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LE COMUNITÀ NATURALI E LA « NATURA»
Rapporti Sociali n. 4, luglio 1989 (versione Open Office / versione MSWord )
LE COMUNITÀ NATURALI E LA “NATURA”
Quando
parliamo di «comunità naturali» intendiamo l’orda, la tribù, i clan, la
famiglia, il villaggio, il vicinato, ecc., ossia tutti i gruppi dipendenti
tra loro ai fini della produzione delle condizioni materiali dell’esistenza,
che incontriamo nella storia prima che il modo di produzione capitalista
crei le moderne società nazionale
e la società mondiale.
La
fusione delle preesistenti «comunità naturali» nelle società nazionali e
nella società mondiale è tutt’oggi in corso. Il processo assume la forma
delle migrazioni forzate, delle epidemie e delle carestie che distruggono
vecchie comunità, dell’oppressione razziale, nazionale e culturale. La
borghesia che ha messo in moto il processo e creato le condizioni perché
esso si riproducesse, non può che realizzarlo a questo modo (così come
realizzò la civilizzazione degli indigeni nelle Americhe e dell’Australia
distruggendoli). Quindi il processo di fusione procede lentamente e
dolorosamente e produce mille forme di resistenza. La borghesia da
promotrice è diventata un ostacolo.
Solo una
concezione dogmatica induce a qualificare come reazionarie le forme di
resistenza a questo processo, così come indusse, all’inizio di questo
secolo, a qualificare come reazionari i movimenti suscitati in Europa
Orientale dall’oppressione nazionale. Parimenti solo una concezione
reazionaria porta ad assolutizzare queste resistenze e a fare proprio il
rifiuto in toto del mondo moderno (e quindi, in definitiva, a subirne la
dominazione), anziché eliminare la sua forma borghese.
Ma
ritorniamo alle «società naturali». Il termine «naturale», sta solo in
contrapposizione ad «attuale», «moderno». Assolutamente non sta ad indicare,
come suggerisce il senso comune del termine, qualcosa che è nato e si è
sviluppato rispondendo ad un ordine o a una volontà esterna agli uomini. Di
fatto ognuna delle «comunità naturali» ricordate appare nella storia come il
risultato di un lungo sviluppo storico precedente, quindi come una
«produzione umana» assolutamente « non naturale», bensì «artificiale », se
per «naturale» si intende qualcosa che si è prodotta al di fuori delle
attività dell’uomo (e quindi «legittimo» perché non creato dall’«arbitrario
agire umano»).
Nel
linguaggio corrente, «naturale» è spesso usato nel senso di «conforme alla
natura», «giusto», «legittimo», «conforme all’ordine stabilito dal
creatore». Quindi in un senso che è legato ad una concezione metafisica e
religiosa del mondo e che
contrappone le cose «naturali» alle cose «artificiali» create dall’uomo.
Anche
quando parliamo di «forze naturali» si crea un equivoco analogo. Le forze
naturali di cui si parla sono eminentemente artificiali e solo in quanto
artificiali possono essere usate dall’uomo. L’acqua deve essere raccolta e
incanalata verso una ruota da mulino o verso la turbina di una centrale
idroelettrica; il materiale combustibile deve essere fatto bruciare in una
caldaia onde produrre vapore, ecc. Non c’è «forza naturale» usata nella
produzione che non sia manipolata allo scopo dall’uomo e quindi che non sia
artificiale. Parliamo quindi di «forze naturali» solo per distinguerle dalla
forza muscolare dell’uomo e degli animali da lavoro.
In realtà
oggi esiste ben poco sulla superficie della terra che non sia prodotto delle
attività dell’uomo, che l’uomo non abbia modificato e plasmato nel corso dei
secoli con la sua attività.
I boschi
e i prati, i corsi d’acqua, la flora e la fauna, le coste e le montagne, i
mari e l’atmosfera portano il segno dell’attività dell’uomo. Dire che un
bosco è natura e la periferia di Milano no, vale quanto a dire che il vino è
una bevanda naturale e la cocacola no!
Quindi la
contrapposizione che si viene facendo nelle società moderne (e in
particolare nei movimenti «verdi») tra naturale ed artificiale esprime
(nasconde) un’altra contraddizione reale. L’invocazione della natura diventa
tanto più forte, quanto più le forze produttive sviluppate diventano,
nell’ambito del rapporto di produzione capitalista, distruttive. Allora la
conservazione del rapporto di produzione porta a contrapporre alle forze
produttive del momento («artificiali») quelle precedenti («naturali»).