20.12.2024 - Comunicato n.13 del Comitato di Partito “Antonio Gramsci” del (nuovo)PCI


Alcune ricorrenze torinesi e i loro insegnamenti

Mercoledì 18 dicembre sono trascorsi 102 anni dal compimento di una delle più efferate stragi che i fascisti di Mussolini realizzarono negli anni della loro ascesa. Nei giorni tra il 17 e il 19 dicembre 1922, a pochi mesi dal conferimento a Mussolini del governo del paese, le squadracce fasciste furono libere di compiere scorribande in giro per Torino, attaccare le sedi del movimento operaio e svolgere esecuzioni di dirigenti e militanti antifascisti, con la scusante di vendicare l’uccisione dei fascisti Dresda e Bazzani.

Fin dal 1946, appena un anno dopo la vittoria della Resistenza antifascista, i martiri antifascisti di quella che venne poi ribattezzata come la strage del 18 dicembre, furono ricordati con l’intitolazione, in loro memoria, di una piazza. Un’intitolazione che ben presto gridò vendetta per l’impunità che le autorità assicurarono a Piero Brandimarte, capo del fascismo torinese nonché organizzatore di quella che è passata alla storia come la strage del 18 dicembre 1922. È storia nota agli antifascisti torinesi che Brandimarte, negli anni successivi alla caduta del fascismo fu processato e assolto con formula piena dalla magistratura. È con queste premesse che quell’intitolazione è divenuta nel corso dei decenni successivi uno dei tanti orpelli dell’antifascismo padronale particolarmente diffuso oggi, caro al “campo largo” a trazione PD e ai suoi addentellati nella sinistra borghese. È l’antifascismo padronale di chi denuncia i crimini del fascismo del secolo scorso, attribuendone la responsabilità ai suoi capi ed esponenti e celando gli interessi delle classi sociali che manovrarono e foraggiarono il fascismo (industriali, agrari, banchieri, criminalità organizzata), fornendo così un salvacondotto per i crimini passati e presenti della borghesia imperialista del nostro paese. Da quelli compiuti nel ventennio fascista a quelli che compie oggi, armando e fornendo appoggio al governo filo-NATO e filo-nazista di Zelensky in Ucraina oppure allo stato sionista d’Israele e al genocidio che sta perpetrando contro la popolazione di Gaza.

L’azione del governo Meloni, governo di questurini e nostalgici del ventennio fascista, suscita la diffusione di sentimenti, iniziative e mobilitazioni antifasciste e di esse ci dobbiamo servire nella nostra lotta per cacciarlo ed costituire il Governo di Blocco Popolare. Al contempo è compito dei comunisti intervenire attivamente nel movimento antifascista popolare che si sta sviluppando per liberarlo dalla cappa dell’antifascismo padronale, con cui l’ala PD delle Larghe Intese cerca di manipolare questa mobilitazione per farne una corrente di sostegno alle nuove imprese criminali della borghesia imperialista italiana, caso mai sotto l’ala del PD (alla stregua dei Renzi, Letta, Gentiloni). Ciò è particolarmente visibile a Torino.

Torino è una città laboratorio per l’intruppamento delle masse popolari del nostro paese al seguito della NATO, dell’UE e dei sionisti nella promozione della Terza Guerra Mondiale in corso. Qui il sistema di potere a guida PD ha promosso l’installazione presso le ex Officine Grandi Riparazioni di corso Castelfidardo di uno dei centri di ricerca affiliati al progetto Diana della NATO, la cui finalità è inventare e sperimentare tecnologia militare da impiegare nelle guerre NATO in giro per il mondo. Ecco gli investitori attratti dalla giunta Lorusso per far rinascere l’economia torinese. Sono i criminali di guerra NATO, verso cui la giunta Lorusso si è anche impegnata a garantire spazi ulteriori con il progetto della cittadella dell’aerospazio, cioè un polo dell’industria bellica da installare in corso Marche entro il 2026!

Torino è una città laboratorio di guerra interna, quella condotta dalla classe dominante contro i lavoratori e le masse popolari. Lo è a partire da uno dei suoi pilastri, cioè lo smantellamento dell’apparato produttivo sviluppato nel secolo scorso, che oggi viene depredato a vantaggio delle speculazioni delle grandi aziende multinazionali e dei grandi detentori di capitali che sono i loro padroni. Ne consegue che è anche un laboratorio dell’eliminazione delle conquiste di benessere e civiltà realizzate dalla classe operaia nel secolo scorso al prezzo di dure lotte. Il processo di smantellamento dell’ex FIAT e il decennale duro attacco ai diritti degli operai ex FIAT ha danneggiato e impoverito tutte le masse popolari della città. Non è un caso che siano avvenute nel torinese alcune tra le stragi sul lavoro più sanguinose degli ultimi decenni: dalla strage ThyssenKrupp del 6 dicembre 2007 alla strage di Brandizzo del 31 agosto 2023, passando per la strage di via Genova del 18 dicembre 2021.

Un altro 18 dicembre e un’altra strage… Sono diverse le relazioni di causa ed effetto rispetto ai fatti avvenuti tra il 17 e il 19 dicembre 1922 ma è comune il mandante: nel 1922 furono i padroni ad armare le scorribande delle squadracce fasciste, nel 2021 sono stati sempre i padroni e la loro sete di profitto ad uccidere i tre operai gruisti Falotico, Peretto e Pozzetti. Padroni come quelli della Calabrese Auto-Gru di via Centallo, l’azienda presso cui era stata affittata la gru non adeguatamente manutenuta collassata in via Genova.

È infine un laboratorio della guerra interna condotta con la repressione accanita delle lotte delle masse popolari, come ci rammenta l’udienza del 17 dicembre del processo per associazione a delinquere e altri reati istruito dalla questura di Torino e dai magistrati al soldo della mafia del TAV, contro militanti del CSOA Askatasuna e del movimento NO TAV.

È esemplare la requisitoria del PM Pedrotta che ha richiesto 88 anni complessivi di carcere per 28 militanti colpevoli di aver partecipato a manifestazioni, picchetti e più in generale a momenti di lotta in difesa dei diritti di settori di masse popolari.

Questi sono alcuni dei molti esempi riproducibili a testimonianza dell’odierna realtà torinese che i fautori dell’antifascismo padronale cercano di celare. A 102 anni dalla strage del 18 dicembre 1922, ricordare i dieci martiri antifascisti caduti in quei giorni significa rimuovere la confusione creata dai professionisti dell’antifascismo padronale. A quanti spacciano una versione da operetta della natura del fascismo del secolo scorso opponiamo che il fascismo fu la dittatura terroristica della parte più reazionaria della borghesia imperialista italiana installata per soffocare e schiacciare lo sviluppo della rivoluzione socialista che era in corso nel nostro paese sull’onda della grande Rivoluzione di Ottobre. A quanti riducono l’antifascismo alla mera denuncia degli scimmiottatori del fascismo del secolo scorso ribadiamo che antifascismo significa innanzitutto mobilitazione e lotta contro le iniziative che la parte più reazionaria della borghesia imperialista oggi porta avanti nel mondo e nel nostro paese. Significa dunque promuovere organizzazione, mobilitazione e lotta contro la guerra esterna e la guerra interna! Non bisogna cedere di un passo di fronte alla riabilitazione del fascismo del secolo scorso che con il governo Meloni compie passi in avanti ma senza cadere nella trappola dell’antifascismo padronale caro al PD e ai suoi addentellati.

La strage del 18 dicembre 1922 fu innanzitutto il castigo subito dal nascente movimento comunista torinese per non aver stroncato sul nascere il germe del fascismo e regolato i conti con il padronato nella situazione rivoluzionaria del Biennio Rosso 1919-1920. Benché concepita per dare una lezione esemplare alla Torino operaia e socialista essa fu principalmente una dimostrazione della vigliaccheria che da sempre contraddistingue i fascisti. Essa è scaturita da un fallito agguato di due fascisti (Dresda e Bazzani) che in superiorità numerica attentarono alla vita di una antifascista avendo alla fine la peggio. Essa è stata attuata con il supporto e la protezione che le autorità statali garantirono alle scorribande fasciste che attraversarono la città nei giorni compresi tra il 17 e il 19 dicembre 1922.

Furono sempre i limiti del movimento comunista a rendere possibile che una volta caduto il fascismo, dopo la vittoriosa Resistenza antifascista, non si avanzò oltre nella lotta per il socialismo e come accadde a Torino, la FIAT tornò nella mani dell’accoppiata Agnelli-Valletta, già complici del fascismo e l’assassino Brandimarte restò impunito e morì di vecchiaia nella stessa città in cui fece strage di antifascisti.

Compagni, non mancò la forza e non mancò l’eroismo. Ciò che mancò fu un Partito Comunista che avesse compiuto la bolscevizzazione auspicata da Lenin per i PC sorti in Europa per scissione dai vecchi partiti socialisti. Fu il compito a cui si dedicò Antonio Gramsci a partire dal 1923 ma che tuttavia rimase incompiuto a seguito del suo arresto nel 1926 nonostante gli sforzi dell’Internazionale Comunista e dell’URSS per promuovere una degna successione alla guida dell’allora PCdI. Palmiro Togliatti, il più importante tra i dirigenti comunisti che succedettero a Gramsci, fu l’artefice dell’integrazione del PCI nel nuovo sistema di potere eretto dalla borghesia imperialista in Italia dopo la caduta del fascismo nonché fautore e garante della messa in libertà, da Ministro di Grazia e Giustizia, di numerosi fascisti, da lui amnistiati il 22 giugno 1946...

Esisteva un’opposizione a questo corso del vecchio PCI ed esponenti come Teresa Noce ne furono l’anima ma in definitiva finirono con il soccombere di fronte all’iniziativa della destra del partito, non avendo prodotto una strategia e una linea alternativa a quella della destra. Teresa Noce al seguito di Pietro Secchia e analogamente ai tanti proletari che animarono le lotte del Biennio Rosso a Torino, esprimevano una comprensione limitata della rivoluzione socialista, che era ancora concepita come un processo che scoppia, un’insurrezione rivoluzionaria che sarebbe seguita ad un’accumulazione quantitativa di lotte. L’esperienza delle rivoluzioni socialiste in Russia e più compiutamente la rivoluzione cinese e gli insegnamenti del maoismo ci permettono oggi di comprendere che la rivoluzione socialista è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e non può avere la forma di un’insurrezione popolare alla maniera di altre rivoluzioni che l’hanno preceduta. La rivoluzione socialista è una guerra di lunga durata nel corso della quale le masse popolari si organizzano fino a costituire una rete via via più fitta di organismi di forza crescente, si aggregano attorno ai propri esponenti d’avanguardia (che per lo più fanno parte del Partito comunista e nel collettivo del Partito formano e attingono gli strumenti spirituali e materiali che li fanno capaci del loro ruolo), attaccano in mille punti e con intensità crescente le istituzioni e le forze delle classi dominanti impegnandole in scontri continui e ripetuti fino a paralizzarle o disgregarle, organizzano autonomamente la propria vita sociale e la produzione appropriandosi di parti crescenti dell’apparato produttivo del paese e costruendone nuove parti. In questa maniera esse creano nel paese il Nuovo Potere che si contrappone al potere delle vecchie classi dominanti, lo limita, lo erode e lo disgrega fino a rovesciare i rapporti di forza ed eliminarlo.


Onoriamo la memoria dei martiri antifascisti della strage del 18 dicembre 1922!

Bando all’antifascismo padronale che cela gli interessi della borghesia imperialista che nel secolo scorso creò il fascismo per proteggere i crimini che la borghesia imperialista compie oggi!

La gloriosa storia della prima ondata delle rivoluzioni proletarie insegna che la rivoluzione socialista è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e il Partito Comunista è il corpo scelto degli uomini e delle donne che assimilano la concezione comunista del mondo e diventano capaci di guidarla fino alla vittoria!


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