Indice degli scritti di Marx-Engels
Federico
Engels - Lettera a Filippo Turati, 26 gennaio 1894
Premessa
redazionale
Il
Partito socialista italiano (così dopo il Congresso di Reggio Emilia del 1893 fu
denominato il precedente Partito socialista dei lavoratori italiani), pur non
avendo avuta alcuna responsabilità diretta nei moti dei Fasci siciliani del
1894, per aver espresso la sua solidarietà ai lavoratori
siciliani in lotta fu messo al bando e i suoi massimi rappresentanti
denunciati alle autorità giudiziarie, mentre il governo Crispi provvedeva a
sciogliere i circoli, le associazioni operaie e le Camere del Lavoro.
Lo
scatenarsi della reazione e la nuova situazione politica venutasi a creare,
posero ai socialisti il problema dell’opportunità dell’alleanza con i partiti
democratici, che miravano al ristabilimento e al consolidamento delle libertà
nell’ambito del sistema borghese.
Nel
momento culminante della repressione dei fasci siciliani, il problema fu posto
da Anna Kuliscioff e da Turati a Engels, il quale rispose con la famosa lettera,
che qui pubblichiamo, a Turati del 26 gennaio 1894, consigliandolo di evitare
una critica puramente negativa nei riguardi dei partiti "affini" e prospettando
la possibilità di una alleanza dei socialisti con i radicali e i repubblicani
per l’instaurazione di un regime democratico borghese possibilmente
repubblicano.
Era però
necessario, secondo Engels, che i socialisti entrassero nell’alleanza come
"partito indipendente", ben distinto dagli altri e pronto a riprendere
l’opposizione all’indomani della vittoria della democrazia.
Tuttavia,
nel gennaio del 1895, al III Congresso nazionale del Partito socialista
italiano, tenutosi clandestinamente a Parma, si ribadì, con 34 voti favorevoli,
20 contrari e 2 astenuti, la tattica intransigente e settaria che fu approvata
al Congresso di Reggio Emilia e criticata dallo stesso Engels.
Stranamente la lettera non è compresa nelle
Opere Complete di Marx - Engels
[avrebbe dovuto essere nel vol. 50, 1977] pubblicate da Editori Riuniti sulla
scorta dell’edizione tedesca (Dietz) 1968). È però compresa nella raccolta
Lenin, Sul movimento operaio italiano,
Editori Riuniti, Le Idee 117, dicembre 1976. La lettera venne pubblicata sulla
rivista di Turati, Critica sociale n.
3, 1° febbraio 1894.
Londra, 26
gennaio 1894
Caro
Turati,
la
situazione in Italia, a mio parere, è questa.
La borghesia, giunta al potere durante e dopo l’emancipazione nazionale, non
seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutto i residui della
feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese
moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi
del regime capitalista, essa gliene impose tutti i carichi, tutti gli
inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili
speculazioni e truffe bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di
credito.
Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si
trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, eredità non solo dei
tempi feudali, ma perfino dell’antichità (mezzadria,
latifondi del meridione
ove il bestiame prende il posto dell’uomo); dall’altra parte, dalla più vorace
fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È ben il caso di dire con
Marx che “noi siamo afflitti, come tutto l’occidente continentale europeo, sia
dallo sviluppo della produzione capitalista, sia ancora dalla mancanza di
codesto sviluppo. Oltre i mali dell’epoca presente, pesano su di noi anche una
lunga serie di mali ereditari, derivanti dalla vegetazione continua dei
sopravvissuti modi di produzione del passato, con la conseguenza dei rapporti
politici e sociali anacronistici
che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche
dai morti. Le mort saisit le vif”
[Il morto tiene stretto a sé il vivo].
Questa situazione spinge a una crisi. Dappertutto la massa produttrice è in
fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?
Evidentemente il partito socialista è troppo giovane e, per effetto della
situazione economica, troppo debole per contare su una vittoria immediata del
socialismo. Nel paese la popolazione agricola prevale, e di gran lunga, sulla
urbana; poche, nella città, le industrie sviluppate, scarso quindi il
proletariato tipico; la
maggioranza è composta di
artigiani, di piccoli bottegai, di spostati, massa fluttuante fra la piccola
borghesia e il proletariato. È la piccola e media borghesia del medioevo in
decadenza e disintegrazione, la più parte proletari futuri, non ancora proletari
dell’oggi. È questa classe, sempre faccia a faccia con la rovina economica ed
ora spinta alla disperazione, che sola potrà fornire e la massa dei combattenti
e i capi di un movimento rivoluzionario. Su questa via la asseconderanno i
contadini, ai quali il loro stesso sparpagliamento sul territorio e il loro
analfabetismo vietano ogni iniziativa efficace, ma che saranno ad ogni modo
ausiliari potenti e indispensabili.
Nel caso di un successo più o meno pacifico, si avrà un cambiamento di governo,
con l’arrivo al potere dei repubblicani “convertiti”
[alla monarchia, ndr], i Cavallotti e compagnia; nel caso di una rivoluzione
si avrà la repubblica borghese.
Di fronte a queste eventualità, quale sarà il ruolo del partito socialista?
Dal 1848 in poi, la tattica che ha portato i maggiori successi ai socialisti fu
quella del Manifesto del partito comunista:
“I comunisti, nei vari stadi attraversati dalla lotta fra proletariato e
borghesia, difendono sempre l’interesse del movimento generale...; lottano certo
per raggiungere scopi immediati nell’interesse delle classi lavoratrici, ma nel
movimento presente rappresentano anche l’avvenire del movimento”. Essi pigliano
dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta delle due
classi, senza mai perdere di vista che queste fasi non sono che altrettante
tappe conducenti alla prima grande meta : la conquista del potere politico da
parte del proletariato, come strumento per riorganizzare la società. Il loro
posto è fra i
combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell’interesse della classe
operaia: tutti questi vantaggi politici o sociali essi li accettano, ma solo
come acconti. Perciò essi considerano ogni movimento rivoluzionario o
progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro
missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionari e, quando
uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato.
Questa tattica, che mai perde di vista il gran fine, risparmia ai socialisti le
disillusioni cui vanno soggetti infallibilmente gli altri partiti
meno chiaroveggenti - sia
repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice
tappa per il termine finale della marcia in avanti.
Applichiamo tutto questo all’Italia.
La vittoria della piccola borghesia in disintegrazione e dei contadini porterà
dunque forse a un governo di repubblicani “convertiti”. Ciò ci procurerà il
suffragio universale e una libertà di movimento (stampa, riunione, associazione,
abolizione dell’ammonizione, ecc.) assai più considerevole - nuove armi che non
sono da disdegnare.
Oppure ci porterà la repubblica borghese, con gli stessi uomini e qualche
mazziniano con essi. Ciò allargherebbe ancora e di assai la nostra libertà e il
nostro campo di azione, almeno per il momento. E la repubblica borghese, ha
detto Marx, è la sola forma politica nella quale la lotta fra proletariato e
borghesia può avere soluzione. Senza dire il contraccolpo che ne risentirebbe
l’Europa.
La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che
renderci più forti e collocarci in un
ambiente più favorevole. Commetteremmo il più grande degli errori
se, di fronte ad esso, vorremo astenerci, se nella nostra condotta nei confronti
dei partiti “affini” vorremo limitarci ad una critica puramente negativa. Potrà
arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo
positivo. Quale sarà questo momento?
Evidentemente non è a noi che spetta di preparare direttamente un movimento che
non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo. Se i repubblicani
e i radicali credono scoccata l’ora di muoversi, diano essi libero sfogo alla
loro impetuosità. Quanto a noi, fummo troppo spesso ingannati dalle grandi
promesse di questi signori per lasciarci prendere un’altra volta in quella
trappola. Né i loro proclami né le loro cospirazioni dovranno menomamente
toccarci. Se noi siamo tenuti a sostenere ogni movimento popolare reale,
siamo tenuti ugualmente a non sacrificare inutilmente il nucleo appena formato
del nostro partito proletario e a non lasciar decimare il proletariato in
sterili sommosse locali.
Se al contrario il movimento è davvero nazionale, i nostri uomini non staranno
nascosti, non vi sarà neppure bisogno di lanciar loro una parola d’ordine... Ma
allora dovrà ben essere inteso, e noi dovremmo proclamarlo altamente, che noi
partecipiamo come
partito
indipendente,
alleato per il momento ai radicali e ai repubblicani, ma interamente distinto da
essi; che non ci facciamo alcuna illusione sul risultato della lotta in caso di
vittoria; che questo risultato, lungi dal renderci soddisfatti, non sarà per noi
che una tappa guadagnata, nuova base d’operazione per conquiste ulteriori; che
il giorno stesso della vittoria le nostre strade si divideranno; che da quel
giorno, di fronte al nuovo governo, noi formeremo la nuova opposizione,
opposizione non già reazionaria, ma progressista, opposizione d’estrema sinistra
che spingerà a nuove conquiste al di là dei terreni guadagnati.
Dopo la vittoria comune, potrebbe esserci offerto qualche seggio nel nuovo
governo - ma sempre nella minoranza.
Questo è il pericolo più grande. Dopo il febbraio 1848 i democratici
socialisti francesi (della Réforme, Ledru-Rollin, Louis Blanc, Flocon,
ecc.) commisero l’errore di accettare cosiffatte cariche. Minoranza nel governo,
essi condivisero volontariamente la responsabilità di tutte le infamie e i
tradimenti, di fronte alla classe operaia, commessi dalla maggioranza di
repubblicani puri; mentre la presenza loro nel governo paralizzava completamente
l’azione rivoluzionaria della classe lavoratrice ch’essi pretendevano
rappresentare.
In tutto questo, io non do che la mia opinione personale, poiché me l’avete
domandata, e ancora con la maggior diffidenza. Quanto alla tattica generale, ne
ho sperimentato l’efficacia durante tutta la mia vita; non una volta essa mi ha
fallito. Ma quanto alla sua applicazione alle condizioni attuali in Italia, è
altra cosa; ciò deve decidersi sul posto e da coloro che si trovano in mezzo
agli avvenimenti.
Federico Engels