alla formazione dell’“uomo nuovo” urtano infatti ad ogni passo contro il carattere individuale delle forze produttive.

 

3.2. Il programma economico della rivoluzione socialista nei paesi capitalisti

 

La gestione del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza con il concorso volontario, attivo, libero e creativo di milioni di uomini mette al servizio di questo processo una forza enorme quale nessuna società divisa in classi ha mai potuto mettere in campo.

Ma l’arte di coordinare i propri sforzi, di combinare le svariate attitudini e i multiformi processi degli individui nel compito comune del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza è un’arte che i lavoratori formati dal capitale ad una condizione di dipendenza e di deresponsabilizzazione devono apprendere sostanzialmente ex novo dopo la conquista del potere.

Nei paesi capitalisti la borghesia ha creato una struttura collettiva di produzione, ha reso collettivo il processo di produzione e riproduzione nel senso che questo è diventato l’opera di un organismo sociale a cui milioni di individui portano ognuno il suo concorso specifico in un campo determinato, in un momento determinato, con modalità determinate. Milioni di individui “producono per sé” (ossia entrano in possesso delle condizioni materiali della loro esistenza) solo svolgendo una parte precisa in questo organismo sociale della produzione.

Ma nelle condizioni della società capitalista ogni individuo si regola come se si muovesse per sé; egli concorre a costituire l’organismo sociale della produzione solo inconsapevolmente, involontariamente e seguendo gli ordini del capitalista come strumento di questi. Nell’organismo sociale della produzione l’iniziativa è riservata ai capitalisti. Ciò che fa concorrere ad esso ordinatamente, disciplinatamente e con continuità il lavoratore sono principalmente il salario, il rapporto di lavoro salariato e il mercato. Nei paesi capitalisti le sanzioni amministrative e penali del comportamento rispetto al lavoro hanno infatti un ruolo secondario: le legislazioni contro il “vagabondaggio” hanno avuto un qualche ruolo solo in situazioni eccezionali in cui era possibile ad una massa di potenziali lavoratori reperire il necessario per vivere senza comperarlo.(13) Il coordinamento degli sforzi umani nella società capitalista è opera della dipendenza salariale e del mercato, quindi è opera del capitalista. Il proletario entra nel meccanismo sociale della produzione proprio solo perché è privo di potere, di denaro, delle condizioni per l’esercizio autonomo della sua attività lavorativa: egli vi entra quindi non da protagonista, non con l’iniziativa individuale e lo spirito costruttivo propri di chi realizza l’opera della sua vita ed estrinseca la propria personalità, ma con la rassegnazione e la subordinazione di chi non ha altra scelta. La scienza dell’organizzazione dei lavoratori, della gestione del “personale” e in generale della gestione dei processi sociali è stata sviluppata in grande stile dalla società borghese, ma è stata elaborata per il capitalista ed egli e i  suoi uomini ne sono i depositari. Milioni di uomini e di donne si alzano ogni mattina sotto diverse latitudini pressappoco alla stessa ora e ognuno corre ad occupare il posto di lavoro assegnatogli e a svolgere le mansioni a lui assegnate, obbedendo alla sua necessità e per soddisfare i suoi bisogni, ma in realtà svolgendo una mansione precisa nell’organismo sociale della produzione perché solo svolgendo quella precisa mansione in quel dato modo e in quella data misura ognuno può soddisfare o sperare di soddisfare i suoi bisogni.

 

(13) “La costrizione legale al lavoro è legata a troppa fatica, violenza e a troppo rumore, mentre la fame non soltanto è una pressione pacifica, silenziosa, incessante, ma come motivo più naturale dell’industria e del lavoro, desta gli sforzi più potenti” scriveva nel 1786, quando la borghesia non aveva bisogno di peli sulla lingua, Townsed (A Dissertation on the Poor Laws) citato da Il Capitale libro 1°, cap. 23 sez. 4. Nello stesso contesto Marx cita le opinioni concordi di altri autorevoli esponenti della classe dominante. Anni dopo, nel 1909, R. Hilferding faceva osservare che nella società borghese ’individuo “la conferma del suo essere o meno membro a pieni diritti della società produttrice di merci di cui fa parte, non la riceve da una persona che, parlando a nome della società, critichi - come un datore di lavoro può criticare il lavoro dei suoi dipendenti - approvi o rifiuti la sua opera: il suo adattamento ai bisogni sociali gli viene indicato soltanto dalla cosa che egli riceve, nello scambio, in cambio di quella che cede” (R. Hilferding, Il capitale finanziario, ed. Feltrinelli 1961, p.17).

 

L’antagonismo del rapporto di produzione capitalista (la proprietà individuale delle forze produttive, l’iniziativa economica individuale, la divisione antagonistica del prodotto e la concorrenza nel mercato) rendono incompatibili con l’ordinato funzionamento del meccanismo sociale di produzione la partecipazione attiva e consapevole dei lavoratori al suo funzionamento e la formazione in essi delle corrispondenti attitudini all’organizzazione, alla direzione, all’autodisciplina. Questo meccanismo sociale infatti funziona solo in quanto supporto della valorizzazione del capitale.

La transizione dal capitalismo al comunismo (cioè il programma della rivoluzione socialista) è la creazione dell’universale partecipazione attiva e consapevole dei lavoratori al funzionamento del meccanismo sociale della produzione e la formazione nei lavoratori delle corrispondenti attitudini all’organizzazione, alla direzione, alla previsione, alla comprensione e gestione dei processi naturali e sociali, alla elaborazione di una volontà comune come sintesi delle volontà individuali: attitudini che il capitale non poteva formare nei lavoratori e di cui reprimeva anzi la formazione. L’unica attività propria della società borghese in cui i lavoratori apprendono in massa e in una certa misura il comunismo è la vendita collettiva della forza-lavoro (l’attività sindacale e rivendicativa): questa, pur compiendo un atto caratteristico della società borghese (la vendita della forza-lavoro), per il fatto d’essere collettiva è una scuola di comunismo, ossia crea nei lavoratori le attitudini e li porta ad elaborare le modalità per collegarsi tra loro e unire le loro forze.(14)

In conclusione: il programma economico della rivoluzione socialista nei paesi capitalisti consiste principalmente nell’adeguamento dei rapporti di produzione e delle istituzioni della società al carattere sociale già raggiunto dalle forze produttive.

Nella realizzazione di questo programma, è inevitabile che si facciano errori. Il concorso disciplinato di milioni di uomini alla produzione è una necessità vitale. Nessuna società può prescindere dalla produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza a cui gli uomini sono giunti e a cui è legata la nostra civiltà: solo dei parassiti sono portati dalla loro esperienza a farsi delle illusioni in contrario. Nessun lavoratore di buon senso accetterà, salvo che per periodi d’emergenza, di far la fame o vivere in condizioni economiche e culturali peggiori di quelle cui è abituato o di quelle che sa possibili, a causa dell’indisciplina sua e di altri. Nessun ordinamento sociale può vivere ed affermarsi se comporta uno stabile regresso nel campo della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza che  sono la base, il supporto e il veicolo di ogni civiltà e di tutte le altre condizioni dell’esistenza umana.

La base della superiorità storica del comunismo sulla società borghese sta nel concorso creativo ed ordinato di milioni di uomini alla produzione che le è proprio. Nessuna società ha mai finora goduto delle immense risorse che ne deriveranno. Ma il concorso ordinato degli uomini alla produzione è una necessità anche quando esso non può ancora essere del tutto volontario e consapevole. Dopo la conquista del potere da parte del proletariato esso, oltre che diventare un obbligo generale riguardante anche quelli che nella società borghese vivono alle spalle degli altri, per tutto il tempo necessario (il periodo della transizione, il periodo socialista) sarà il risultato di combinazioni transitorie, multiformi e creative di tre elementi:

- la partecipazione creativa e consapevole,

- la vecchia costrizione economica caratteristica del modo di produzione capitalista (il rapporto di lavoro salariato),

- la costrizione amministrativa (le sanzioni amministrative e penali).(15)

 

(14) È alla luce di questo dato di fatto che diventa chiaro il reale contenuto anticomunista di varie correnti che hanno patrocinato e patrocinano tra il proletariato il disimpegno, l’individualismo, il rifiuto generale della società. Altrettanto chiaro diventa il reale contenuto anticomunista delle correnti che in nome della “purezza rivoluzionaria” hanno combattuto e combattono le lotte rivendicative dei lavoratori e le corrispondenti organizzazioni. Parimenti chiaro diventa l’errore delle correnti che in nome dei compiti politici della rivoluzione si estraniano dal movimento rivendicativo dei lavoratori, tagliandosi così da una delle grandi correnti che alimentano le forze rivoluzionarie.

 

(15) Nella varietà delle combinazioni dei tre elementi si rifletteranno le differenti eredità culturali dei movimenti proletari dei vari paesi, il diverso grado di sviluppo del carattere collettivo delle forze produttive, il diverso grado di avanzamento della transizione dal capitalismo al comunismo. Marx ha illustrato questi problemi in Critica del programma di Gotha.

 

3.3. La trasformazione economica nei paesi economicamente arretrati

 

Nei paesi economicamente arretrati la produzione per gran parte è ancora opera non di un organismo sociale ma di attività individuali o di piccolo gruppo (in ciò consiste l’arretratezza). Dopo la conquista del potere da parte del proletariato, non è possibile che tra i lavoratori si formino rapporti di produzione comunisti se non man mano che la produzione diventa opera di un organismo collettivo, quindi che le forze produttive diventano collettive. In questi paesi la rivoluzione socialista realizza quello che il capitale non ha realizzato. La guerra civile con cui la borghesia contrasta normalmente al proletariato la conquista del potere, distrugge in qualche misura anche quelle forze produttive moderne che lo sviluppo precedente aveva creato: è successo così in tutti i paesi in cui il proletariato o i movimenti antimperialisti di liberazione nazionale hanno conquistato il potere.

Il proletariato, con i comunisti alla testa, realizza a modo suo questo compito storico inevitabile: combinando, via via che ciò è possibile, partecipazione consapevole e creativa e formazione nella massa della popolazione delle attitudini a ciò necessarie, con la costrizione economica e con la costrizione amministrativa. Ma quello che compie il proletariato è, per quanto riguarda la trasformazione delle forze produttive e per gli aspetti principali, lo stesso compito storico che la borghesia ha già realizzato in altri paesi. Quindi è un compito che anche la borghesia può realizzare, alla sua maniera.

È inevitabile quindi che una parte della vecchia borghesia e delle classi ad essa affini (la “borghesia nazionale”) si unisca allo sforzo comune di sviluppo economico portando in esso l’esperienza di cui è depositaria, ma anche forme concrete dei rapporti di produzione e della cultura di cui è portatrice.(16) Solo dei rivoluzionari con la testa tra le nuvole (che oggettivamente confluiscono con quelli che sostengono che il proletariato non deve prendere il potere nei paesi  economicamente arretrati) possono affrontare questa realtà con la linea semplicistica e fallimentare di rifiutare la collaborazione di queste forze.

 

(16) Il contributo dato alla costruzione economica della repubblica Popolare Cinese dalla borghesia nazionale è stato ufficialmente riconosciuto e regolamentato dalle Pubbliche Autorità del paese e dal PCC.

In Unione Sovietica numerosi membri delle vecchie classi dominanti e ceti ad esse collegati, una volta persa la speranza di vincere la guerra civile e stabilizzatosi il potere sovietico, si allinearono dando il loro contributo alla costruzione economica. Questo movimento di industriali, specialisti tecnici, militari ed economici, funzionari e scienziati che accettavano di collaborare con il potere sovietico (e alcuni già emigrati ritornarono in patria) si espresse anche ufficialmente già fin dal luglio 1921 nella raccolta di saggi Smena vech pubblicata a Praga e poi nella rivista Rossija pubblicata a Leningrado: il movimento fu detto degli smenovechovcy.

Questo movimento si accentuò con il lancio nel 1928 del primo piano quinquennale e con la grande crisi economica che dal 1929 colpì i paesi imperialisti.

Durante la Seconda Guerra mondiale esso ricevette nuovo impulso

- dal carattere di sterminio antislavo impresso dall’aggressore nazista alla guerra contro l’Unione Sovietica che metteva gli oppositori del potere sovietico di fronte all’alternativa o unirsi a questo nello sforzo per la vittoria o essere schiacciati dai nazisti;

- dalla linea cui fece ricorso il potere sovietico di mobilitazione nella guerra di tutte le forze sociali e le nazionalità del paese (tipico è il caso delle autorità religiose ortodosse e musulmane): la guerra venne non a caso chiamata Grande Guerra Patriottica.

È ovvio che tutte queste forze antisocialiste che si univano allo sforzo di costruzione economica e di resistenza contro l’aggressione portandovi un contributo prezioso grazie alla propria esperienza o alla propria autorità morale, venivano con ciò stesso ad acquisire nuovamente un ruolo sociale rilevante, ad avere un peso nel determinare l’intero movimento della società.

 

È inevitabile quindi che anche individui attivi ed energici che sorgono nel nuovo contesto e in esso assumono un ruolo dirigente concepiscano in maniera unilaterale il compito dello sviluppo delle forze produttive e vedano come un inciampo alla loro azione ognuna delle misure miranti a promuovere la gestione collettiva delle attività produttive e la partecipazione ampia e il più possibile egualitaria delle masse ad essa. È inevitabile che migliaia di uomini vedano nell’iniziativa economica individuale e nella proprietà individuale delle forze produttive un fattore di progresso e una “chiave” per uscire dalle difficoltà economiche in cui si dibattono (la nuova borghesia).

È inevitabile che migliaia di uomini cerchino di approfittare delle difficoltà e delle disfunzioni del nuovo sistema di gestione delle attività economiche, che viene costruendosi per tentativi e con inevitabili errori, per soddisfare individualmente i loro bisogni, per mettersi individualmente al sicuro dalle difficoltà; che sfruttino tutte le pieghe e i vuoti inevitabilmente lasciati dal nuovo sistema per sviluppare in essi la loro attività economica. Sarebbe strano se non fosse così, dato che gli uomini con cui marciamo verso il comunismo, che la società capitalista costringe a marciare verso il comunismo, sono quelli formati dall’esperienza pratica della società capitalista e dello sfruttamento imperialista secondo il principio “ognuno per sé e dio per tutti!” (gli speculatori e i parassiti).

A fronte ad ogni difficoltà incontrata dal nuovo sistema, difficoltà che rende incerte cose vitali come il cibo, il riscaldamento, il vestiario, la casa, la formazione dei figli, la sicurezza del futuro, ecc. è inevitabile che alcuni pensino: “Perché ora che finalmente siamo anche noi indipendenti, che non siamo più schiacciati dall’imperialismo, non facciamo come i paesi più sviluppati di noi, che hanno già risolto questi problemi? Perché non risolviamo i problemi di gestione del processo produttivo creati dalla partecipazione democratica dei lavoratori facendo valere universalmente  anche da noi la grande forza disciplinatrice del salario e della “libera” contrattazione e compravendita della forza/lavoro? Perché non risolviamo le difficoltà di approvvigionamento e le strozzature, che la rottura dei rapporti economici con i paesi capitalisti comporta inevitabilmente, comperando dal mercato capitalista? Perché non lasciamo che ognuno sviluppi la propria iniziativa economica come meglio crede salvo poi pagarne lui stesso le conseguenze economiche? Perché non lasciamo anche noi che ogni persona disponga individualmente di sé come meglio gli conviene? Perché non lasciamo che chi vuole buttarsi in una professione vi si getti, salvo poi scontrarsi con la disoccupazione? Perché non accettiamo la collaborazione commerciale e finanziaria che la borghesia ci offre? ecc.”. Questo è il terreno da cui in ogni paese socialista economicamente arretrato nasce e rinasce la forza della borghesia. Questo è il terreno su cui inevitabilmente si confrontano “le due vie”, la via socialista e la via capitalista, su cui si formano e riproducono “le due classi”, il proletariato e la borghesia, di cui si alimentano i portavoce delle “due linee”, la linea della transizione al comunismo e la linea della stabilizzazione del capitalismo. È un terreno tanto più vasto, fertile e tenace quanto più arretrate sono le forze produttive. È un terreno che non viene eliminato dal fatto che i comunisti siano consapevoli del pericolo. La consapevolezza può solo permettere di affrontare con più possibilità di successo le difficoltà che ne derivano, di trattare con misure graduali e d’avanguardia le contraddizioni che via via sorgono usando opportunamente “la democrazia” e “la dittatura”, di sfruttare meglio le debolezze della “via capitalista”. Infatti è tutt’altro che scontato che quella via capitalista che “appare” come una possibile e più nota via di sviluppo e crescita del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza sia davvero possibile. Un conto è che alcuni individui riescano con iniziative individuali a sfruttare vantaggiosamente per sé pieghe ed errori del nuovo sistema economico, un altro è che questa iniziativa individuale possa diventare l’elemento portante del sistema di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza per l’intera società (sia pure nell’ambito delle diseguaglianze e degli antagonismi di classe e dello sfruttamento caratteristici delle società capitaliste). Un conto è che l’indipendenza dal sistema capitalista mondiale sia stata conquistata e possa essere mantenuta nell’ambito del socialismo, un altro che possa essere mantenuta anche nell’ambito della prevalenza della “via capitalista” e che la prevalenza di questa non si traduca nel ritorno alla vecchia soggezione e nella conseguente stabilizzazione del sottosviluppo.(17)

 

(17) La via di restaurazione del capitalismo che si prospetta attualmente nei paesi socialisti è quella dell’assoggettamento ai vecchi gruppi imperialisti e ai loro Stati, non quella di una edizione in proprio di nuove società capitaliste. Se la linea di restaurazione capitalista uscirà vittoriosa dai conflitti di ogni genere che si profilano in questi paesi, nell’ambito dello sconvolgimento generale dell’ordine esistente, resterà da vedere dove si collocherà ognuno di questi paesi nella gerarchia del sistema capitalista mondiale.

 

Dopo la vittoria contro l’imperialismo e la conquista del potere, sostenitori della via capitalista e sostenitori della via socialista tanto più si differenziano quanto più questa indipendenza sarà o sembrerà assicurata. Il boicottaggio economico, i tentativi di reimporre il loro dominio, l’aggressione e tutte le iniziative del genere che gli imperialisti inevitabilmente sviluppano coerentemente con la loro natura di conservazione di tutti gli interessi costituiti, oppressiva, aggressiva e controrivoluzionaria, ostacolano la differenziazione interna al campo rivoluzionario e quindi permettono al proletariato di guadagnare tempo e rafforzano il processo rivoluzionario e lo spingono avanti, se esso è fin dall’inizio ben fondato sulle masse. I venti anni di assedio e aggressione imperialisti all’Unione Sovietica infatti hanno, contro l’intenzione degli imperialisti, aiutato il proletariato a mantenere il potere. L’aggressione imperialista può essere efficace solo nella misura in cui il terreno interno è già minato, in caso contrario si trasforma in un elemento di forza per  il proletariato. La storia di tutte le rivoluzioni proletarie e di liberazione nazionale antimperialista del nostro secolo dimostra questa tesi.

 

4. La ripresa del processo di accumulazione del capitale dopo la Seconda Guerra Mondiale e lo sviluppo economico dei paesi capitalisti durato per un lungo periodo successivo di quasi trent’anni.

 

La caratteristica costitutiva delle società imperialiste che ha reso possibile il successo dei revisionisti moderni nei partiti comunisti dei paesi imperialisti è l’espansione del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza che si ebbe in tutti i paesi imperialisti dopo la Seconda Guerra Mondiale e che durò per quasi trent’anni.

Grazie agli sconvolgimenti economici e politici e alle distruzioni prodotti nel periodo 1914 -1945 e con le due guerre mondiali, dopo la Seconda Guerra Mondiale il sistema capitalista mondiale ebbe un lungo periodo di sviluppo economico che si protrasse fino agli anni ‘70. Benché avesse perduto una grossa parte del mondo e continuassero a svilupparsi lotte antimperialiste di liberazione nazionale che ridussero ulteriormente la parte del mondo su cui esso operava, il capitale poté riprendere l’accumulazione allargata e per quasi trent’anni ciò consentì l’ampliamento del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza.

La ripresa economica del sistema capitalista mondiale del periodo 1945 - 1970 fu una potente forza controrivoluzionaria che agì in tutti i paesi imperialisti, riflettendo i suoi effetti anche sui paesi coloniali e sui paesi socialisti.

Nei paesi imperialisti una volta chiuso il periodo di rivolgimenti sociali 1914 - 1945 senza che il proletariato si fosse impadronito del potere, con la permanenza del potere della borghesia, non solo si chiudevano per un certo periodo le possibilità di conquista del potere per il proletariato, ma si apriva la possibilità dell’egemonia della borghesia sul movimento proletario, la possibilità di successo dei revisionisti moderni nei partiti comunisti e della loro direzione sul movimento proletario.(18)

 

(18) La ricerca delle cause che resero possibile il successo del revisionismo moderno porta quindi in definitiva alla ricerca delle cause del mancato successo della rivoluzione socialista in Europa Occidentale nel periodo 1914 - 1945.

L’Internazionale Comunista già nel 1921 si calcola che avesse oltre un milione di seguaci al di fuori dell’Unione Sovietica e nello stesso anno, al suo Secondo Congresso, erano presenti rappresentanti di 67 organizzazioni provenienti da 37 paesi. Essa diede diffusione universale al messaggio della Rivoluzione d’Ottobre e fece sorgere organizzazioni rivoluzionarie in ogni parte del mondo, dal Sud Africa al Giappone, dall’Argentina alla Scandinavia e molte di queste ebbero un ruolo rilevante nel movimento economico e politico del loro paese. In Europa Occidentale l’Internazionale Comunista conquistò al comunismo la stragrande parte dell’avanguardia del proletariato, ossia di quella parte del proletariato che onestamente e consapevolmente dedica le proprie energie all’emancipazione della propria classe e pone la propria personale emancipazione nell’emancipazione di essa. Le organizzazioni dell’Internazionale Comunista in Europa Occidentale ebbero tutte un ruolo importante nelle vicende del periodo che si concluse con la Seconda Guerra Mondiale. Questo periodo, a differenza degli anni che seguirono, fu nella maggior parte dei paesi europei un periodo di grandi sommovimenti, di grandi movimenti di massa, di instabilità dei regimi politici, di acute guerre civili in vari paesi. In alcuni periodi le masse lottarono con eroismo e senza risparmio di energie e i membri dell’Internazionale furono alla loro testa pagando un grande tributo di sangue. In Germania e in Austria il nazismo poté affermarsi solo passando sui cadaveri dei comunisti. In Spagna fu necessario l’intervento di forze militari straniere per soffocare il movimento rivoluzionario. In Inghilterra, in Francia e in Italia negli anni ‘20 ad un modo e negli anni ‘30 e ‘40 in un altro  vi furono grandi mobilitazioni e lotte di massa.

Tuttavia l’Internazionale Comunista non riuscì a guidare le masse a quel tipo e a quelle forme di lotta necessarie per la conquista del potere e l’avvio della transizione al comunismo.

Siamo convinti che la comprensione delle cause di questo mancato successo dell’Internazionale Comunista non possa che essere, per così dire, un sottoprodotto della definizione di una linea vittoriosa della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Solo alla luce di una linea confermata da un movimento vittorioso emergeranno con chiarezza le caratteristiche del movimento politico delle società imperialiste che l’Internazionale Comunista non riuscì a cogliere e a valorizzare. Quindi è la ricerca di una linea per domani e la sua verifica nella pratica che ci illumineranno sul nostro passato.

 

In generale i comunisti dei paesi imperialisti non compresero che il sistema capitalista mondiale, sopravvissuto alla crisi e agli sconvolgimenti del periodo 1914 -1945, avrebbe avuto un lungo periodo di ripresa.

In Italia l’ala sinistra del PCI, che soggettivamente restava fedele alla causa del comunismo, dapprima sostenne sempre più ciecamente che il capitalismo stava per ripiombare la società in crisi tipo quella degli anni ’30 da cui era uscito con la guerra; in un secondo tempo (grosso modo dopo l’ottavo Congresso del PCI nel 1956), venne sommersa dalla destra che sosteneva apertamente che il capitalismo aveva superato la tendenza alla crisi economica e alla guerra e perse definitivamente ogni capacità di azione e di influenza.

Quanto ai comunisti sovietici, è palese anche nello scritto del 1952 di Stalin, Osservazioni su questioni di economia relative alla discussione del novembre 1951 (ripubblicato in Rapporti Sociali, n.3) la tesi che le società borghesi andavano verso una nuova e imminente paralisi economica del tipo di quella degli anni ‘30.

In realtà a fronte del nuovo slancio preso dall’accumulazione del capitale, lo sviluppo economico conseguente creò la possibilità di una serie di riforme nell’ambito della società borghese. L’avanguardia del proletariato cessò un po’ alla volta di essere rivoluzionaria. Nel periodo tra le due Guerre Mondiali la stragrande maggioranza di ciò che di attivo, consapevole, onesto e proteso a conquistare la propria emancipazione tramite l’emancipazione della propria classe, quello che di questo genere ci fu nel proletariato europeo per la grandissima maggioranza aderì ai partiti comunisti. L’avanguardia del proletariato fu comunista, tesa alla conquista del potere e in questo obiettivo profuse grandi sforzi ed eroismi.

A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale un po’ alla volta l’avanguardia del proletariato, gli operai attivi, consapevoli, onesti, protesi all’emancipazione della propria classe cessarono di aderire al comunismo e di lavorare per la conquista del potere. Le loro forze e le loro aspirazioni furono sempre più dirette al miglioramento delle condizioni economiche, politiche e culturali della loro classe cui il nuovo corso preso dalle società borghesi lasciava certi spazi. Iniziò infatti il relativamente lungo periodo del “capitalismo dal volto umano”.(19) La lotta rivendicativa delle masse conseguì grandi risultati, trasformò radicalmente le condizioni di vita di ampie masse, fece scomparire in larga misura molte delle vecchie espressioni dello sfruttamento capitalista, diede nuove forme a quelle che persistevano. I revisionisti moderni nei paesi imperialisti europei furono i teorizzatori, gestori e promotori del nuovo corso preso dall’avanguardia del proletariato, il corso rivendicativo e riformatore. Il loro periodo di massima fortuna coincise infatti con l’apogeo della realizzazione pratica del “capitalismo dal volto umano”.

 

(19) In Rapporti Sociali n. 5/6 pag. 8 viene chiarito cosa intendiamo per periodo del “capitalismo dal volto umano”.

 

Si consumò allora nei paesi imperialisti europei quella separazione tra l’avanguardia del proletariato e i comunisti, separazione che non si è ancora colmata. Il superamento della separazione dell’avanguardia del proletariato dal  comunismo costituisce l’elemento centrale della lotta politica nei paesi imperialisti dagli anni ‘70 in qua.

I quasi trent’anni di sviluppo economico realizzati nell’ambito del modo di produzione capitalista (del sistema capitalista mondiale) hanno comportato

- la paralisi nei paesi imperialisti del movimento rivoluzionario del proletariato dominato anch’esso dai revisionisti moderni o da altre correnti conciliatrici e il quasi annullamento del suo apporto al movimento rivoluzionario mondiale;

- un’accresciuta pressione contro il movimento rivoluzionario del proletariato dei paesi socialisti attuata principalmente dall’interno, prevalentemente senza il ricorso ad aggressioni militari, il cui perno era l’appoggio ai revisionisti moderni e alla loro direzione.

 

5. L’interazione dei due fattori

 

Il successo dei revisionisti moderni nei paesi socialisti ha aumentato le possibilità di successo dei revisionisti moderni nei partiti comunisti dei paesi imperialisti.

1. I paesi socialisti diretti dai revisionisti moderni cessarono di essere il retroterra delle forze rivoluzionarie dei paesi imperialisti. Si creò un po’ alla volta una situazione in cui le classi dominanti dei paesi imperialisti cessarono di temere il “contagio” proveniente dai paesi socialisti e furono i gruppi dominanti dei paesi socialisti che incominciarono a difendersi dalle influenze provenienti dai paesi imperialisti.

A partire dalla Rivoluzione d’Ottobre fino agli anni ‘50 la borghesia imperialista visse nel timore che il “contagio” si estendesse ai lavoratori dei paesi imperialisti. Con il Trattato di Versailles del 1919 e la Società delle Nazioni aveva creato attorno all’Unione Sovietica una catena di “Stati cuscinetto ” in cui aveva imposto la direzione di gruppi ferocemente anticomunisti: dai paesi in cui già nel 1918 l’intervento militare tedesco aveva soffocato la rivoluzione con il “terrore bianco” (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), alla Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Aveva teso inoltre attorno all’Unione Sovietica il cosiddetto “cordone sanitario” per ostacolare contatti e rapporti con essa dei lavoratori e dei movimenti politici dei paesi imperialisti. Prima di concludere accordi, sia pur limitati con esse, i governi imperialisti chiedevano alle autorità sovietiche di “cessare la propaganda” nei loro paesi. Persa la speranza di eliminare il potere sovietico, l’obiettivo divenne rendere più difficile possibile la vita in Unione Sovietica affinché non potesse costituire un esempio per il proletariato e le masse oppresse dei paesi imperialisti. Lo scioglimento dell’Internazionale Comunista nel 1943 venne salutato con un respiro di sollievo da tutti i governi imperialisti.

Negli anni ‘50 un po’ alla volta la situazione si rovesciò. Furono i gruppi dominanti dei paesi socialisti che cercarono di evitare i contatti tra i popoli. Ben prima che Berlinguer dichiarasse “esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”, il movimento economico e politico dei paesi socialisti cessò di essere fonte di esperienza e di forza per il proletariato dei paesi imperialisti.

2. Nei paesi socialisti il predominio politico dei revisionisti moderni comportò la trasformazione delle organizzazioni delle masse da strumenti per estendere la partecipazione al potere in strutture amministrative di controllo sulle masse. I rapporti civili e politici vennero nuovamente regolamentati da ordinamenti giuridici del tipo di quelli esistenti nelle società borghesi; ma nei paesi socialisti non esistevano le premesse materiali (la proprietà privata delle forze produttive e l’iniziativa economica privata) del loro funzionamento che nelle società borghesi esistono per una frazione della popolazione: da qui un sistema artificioso, illusorio e ipocrita, che in effetti copriva prassi e organismi insindacabili che presiedevano, per quanto possibile, ai rapporti reali. Su queste premesse, la vita culturale nei paesi socialisti divenne asfittica e vuota: gli intellettuali più attivi cercarono nella cultura borghese i loro riferimenti e nelle società borghesi i  loro mercati. Le società governate dai revisionisti assunsero per molti aspetti la natura di società che volevano essere come quelle borghesi ma non riuscivano ad esserlo.

Di conseguenza venne meno l’egemonia culturale che l’Unione Sovietica e i paesi socialisti aveva esercitato su ampi gruppi di intellettuali dei paesi imperialisti e che aveva suscitato ancora nei primi anni ‘50 ad esempio le rabbiose reazioni di Scelba e di McCarthy. I movimenti rivendicativi di diritti economici, politici e civili dei paesi imperialisti cessarono di avere nei paesi socialisti i loro punti di forza e di riferimento: i paesi socialisti restarono un punto di forza e di riferimento solo per i movimenti antimperialisti di liberazione nazionale dei paesi coloniali per un altro ordine di motivi.

3. Lo sviluppo delle forze produttive divenne nei paesi socialisti meno rapido che nei paesi imperialisti. All’inizio degli anni ‘50 l’Unione Sovietica era uno dei paesi tecnologicamente d’avanguardia nel mondo. Nel 1948 i popoli sovietici avevano già riportato la produzione industriale ai livelli d’anteguerra nonostante le enormi distruzioni umane e materiali subite e da qui era iniziato un rapido sviluppo. L’avvento al potere dei revisionisti moderni produsse un rallentamento graduale dei ritmi di sviluppo e nel giro di alcuni anni i paesi socialisti divennero importatori di tecnologia e dipendenti dai paesi imperialisti in settori decisivi (dal 1963 l’Unione Sovietica iniziò ad importare cereali). I paesi socialisti divennero un mercato dipendente dei gruppi imperialisti e occasione di investimenti diretti e di investimenti finanziari. Dopo 45 anni di pace l’incidenza del lavoro manuale e dell’energia fisica umana nelle lavorazioni delle imprese sovietiche e degli altri paesi socialisti è al livello di quella che si ha nelle piccole imprese dei paesi capitalisti (e che costituisce uno degli esempi più grandi del freno che il modo di produzione capitalista pone allo sviluppo delle forze produttive).

Si è quindi realizzata a rovescio quell’influenza che il progresso economico dei paesi socialisti doveva esercitare sul movimento delle società borghesi (di cui tratta Stalin nel già citato scritto del 1952). Negli anni ‘30 i paesi imperialisti non costituivano alcun “modello” per i seguaci della via capitalista nei paesi socialisti. Negli anni ‘60 i paesi socialisti sotto la direzione dei revisionisti moderni sono stati “sommersi” economicamente dai paesi imperialisti e ridotti ad appendice di questi. Di conseguenza i paesi del Terzo Mondo dove hanno trionfato movimenti antimperialisti di liberazione nazionale si sono trovati sul piano economico a dover fare i conti praticamente da soli con i gruppi e gli Stati imperialisti.

Tutti questi fattori, che avevano la loro origine nell’indirizzo impresso dai revisionisti moderni al movimento delle società socialiste, agirono nel senso di indebolire il carattere rivoluzionario del movimento proletario nei paesi imperialisti e quindi ampliarono oggettivamente le possibilità di successo dei revisionisti moderni al suo interno.

Di contro l’espansione del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza nei paesi imperialisti favorirono il successo dei revisionisti moderni nei paesi socialisti

1. Il movimento proletario dei paesi imperialisti andò progressivamente indebolendosi e diminuì di conseguenza il sostegno dato da esso al movimento rivoluzionario dei paesi socialisti.

Nel periodo precedente il 1950, pur non riuscendo a conquistare il potere in nessun paese imperialista, il movimento proletario aveva dato un notevole contributo al movimento rivoluzionario mondiale: dalle lotte contro l’intervento in Russia, alla resistenza contro l’ascesa del fascismo e del nazismo, all’emigrazione in Russia di nuclei di lavoratori di diversi altri paesi tra cui quelli che nel 1922 andarono a dar inizio con la colonia industriale autonoma del Kuzbass alla “seconda base industriale” dell’URSS, al contributo internazionale alla guerra rivoluzionaria in Spagna, alla Resistenza. La forza del movimento proletario aveva alimentato la paura delle classi dominanti: dalle misure contro il “contagio”, all’opzione per i movimenti fascisti e nazisti, agli ostacoli posti alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale,  alla conduzione della stessa guerra in chiave di terrorismo di massa.

La rifioritura economica delle società capitaliste permise l’intensificazione della pressione finanziaria, commerciale e tecnologica contro i paesi socialisti, l’impiego in grande stile dell’arma del blocco commerciale e del ricatto economico, il sostegno economico ai gruppi revisionisti man mano che si dimostravano capaci di influenzare la condotta dei rispettivi paesi. La borghesia imperialista sostenne economicamente tutte le iniziative di restaurazione nei paesi socialisti e costituì un elemento di forza per le forze borghesi interne ai paesi socialisti.

 

6. Conclusioni

 

Comprendere la base materiale (l’essenza materiale) della possibilità di successo del revisionismo moderno è indispensabile per un’analisi di qualche utilità dei passaggi dell’effettivo prodursi del suo successo.

La valutazione del ruolo svolto dalle linee, dalle proposte e dalle scelte può essere compiuta su basi marxiste solo a partire dalla comprensione dei compiti che il proletariato e i comunisti dovevano assolvere, che la situazione oggettiva poneva loro. Proprio perché prive di questa comprensione dei compiti cui la rivoluzione socialista doveva far fronte e solamente a fronte dei quali la rivoluzione socialista poteva aprire la strada all’affermazione di una società comunista, molte critiche cosiddette di sinistra (provenienti da gruppi bordighisti, trotzkisti, anarchici e anche da alcuni gruppi marxisti-leninisti) sono sterili, hanno un effetto negativo nelle nostre fila perché propongono come chiave per il successo compiti irrealizzabili o cervellotici, confluiscono spesso nell’apparato propagandistico anticomunista.

I comunisti possono prevalere solo se riescono a dare ai compiti posti alle masse dalla situazione oggettiva soluzioni che in definitiva rafforzano le forze proletarie e indeboliscono le forze borghesi. Le linee che non partono dall’individuazione e dalla soluzione dei problemi posti alle masse dalla situazione oggettiva (e questi problemi quindi non sono decisi o posti né dall’avanguardia né dai partiti comunisti né dai nostri avversari, ma dal corso oggettivo del movimento economico e politico della società) portano inevitabilmente, per una via o per l’altra, al successo della borghesia che ovviamente si avvale anch’essa di tutti gli errori, le insufficienze, le difficoltà e le ingenuità dei suoi avversari.

D’altra parte è a fronte dei compiti posti dalla situazione obiettiva che oggi, come comunisti e come marxisti, dobbiamo valutare le grida di vittoria dei nostri avversari. Chi non lo fa, rischia di lasciarsi confondere da quelle grida.

Sia noi che i nostri avversari ci misuriamo con gli stessi problemi. Il movimento comunista non è stato l’invenzione di qualche uomo di genio: è nato e cresciuto come prodotto delle contraddizioni della società borghese. Il modo di produzione capitalista nella prima metà del XX secolo precipitò la società umana in una crisi catastrofica. Fu nel contesto di quella crisi e per far fronte ai problemi cui essa costringeva, che masse enormi di uomini si unirono ai comunisti e insieme lanciarono il primo “assalto al cielo”.

Il primo assalto al cielo non è riuscito ad andare fino in fondo, nonostante la profusione di sforzi ed eroismi di più generazioni di comunisti e di proletari. Fu un avvenimento sconvolgente: operai, contadini poveri ed altri lavoratori si levarono contro i loro padroni in ogni angolo del mondo e riuscirono a vincere in una serie di paesi. I più grandi e moderni eserciti messi assieme dagli Stati imperialisti, prima l’Intesa, poi il Terzo Reich, poi gli USA furono vinti. Per anni uomini semplici presero nelle loro mani la loro vita, difesero con le unghie e con i denti la loro indipendenza, provarono a costruire una nuova società. Ma non sono riusciti ad andare oltre un certo punto, non sono riusciti a cancellare dalla faccia della terra lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la schiavitù del bisogno, la miseria dell’ignoranza e dell’emarginazione, l’oppressione tra le nazioni, le razze e i sessi. Non sono riusciti a realizzare ciò che  tuttavia le forze produttive di cui gli uomini dispongono rendono possibile e necessario.

Se la borghesia avesse risolto o risolvesse i problemi da cui il movimento comunista prese avvio ed attinse forza per crescere, la borghesia avrebbe vinto e la gioia che essa ostenta in questi giorni sarebbe qualcosa di diverso dalla gioia maligna e dal sollievo di chi può solo addurre che “neanche i comunisti ci sono riusciti”.

La realtà è però che oggi nella sostanza si ripropongono agli uomini gli stessi problemi che all’inizio di questo secolo fecero muovere le masse verso il comunismo, all’assalto del cielo. Il crollo del revisionismo moderno rende solo più acuti quei problemi ed accelera il precipitare di tutte le contraddizioni. Il loro crollo è anzi un sintomo del precipitare delle contraddizioni e del riproporsi dei problemi che si ponevano all’inizio del nostro secolo.

Vincerà chi questi problemi riuscirà a risolverli. Il comunismo pretende di essere il movimento della loro risoluzione. Per quanti comunisti la borghesia elimini o corrompa, resta il fatto che non sono stati i comunisti a creare i comunisti, ma le contraddizioni della società borghese, che restano. Ad ogni assalto fallito, gli stessi problemi faranno succedere un nuovo assalto, finché i problemi non saranno risolti. E ad ogni nuovo assalto, chi lo guiderà sarà ricco dell’esperienza degli assalti precedenti.