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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Avviso ai naviganti 109

28 maggio 2021 - 47° anniversario della strage di Piazza della Loggia (Brescia)

[Scaricate il testo del comunicato in Open Office / Word ]

Ai fautori dell’instaurazione del socialismo in Italia e quindi di un Partito che promuove la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari e le dirige a fare la rivoluzione socialista!

Non siam più la Comune di Parigi che tu borghese schiacciasti nel sangue…

La Comune di Parigi schiacciata nel sangue, Lenin e la clandestinità del partito comunista

È importante rendere omaggio all’eroica impresa della Comune, ma più importante ancora è comprendere, assimilare e applicare le lezioni che essa ci ha dato. Il movimento comunista non ha ancora instaurato il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti. Nonostante le esortazioni e pressioni di Lenin e dell’Internazionale Comunista capeggiata da Stalin, nel corso della prima crisi generale del capitalismo (1900-1945) i partiti comunisti dei paesi imperialisti non hanno compreso, assimilato e applicato gli insegnamenti che la Comune di Parigi ha dato al mondo tanta è la forza del sistema di controrivoluzione preventiva e la sua influenza anche nelle nostre file. La Comune ha avuto eredi e continuatori solo in paesi arretrati dal punto di vista dello sviluppo del modo di produzione capitalista (la Russia e la Cina sono stati i maggiori) e quindi più esposti all’affermazione della borghesia tipica dei paesi socialisti.


Il 28 maggio 1871 si concluse la “settimana di sangue” della Comune: i soldati della borghesia il 21 maggio avevano fatto irruzione nella città di Parigi attraverso la porta di un bastione delle mura aperta loro da un traditore e uccisero dai 20 ai 30 mila comunardi.

Una delle principali lezioni della Comune è che la ferocia criminale della borghesia non ha limiti. Su una popolazione che a Parigi ammontava a circa 400 mila persone, la borghesia vittoriosa ne massacrò da 20 a 30 mila e ne esiliò nelle colonie alcune altre decine di migliaia. Contro la Comune la borghesia e il clero cattolico, diretto da Pio IX e dal 1878 da Leone XIII, si unirono in una nuova “santa alleanza”. Essi contarono di aver stroncato per sempre il proletariato: anche allora come poi nel 1991 proclamarono la “fine della storia”.

La prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) ha smentito la loro profezia una prima volta. Il catastrofico corso attuale delle cose li sta smentendo per la seconda volta. I tempi della nostra vittoria dipendono dai tempi della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato della quale noi comunisti siamo i promotori.


Noi comunisti abbiamo assimilato che la borghesia reprime e reprimerà senza alcun ritegno. Il limite alla sua ferocia è posto solo dall’efficacia con cui preveniamo le sue mosse, approfittiamo senza riserve della contraddizione antagonista che contrappone la borghesia imperialista alle masse popolari e alla media e piccola borghesia e dei contrasti che contrappongono l’uno all’altro i gruppi imperialisti e tagliamo loro gli artigli. Chi si aspetta che la borghesia imperialista faccia di per sé un uso moderato della sua forza si illude. Confermano questa lezione non solo la Comune di Parigi, ma mille episodi della lotta di classe: dalle aggressioni contro l’URSS, la RPC, la Corea, il Vietnam e Cuba, dall’Indonesia (1966), al Cile (1973), alle cento guerre in corso in questi giorni, con la sempre più vasta e attiva partecipazione anche dell’Italia con il governo Draghi. Parimenti si illude chi pensa che nei paesi cosiddetti democratici la borghesia imperialista si lasci togliere il potere dalla classe operaia con le elezioni, attenendosi anche con i comunisti alle pratiche correnti nella contesa tra i suoi partiti: quindi che la conquista del potere da parte della classe operaia possa avvenire per via elettorale e parlamentare e possa esistere un “partito rivoluzionario (cioè che persegua realmente e non solo a parole l’obiettivo di instaurare il socialismo) nei limiti della legge”. Confermano questa lezione non solo Gladio, la P2, le stragi di Stato e i mille “segreti d’Italia” che costellano la storia del nostro paese, non solo le strutture e prassi illegali palesi e occulte (la “guerra sporca”) messe in opera, con l’omertà di tutte le istituzioni e le forze politiche, negli anni ’70 e ’80 contro le Brigate Rosse e i loro reali o presunti fiancheggiatori. Ma anche mille altri episodi recenti saliti in questi giorni alla ribalta della cronaca: dalla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulle intercettazioni di massa operate dai servizi segreti britannici di concerto con quelli statunitensi e denunciate da Edgar Snowden, alla “lobby ungherese” nella Magistratura italiana, all’esercito segreto creato dal Pentagono e denunciato da Newsweek: un esercito di circa 60 mila effettivi, militari e civili, che vivono sotto copertura e vengono attivati all’occorrenza in operazioni segrete negli USA e nel resto del mondo.

Questa lezione attiene strettamente allo scontro in atto in questi mesi in Italia tra fautori coerenti e fautori accademici del partito comunista (revisionisti camuffati da ricostruttori): riguarda infatti 1. la forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti (la risposta dei comunisti è che essa deve essere una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata) e 2. la natura del partito dettata dalla forma della rivoluzione che il partito deve promuovere e dirigere (la risposta dei comunisti è che il partito deve essere clandestino).

Forma della rivoluzione e natura del partito sono due questioni assenti nei dibattiti delle “costituenti comuniste” in occasione del centenario della fondazione del PCI e del 150° anniversario della Comune di Parigi. Sono due questioni che i fautori accademici del partito comunista eludono. Tutti essi aborrono dal trattarne apertamente. Al massimo, anche quelli che si professano leninisti, alla clandestinità del partito obiettano che un partito clandestino non è in grado di legarsi alle masse. A quelli che prendono per seria questa obiezione e ne sono preoccupati, raccomandiamo la lettura dell’articolo di Lenin Partito clandestino e lavoro legale che riportiamo in appendice. E che il Partito di Lenin fosse legato alle masse, la pratica lo ha dimostrato!


Il proletariato vincerà perché i comunisti comprendono sempre più a fondo le condizioni della lotta di classe, correggono i loro errori, superano i loro limiti e applicano le lezioni dell’esperienza nel promuovere e dirigere la rivoluzione socialista in corso.

La Comune di Parigi è stata l’araldo delle lotte che creano il nostro futuro!


La situazione è favorevole allo sviluppo del potere delle masse popolari organizzate. Abbiamo molto da imparare e da fare, ma la vittoria è possibile.

La borghesia non ha futuro. La pandemia da coronavirus Covid-19 è un esempio di quello che essa porta all’umanità: distruzione dell’ambiente, inquinamento, povertà, disoccupazione, abbrutimento, guerre e miseria.


Bando alla paura! Bando alla sfiducia e al disfattismo! Bando all’attesa che la rivoluzione socialista scoppi!


Fare dell’instaurazione del socialismo la propria scelta di vita!


Costituire Comitati di Partito clandestini

in ogni azienda, scuola, università, istituzione, quartiere e paese!


Il Partito comunista è il fattore decisivo della vittoria, esso orienta

- alla fusione di tutte le lotte in un fronte anti Larghe Intese,

- al coordinamento tra tutte le organizzazioni delle masse popolari,

- alla costituzione del Governo di Blocco Popolare,

- all’instaurazione del socialismo.

Diffonde la concezione comunista del mondo e costituisce il retroterra organizzativo per elaborarla, per formare i comunisti e per resistere alla repressione!


Riprodurre e affiggere ovunque, con le dovute cautele, la locandina di pag. 84 di La Voce 67: vedere che il (n)PCI clandestino è presente infonde fiducia nei lavoratori e smorza l’arroganza dei padroni!

Mettersi in contatto con il Centro del Partito (usando il programma di criptazione PGP e il programma per la navigazione anonima TOR) e cimentarsi sotto la sua guida nella costruzione di un Comitato di Partito clandestino nella propria azienda, scuola o zona d’abitazione!


Lenin- Partito clandestino e lavoro legale

Lenin scrisse questo articolo nel novembre 1912. Il testo è estratto da Opere, vol. 18: traduzione rivista sull’originale - testo reperibile anche sul sito www.nuovopci.it - Classici del marxismo.

Il carattere clandestino del Partito comunista è un tratto essenziale per un Partito che assume la guerra popolare rivoluzionaria come strategia per instaurare il socialismo in un paese imperialista. Uno dei segnali della mancanza di serietà di gruppi che pur si proclamano addirittura maoisti sta precisamente nel professarsi partigiani della strategia della guerra popolare rivoluzionaria e non aver mai spiegato ai lavoratori italiani e ai comunisti a cui si rivolgono come un partito legale può promuovere e dirigere una guerra.

A chi sostiene che un partito clandestino non può legarsi alle masse né fare un efficace lavoro di massa, noi ricordiamo l’esempio del Partito di Lenin che operò nell’Impero Russo in clandestinità e dalla clandestinità raccolse nelle sue file migliaia di operai e di comunisti ed esercitò un’ampia opera di orientamento e di direzione sulle masse popolari russe.

A chi sostiene che nei paesi imperialisti non è possibile costruire il partito nella clandestinità perché “la polizia controlla tutto”, oltre all’esempio del nostro partito, il (n)PCI, che esiste ed opera nella clandestinità da quando nel 1999 si è costituita la CP (Commissione Preparatoria del Congresso di fondazione), ricordiamo l’esempio del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) costituito clandestinamente nell’Impero zarista. Ovviamente potremmo a pari titolo ricordare i molti esempi di partiti comunisti clandestini di paesi imperialisti costituiti e operanti in clandestinità nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, in primo luogo il PCI e il KPD (Partito Comunista Tedesco). Questi visse e operò in Germania durante tutto il periodo nazista (1933-1945) e costituì cellule perfino nei campi di concentramento.

Il testo che riportiamo qui di seguito illustra la lotta di Lenin contro quelli che in Russia dopo la Rivoluzione del 1905 (che aveva strappato alcune forme di attività politica legale) volevano liquidare il partito clandestino e la sua concezione circa il legame tra partito clandestino e lavoro di massa.


***

La questione del partito clandestino e del lavoro legale dei socialdemocratici in Russia è una delle questioni più importanti del partito; durante tutto il periodo che è seguito alla rivoluzione del 1905, il POSDR si è occupato di questa questione che ha suscitato la più accanita lotta interna nelle sue file.

I liquidatori del partito clandestino e i loro avversari si sono scontrati essenzialmente su questa questione. Se lo scontro tra loro è stato tanto accanito, fu perché in definitiva esso riguardava la questione se deve o non deve esistere il nostro vecchio partito clandestino. La conferenza di dicembre del POSDR, tenutasi nel 1908, condannò risolutamente il liquidatorismo ed espose chiaramente, in un’apposita risoluzione, il pensiero del partito sulla questione organizzativa: il partito è costituito dalle cellule socialdemocratiche clandestine; esse devono crearsi dei “punti di appoggio per il lavoro tra le masse” sviluppando una rete, quanto più possibile estesa e ramificata, di associazioni operaie legali di ogni genere.

Sia l’assemblea plenaria del CC del gennaio 1910, sia la conferenza di tutta la Russia del gennaio 1912 confermarono pienamente questa tesi del partito. Essa è chiara, netta e precisa quanto più non si potrebbe. La sua precisione e chiarezza sono messe in luce forse nel modo più evidente dall’ultimo Giornale del compagno Plekhanov (n. 16, aprile 1912). Diciamo “più evidente” perché proprio Plekhanov ha assunto una posizione neutrale sul significato della conferenza del gennaio 1912 [in questa conferenza i bolscevichi ruppero definitivamente ogni legame di partito con i menscevichi, che erano quasi tutti liquidatori, salvo alcune eccezioni, come ad es. Plekhanov]. Pur restando su questa posizione neutrale, Plekhanov conferma interamente la tesi del partito. Infatti nel suo Giornale sostiene che non è possibile considerare i cosiddetti “gruppi d’iniziativa” — che sono staccati dall’organizzazione clandestina del partito: l’hanno abbandonata o si sono formati al di fuori di essa - come organizzazioni del partito a meno che ci sia una specifica decisione di un congresso o di una conferenza delle cellule clandestine. Sarebbe anarchia, dal punto di vista dei principi e un sostegno e una legittimazione del liquidatorismo dal punto di vista pratico — scrive Plekhanov — il permettere ai “gruppi d’iniziativa” di definire essi stessi la loro appartenenza al partito.

Si sarebbe potuto credere che, dopo un simile chiarimento dato da un neutrale come Plekhanov, la questione, decisa tante volte dal partito in modo del tutto preciso, fosse esaurita. Ma la risoluzione dell’ultima conferenza dei liquidatori ci costringe a ritornarvi sopra ancora una volta, dati i nuovi tentativi di intricare ciò che era districato e di offuscare ciò che era chiaro.

Infatti questa conferenza ha adottato a proposito del patito clandestino e del lavoro legale, vale a dire a proposito di una delle questioni più importanti, una risoluzione che conferma che si è trattato di una conferenza di liquidatori. E questo benché il Nievski Golos (n. 9) affermi il contrario, sparando insulti che più violenti non poteva contro gli antiliquidatori.

È quindi necessario analizzare particolareggiatamente questa risoluzione. Per farlo occorre citarla integralmente.


I

La risoluzione della conferenza dei liquidatori è intitolata: “Le forme organizzative da applicare nella costruzione del partito”. In realtà già il primo punto mostra chiaramente che la risoluzione tratta non delle “forme” di costruzione, ma della natura del partito che si deve costruire: quale partito? il vecchio partito o uno nuovo?

Ecco il primo paragrafo della risoluzione.

La conferenza, dopo aver discusso delle forme e dei metodi da seguire nella costruzione del partito, è giunta alla seguente conclusione:

1. La trasformazione della socialdemocrazia in un’organizzazione autonoma del proletariato socialdemocratico può avvenire soltanto nella misura in cui l’organizzazione socialdemocratica si costruisce nel corso del processo inteso a far partecipare le masse operaie a tutte le manifestazioni pubbliche della vita economica e sociale”.

È quindi chiaro, fin dalle prime parole, che questa risoluzione sulla costruzione del partito, in realtà dichiara senza esitazione che la trasformazione della socialdemocrazia è una necessità inderogabile. Ciò è per lo meno strano. Ogni membro del partito ha, s’intende, il diritto di volere la “trasformazione” del partito, ma sono già quattro anni che si discute se si deve o no mantenere in vita il vecchio partito. Questa discussione è di pubblico dominio e non si vede come qualcuno possa ignorarla.

La risoluzione adottata dal partito nel novembre 1908 condanna in modo chiarissimo i liquidatori che vogliono “sostituire il vecchio partito con uno nuovo. Nell’aprile 1912 Plekhanov ha posto senza alcun equivoco possibile ai sostenitori dei “gruppi d’iniziativa”, che volevano convocare (e hanno convocato) la conferenza dei liquidatori, la domanda: “Esiste o no il nostro vecchio partito?” (Giornale del socialdemocratico, n. 16, aprile 1912, pag. 8).

Non si può eludere questa domanda. Essa è stata posta da quattro anni di lotta. È questa domanda che rende così aspra quella che si indica come la “crisi” del partito.

Quindi, quando a questa domanda si risponde dicendo: “La trasformazione della socialdemocrazia... può avvenire soltanto... ”, vediamo subito che non si tratta di una risposta, ma di un tentativo di eluderla.

Della trasformazione del partito possono parlare solo i membri del partito. Voi, signori, eludendo la domanda se esiste o no il vecchio partito e proclamando senz’altro (in una conferenza a cui partecipano “gruppi d’iniziativa” non di partito) che la “trasformazione è una necessità inderogabile”, non fate che confermare pienamente che voi fate parte della corrente dei liquidatori. Questo fatto diventa ancora più evidente quando la risoluzione - dopo frasi declamatorie assolutamente prive di senso su una “organizzazione autonoma del proletariato socialdemocratico” - arriva a dire che la “trasformazione” “può avvenire soltanto nella misura in cui l’organizzazione socialdemocratica”... (non ci soffermiamo qui sulla fraseologia ridicola, tronfia e sciocca)... “si costruisce nel corso del processo inteso a far partecipare le masse operaie a tutte le manifestazioni pubbliche della vita economica e sociale”!!

Che cosa vuol dire questo? Forse sono gli scioperi e le dimostrazioni quello che gli autori di questa strana risoluzione intendono per partecipazione delle masse alle “manifestazioni pubbliche della vita economica e sociale”, ecc.? A lume di logica si direbbe di sì. In questo caso però la risoluzione è una volgare idiozia poiché tutti sanno che l’“organizzazione si costruisce anche quando non ci sono scioperi e dimostrazioni. L’organizzazione - saggissimi signori - esiste costantemente, mentre le masse agiscono apertamente solo di tanto in tanto.

In realtà quello che i signori liquidatori intendono per “vita politica e sociale aperta” (notate per favore lo stile liberale burocratico di questi individui, si direbbe quello delle Russkie Viedomosti di trent’anni fa!) non sono gli scioperi e le dimostrazioni, ma le forme legali del movimento operaio. Benissimo. Anche così intesa la risoluzione resta un’idiozia, poiché da noi non è “soltanto” nel corso del processo teso a far partecipare le masse al movimento legale che “si costruisce” e si è costruita l’organizzazione. Ci mancherebbe proprio questo. Tutti sanno che questa organizzazione esiste in molti posti dove non è permessa nessuna forma di movimento legale.

Si vede quindi che il punto fondamentale della risoluzione (l’organizzazione si costruisce “solo nella misura...”) è solo volgare confusione, non vale assolutamente nulla.

Ma in questa confusione si scorge chiaramente il contenuto liquidatore. La trasformazione è possibile soltanto nel corso del processo teso a far partecipare le masse al movimento legale: ecco a che cosa si riduce il linguaggio incomprensibile del primo punto. E questo è appunto liquidatorismo della più schietta marca.

Sono quattro anni che il partito dice che la nostra organizzazione è composta da cellule clandestine attorniate da una rete il più ramificata possibile di associazioni legali.

Sono quattro anni che i liquidatori negano di essere dei liquidatori e che sostengono che la trasformazione è possibile soltanto nel corso di un processo teso a far partecipare le masse al movimento legale. I liquidatori eludono il problema di sapere da che cosa è composto il nostro partito, quale è la natura del vecchio partito. Lo eludono proprio come devono fare dei legalitari. Assomiglia alla storia del piccolo naviglio. Nell’aprile 1912 Plekhanov domanda: esiste o no il nostro vecchio partito? La conferenza dei liquidatori risponde: “La trasformazione è possibile soltanto nella misura in cui le masse partecipano al movimento legale”!

È la risposta dei legalitari che si sono staccati dal partito. Ieri questi legalitari erano forti e attaccavano il partito. Ora sono stati sconfitti. Quindi sono diventati timidi e sono ridotti a difendersi con giri di parole.


II

Il secondo paragrafo della risoluzione dice:

2. Poiché le condizioni politiche e sociali sono oggi diverse da quelle che erano prima della rivoluzione, le organizzazioni clandestine del partito esistenti e quelle che sono in via di formazione devono adattarsi alle nuove forme e ai nuovi metodi del movimento operaio legale”.

Anche qui abbiamo a che fare con una strana logica. Dal cambiamento delle condizioni sociali consegue soltanto che occorre cambiare le forme dell’organizzazione, ma nella risoluzione non si dice affatto in che senso devono essere cambiate.

Perché gli autori della risoluzione tirano in campo il “cambiamento delle condizioni politiche e sociali”? Evidentemente per portare una dimostrazione, un argomento in appoggio alla loro conclusione pratica: l’organizzazione clandestina deve necessariamente adeguarsi al movimento legale. Ma dalle premesse non deriva affatto una simile conclusione. Si potrebbe anche sostenere il contrario: che “poiché le condizioni sono cambiate” vi è un movimento legale che deve adeguarsi al movimento clandestino.

Perché tanta confusione tra i liquidatori?

Perché i liquidatori hanno paura di dire la verità e si sforzano di tenere il piedi in due scarpe.

La verità è che la valutazione che i liquidatori danno del “momento attuale” (e per spiegare come “sono cambiate le condizioni politiche e sociali” bisogna dare una valutazione del momento attuale) è la valutazione liquidatrice (quella di Levitski, Larin, Iezov e altri).

Ma essi hanno paura di esporre apertamente questa valutazione. Hanno tanta paura che la loro conferenza non ha nemmeno osato porre la questione. È solo tacitamente, furtivamente, di contrabbando che ha fatto passare l’idea che sono avvenuti certi cambiamenti i quali esigono che l’organizzazione clandestina “si adatti” al movimento legale.

Questa tesi non si distingue in nulla da quella del partito cadetto [democratico borghese]. La stampa del partito socialdemocratico lo ha spiegato più volte. I cadetti riconoscono che “il loro partito è costretto a rimanere nel suo insieme nella clandestinità” (vedremo poi in proposito il paragrafo 3 della risoluzione dei liquidatori) e che, dato il cambiamento delle condizioni, il partito clandestino deve adattarsi al movimento legale. Per loro, questo è sufficiente. Infatti a loro parere l’interdizione che costringe il partito a restare clandestino è un incidente casuale, una “anomalia” nel contesto politico attuale, una sopravvivenza del passato, mentre la cosa principale, essenziale, fondamentale è il loro lavoro legale. Bisogna subito dire che questa posizione deriva del tutto logicamente dalla “valutazione del momento attuale” espressa dal signor Gredeskul [cadetto]. Secondo questa valutazione la Russia non ha bisogno di una nuova rivoluzione; ha bisogno solo di un “lavoro costituzionale”.

La clandestinità del partito cadetto è fenomeno casuale, è una anomalia nel sistema generale dell’“attività costituzionale”. Ne deriva dunque logicamente che l’organizzazione clandestina deve “adattarsi al movimento legale”. Così concepiscono le cose i cadetti.

Il partito socialdemocratico invece la pensa in modo del tutto diverso. La valutazione fondamentale che il nostro partito dà della situazione attuale è che occorre la rivoluzione e che essa si avvicina. Sono mutate le forme di sviluppo che portano alla rivoluzione, i vecchi compiti della rivoluzione sono rimasti immutati. Da qui noi tiriamo la conclusione che le forme dell’organizzazione devono cambiare, la forma delle “cellule” deve essere meno rigida, il loro allargamento spesso procederà non attraverso le stesse cellule, ma attraverso la loro “periferia” legale, ecc. Tutto ciò è stato detto molte volte nelle risoluzioni del partito.

Ma quelli che parlano di “adattare” l’organizzazione clandestina al movimento legale danno un’idea assolutamente sbagliata di questo cambiamento delle forme dell’organizzazione clandestina. Non ci siamo proprio. Le organizzazioni legali sono punti di appoggio che permettono di fare penetrare tra le masse le idee delle cellule clandestine. Questo significa che noi cambiamo la forma in cui esercitiamo la nostra influenza per dare a questa influenza una direzione clandestina.

È dunque solo la forma dell’organizzazione che si adatta al movimento legale; quanto al contenuto del lavoro del nostro partito, è invece l’attività legale che “si adegua” alle idee delle cellule clandestine (ed è da qui, sia detto di passaggio, che deriva tutta la lotta del “menscevismo rivoluzionario” contro i liquidatori).

Giudicate dunque quanto grande è la profondità di pensiero dei nostri liquidatori: essi accettano la prima premessa (quella che riguarda la forma del nostro lavoro), mentre dimenticano la seconda (quella che riguarda il contenuto del lavoro)!! E condiscono le loro tesi da cadetti con il seguente ragionamento circa le forme organizzative da usare per la costruzione del partito.

Essi dicono: “Bisogna edificare il partito in modo da trasformarlo trascinando le masse nel movimento legale e da adeguare a questo movimento la nostra organizzazione clandestina”.

Ci si chiede: assomiglia ciò sia pure in minima misura alla risposta del partito: costruire il partito significa rafforzare e moltiplicare le cellule clandestine attorniandole con una rete di punti di appoggio legali?

O non è piuttosto il tentativo di legittimare l’attività dei liquidatori con una ripetizione delle tesi dei cadetti e dei socialisti-populisti? Quando nell’agosto 1906 il socialista populista Pescekhonov voleva fondare il suo “partito legale”, egli ripeteva esattamente queste idee (si veda in proposito il n. 8 di Russkoie Bogatstvo, 1906 e l’articolo I menscevichi socialisti-rivoluzionari in Proletari, n. 4 [Lenin, Opere, vol. 11]).


III

Il terzo paragrafo della risoluzione dice:

3. Il partito socialdemocratico deve, fin da oggi, quando la sua organizzazione nel suo insieme è costretta a rimanere nella clandestinità, sforzarsi di svolgere apertamente singole parti del lavoro di partito e di creare a questo scopo istanze adeguate”.

Abbiamo già fatto notare che questo paragrafo tracciava, dalla prima all’ultima parola, un quadro esatto del partito cadetto. L’unica cosa fuori posto nel quadro è la parola “socialdemocratico”. In effetti il partito cadetto è “costretto” a restare, “nel suo insieme”, clandestino. Effettivamente i suoi membri si sforzano di realizzare pubblicamente “fin da oggi” (dato che, grazie a Dio, noi abbiamo già una costituzione...) alcune parti della loro attività.

La concezione di fondo, che affiora in ogni riga della risoluzione, è che il “lavoro costituzionale” se non è l’unico possibile, perlomeno è il più importante, quello più di prospettiva, l’essenziale. Proprio questa è la concezione della politica operaia liberale ed essa è sbagliata fin dalle sue fondamenta.

Quello che è clandestino non è solo il Partito socialdemocratico “nel suo insieme”, ma ognuna delle sue cellule e - e qui sta la questione essenziale - tutto il contenuto del suo lavoro che è teso a promuovere e a preparare la rivoluzione. È questa la ragione per cui il lavoro più “aperto” di una cellula socialdemocratica, anche della cellula più “pubblica” che ci sia, non può essere considerato come “una realizzazione pubblica dell’attività del partito”.

Consideriamo ad esempio il periodo che va dal 1907 al 1912. In questo periodo la cellula più “pubblica” del PSDOR è stato il suo gruppo parlamentare. Questo gruppo poteva parlare molto più “pubblicamente” di qualunque altra organizzazione del nostro partito. Era la sola legale e poteva parlare pubblicamente di molte cose.

Ma non di tutto! Non poteva, in particolare, intervenire a proposito di molti aspetti del lavoro svolto dal suo partito e doveva mantenere il silenzio sui punti essenziali. Si vede dunque chiaramente che il paragrafo 3 della risoluzione dei liquidatori non va bene neanche a proposito dell’attività del gruppo socialdemocratico alla Duma. Quanto poi alle altre parti della nostra attività, non vale neanche la pena di parlarne.

I liquidatori sono partigiani di un partito legale “pubblico”. Oggi però hanno paura di dirlo apertamente (gli operai li obbligano ad aver paura, Trotzki li consiglia di non parlarne). Hanno quindi deciso di dire le stesse cose, ma un po’ mascherate. Non parlano della legalizzazione del partito. Si limitano a promuoverne la legalizzazione un pezzo per volta!

Nell’aprile 1912 Plekhanov, di cui tutti sanno che è neutrale, ha detto chiaramente ai liquidatori che i “gruppi d’iniziativa” formati dai legalitari che si sono staccati dal partito, sono gruppi antipartito. Questi gruppi, rispondono i liquidatori, permettono di realizzare pubblicamente certe parti del “lavoro del partito”, costituiscono quel “movimento legale” a cui il partito clandestino deve “adattarsi”; sono quella “vita pubblica” a cui bisogna far partecipare le masse dato che questa partecipazione è il criterio, la garanzia e la manifestazione della necessaria “trasformazione” del partito.

Che sempliciotti hanno dovuto trovare i liquidatori se è vero quel che raccontano, e cioè che simili concezioni sarebbero state approvate dagli “antiliquidatori” guidati da Trotzki!


IV

Vediamo infine l’ultimo paragrafo della risoluzione:

4. L’organizzazione socialdemocratica, non avendo la possibilità, a causa della sua condizione clandestina, di attrarre nelle sue file i larghi strati di operai sui quali si diffonde la sua influenza, deve legarsi con gli strati del proletariato politicamente attivi e, attraverso di loro, con le masse. Per raggiungere questo obiettivo essa deve creare diversi tipi di organizzazioni politiche legali o illegali dalle forme più o meno rigide e diversi paraventi legali (comitati elettorali, associazioni politiche costituite in base alla legge del 4 marzo, società municipali, associazioni per la lotta contro il carovita, ecc.). Essa deve anche coordinare la sua attività con quella delle organizzazioni operaie apolitiche”.

Anche qui, ancora una volta, le concezioni che si mascherano dietro argomentazioni indiscutibili sulle coperture legali sono non solo discutibili, ma francamente liquidatrici.

La costituzione di organizzazioni politiche legali è proprio quel che predicavano Levitski e N. R-kov, è proprio la legalizzazione del partito un pezzo per volta.

Già da più di un anno diciamo ai liquidatori: basta con le parole, fondatele dunque le vostre “associazioni politiche legali”, le vostre “associazioni per la difesa degli interessi della classe operaia” ecc. Basta con le chiacchiere, mettetevi all’opera!

Solo che non possono mettersi all’opera, perché nella Russia contemporanea non è possibile realizzare i loro sogni liberali. Tutto quello che possono fare è difendere in modo mascherato i loro “gruppi d’iniziativa”, la cui tanto feconda attività consiste in utili chiacchiere, nell’indirizzarsi incoraggiamenti reciproci, nel redigere proposte sulle “organizzazioni politiche legali”.

Quando la risoluzione dichiara ufficialmente che le organizzazioni clandestine devono “legarsi con gli strati del proletariato politicamente attivi, e, attraverso di loro, con le masse”, è ben i “gruppi d’iniziativa” che la risoluzione difende!! L’indicazione della risoluzione dice che gli “strati politicamente attivi” sono fuori dalle cellule! Non è questa forse una semplice ripetizione, con altre parole, delle note frasi ed esclamazioni sulla “necrosi del partito” dal quale tutto ciò che è attivo è fuggito per andare nei “gruppi d’iniziativa”?

Ciò che la Nascia Zarià e il Dielo Gizni hanno detto esplicitamente inveendo contro il partito clandestino, Trotzki con i liquidatori esclusi dal partito lo riprendono e lo ripetono “in modo più attenuato”: è proprio al di fuori del ristretto partito clandestino che vi sono gli elementi “più attivi”, e proprio con essi bisogna “legarsi”. Siamo noi liquidatori, che ci siamo staccati dal partito, quegli elementi attivi; è attraverso di noi che il “partito” deve legarsi con le masse.

Su questo problema il partito ha preso una posizione chiarissima. Per dirigere la lotta economica le cellule socialdemocratiche devono collaborare con i sindacati, con le cellule socialdemocratiche costituite all’interno di essi, con certi attivisti del movimento sindacale. Analogamente nella campagna elettorale bisogna che i sindacati marcino assieme al partito. Tutto ciò è chiaro, preciso e comprensibile. I liquidatori, invece, predicano un nebuloso “coordinamento” del lavoro del partito nel suo insieme con le associazioni “apolitiche”, cioè apartitiche.

Axelrod ha dato a Trotzki le concezioni del liquidatorismo. Dopo gli amari insuccessi di Axelrod con la Nascia Zarià, Trotzki a sua volta ha consigliato ad Axelrod di coprire quelle concezioni con belle frasi. Ma questa compagnia non ingannerà nessuno. La conferenza liquidatrice insegnerà agli operai a penetrare più a fondo il significato delle frasi ambigue. Questa conferenza non offrirà agli operai che una “lezione” amara, noiosa, ma non priva di utilità nella società borghese.

Abbiamo esaminato abbastanza a fondo le concezioni della politica operaia liberale quando Levitski le presentava apertamente. Non è quindi difficile riconoscerle ora che si presentano nel variopinto ed elegante abbigliamento di Trotzki.

Le concezioni del partito sull’organizzazione clandestina e sulla sua attività legale spiccano in modo sempre più luminoso se le si paragonano con tutte queste ipocrite mascherate.

Sotsial-Demokrat, n. 28-29

5 (18) novembre 1912