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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Seconda lettera aperta ai membri di Proletari Comunisti che scemi non sono
L’enigma sarà sciolto,
ma i conti non tornano!

09.10.2013

Lettera aperta ai membri di Proletari Comunisti che scemi non sono

05.10.2013

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Avviso ai naviganti 32

29 ottobre 2013


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Marco Rizzo (CSP-PC) non è nazionalcomunista, ma ragiona come se lo fosse.
Perché? Perché i suoi ragionamenti non sono all’altezza dei suoi sentimenti!

 

Invitiamo i nostri lettori a leggere con cura il documento Verso il secondo congresso del Csp-Partito Comunista. Il revisionismo italiano, dal dopoguerra fino al PD (comunistisinistrapopolare.com). Il documento ha alcuni pregi, ma proprio per questo è anche la dimostrazione che per ragionare bene (per essere scientifici) bisogna partire dai risultati più avanzati del movimento comunista, non innestarsi a mezza strada e arbitrariamente sul percorso del revisionismo moderno, cercare di raccontare alla meglio la storia della decadenza del PCI e respingere le manifestazioni estreme: Bertinotti e Ferrero che hanno proclamato e proclamano la storia del movimento comunista una “successione di errori e orrori” e hanno definitivamente portato “il più grande partito comunista d’Occidente - il partito di Antonio Gramsci - alla sua consunzione”, come giustamente riconosce Marco Rizzo. Procedendo così, si prende posizione, ma non si ricavano insegnamenti per trasformare il triste presente nel luminoso futuro di cui vi sono i presupposti nel presente.

Iniziamo con i pregi. A parte l’omaggio reso al primo PCI e al movimento comunista in generale compreso Stalin (e non è poco in periodo di denigrazione ancora imperante, cui papa Francesco già contribuisce con la storiella del seminarista ammazzato dai cattivi partigiani comunisti di Reggio Emilia), il maggiore pregio è che Marco Rizzo afferma che “chi vuole ricostruire un vero Partito Comunista in Italia, non può esimersi da una analisi seria e approfondita dei perché” il vecchio glorioso PCI non ha compiuto la sua opera (instaurare il socialismo) ma si è dissolto. Ciò distingue nettamente, in meglio, il documento di Marco Rizzo dalle ressa di documenti che, tra la sconfitta elettorale del febbraio scorso, il congresso del PdCI tenutosi a Chianciano Terme il 19-21 luglio e il congresso del PRC annunciato per il 6-8 dicembre a Perugia, propongono ognuno una sua ricetta per “unire i comunisti” e rifare della “sinistra” una forza politica importante se non egemone della Repubblica Pontificia (questione questa della Repubblica Pontificia da cui tutti aborriscono - e in questo anche Marco Rizzo è della partita). Ross@ costituita di fatto a Bologna nell’assemblea dell’11 maggio (Cremaschi e Rete dei Comunisti) e i promotori della “via maestra” (Rodotà, Landini & C) rientrano nel novero. Tutti documenti che evitano non solo di dare le risposte ma perfino di porre la questione dei perché il primo PCI è finito come è finito. Tra questi i tre documenti dell’annunciato congresso del PRC non si distinguono in meglio. Tutti documenti quindi che già per la loro natura sono estranei al movimento comunista, nessuno dei loro autori adotta il materialismo dialettico come metodo di conoscenza, forse nemmeno ne ha sentito parlare. La politica si fa a naso, secondo il senso comune si additano i rimedi di buon senso ai mali del presente.

L’altro pregio del documento di Rizzo è che inizia l’esame dalla svolta di Salerno (1944) cosa già notevole nella ressa di documenti che esaltano Togliatti e Berlinguer e fanno iniziare il cattivo percorso dei comunisti italiani dalla Bolognina e dallo scioglimento del PCI (1989-1991). Ma proprio qui è anche il punto debole, nazionalcomunista, del documento di Rizzo. Il PCI non era un’isola nel mare. Era nato e vissuto come sezione comunista della prima  Internazionale Comunista fondata nel 1919, sciolta formalmente nel 1943 ma di fatto dissolta completamente solo nel 1956 (XX congresso del PCUS) quando l’Unione Sovietica abdicò al ruolo fino allora svolto di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale. Ora si dà il caso che non solo il PCI non instaurò il socialismo in Italia (non fece la rivoluzione, per usare il linguaggio equivoco di Rizzo). Ma nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti (dell’Occidente, per usare il linguaggio deviante di Rizzo) instaurò il socialismo nel proprio paese.

È quindi evidente che chi vuole fare “una analisi seria e approfondita dei perché” il PCI non ha instaurato il socialismo in Italia, deve considerare che nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti lo ha fatto e dare una spiegazione di questo fatto. Quindi non partire dalla svolta di Salerno e perdersi conseguentemente nella disquisizione salottiera se Togliatti era un traditore o un minchione e se Berlinguer era o no un onest’uomo. Deve spiegare per quali limiti della comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe il movimento comunista non è riuscito a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti e la prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita senza completare la sua opera.

Né il problema così posto è nuovo nel movimento comunista. Non solo lo poniamo noi del nuovo Partito comunista italiano e vi diamo risposta nel nostro Manifesto Programma del 2008. Analogamente lo pose il Partito Comunista Cinese diretto da Mao Tse-tung già nei primi anni ’60 quando si occupò di vari partiti comunisti dei paesi imperialisti, non solo di quello italiano. Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi (31 dicembre 1962) e Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (febbraio 1963) non sono documenti isolati.

Limitare il bilancio al PCI come se la sua deviazione e la sua decadenza fossero una questione solamente italiana, come se il PCI fosse solo un partito nazionale, isolato nel panorama mondiale, significa rinunciare a uno dei principi della concezione comunista del mondo, l’internazionalismo. Non è una questione di buona volontà. Se vuole eludere il problema, Marco Rizzo può certamente opporci il suo personale interesse per le questioni del movimento comunista di altri paesi, la sua personale frequentazione di convegni internazionali di partiti e gruppi comunisti e le prese di posizione dell’organizzazione di cui è segretario. Certamente i suoi sentimenti e la sua pratica sono migliori dei suoi ragionamenti. Ma i suoi ragionamenti sono sbagliati e sono quelli che pesano nel definire la linea che propone per l’organismo che dirige e agli altri aspiranti comunisti. È quello che più ci interessa.

Noi siamo per l’unità dei comunisti. L’unità dei comunisti è questione di grande importanza pratica. Ma l’unica unità che regge alla prova dei fatti e che dobbiamo perseguire, è l’unità sulle posizioni giuste, sulle posizioni avanzate. Perché è l’unica unità che porta alla vittoria della classe operaia e delle masse popolari sulla borghesia e sul clero. Marco Rizzo, travisando Gramsci, fa dire al nostro grande maestro che bisogna “ricomporre le tre grandi anime del proletariato italiano: quella comunista, quella socialista e quella cattolica, superando così quelle barriere culturali e ideologiche che ne intralciano l’unità di classe” (tra parentesi lo sfidiamo a indicare dove mai Gramsci avrebbe sostenuto una tesi del genere: a nostro parere è un’invenzione di Rizzo tanto contrasta con la concezione che Gramsci ha applicato quando ha diretto il PCI (1924-1926) e che ha fissato nei Quaderni del carcere). L’unità dei comunisti, l’unità del proletariato, l’unità delle masse popolari la costruisce la parte avanzata attorno a sé, perché è capace di far leva sul positivo e trattare le contraddizioni in seno al popolo adeguatamente, cioè in modo che non impediscano l’unità contro la borghesia e il clero.

Le fantasie possono essere e sono tante, ma la verità è una sola. Chi vuol vincere, la deve cercare!

 

Rubrica - Dibattito Franco e Aperto 

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