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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Lenin

SULL’IMPOSTA IN NATURA

(Importanza della nuova politica e sue condizioni)

Avviso ai Naviganti 17 - 01.05.2013

Avviso ai naviganti n. 16
Risposte a una riflessione non personale

08.04.2013

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Avviso ai naviganti 18

5 maggio 2013

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Premessa a un’assemblea

I vertici della Repubblica Pontificia hanno appena rovesciato il mandato delle elezioni del 24-25 febbraio (come nel passato hanno rovesciato i verdetti di vari referendum). Ora le persone e gli organismi che con Grillo e il M5S avrebbero potuto mobilitare le piazze contro il colpo di Stato ma hanno invece seguito il “consiglio” di Digos e CC di lasciar perdere, chiamano a riunirsi a Bologna.

 

A Bologna l’11 maggio si riparte... per fare sul serio

Se i promotori dell’incontro nazionale di Bologna fossero persone serie, potremmo non parlare di quello che hanno fatto finora, visto che loro stessi ammettono che finora non hanno fatto sul serio. Ma trattandosi di persone che di partenza ammettono loro stessi che finora non hanno fatto sul serio (e questa ammissione della verità potrebbe ispirare fiducia), c’è d’aver fiducia che d’ora in avanti faranno davvero sul serio?

 

C’è un modo semplice e sicuro per rispondere: vediamo se l’analisi della situazione che fanno è seria e se quello che si propongono di fare d’ora in avanti seriamente, sono cose serie.

La società attuale, in Italia e nel mondo, è costruita attorno e sulla base dell’azienda capitalista che produce beni e servizi per valorizzare il proprio capitale (fare profitti) e smette di produrre se non ne fa. Nel corso degli anni, man mano che cresceva l’area delle attività economiche svolte da aziende capitaliste (cresceva cioè la sussunzione dell’economia nel capitale), proprio perché il ruolo crescente delle aziende capitaliste restasse compatibile con la coesione sociale, ogni azienda è stata circondata da vincoli e regolamenti: i diritti dei lavoratori da rispettare, i minimi salariali da pagare, le norme di igiene e sicurezza del lavoro e di salvaguardia dell’ambiente, le caratteristiche dei prodotti, le autorizzazioni da ottenere e le notifiche da fare. Tanti vincoli che è sorta una corrente politica che promuove se non l’eliminazione, almeno la riduzione di quei vincoli: una corrente che fa la considerazione di buon senso che se la massa della popolazione si deve guadagnare da vivere lavorando in aziende capitaliste e ognuna di queste lotta contro concorrenti per vendere i suoi prodotti, è nell’interesse della massa della popolazione che ogni azienda abbia il massimo di possibilità per uscire vittoriosa nella lotta contro i suoi concorrenti. Che il massimo di possibilità perché un’azienda esca vittoriosa significhi anche il massimo di possibilità di farne fallire altre e la massima libertà di calpestare diritti dei propri lavoratori e ridurre i loro salari, di contravvenire alle norme di igiene e sicurezza del lavoro, di inquinare l’ambiente, di adulterare i prodotti e inventare prodotti nocivi, di usare e abusare delle risorse naturali, è una contraddizione propria del modo di produzione capitalista, insita nella sua natura. Proprio per questo il movimento comunista, fondato da Marx ed Engels circa 160 anni fa, promuove la sostituzione della produzione di beni e servizi fatta da aziende capitaliste con la produzione di beni e servizi fatta da agenzie pubbliche. Un sistema di relazioni sociali costruito attorno a queste, presenterebbe anche il vantaggio che la decisione di cosa produrre, quanto produrre e come produrre diventerebbe materia di competenza dell’intera società (e non più della singola azienda) e ogni decisione che si rivelasse sbagliata potrebbe essere corretta. Tutta l’attività economica della società, la produzione e la distribuzione dei beni e servizi tra individui, gruppi e paesi, altri aspetti della vita sociale e della stessa formazione degli individui potrebbero essere ordinati secondo criteri adeguati alle conoscenze e alle condizioni attuali, ivi compresi la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente. Insomma verrebbero meno ricatti (tra salute e lavoro, tra lavoro e ambiente, tra lavoro e diritti dei lavoratori, tra sopravvivenza immediata dell’individuo e solidarietà, ecc. ecc.) che oggi i capitalisti fanno pesare e l’universale loro predominio e la loro impronta in tutti gli aspetti della società.

È facile capire che tutte le aspirazioni, le denunce e i buoni propositi che i promotori dell’assemblea di Bologna enunciano (ci riferiamo alla loro Dichiarazione del 16 aprile Per un movimento politico anticapitalista e libertario) sono strettamente implicate con questa visione del mondo del movimento comunista. D’altra parte il movimento comunista, oltre che una concezione del mondo e della storia dell’umanità e una proposta di sua trasformazione realistica (perché basata su presupposti che la società borghese ha già in sé) scoperte ed illustrate da Marx ed Engels, è stato un movimento sociale che è arrivato a coinvolgere e mobilitare gran parte della popolazione mondiale e ha  profondamente trasformato la società, prima di perdere però gran parte delle sue forze negli ultimi decenni, in concomitanza della nuova grande crisi del capitalismo alle cui manifestazioni ed effetti i promotori dell’assemblea di Bologna si riferiscono e a cui si propongono di far fronte.

Non è quindi a caso che essi non parlano del movimento comunista. Di sfuggita affermano che “certo il socialismo reale (e con questa espressione si riferiscono ai primi paesi socialisti costituiti a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e arrivati a coprire un quarto della superficie terrestre e ai partiti comunisti che si erano costituiti in tutti i paesi del mondo) è crollato nel passato per sue colpe” e non dicono altro. Evidentemente ritengono che non c’è niente da imparare da come l’umanità ha fatto fronte alla prima grande crisi generale del capitalismo che ha occupato una larga parte del secolo scorso, dallo scontro mondiale tra la borghesia e il movimento comunista che si produsse in quegli anni: le due guerre mondiali e la prima ondata della rivoluzione proletaria di cui i primi paesi socialisti e in particolare l’Unione Sovietica furono la “base rossa” mondiale. Quali furono le “colpe” dei primi paesi socialisti?

Quella di aver osato instaurare un sistema di produzione e distribuzione senza capitalisti pur essendo sorti per lo più in paesi dove prevalevano ancora sistemi economici e sociali più arretrati che il capitalismo e la società borghese? Quella di aver stroncato con una lotta eroica e accanita l’aggressione, il sabotaggio, il boicottaggio, i blocchi e le sanzioni con cui tutte le potenze imperialiste del mondo cercarono di soffocarli e ne resero difficile lo sviluppo? Quella di non essere riusciti a propagare la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti? E perché non vi riuscirono? Dove e come i partiti comunisti dei paesi imperialisti vennero meno al loro ruolo e abbandonarono il loro compito?

I promotori dell’assemblea di Bologna ritengono non valga la pena nemmeno di parlarne. Eppure affermano che “il capitalismo reale oggi distrugge il presente e il futuro. Per questo torna all’ordine del giorno la necessità di costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico”. L’umanità affronta per la seconda volta lo stesso male, ma non vale neanche la pena di esaminare come vi ha fatto fronte la prima volta. Quale sia l’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico non vale la pensa precisarlo, se non che sarà una cosa bella in cui si ritroveranno bene tutti quanti hanno “radici comuniste, libertarie, antifasciste, antirazziste, femministe e ambientaliste” e certamente molti anche altri ancora!

Forse che i promotori dell’assemblea di Bologna non ne parlano perché per un qualche ragionevole motivo limitano il loro discorso strettamente ai confini italiani e al presente immediato?

Assolutamente no, che anzi spaziano, anzi sarebbe più esatto dire sfarfallano data la leggerezza e superficialità con cui ne parlano, da un capo all’altro del mondo e dal passato al futuro. Sentiteli (i corsivi sono nostri):

“Lo hanno capito le donne e gli uomini del Mediterraneo [cioè dei paesi arabi: dalla Tunisia ... alla Libia e alla Siria?], che ci insegnano a ribellarci.

Lo hanno capito donne e uomini dell’America Latina che si mobilitano per il socialismo del XXI secolo.

Lo hanno capito tutte e tutti coloro che fin sotto i templi del denaro e del potere nei paesi più ricchi [Wall Street, USA] hanno gridato: noi siamo il 99%!

Lo hanno capito quelle donne e quegli uomini d’Europa, che dalla Grecia all’Islanda, dalla Spagna a Cipro, scendono in piazza per rovesciare quelle politiche di austerità che stanno uccidendo ogni residuo di stato sociale e di democrazia. [con quale risultato e quali prospettive? i nostri sorvolano!].

Noi ci sentiamo, vogliamo, essere parte di tutto questo.

L’Europa è oggi occupata dal regime della Troika e dei governi che la sostengono. Il popolo non è più sovrano [è loro opinione che un tempo lo era: così la pensavano anche i promotori della “via democratica e parlamentare al socialismo”, con i risultati che ora sono chiari a tutti!], è solo debitore. Tutti i governi fanno guerra sociale ai loro popoli. La democrazia è ridotta a spettacolo televisivo. [Ma a questo punto si ricordano di aver premesso che “ora dobbiamo prima di tutto smettere di piangere, rimboccarci le maniche e lottare” e proseguono].

 Noi crediamo che, come nel 1848 e nel 1945, tutta l’Europa debba liberarsi dalla tirannia: allora dei sovrani assoluti prima e del fascismo poi, oggi del capitalismo finanziario e della sua oligarchia economica, politica e culturale.

Noi crediamo che sia all’ordine del giorno la necessità di un cambiamento rivoluzionario [non fatevi impressionare dalla parola: perfino Ingroia, Ferrero, Di Pietro, ecc. ecc. sono per una qualche rivoluzione ...].

Noi non facciamo nessun generico appello all’unità.

Noi ci uniamo per la rottura con questa Europa e con questo capitalismo, per costruire una nuova storia comune.

È necessario che anche in Italia tornino in campo il pensiero critico, i progetti, le pratiche di un movimento politico anticapitalista di massa. Oggi questo in Italia non c’è e noi proponiamo di ricostruire partendo dal conflitto sociale.

Non ci nascondiamo le macerie che abbiamo intorno. Sinora tutti i tentativi di far emergere un progetto politico anticapitalista unitario dalle lotte sociali, civili, ambientali e per la libertà delle donne sono falliti. Questi fallimenti hanno precise responsabilità politiche, ma rimandano anche ad una questione più di fondo.

Oggi la sola lotta di classe pienamente legittimata è quella che viene dai ricchi verso [non contro, ma verso: siamo tra persone civili, perdio!] i poveri, dai padroni verso gli operai, da chi ha il potere verso chi non ne ha. Tutti i bisogni, i diritti e le libertà degli oppressi sono invece contrapposti e frantumati tra loro.

Noi pensiamo che ci sia un nesso profondo fra dominio capitalistico e patriarcale, fra sfruttamento e mercificazione e che non ci siano bisogni di liberazione che possano essere sacrificati ad altri.”

 

Sarà “pensiero critico”, ma in parole correnti significa: quali siano le “precise responsabilità politiche” non ne parliamo; la “questione più di fondo” è che la borghesia e il clero, i vertici della Repubblica Pontificia (ma i nostri pudicamente non li chiamano per nome, usano il passivo!) “legittimano” solo la lotta di classe dei ricchi contro (ma meglio dire: verso) i poveri, dai padroni contro (meglio: verso) gli operai, di chi ha il potere contro (meglio: verso) chi non ne ha [e quando e dove mai chi ha il potere ha “legittimato” la lotta degli oppressi contro di sé? quando e dove mai quelli che si sono ribellati, per ribellarsi hanno atteso che i loro oppressori li autorizzassero e illustrassero loro, con un “pensiero critico”, i vantaggi e la possibilità di successo della ribellione?]. La soluzione che i promotori di Bologna 11 maggio propongono è unire tutte le lotte ma non a seguito di un “generico appello all’unità” bensì per “costruire una nuova storia comune” (non chiedete dettagli!) appena “chi comanda” “legittimerà” anche la lotta dei poveri contro i ricchi, degli operai contro i padroni, degli oppressi contro gli oppressori!

 

È forse serio questo modo di ragionare? È forse serio questo modo di procedere?

In quale altro campo dell’attività umana lo si accetterebbe?

 

In effetti non è questione di serietà degli individui. Noi diamo per scontato che, se non proprio tutti, molti dei firmatari della Dichiarazione con cui il 16 aprile scorso venne convocata l’assemblea di Bologna siano personalmente persone serie. Non è una questione di serietà personale, è una questione di classe: si tratta di persone educate, cresciute e formate (“formattate”) nel sistema borghese, la cui mente non va oltre l’orizzonte della società borghese, oltre il “buon senso” che la borghesia e il clero dominanti rendono naturale e scontato, un pregiudizio ovvio come l’aria che respiriamo. Oppongono soluzioni di buon senso a ognuno dei mali della società borghese, ma la loro immaginazione non va oltre e di conoscenza scientifica dell’evoluzione della specie umana, dei modi di produzione che essa ha messo in opera uno dopo l’altro, in generale di scienza della società, non è il caso di parlarne. Sarebbe come chiedere a nobili e preti di cinquecento anni fa di pensare un mondo oltre la concezione clericale e monarchica della società, senza i suoi ordini e i suoi ordinamenti: senza dio, senza papa, senza re, senza principi, senza nobili e ... senza servi della gleba!

Certo, ognuno dei promotori di Bologna 11 maggio conosce mille volte meglio di noi chi i meccanismi del mercato finanziario, chi il funzionamento di banche e finanziarie, chi le procedure della contrattazione sindacale, chi i retroscena della Repubblica Pontificia, ognuno il suo campo di attività professionale. Alcuni hanno perfino letto molti libri di  autori marxisti e alcuni perfino di Marx, di Lenin, di Stalin, di Mao, per non parlare di Gramsci e di altri eminenti seppur meno noti esponenti della prima ondata della rivoluzione proletaria: ma se anche ne ricordano la lettera, non ne hanno assimilato l’insegnamento.

Sentiamo già i pochi promotori di Bologna 11 maggio che ci leggeranno e molti nostri lettori rumoreggiare: “Esagerate! State parlando di noti esponenti di Rete dei Comunisti (Casadio, Cararo, ecc.), di combattivi dirigenti della CGIL, addirittura della FIOM (Cremaschi, Bellavita, ecc.), di fondatori dell’USB (Tomaselli, Papi, ecc.), di dirigenti o ex dirigenti del PRC (Russo Spena, Turigliatto, ecc.), ecc. ecc.”.

Ma cosa è la loro Dichiarazione del 16 aprile e gli articoli che vi hanno fatto da contorno se non “far fronte al fallimento della sinistra borghese riproponendone criteri, aspirazioni, metodi e obiettivi”?

La sinistra borghese è quella congerie di uomini politici, di sindacalisti, di preti di buon cuore e di intellettuali che denunciano e persino si indignano di fronte ai mali della società borghese, ma vi oppongono misure, regole e leggi che restano all’interno delle relazioni proprie della società borghese, costruite attorno e sulle fondamenta delle aziende capitaliste che producono beni e servizi per valorizzare il proprio capitale (fare profitti). E proprio per questo per lo più restano misure, regole e leggi sulla carta, perché “i mali della società borghese” non esistono a caso, non sono sconnessi tra loro (semplicemente e a caso l’uno accanto all’altro), né sono venuti al mondo principalmente ognuno per la malvagità personale dei suoi fautori e promotori. Grazie al materialismo dialettico abbiamo imparato che ognuno di essi è uno sviluppo naturale (cioè conforme alla natura) della società borghese ed è organicamente connesso agli altri suoi aspetti. Se accettate il maiale, dovete accettare anche il suo odore! Nel migliore dei casi lo correggerete con un po’ di profumo che fa quel che può!

I promotori di Bologna 11 maggio quando parlano in generale, parlano di “capitalismo che distrugge il presente e il futuro”, ma quando scendono un po’ più in dettaglio già parlano solo “del capitalismo finanziario e della sua oligarchia economica, politica e culturale”, del loro proposito di rompere “con questa Europa e con questo capitalismo, per costruire una nuova storia comune”.

Dunque rompere con il capitalismo finanziario senza rompere con il capitalismo (anche se, preso a parte, certamente ognuno dei promotori giurerà che la crisi attuale non è solo una crisi finanziaria: anzi giurerà e proclamerà che è strutturale, sistemica, epocale, ecc. ecc.). Ma da dove è nato il capitale finanziario che come un’escrescenza tumorale succhia in misura crescente energia (il denaro, il capitale e i suoi funzionari e sacerdoti) all’economia capitalista reale che quindi in ogni paese imperialista impiega un numero decrescente di proletari a produrre beni e servizi?

Esso è nato come rimedio necessario proprio alla crisi dell’economia capitalista reale degli anni ’70 (stagflazione), un rimedio che le autorità di tutti i paesi imperialisti hanno negli stessi anni adottato approfittando dell’esaurimento della minaccia del movimento comunista (che aveva indotto la borghesia di tutto il mondo a fare per alcuni decenni cose per essa contro natura). Se ad aprirgli la strada in Inghilterra fu la Thatcher che (1979) aveva vinto regolarmente elezioni conformi alla democrazia borghese (cioè democrazia nel contesto di una società in cui i capitalisti dominano l’economia) e negli USA fu Reagan che (1980) aveva vinto le elezioni presidenziali con una truffa criminale ai danni di Carter, da noi (non a caso siamo la Repubblica Pontificia!) gliela aprì proprio il democristiano “di sinistra” Nino Andreatta (il maestro di Enrico Letta), uomo di fiducia di quell’altro democristiano “di sinistra” che era stato Aldo Moro. Fu Andreatta che (certo in nome della democrazia che allora regnava felicemente nel nostro paese a detta dei promotori di Bologna 11 maggio che sembrano ignorare cosa è la democrazia borghese, la democrazia in una società fondata sul capitalismo) complottò (1981) con quel celebre galantuomo di nome Carlo Azeglio Ciampi il divorzio tra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro all’insaputa del pubblico ma a piena conoscenza e con il silenzioso accordo di tutti i vertici della Repubblica Pontificia, compreso quel celebre “onest’uomo” Enrico Berlinguer!

I promotori di Bologna 11 maggio se fossero seri dovrebbero spiegare come è possibile rompere con il capitalismo  finanziario e con questa Europa, senza farla finita con il capitalismo. Ma essi si accontentano di nobili declamazioni e quando scendono in dettagli, propongono la miniEuropa dei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) che contrappongono all’Europa della Germania! E chi romperà con questa cattiva Europa della Germania e costruirà la miniEuropa dei PIIGS? La risposta in sintesi è: “Un governo di buona volontà che costituiremo quando vinceremo le elezioni (visto l’effetto che hanno avuto quelle del 24-25 febbraio!). Vinceremo le elezioni unendo i conflitti ... se e quando i vertici della Repubblica Pontificia “legittimeranno” finalmente anche la lotta di classe dei poveri contro i ricchi, degli operai contro i padroni, degli oppressi contro gli oppressori, come sopra detto”!

 

Condoglianze a chi crede che i promotori di Bologna 11 maggio faranno sul serio!

 

L’assemblea di Bologna è quindi solo uno scherzo architettato da persone poco serie?

 

No! Come ogni cosa, è contemporaneamente molte cose. Ogni cosa è quello che è, ma è anche quello che può diventare, se si creano condizioni favorevoli, se noi comunisti facciamo bene la nostra parte. L’assemblea di Bologna è anche l’opera di personaggi poco seri ma che godono ancora di una certa autorità presso combattivi esponenti della classe operaia e delle masse popolari: RSU, altri operai e lavoratori, disoccupati e precari, studenti, donne, emigrati, pensionati e altri. Sono poco seri ma sono anche gli eredi ancora in qualche misura autorevoli del movimento comunista italiano che era diventato forte nella lotta contro il fascismo e si è logorato nella collaborazione con la Repubblica Pontificia. Finché godono di qualche autorità, dobbiamo fargliela usare, fino in fondo: o serviranno a qualcosa o perderanno ogni autorità. Anche per questa via costruiamo nel nostro paese il Nuovo Potere, il potere delle masse popolari organizzate aggregate attorno al Partito comunista.

Noi comunisti dobbiamo valorizzare la necessità che le masse hanno di costruire soluzioni pratiche, immediate per quanto precarie e provvisorie ai mali prodotti dalla crisi del capitalismo. Anche se sono poco serie, le persone autorevoli che le chiamano a raccolta fanno un’opera che noi comunisti possiamo e dobbiamo valorizzare. Dobbiamo infatti promuovere un’azione di massa anche se tra le masse popolari sono ancora poco diffuse la concezione comunista del mondo e l’influenza del Partito comunista, un’azione che precede quindi la trasformazione su larga scala della loro concezione del mondo e del loro legame con il Partito: a differenza dei ripetitori di formule e parole d’ordine del marxismo (cioè dei dogmatici) che alle masse predicano di aderire alle loro organizzazioni per fare la rivoluzione socialista “quando saremo in tanti”. Noi comunisti quindi valorizziamo anche l’attività delle persone poco serie ma autorevoli (stante la storia passata e le concrete relazioni sociali della Repubblica Pontificia) finché mobilitano le masse popolari alla lotta. In ogni lotta mobilitiamo la sinistra perché unisca a sé il centro e porti più in avanti la lotta di classe. In ogni gruppo che lotta, c’è chi tende ad accelerare il passo e chi tende a rallentarlo: noi comunisti dobbiamo promuovere la lotta tra le due linee perché la lotta possa crescere di forza, vincere e creare le condizioni per una lotta superiore. E proprio per svolgere questo ruolo che è il nostro, è indispensabile che padroneggiamo e usiamo come guida e metodo la concezione comunista del mondo, il materialismo dialettico.

A differenza degli economicisti e della sinistra borghese noi dobbiamo quindi fare di ogni azione di massa una scuola di comunismo. L’instaurazione del socialismo è l’unica realistica via per porre fine alla crisi del capitalismo, quindi il ruolo principale della lotta di massa è precisamente quello di educare in massa alla concezione comunista del mondo. Nelle condizioni in cui la società borghese le confina e costringe, le masse popolari assimilano la concezione comunista del mondo principalmente attraverso un’esperienza pratica illuminata dai comunisti, come solo attraverso la lotta e l’organizzazione fanno democrazia partecipativa. L’azione precede il pensiero, ma per portare a buon fine un’impresa come quella che oggi l’umanità ha in corso, il pensiero è essenziale.

 

La maggior parte dei Partigiani sono diventati comunisti facendo la Resistenza, non si sono arruolati nella Resistenza perché erano già comunisti. Ma senza comunisti non ci sarebbe stata la Resistenza!

Questa è il legame dialettico tra i tre aspetti!

  

I promotori di Bologna 11 maggio non fanno e non faranno sul serio, ma noi comunisti possiamo e dobbiamo approfittare della loro azione e spingerli in avanti, costringerli a comportarsi nel modo più serio di cui sono capaci e a usare le loro relazioni e il loro prestigio per sviluppare l’azione delle masse popolari che costruisce il Nuovo Potere. Le masse popolari devono organizzarsi (costituire Organizzazioni Operaie e Organizzazioni Popolari), devono prendere in mano la gestione delle aziende che i padroni vogliono chiudere, devono riaprire quelle che i padroni hanno già chiuso avviando la produzione di beni e servizi utili e compatibili con la salvaguardia della salute e dell’ambiente, devono costringere le Amministrazioni Locali a usare le loro risorse per realizzare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” e “a ogni individuo i beni e i servizi indispensabili per una vita civile”, devono costringere le banche a fare i crediti necessari a queste iniziative, devono partecipare al movimento nazionale per costituire il Governo di Blocco Popolare che opererà secondo il programma delle Sei Misure Generali.

Non dobbiamo avere paura delle persone autorevoli ma poco serie: in ogni seria e prolungata lotta di massa, in definitiva dirige chi ha una visione più avanzata delle condizioni e delle forme della lotta, lancia le parole d’ordine che più corrispondono alle esigenze delle masse popolari in lotta e si dà i mezzi per portare le sue parole d’ordine alle masse.

La crisi del capitalismo è tale che la lotta delle masse popolari sarà seria e prolungata. Perfino persone poco serie finiranno loro malgrado per fare cose serie, se noi comunisti assumiamo la concezione comunista del mondo come guida della nostra azione!

Costituire ovunque nella clandestinità Comitati di Partito e assimilare la concezione comunista del mondo!

Praticare la “linea di massa” e guidare dovunque gli operai e le masse popolari a organizzarsi e a prendere in mano la gestione dell’economia e del resto della vita sociale!

Mobilitare le masse popolari organizzate a partecipare al movimento nazionale per costituire il GBP!

Noi contribuiamo alla rivoluzione internazionale principalmente facendo la rivoluzione socialista nel nostro paese!

 

Rubrica - Dibattito Franco e Aperto 

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